13 (you're beautiful)

GIORGIO

Mi svegliai presto con il desiderio di muovermi, di uscire, mi sentivo meglio; parlare con Azzurra la sera prima, chiederle scusa per quanto le avevo fatto, mi aveva rasserenato lo spirito. Ora ero pronto per rivedere Giulia. Scesi di sotto, mio padre era intento a preparare la colazione per Emilia; un momento di tenerezza che si concedeva ogni volta che poteva. Si sentiva in colpa, i turni in ospedale, uniti ai suoi impegni di primario, non gli lasciavano più molto spazio per stare in famiglia e allora cercava di restarci vicino il più possibile quando era in casa. Non ci aveva mai fatto mancare il suo affetto, io e mia sorella, segnati da un gravissimo abbandono, lo consideravamo una persona eccezionale; un vero padre, il padre che non avevamo mai veramente avuto.

"Papà, vorrei uscire per andare in facoltà. Secondo te posso?" Nella mia voce c'era una nota supplichevole. Giovanni mi guardò, stupefatto dal mio tono.

"Faresti meglio a restare a casa ancora un po', la tua ferita non è certo un graffio; sei stato operato e il taglio non si è ancora del tutto rimarginato." Soppesò il mio sguardo che sembrava sicuramente quello di un animale in gabbia.

"Ti prego, non ce la faccio più a stare chiuso in casa." Voglio rivedere Giulia, urlò la mia mente, ma non ebbi il coraggio di confessarlo nemmeno a me stesso e sicuramente non a mio padre. "Starò attento!" dissi invece.

"Se proprio non riesci ad aspettare, allora ti bloccherò la spalla in modo da non permetterle di fare molti movimenti, questo ti consentirà di uscire, ma ti farà male, scegli cosa ha più importanza per te." Il suo tono era molto professionale e anche un po' rigido.

"Non è un problema, riesco a resistere al dolore!" Lo sguardo di mio padre di fece improvvisamente un po' più triste.

"Lo so bene, Giorgio. So quanto sei bravo a reprimere il dolore." La sua risposta mi spiazzò, lo guardai sentendo i suoi occhi perforarmi l'anima, per addentrarsi nelle sue profondità. "Non ti impedirò di uscire" continuò, "ma ti prego, non fare sciocchezze, come guidare, ad esempio. Ti accompagnerà Arianna. Se non accetti te ne starai a casa, sono stato chiaro?" Quell'uomo mi conosceva meglio di chiunque altro, forse meglio persino di me stesso. Lui aveva capito, lui sapeva che la mia richiesta era dettata da un desiderio che andava ben oltre il semplice bisogno di cambiare aria. Riuscivo a fingere con chiunque, persino con Arianna, ma non con lui.

Dopo colazione andai nel suo studio. Mio padre mi medicò la ferita, togliendo alcuni punti, dove la pelle si era rimarginata, poi la fasciò di nuovo impedendomi di muovere il braccio.

"Fa male?" mi chiese a fine lavoro.

Cazzo sí! Pensai, stringendo i denti. "Un po'!" risposi invece, facendomi forte, non aveva senso mentire, era un medico e sapeva ciò che faceva, non potevo certo ingannarlo.

"Ti darò un antidolorifico, ma ti prego ancora di non fare sforzi o movimenti bruschi, non è il caso che ferita si riapra!" Annuii e gli sorrisi un po' teso. Per un istante pensai che avesse stretto la fasciatura più del normale per spingermi a desistere, ma conoscevo bene Giovanni, lui non avrebbe mai fatto nulla del genere se non fosse stato strettamente necessario.

"Grazie papà!" Dopo averlo salutato, mi diressi verso il garage. Arianna mi aspettava con un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Evitai il suo sguardo indagatore, così come feci con le sue domande incalzanti. Alla fine, esasperata, mi lasciò all'ingresso della facoltà e poi, sempre sorridendo, se ne andò per seguire le sue lezioni. Camminai lungo i corridoi nella segreta speranza di incontrare Giulia; sentivo addosso gli sguardi di molti, il mio "gesto eroico" mi aveva reso più famoso di quanto avrei voluto. Odiavo essere in vista, ma per ora non potevo fare nulla per evitarlo: presto sarebbe accaduto qualcosa, un fatto nuovo e più eclatante, che avrebbe acceso i riflettori su qualcun altro, rispedendomi nell'ombra dentro la quale volevo stare.

L'ombra che mi rassicurava, l'altro lato della luna; quello oscuro.

Giulia si stava avviando verso l'uscita, i capelli raccolti in una crocchia scomposta, i blocchi e i libri sotto un braccio e i segni dell'incidente ormai sbiaditi. La guardai allontanarsi per raggiungere i suoi amici e mi sorpresi della dolcezza che emanava dai suoi modi garbati.Senza volerlo davvero mi trovai a seguirla in silenzio. Si era seduta al solito posto, nei pressi del lago e si godeva il pallido sole autunnale; amava il caldo, me ne ero accorto quel giorno in biblioteca. Sorrisi inconsciamente; sotto il sole, con le ombre che si accendevano e spegnevano sul suo volto e tra i suoi capelli, Giulia sembrava immersa in un quadro di Degas.

Martina Bernardi le stava vicino, ciarlando come al solito, ma lei non sembrava prestarle molta attenzione. Mi feci avanti, mostrandomi a lei, sorridendole e facendole cenno di avvicinarsi. Ci salutammo come al solito, con poche parole e molto sarcasmo.

"Ci sarai anche tu sabato?" Chiese improvvisamente, cogliendomi alla sprovvista. Il sorriso che mi sforzavo di mantenere si spense. Rimasi in silenzio, scioccato dalla verità che c'era dietro quelle sue semplici parole. Giulia mi conosceva, più di quanto io conoscessi lei. Dubitava di me e aveva ragione, mi ero pentito subito dopo averla invitata, non mi sentivo all'altezza, non sarei mai stato all'altezza. Le feci cenno di allontanarci, non volevo che orecchie indiscrete ascoltassero ciò che era riservato a lei soltanto; inoltre dovevo sedermi, le forze cominciavano ad abbandonarmi, stavo più male di quanto volessi ammettere. Lei l'aveva notato, come sempre capiva cose di me che stentavo ad accettare io stesso. Era un'osservatrice attenta e una compagna ironica e acuta ed io senza nemmeno rendermene conto pienamente, mi ero sbilanciato con lei più di quanto avessi creduto possibile.

"Tu mi piaci!" le avevo detto, ed era vero. Sì, mi piaceva e questo sentimento andava ben oltre l'aspetto, era una sensazione nuova e devastante, un sentimento capace di abbassare in un sol colpo tutte le mie barriere. La mia compagna di studi alzò gli occhi su di me ma quello che vidi non era ciò che mi aspettavo: era arrabbiata. Voleva essermi amica ed io l'avevo respinta in tutti i modi fino alla maleducazione; l'avevo fatto per lei, per tenerla lontana da me e dal mio mondo instabile, dalla precarietà dei miei stati d'animo, dalla mia anima oscura e fredda. L'avevo fatto per lei, ma rischiare di vederla morire aveva azzerato tutto in un sol colpo, non potevo permettermi di starle lontano un momento di più; starle lontano era quasi doloroso per il mio cuore nudo.

Sarei riuscito a non farla soffrire?

Sarei riuscito a proteggerla dal manto di dolore che copriva la mia anima?

Ne dubitavo, io ero soltanto in grado di fare del male, non c'era spazio per l'amore nella mia vita.

"Anche tu mi piaci, Giorgio!" questa frase mi gelò.

No, no, no, no! Cazzo no!

"Non innamorarti di me!" l'ammonii, lo sguardo fisso verso un punto indefinito, il cuore stretto in una morsa di terrore.

No, non un'altra volta, pensai!

"Devo avere paura di te?" chiese con voce tremante

"SI, faresti meglio ad averne!"

Ti prego Giulia, scappa via! io non ho abbastanza forza per respingerti!

Il tormento mi logorava il cuore, e Giulia era come una lama lucente, mi affascinava, ma non potevo permetterle di affondare in me, non ne sarei uscito indenne e neppure lei.

****

Avevamo raggiunto una specie di tregua Giulia ed io: lei ferma sulle sue posizioni, io incerto nel cammino; ora non avevamo tempo di disquisire sui massimi sistemi, piuttosto era il caso di preoccuparci di consegnare qualcosa di decente, dato che ci era stata gentilmente concessa una settimana in più.

Ci dirigemmo verso la biblioteca.

"Giulia... Giulia Mancini" sentii chiamare, era una voce conosciuta, la riconobbi subito.

Matteo Berardi.

Cosa ci faceva a Roma?

Come mai conosceva Giulia?

La abbracciò con disinvoltura e lei lasciò fare, felice di stare tra le sue braccia. Per la prima volta nella mia vita, mi sentii pervadere da un sentimento inaspettato.

Gelosia?

Non ne ero certo, ma sapevo che Matteo sarebbe stato per lei una compagnia più sicura della mia.

Volevo andarmene.

L'armatura scese a coprirmi nuovamente il cuore, ma lei la squarciò nuovamente.

"Matteo, questo è Giorgio, il mio salvatore!" nella voce una dolcezza infinita. Non potevo illudermi, mi voltai verso di lei con un'espressione neutra, lontana, distaccata... Matteo invece non riuscì a mostrare altrettanta indifferenza. Anche lui ricordava il nostro ultimo incontro sulla spiaggia.

"Leardi! Che ci fai qui!" la voce di Berardi era decisamente sorpresa. "Non dovevi andare in America? Sarebbe stato meglio, per te dico!"

Giulia ci guardava sorpresa, non si aspettava che ci conoscessimo e a dire il vero, nemmeno io credevo che Matteo conoscesse lei. Non risposi, evitando così di stare al suo gioco, volevo andare via, dovevo andare via. Tutto pur di non vedere l'espressione disgustata di Giulia quando lui le avrebbe raccontato cosa era accaduto l'estate di due anni prima.

"Ti aspetto in biblioteca" le dissi lasciandoli soli e dubitando che lei mi avrebbe raggiunto.



James Blunt _ You're beautiful

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