47 (Brain Damage)
GIORGIO
Ther's someone in my head but it's not me, and if the cloud bursts, thunder in your ear you shout and no one seems to hear, And if the band you're in starts playing different tunes I'll see you on the dark side of the moon.
Pink Floyd _ Brain Damage
Giulia era arrivata a casa e la cosa non poteva che riempirmi di sollievo; le nuvole all'orizzonte erano ancora minacciose, ma saperla a casa di suo padre, al sicuro, mi tranquillizzava anche se l'incognita Matteo era dietro l'angolo. Riccardo Mancini adorava Matteo e io, dopo le sofferenze arrecate a sua figlia, non rientravo certo nelle sue grazie. Mi sopportava, sopportava che stessi accanto a Giulia solo perché sperava che l'aiutassi a stare meglio, ma certamente non mi aveva perdonato.
Come avrebbe potuto, se io stesso non ci riuscivo?
Pensai a lei, al suo sorriso dolce nei momenti di passione, al suo profumo, alla sericità della sua pelle sotto le mie dita; ero frastornato dall'entità e dalla portata di ciò che sentivo per lei, il desiderio, l'amore, il profondo affetto, il rispetto, l'amicizia... non credevo che il mio cuore, arido e schivo, fosse in grado di contenere tanta intensità.
Sorrisi al mio volto, riflesso nello specchietto retrovisore.
Ero felice, per la prima volta da che ricordassi, ero davvero felice.
Misi in moto e mi diressi verso casa; avevo voglia di vedere i miei, di suonare il piano fino a sfinire le dita; voglia di ridere, di condividere la mia gioia con le altre persone che mi erano care.
Ero felice; ora capivo il vero senso della sinfonia n. 9 di Beethoven, ora che anch'io provavo un pizzico di quella gioia. Una dolce melodia cominciò a prendere forma nella mia mente, un brano vivace e dolce, un brano che sapeva di noi e del nostro amore, un pezzo che avrei perfezionato e composto per lei, per noi. La strada correva veloce, casa mia era vicina ormai, ancora pochi minuti e...
Il volto di mia madre apparve tra le pagine della mia mente scompigliandole...
Era triste, piangeva lacrime macchiate di sangue, il suo sangue, il mio sangue.
****
"Giorgio!"
La sua voce così nitida, mi esplose nel cervello. Frenai accostando l'auto al ciglio della strada.
"Giorgio!"
Dio, era così precisa in ogni suo accento. Sentii subito l'inconfondibile morsa allo stomaco; il dolore dei ricordi che si insinuava nella mia carne. Dovevo scendere, le dimensioni dell'abitacolo erano troppo strette per il mio respiro affannato, l'atmosfera intorno a me, troppo cupa, troppo scuro il cielo che minacciava tempesta.
Dovevo scendere e cercare di reagire per non farmi sopraffare dall'incubo. Prendere aria, inspirare, espirare; non pensare, svuotare la mente...
"Giorgio!"
Ancora quel richiamo, dolce e triste al tempo stesso, ancora la sua voce a straziarmi il cuore.
"Cosa vuoi!" Urlai al boschetto verde di fronte a me. Qualche passero si alzò in volo, mentre l'aria sembrò cristallizzarsi. La quiete prima della tempesta.
"Tu non meriti di essere felice!" La mia voce, la sua voce, rimbombavano dentro di me.
"Perché!!" urlai ancora.
"Tu non meriti di essere felice!" Rispose ancora la voce di mia madre. Stavo impazzendo, impazzendo davvero. Abbandonai l'auto sul ciglio della strada, l'aria fresca di aprile mi avrebbe aiutato a schiarire le idee, doveva aiutarmi. Ero a poche centinaia di metri da casa, dovevo solo riuscire a rientrare.
Un passo dietro l'altro, Giorgio, un passo dietro l'altro, puoi farcela, la tua famiglia è li, ti aiuterà. Pensai, stringendo gli occhi e mettendo inutilmente le mani alle orecchie. Non volevo sentire la sua voce, non volevo ricordarla, non nel momento in cui una piccola luce aveva iniziato a rischiarare la mia oscurità.
"Giorgio, mi hai dimenticata?" Sussultai. Non potevo sfuggirle, non potevo scappare di fronte ai ricordi, non avevo la forza di seppellirli, quando decidevano di riemergere con tutta la loro devastante potenza.
"Non avevi detto che mi avresti voluto bene per sempre?"
Perché proprio ora che la mia vita stava subendo una svolta positiva?
Mi sedetti sotto un albero del boschetto al limitare del campo da golf nei pressi di casa mia. Non riuscivo più a procedere, le gambe rifiutavano di obbedire ai miei ordini, la testa scoppiava di voci e ricordi sopiti per troppo tempo.
"Ti voglio bene mamma!" sussurrai al vento. "...ma amo anche lei!" le mie parole si dispersero nel silenzio carico di elettricità. "Non ti ho dimenticata, come potrei!" Un singhiozzo proruppe dal mio petto, soffocandomi.
Ero nuovamente incapace di sfogare la mia disperazione, nuovamente incapace di piangere. Una stretta allo stomaco mi costrinse ad accasciarmi a terra. Strinsi le ginocchia al petto racchiudendomi in posizione fetale; l'unico modo che conoscevo per tentare di tenere insieme i pezzi di me stesso; l'unico modo per tentare di proteggere il mio cuore. Ancora la sua voce, ancora una fitta straziante nelle mie viscere. "Voglio essere felice" sussurrai, prima che il nulla mi sopraffacesse.
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FRANCESCO
"Francesco, ma non è la macchina di Giorgio quella?" Nia mi indicò la Porche abbandonata a pochi passi da casa di sua zia. Una strana inquietudine si impossessò di me. Mi avvicinai con circospezione non sapendo cosa aspettarmi, era proprio la sua auto, aperta, il cofano caldo, le chiavi ancora inserite nel quadro del cruscotto. Non doveva essersi fermato da molto.
"E' la sua auto, Nia!" Confermai. La mia fidanzata sussultò, colta anch'ella da una sensazione spiacevole.
"Cosa può essergli successo? Perché la sua auto è qui e lui no?" Domande a cui non potevo e non sapevo cosa rispondere, l'unica cosa che potessi fare era prendere in mano le redini della situazione e andare a cercarlo.
"Vengo con te!" disse, non appena le esposi le mie intenzioni.
Non potevo permetterlo, se qualcuno aveva fatto del male a Giorgio, lei non doveva essere presente, inoltre nonvolevo metterla in pericolo in nessun modo.
"Antonia, amore, io cerco Giorgio, tu porta a casa la macchina, io ti raggiungerò con la sua auto non appena l'avrò trovato!" le diedi un bacio sulla bocca sperando di convincerla ad ascoltarmi. Fallii miseramente.
"Non ti lascerò andare da solo!" Rispose caparbia.
"Antonia!" la ammonii, cercando di farla cedere senza doverle spiegare l'entità dei miei timori.
"Ti amo, lo sai Franz?" Disse all'improvviso.
"Lo so!" Risposi. Un sorriso sghembo a formarsi all'angolo della mia bocca.
"Ed è proprio perché ti amo che non ti lascerò andare da solo!"
Cazzo, mi aveva fregato, ci riusciva sempre. Annuii, poi voltammo le spalle all'auto di Giorgio e a piedi ci dirigemmo verso il boschetto al limitare del campo da golf. Le prime gocce di pioggia iniziarono a scendere; imprecai mentalmente per non aver portato un ombrello con me. Antonia sorrise della mia espressione e facendomi una carezza sul viso, tirò fuori dalla sua capiente borsa un piccolo ombrellino: non ci avrebbe riparato totalmente, ma era meglio di niente. Ero preoccupato, molto preoccupato e a giudicare dal modo in cui si arpionava al mio braccio, anche Antonia lo era. Camminammo per un po,' in un silenzio rotto solo dal rumore dei nostri passi nel sottobosco bagnato, ma quando la pioggia aumentò di intensità, il rumore delle gocce divenne intenso e angosciante.
Dieci minuti, quello era il tempo trascorso da quando avevamo trovato l'auto di Giorgio.
Dieci minuti, un tempo breve, eppure lunghissimo; il tempo in cui una vita può cambiare il suo corso.
Dove diavolo era finito?
Stava bene?
Era vivo?
Domande che mi straziavano il cuore; Giorgio ne aveva passate già tante nella sua giovane, breve vita...
Antonia soffocò un breve grido, distogliendomi dalle mie riflessioni. Fu allora che lo vidi.
Giorgio era sdraiato a terra in posizione fetale, le ginocchia strette al petto, non si muoveva. In un attimo gli fummo accanto.
"Respira!" Sussurrò Nia, con quello che somigliava a un sospiro di sollievo. Mi accovacciai accanto a lui cercando di districarlo da quella posizione, ma lui non reagiva, né collaborava in alcun modo.
"Aiutami!" Gridai per sovrastare il rumore della pioggia.
"Aiutami a sollevarlo, Nia!" La paura si fece strada in me.
Da quanto tempo era li?
Cosa gli era successo per ridurlo in questo stato?
Giulia stava bene?
Con grande fatica riuscimmo a sollevarlo; mi tolsi il giaccone e lo avvolsi attorno alle sue spalle, poi afferrai il cellulare e chiamai Giovanni. Lo trascinammo fino alla nostra auto, stendendolo sul sedile posteriore; strofinai le sue braccia cercando di scaldarlo, accesi il riscaldamento al massimo e lo chiamai.
Una, due tre volte; finalmente aprì gli occhi, lo sguardo vitreo, perso in chissà quale pensiero.
"Voglio essere felice!" sussurrò, poi richiuse gli occhi accasciandosi sulla mia spalla.
Una lacrima scese sul mio viso.
Non avevo mai visto ridere Giorgio, mai veramente; il suo volto era sempre velato, come coperto da una maschera che impedisse a tutti di guardare oltre, di percepire l'intensità del suo dolore. Non sapevo cosa gli fosse successo, ma ero certo che, qualunque cosa fosse, lo stesse lentamente distruggendo portandolo alla follia.
Pink Floyd _ Brain Damage
*Il pazzo è sull'erba,
il pazzo è sull'erba ricorda giochi, corone di margherite e risate,
bisogna mantenere i pazzi sul sentiero giusto il pazzo è nella sala, i pazzi sono nel mio corridoio, il giornale tiene le loro facce rivolte al pavimento e ogni giorno il ragazzo dei giornali ne porta di più, e se la diga crolla, apre molte falle, e se non c'è spazio in cima alla collina
e se la tua testa scoppia con oscure inquietudini, ti incontrerò sul lato oscuro della luna.
il pazzo è nella mia testa,
il pazzo è nella mia testa tu sollevi la lama, fai dei cambiamenti,
mi curi fino a quando sono rinsavito,
chiudi la porta,
e getti via la chiave c'è qualcuno nella mia testa ma non sono io e se la nuvola scoppia,
il tuono è nel tuo orecchio gridi ma nessuno sembra udirti,
e se il gruppo di cui fai parte, inizia a suonare melodie diverse ti incontrerò sul lato oscuro della luna.
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