58_ le nuvole

GIULIA


Vanno, vengono, ogni tanto si fermano e quando si fermano, sono nere come il corvo, sembra che ti guardano con malocchio.

Certe volte sono bianche e corrono e prendono la forma dell'airone o della pecora o di qualche altra bestia, ma questo lo vedono meglio i bambini, che giocano a corrergli dietro per tanti metri.

Certe volte ti avvisano con rumore prima di arrivare, e la terra si trema, e gli animali si stanno zitti, certe volte ti avvisano con rumore.

Vanno, vengono, ritornano, e magari si fermano tanti giorni che non vedi più il sole e le stelle e ti sembra di non conoscere più il posto dove stai.

Vanno, vengono, per una vera, mille sono finte e si mettono lì tra noi e il cielo per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.

Le nuvole_ De Andrè


Dopo le vacanze di Pasqua, la vita era ripresa serenamente; mio padre, rassicurato dalla gita fatta insieme alla famiglia del mio ragazzo, non si era più opposto alla mia frequentazione con Giorgio, anche se sospettavo che tramasse qualcosa. Era un giornalista di nera dopotutto e vedeva un caso di cronaca ovunque.

I corsi erano ripresi, ma già si avvertiva aria d'estate. Il ponte del 25 aprile e l'imminente "concertone" del Primo Maggio in piazza San Giovanni, non favorivano certo la voglia di studiare.

Avevo voglia di maniche corte, di vestiti leggeri, di sudare e ballare assieme a Giorgio. Non gliene avevo ancora parlato, ma speravo che venisse al concerto con me. Lo speravo davvero. Avevo ricevuto due inviti per questi giorni di festa, il primo l'avevo declinato infastidita: Matteo mi chiedeva se sarei andata da mio padre, voleva parlare, chiarire, scusarsi.

Non ci pensavo neanche.

Il secondo mi aveva riempito di gioia e di un po' di trepidazione. Filippo e Antonia avevano organizzato una gita di qualche giorno in una delle tenute Falconieri in Toscana e avevano invitato anche me. Non c'era bisogno che mio padre conoscesse tutti i miei movimenti, ma decisi di parlargliene: non mi andava di escluderlo totalmente dalla mia vita, era il mio papà e gli volevo bene. Mi diede la sua benedizione ed io, abbandonati i dubbi su di lui, mi lasciai andare alla gioia del momento. Ripensai ai giorni di vacanze appena passati, alla gita al lago, alle risate, agli scherzi, a mio padre e Giovanni che pescavano insieme ridendo e sfottendosi come due vecchi amici. Ripensai alla cena con Giorgio, al suo regalo, ai baci, alla tenerezza tra noi, alla sua scoperta, al suo immenso dolore.

Giorgio...

Dopo il suo sogno rivelatore, si era mostrato stranamente calmo: controllato e meticoloso; sembrava quasi che non fosse accaduto nulla, che la scoperta sulla morte della madre fosse stata accantonata, rimossa dalla sua mente razionale. Ero preoccupata per lui, m'impensieriva soprattutto la sua paura di lasciarsi andare, di innamorarsi troppo, come cantava Battisti.

Anche tra noi le cose stavano andando a rilento.

Sarebbe mai riuscito ad abbandonarsi senza più timori lasciandosi andare all'amore?

Un bussare insistente interruppe le mie elucubrazioni annunciandomi che Arianna era venuta a prendermi.

"Giulia, sei pronta?" La sua voce sprizzava gioia ed eccitazione.

Angela ci salutò con un sorriso, attirata dal baccano che soltanto Arianna riusciva a fare, mentre Martina preferì restarsene in camera, cosa di cui le fui enormemente grata. Chiusi in fretta il borsone, indossai una giacca non troppo pesante sopra la camicetta celeste e i jeans neri e la raggiunsi. 

"Buongiorno, sora Flora!" trillai con un sorriso da orecchio a orecchio.

"Ciao piccolè, vedi de nun fatte più martrattà da quello!" disse, indicando Giorgio con il pollice. Il sorriso che le increspò la bocca rese le sue parole meno dure.

"Vedrà, avrò cura di lei, signora!" Rispose il mio ragazzo prendendo il mio borsone dalle mie mani e depositandolo sul retro del pulmino Volkswagen.

Alzai un sopracciglio alla vista del mezzo di trasporto scelto, non sapevo che i Falconieri avessero uno spirito hippie. Non feci in tempo a formulare nessun commento sulla strana scelta, che sora Flora, abbandonata la comoda poltrona in guardiola, si diresse a passo spedito verso Giorgio, affrontandolo.

"Stamme a sentì giovanotto: se la fai ancora piagne, te la dovrai vedè con me!" Ora non rideva, era maledettamente seria.

Giorgio la guardò e fece un piccolo cenno di assenso con la testa. Se s'impegnava, Flora poteva incutere davvero timore.

"State attenti e divertiteve!" gridò sulla porta.

Mi sbracciai per salutarla, poi svoltato l'angolo, mi concentrai su Giorgio. Sembrava pensieroso, come se le parole della mia portinaia l'avessero profondamente colpito. Oppure c'era altro...

"Cosa c'è che non va?" Chiesi. "Flora ti ha forse spaventato?" la battuta fece ridere tutti tranne Giorgio, che si voltò verso di me con uno sguardo quasi disperato. "Peace and Love, amico!" dissi sorridendo con un chiaro riferimento al bel pulmino ottanio e panna che ci stava trasportando.

Si voltò dall'altra parte fissando insistentemente il paesaggio che scorreva rapido dal finestrino. "Cosa farò, se non riuscirò a farti felice?" Chiese sottovoce più a se stesso che a me. Lo guardai, mi guardò e una profonda inquietudine mi fece salire un brivido lungo la schiena.

Mi alzai e raggiunsi gli altri: Francesco, Antonia, Filippo e Arianna scherzavano seduti nei posti davanti, le loro risate risuonavano all'interno dell'abitacolo, solo Giorgio se ne restava silenzioso sul fondo del pulmino. Per un po' ero rimasta a tenergli compagnia, infine stufa del suo umore ombroso, me ne ero andata lasciandolo solo con i suoi pensieri.

"La tenuta è molto grande?" chiesi, tornando da lui dopo una sosta all'autogrill per rifornirci di schifezze alimentari e fare pipì.

"Sì, molto grande!" Rispose, continuando a guardare il paesaggio.

"Giorgio... c'è qualcosa che non va?" Si voltò per un breve istante per poi tornare a negarmi i suoi occhi.

"No Giulia, va tutto benissimo!" una risposta troppo secca perché potessi crederci.

"Allora perché continui a rispondermi a monosillabi?" Misi una mano sulla sua per accorgermi solo di quanto fosse gelata. "Giorgio, doveva essere una bella vacanza, cosa ti sta succedendo?" La voce, leggermente più alta del normale, denunciava tutto il mio disagio e anche una punta d'irritata preoccupazione. Non si voltò e la cosa mi stizzì non poco. "Me lo spieghi cosa c'è?" sussurrai vicino al suo orecchio per non farmi sentire dagli altri. Stavo cominciando ad arrabbiarmi sul serio, ero partita con le migliori intenzioni, non avevo voglia di farmi rovinare la vacanza da uno stupido, incoerente musone. "Un giorno di lontananza e torna tutto come prima?" Chiesi, a denti stretti. Continuò a ignorarmi, incurante del mio stato d'animo. "Non posso fare tutto da sola, Giorgio!" Ora la mia voce risuonava chiara all'interno dell'abitacolo, attirando l'attenzione dei nostri compagni di viaggio. Fu allora che notai il suo sguardo spaventato.

"Fra poco ci sarà un tremendo temporale!" Al contrario degli occhi, il tono di voce era irrealmente tranquillo, sembrava quasi in trance. Era il tono di chi si era isolato dal mondo. "Odio i temporali!" disse poi corrugando le sopracciglia. Un tremito lo scosse.

Cosa gli stava succedendo?

"Perché odi i temporali?" chiesi con dolcezza.

Volevo farlo parlare, volevo che lentamente si liberasse delle catene che lo tenevano prigioniero, che si confidasse con me, che mi aprisse il suo cuore. Qualunque dolore, qualunque sofferenza, era meglio del suo silenzio ostinato e dolente.

"C'era un terribile temporale quando la mamma morì!" Confessò. Sentii sua sorella trasalire e poi avvicinarsi a lui. "Tu forse non lo ricordi, Arianna, eri a un pigiama party quella sera, non vi sarete accorte di nulla!" Uno strano timbro nella voce; forse un sottile rimpianto per l'infanzia che non più aveva avuto, forse un inconsapevole rimprovero a sua sorella, non saprei dirlo con precisione, ma lo sguardo di Giorgio evitò di soffermarsi su quello di lei. Le dita sottili e magre di Arianna si strinsero a quelle più lunghe e forti di lui, le sue spalle piccole sembrarono vibrare scosse da leggeri tremiti e le sue ciglia s'imperlarono di gocce che si rifiutò di lasciar scendere giù.

Era un essere fragile Arianna, che nascondeva dietro la sua allegria una profonda tristezza e un profondo senso di colpa che l'aveva segnata fin da quella terribile notte. La notte in cui sua madre era morta. Anche lei aveva perso la sua famiglia di origine, anche lei era rimasta sola e il fatto che non conoscesse i dettagli sulla morte di sua madre, non significava che le mancasse meno o che non soffrisse per la sua assenza. Giorgio aveva fatto un ottimo lavoro con lei, nascondendole gli amari contorni della verità; per proteggerla, per tutelare quella metà di sé che ancora provava un po' di felicità. Era stanco il mio ragazzo: di proteggerla, di difendere la sua psiche, di accollare solo sulle sue spalle il peso della sofferenza che lo opprimeva.  Solo un istante, prima che le parole uscissero dalla sua bocca senza che lui riuscisse a controllarle.

"Chiamai la polizia e il 118". Il suo sguardo vagava fuori dal finestrino. "Fui costretto ad aspettare due ore prima che arrivassero. Erano bloccati dal mal tempo che imperversava; mezza Milano era allagata e avevano difficoltà a muoversi nel caos che ne era derivato. Due ore che non dimenticherò mai, due ore rimasto a vegliarla sperando che si risvegliasse." Un altro tremito, ora era impallidito visibilmente, mentre Arianna lo fissava come inebetita.

"Non mi avevi mai raccontato tutti questi dettagli," la sua voce era piccola e angosciata.

"Eri troppo piccola per sapere allora!" Ribatté.

"Ma abbiamo la stessa età!"

"Non m'importa, sei mia sorella, era mio dovere difenderti dalla sofferenza; inoltre non avresti potuto fare nulla né per lei, né per me."

Mi sentii rabbrividire al pensiero di un ragazzino costretto ad assistere, alla morte di sua madre e poi attendere ore di fronte al suo cadavere.

"Filippo, puoi fermarti per favore?" La voce di Giorgio aveva un'urgenza che indusse il ragazzo di Arianna a fermarsi immediatamente rischiando l'incidente con un camper di turisti tedeschi che ci mandarono bellamente a quel paese. Il mio ragazzo uscì di corsa dal mezzo allontanandosi da noi. Vedevo le sue spalle muoversi, segno che stava respirando profondamente, che stava cercando di regolarizzare senza successo il battito del cuore. Arianna scese subito dopo di lui tentando di raggiungerlo, ma un suo gesto la fermò.

"Arianna, non ti voglio con me, non ora, ora è troppo tardi!" Le sue parole cariche di astio la immobilizzarono lasciandola sconvolta, spaventata, triste.

Filippo le fu accanto abbracciandola e consolando il suo pianto.

"Giorgio non voleva dire ciò che ha detto." Le sussurrò con quella voce pacata e morbida.

"Sì invece! Lui mi odia!" Ribatté stizzita. Se solo avesse saputo da cosa Giorgio la stava proteggendo...

"Lascialo respirare, ha solo bisogno di riprendersi. E' il trauma dei ricordi a farlo parlare così." Lentamente il pianto di Arianna si tranquillizzò; Giorgio aveva fatto davvero un buon lavoro, Arianna non avrebbe resistito a tutta quella sofferenza.

"Mi passerà presto!" Sussurrò implorando con gli occhi Filippo di allontanarla da lui. "Ho bisogno solo di fare due passi, vi dispiace fare una piccola sosta?" Chiese con l'affanno ancora nella voce.

"Certo, è un modo come un altro per mangiarci un panino in più!" Francesco riusciva sempre a smorzare la tensione con un sorriso o una battuta. Passò al posto di guida per spostare il pulmino verso una vicina piazzola si sosta e poi mise in atto il suo intento sotto lo sguardo un po' contrariato di Antonia.

"Giulia, ti andrebbe di accompagnarmi?" La voce di Giorgio mi sorprese, era tornata un po' più limpida, ma lo sguardo restava ancora torbido e scuro come una foresta sotto la pioggia. Annuii e presi la mano che mi porgeva dirigendomi con lui verso un ombroso boschetto. Un piccolissimo sorriso tornò ad affiorargli sulle labbra. "Fra un attimo vi raggiungo, ok?" Quelle parole dette con calma e con un sorriso rassicurante, gli costarono uno sforzo sovrumano, ma avrebbe fatto qualunque cosa, pur di non infliggere altro dolore ad Arianna. Si sentiva già in colpa per il suo comportamento. Ne ero quasi sicura.

"Mi dispiace averti fatto tutte quelle domande, non avrei dovuto, non di fronte agli altri!" Dissi una volta rimasti soli. Giorgio alzò la testa lentamente sorridendomi debolmente.

"Baciami, ti prego!" Sussurrò, le labbra a un passo dalle mie. Mi avvicinai colmando la piccola distanza tra noi. La sua bocca sulla mia, leggera, come ali di farfalle,, tracciava il profilo delle mie labbra, saggiandone la morbidezza, gustandone il sapore. Lo accolsi, mentre un nuovo calore e una pace infinita sostituivano, lentamente, il gelo di morte che si stava impadronendo del mio cuore.


* Le Nuvole _ Fabrizio De Andrè

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