22 (notturno op.9 n.1)
GIORGIO
La cena che mia madre aveva preparato era semplicemente perfetta; poche portate semplici, ma come la mise en place della tavola, realizzate con grandissima cura.
"Giulia, raccontaci qualcosa di te." Disse Arianna con il solito entusiasmo, trangugiando un boccone di carpaccio di vitello.
"Nell'anno che abbiamo passato nella tua città non ti abbiamo mai vista a scuola, come mai?"
Giulia alzò gli occhi dal piatto e la guardò con un misto di tristezza e disagio; ci guardammo per un breve istante, poi lei iniziò a raccontarsi.
"I miei sono divorziati da quando avevo dieci anni. Io vivo con mia madre a Perugia; vengo a trovare mio padre solo durante le vacanze!"
Arianna arrossì imbarazzata dalla franchezza della nostra ospite, mentre lei sorrise leggermente persa in qualche vago ricordo d'infanzia.
Mi vergognai quando mi trovai ad invidiare quei ricordi d'infanzia, ricordi che non avrei mai potuto avere, che mi erano stati strappati via.
"Durante l'università, starò un po' da mio padre, almeno durante i weekend e le feste; mia madre si è risposata da poco, sembra un'adolescente al suo primo amore e io non voglio starle troppo tra i piedi". Sembrava avesse un nodo in gola mentre pronunciava quelle parole.
Avrei voluto strozzare mia sorella per la sua indiscrezione e nello stesso tempo avrei voluto abbracciarla; avevo saputo più cose di lei in questa breve conversazione, che in giorni e giorni di lavoro assieme. Arianna la invitò a continuare. Giulia parlò a bassa voce, il pensiero dei suoi genitori separati doveva farle ancora male; il suo passato le faceva ancora male.
Proprio come succedeva a me.
"Tua madre deve essere proprio figa!" Sconcertato guardai Franz, cercando di fulminarlo con lo sguardo, mentre Antonia, indignata per la sua uscita poco appropriata, gli assestava una gomitata nelle costole. "Ahi!" disse guadagnandosi un'occhiata di fuoco dalla sua fidanzata e le risate di tutti noi. Francesco alzò le spalle facendomi l'occhiolino; era più attento di quel che poteva sembrare a una prima occhiata; aveva capito perfettamente che ci voleva qualcosa che alleggerisse la tensione.
"Mia madre è una donna molto particolare in effetti. È un'artista, ha conosciuto mio padre durante un'estemporanea di pittura e il suo nuovo marito durante un concerto rock. E' stato un colpo di fulmine in entrambi i casi."
Mandai giù una forchettata di trofie al pesto, erano veramente buonissime. Mi concessi un attimo per osservare la mia strana famiglia e Giulia tra noi. Mi sembrava tutto perfetto, lei era perfetta con noi. Con me.
"Parlaci un po' della loro storia, ti va?" chiese Emilia incuriosita dal bel racconto della nostra ospite.
"E' una storia come tante, mia madre ha scoperto di essere incinta dopo qualche mese di relazione con mio padre." Disse abbassando gli occhi imbarazzata. "E Riccardo, mio padre, quando ha saputo del suo stato, ha insistito perché mia madre lo sposasse. Lei ovviamente era al settimo cielo, era una ragazzina stravagante e innamorata e colui che allora riteneva il suo principe azzurro, non era scappato di fronte alle sue responsabilità. Due settimane dopo erano sposati."
Arianna portò a tavola un rollè di maiale con patatine novelle alle erbette davvero sublime, mia madre si era impegnata al massimo.
Le sorrisi grato, poi la mia attenzione fu tutta per Giulia che continuava a raccontare di sé, spinta dalla curiosità di tutti i commensali.
"Il primo anno lo passarono a Milano, mio padre è giornalista e lavorava presso una testata importante, ma non sopportava il grigiore opprimente di quella città."
Incredibile, Giulia ed io avevamo abitato nella stessa città. Coincidenza o destino?
"Si amavano e amavano me. Mia madre all'epoca era molto innamorata e avrebbe accettato qualunque cambiamento nella sua vita, anche allontanarsi dal mondo che amava. Mio padre chiese il trasferimento e l'ottenne qualche anno più tardi, proprio nella città in cui continua a vivere, ma ormai era già troppo tardi, mia madre, come una falena, era in cerca di un'altra fiamma su cui bruciarsi!" Avvertii l'amarezza del suo tono. Pur amandola immensamente, non approvava l'atteggiamento di sua madre. Il suo sorriso era mesto, come il suo tono di voce. Era triste, lo percepivo nella testa, lo sentivo nel cuore. "Comunque, dopo un periodo un po' triste ho imparato ad apprezzare la vita nomade che faccio, tra Roma, Perugia e Firenze dai miei nonni paterni." continuò con un tono meno mesto.
"Ho conosciuto tuo padre, è un giornalista davvero bravo." Emilia, con la sua sensibilità, aveva capito di dover intervenire sottraendo Giulia dal fuoco di fila di domande cui mia sorella la stava sottoponendo. "Mi piacerebbe conoscere tua madre, deve essere una persona molto interessante!" Continuò Emilia sorridendole dolcemente.
"E' figa, l'ho detto io!"intervenne Francesco facendo ridere tutti, intanto che tentava di difendersi dalle gomitate di Nia.
Sorrise anche lei, non voleva sapessimo quanto la separazione dei suoi genitori l'avesse ferita o quanto fosse dura per lei.
La guardai, gli occhi di Giulia erano un po' lucidi di lacrime a stento trattenute. Guardai la mia famiglia sperando che capissero che l'interrogatorio doveva finire. Subito.
Mi alzai, mentre un moto di fastidio mi pervadeva le membra.
"Giorgio, tesoro, ci suoni qualcosa?" mia madre colse la palla al balzo; lei amava sentirmi suonare. A
Suonare, di fronte a lei, suonare per allietarle l'animo, suonare per zittire i presenti.
Sì, suonare era una buona idea.
Suonare per mostrare a Giulia un po' della mia anima. Sperai che le piacesse ciò che avevo dentro; la musica che suonavo per lei, la parte più luminosa, nell'oscurità che mi circondava. Mi sedetti al piano mentre i miei famigliari e Giulia si predisposero all'ascolto. Mi sentivo turbato come mai mi era accaduto. La donna che desideravo mi guardava, colei che avevo baciato, alla quale avevo permesso di entrarmi nel petto e scrutare uno spiraglio del mio cuore, era qui, con me nella stessa stanza. Vidi il leggero tremito delle mie dita fermarsi, tirai un sospiro e iniziai.
Claire de Lune di Debussy, uno dei miei pezzi favoriti.
Le dita scorrevano sicure sui tasti ora, dopo l'iniziale emozione, mi persi completamente nella musica. Ero tutt'uno con essa. Per Elisa di Beethoven, Sogno d'amore di Liszt...
La musica riusciva a comunicare per me e sperai che la voce del mio cuore giungesse fino a lei. Giulia mi guardava incantata.
Occhi sognanti, belli, gentili; occhi innamorati. La paura mi montò dentro. Bloccandomi, devastandomi. Sbagliai una nota, ma nessuno lo notò. Gli occhi di Giulia brillavano per me, per qualcuno che non avrebbe potuto darle l'amore che meritava; la mia anima era più oscura di quanto lei avrebbe mai potuto immaginare; il ricordo del nostro bacio riusciva a illuminarne fiocamente soltanto i contorni della mia anima,ma non riusciva a squarciarne le tenebre. Si avvicinò, lentamente, come richiamata dal canto di una sirena, ipnotizzata dal movimento ritmico delle mie dita sui tasti. Sentivo il suo calore su di me, in me; la dolcezza del suo sorriso che lentamente scioglieva la corazza di ghiaccio che la proteggeva da me. Le ultime note di un Notturno di Chopin si persero nell'aria, Giulia, accanto a me continuava a fissare le mie dita le stesse che avrebbero potuto stritolarle il cuore con una sola, piccola stretta.
"Sei bravissimo" disse sottovoce, quasi avesse paura di interrompere. Le feci un sorriso e iniziai a suonare il mio ultimo pezzo, quello che in una notte tormentata avevo composto per lei, per placare i suoi sonni inquieti; Giulia però non l'avrebbe saputo, non mi sarei esposto fino a questo punto. La musica fluì leggera, ricordavo perfettamente ogni passaggio, ogni accordo, era come se l'avessi suonata mille volte e non una sola. Quando l'ultima nota si spense, la guardai, i suoi occhi erano lucidi di lacrime.
"È un pezzo meraviglioso!" Sussurrò, le sue mani carezzarono distrattamente le mie braccia. Non dovevo permetterle di avvicinarsi di più, non dovevo permettermi di cedere al richiamo dei suoi occhi, alla perfezione delle sue labbra, al calore del suo corpo. La guardai, intensamente, dimentico della presenza dei miei; non riuscivo a impedirmelo; si ritrasse con le guance in fiamme, timida, timorosa di dare spettacolo, ma non c'era più nessuno nella stanza. Ci avevano lasciati soli.
"Giulia, io non..." le presi il volto con entrambi le mani e mi avvicinai lentamente alla sua bocca.
No, gridava la mia testa, non farle questo, non farle del male, non farne a te!
"...non" non riuscivo ad allontanarla, la desideravo con un'intensità che non credevo possibile. Vidi le sue labbra dischiudersi, le guance imporporarsi gli occhi farsi più dolci, socchiudersi, aspettando... "Non posso più aspettare!" dissi infine, mentre le mie labbra si posarono sulle sue, leggere, morbide. Rispose al bacio con intensità, danzando con me, carezzando la mia bocca, insinuante, sensuale, calda. Mi allontanò da sé, baciandomi il viso; inesperta, ma nello stesso tempo disinibita; era istinto puro. Quando con la punta della lingua tracciò il profilo delle mie labbra, non seppi trattenere un gemito roco, tutto il mio corpo, abituato all'oscurità, era ora immerso in una luce accecante, calda, destabilizzante. Dovevamo fermarci.
Ora.
Mi allontanai bruscamente da lei, come scottato da un intenso calore, un calore che non avevo mai conosciuto.
"Ti accompagno a casa..." dissi con la voce ancora roca per una passione a stento trattenuta.
"Tu non puoi guidare." Ribatté.
"Sciocchezze, io sto bene, se vuoi puoi chiederlo a mio padre!" dissi dirigendomi verso il giardino d'inverno della villa. "Papa, mamma, io riaccompagno Giulia!" Giovanni mi guardò scettico, sarei andato piano, non avrei fatto mosse azzardate. "Starò attento" lo rassicurai. Mio padre sorrise e annuì, aveva capito quanto desiderassi riaccompagnarla da solo.
"È stata una magnifica serata, grazie." Giulia era sempre molto gentile. Mia madre si alzò e d'istinto le prese le mani.
"Ti ringrazio per aver fatto tornare il sorriso al mio Giorgio!" disse sottovoce, ma non troppo perché non la sentissi.
Li salutammo e ci dirigemmo verso il garage.
Aprii la portiera e la feci salire sulla mia Porche argentata, poi mi immisi sulla Cassia, direzione Roma.
Durante il tragitto non parlammo molto, ero freddo, distante, talmente pieno di emozioni da non riuscire a esprimerle a parole. Giulia mi piaceva e mi terrorizzava al tempo stesso. Quando ero con lei, la mia anima ferita si esponeva troppo e io avevo dannatamente paura di soffrire. Non avrei sopportato altro dolore.
Il mio istinto di sopravvivenza ebbe il sopravvento.
"Buonanotte Giulia" le dissi tenendo le distanze. Se l'avessi baciata ora, non mi sarei fermato. Non mi sarei accontentato e forse neanche lei. La volevo con disperazione e la temevocon la stessa disperazione.
"Buonanotte..." ripeté con una voce triste, destabilizzata dal mio ennesimo cambio d'umore.
Sì, ero un vigliacco, che razza di comportamento baciare due volte una ragazza e poi scappare via senza darle alcuna spiegazione; Giovanni non avrebbe approvato un simile comportamento. Giulia mise una mano sulla maniglia della portiera e fece per scendere.
"Aspetta..." la mano ferma a mezz'aria, lo sguardo, intensamente chiaro, anche nel buio dell'abitacolo.
"Giorgio..." vidi una stilla di speranza accendersi sul suo viso.
"Giulia tu mi piaci molto, sono attratto da te molto più del lecito, ma..." Tutti i miei propositi erano andati a farsi fottere. Avrei dovuto tacere, darmi il tempo di pensare prima di dare fiato alla bocca.
"Ma..." la sua voce era incerta, timorosa; c'è sempre un dubbio dietro un "ma", solo che le parole che le dissi ebbero l'effetto di un pugno.
"...niente di più di questo." dissi freddo.
"Anche tu mi piaci Giorgio e apprezzo molto la tua onestà" rispose in un soffio.
Gli occhi erano lucidi, ma non pianse. Anche questa volta avevo fatto male proprio a colei che volevo proteggere. Ero un mostro: lo sapeva lei, lo sapevo io, ma per una volta, per una sola volta, avrei tanto voluto fare la parte del principe.
"Passo a prenderti domani..." cercai di recuperare. Continuava a guardarmi, stupita, triste, delusa.
"Tu fai del male a chi ti ama" le parole di Azzurra riecheggiarono nella mia mente e mi colpirono come una stilettata al cuore; questa volta però il suo dolore era anche il mio. La sua sofferenza mi apparteneva.
"A domani allora!" disse con voce monocorde. Mi diede un bacio leggero sulla guancia e si allontanò lasciandomi vuoto.
Chopin _Notturno op.9 n.1
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