11 (another love)

GIORGIO

Dopo Azzurra, nessuna mi aveva più toccato il cuore.

Eravamo a Milano in quel periodo: Emilia, impegnata a realizzare una collezione di abiti da sposa molto importante; Giovanni, primario nel reparto di chirurgia generale, nella clinica universitaria.

Azzurra era una ragazza della buona borghesia milanese, la sua famiglia era molto in vista e rispettata. Apparteneva a quel genere di persone che non avrebbe accettato di buon occhio l'amicizia della loro erede, con un orfano, seppure figlio adottivo di due professionisti famosi. I suoi genitori, avrebbero certamente fatto delle indagini su di me, e non avrebbero impiegato molto a scoprire il passato della mia famiglia, la mia vera famiglia, quella che non ricordavo con nitidità, quella che mi aveva lasciato solo. Forse avrei dovuto sperare che indagassero, ma a quel punto non le avrebbero più permesso di frequentarmi. Tuttavia, nonostante le mie previsioni nefaste, nulla di tutto ciò accadde. Passavamo molte ore insieme per studiare, a casa mia o nella sua, eravamo bravi, al di sopra della media scolastica dei nostri compagni e presto cominciarono a girare voci su una nostra storia sentimentale.

Azzurra: bellissima, bionda, eterea come un angelo incarnato nel corpo di una ragazza; avrebbe voluto che quelle non fossero solo voci. Io, non ero dello stesso avviso.

Stavamo bene insieme, ci capivamo con un solo sguardo; ma sapevo in cuor mio, che lei meritava molto di più di qualcuno che non era in grado di ricambiarla appieno; di qualcuno capace soltanto di prendere, senza però dare nulla in cambio.

Di qualcuno come me.

Sapevo che non avrei dovuto lasciarmi avvicinare da lei, ma lo feci, lasciai che fessurasse la mia armatura, che riscaldasse il mio cuore con i suoi sorrisi, con i suoi sguardi, con i suoi incoraggiamenti.

Desideravo essere amato, ma non ero emotivamente pronto a ricambiare i suoi sentimenti.

Non come lei avrebbe voluto, comunque.

****

Mi alzai dal letto per guardare fuori dalla finestra, era buio, la spalla mi faceva un po' male, ma non volevo che la mia famiglia si preoccupasse troppo per me, non volevo rispondere ai silenziosi sguardi di mia madre, né sottostare agli interrogatori di Arianna. Desideravo solo un posto silenzioso in cui stare in solitudine. Avevo bisogno di pensare alla mia vita e agli errori già compiuti, che non volevo più ripetere.

Fu un professore a mettere insieme Azzurra e me...

Un'analogia inquietante pensai, ma con una differenza fondamentale: noi fummo messi in gruppo perché eravamo spiriti affini, e non per uno strano scherzo del destino.

Due esseri feriti, due anime solitarie e desiderose di affetto, ecco cos'eravamo: ramoscelli spazzati dal vento e dal dolore.

Solo ora, in piedi davanti alla finestra e con lo sguardo perso nell'oscurità della notte, riuscivo nuovamente a mettere a fuoco il suo volto.

Pensai a lei come non facevo da tempo, ricordai il suo corpo troppo magro per una ragazza della sua età, ricordai i suoi occhi di un incredibile celeste cielo; ripensai alla dolcezza dei suoi modi, alla sua solitudine, alla sofferenza che si portava dentro e che io, per cecità o per egoismo non ero riuscito a riconoscere.

Non potevo essere per lei ciò che desiderava da me: un appoggio saldo, un'ancora sicura, un amico, un amante. Ero troppo ferito io stesso, per riconoscere un dolore simile al mio; troppo debole per aiutare qualcuno.

Quando non riesci a spiccare il volo, come puoi pensare di aiutare qualcun altro a farlo?

Chiusi gli occhi allontanandomi dalla finestra.

Non volevo rimuginare sul passato, non volevo ricordarla; ma come una falla aperta in una diga, i pensieri cominciarono a fluire liberi nella mente, pensieri che troppo a lungo avevo represso e che ora prorompevano impetuosi.

****

Passeggiavamo in Piazza Duomo, in un pomeriggio come tanti...

Dopo la scuola c'eravamo fermati in pasticceria per prendere dei krafen alla crema: mentre scherzavamo sullo zucchero appiccicato sulle nostre facce; improvvisamente, lei mi aveva baciato stringendomi a sé, spingendo con forza le sue labbra sulle mie, quasi avesse paura della reazione che prontamente sarebbe arrivata. La mia bocca era rimasta chiusa, mentre il mio sguardo si era fatto guardingo e duro.

Nonostante l'inquietudine che sentivo nel cuore, l'avevo allontanata con dolcezza, per non ferirla troppo. Io non ero innamorato di lei.

Le sue guance si erano fatte improvvisamente scarlatte;  si era scusata per il suo comportamento; aveva sorriso tra le lacrime che rischiavano di traboccare, facendo delle battute sciocche per sdrammatizzare la situazione e l'imbarazzo che provava a essere stata respinta.

Non mi ero reso conto di quanto l'avessi ferita: ero un ragazzo, non potevo pensare che Azzurra, intelligente, bellissima e corteggiatissima da chiunque la incontrasse, potesse essere in realtà tanto fragile.

Una settimana dopo, tentò il suicidio con dei sonniferi.

Mi sentii morire, distrutto da un senso di colpa infinito. L'avevano salvata appena in tempo, e quando andai da lei in ospedale, non accettò di vedermi.
I suoi m'intimarono di starle lontano, accusandomi di averla ferita fino al punto da ridurla in fin di vita. Tornò a scuola, circa un mese dopo, era un'altra persona: fredda, distante, quasi che con il veleno le avessero portato via anche una parte di anima.

Non parlai più con lei, rispettando le richieste dei suoi genitori.

Restammo distanti, fino a quando, durante la ricreazione la vidi perdere i sensi. Allora corsi da lei, la strinsi tra le braccia, e la portai in infermeria. Quando rinvenne si strinse a me circondandomi con le sue esili membra. Le lacrime, troppo a lungo trattenute, traboccarono dai suoi occhi e dai miei.

La baciai.

Un bacio a fior di labbra, lento, timoroso, che lei ricambiò con timidezza e ritrosia.

Volevo che mi perdonasse; ero disposto a fare qualunque cosa, pur di non sentirmi più colpevole per ciò che avevo causato col mio rifiuto. Volevo che sapesse che mi era mancata immensamente la sua presenza al mio fianco.

"Tu fai del male a chi ti ama" mi disse improvvisamente; la voce roca, gli occhi gonfi di pianto. Fui colpito dalla veridicità delle sue parole. "Non voglio che mi baci per compassione, amicizia, o peggio per scusarti di avermi rifiutata" continuò, singhiozzando sulla mia felpa.

Era così, e lei mi aveva capito più di chiunque altro al mondo; il mio desiderio di starle vicino non era dettato dall'amore, ma dal bisogno di colmare il vuoto lasciato dalla sua assenza, dal bisogno di sentirmi amato. Non dal desiderio di amare. Ero molto egoista e lei lo sapeva, mi conosceva meglio di quanto pensassi, mentre io non la capivo affatto.

Ce ne andammo da Milano, alla fine dell'anno scolastico.

Non la salutai.

****
Mi riscossi dai miei pensieri tormentati. Ora sapevo cosa fare.

Presi il telefono d'impulso, avevo finalmente fatto chiarezza in me stesso e ora volevo scusarmi con lei; chiederle perdono per averla usata come appoggio quando anche lei aveva bisogno di me. Volevo chiederle di tornare ad essere amici.

Digitai il suo numero e dall'altra parte rispose una voce che riconobbi subito.

"Pronto! Chi è?" Riabbassai.

Codardo.

Pochi secondi dopo un messaggio illuminò il mio telefono "Giorgio?" Presi un grande respiro e finalmente richiamai.

Lei fu molto gentile, per un po' parlammo del più e del meno, di cosa stavamo facendo, di quale facoltà avevamo scelto di frequentare .. Aspettava che le dicessi la vera ragione della mia chiamata. Feci un altro respiro, questa volta più prolungato.

"Azzurra io... ecco" balbettavo come un ragazzino. "Ti volevo chiedere scusa per il mio comportamento! Lo so, è passato molto tempo, non so se tu vorrai..." non terminai la frase.

"Meglio tardi che mai" rispose, e nella voce l'eco di un sorriso. Continuammo a parlare per ore e sul finire della conversazione le chiesi ciò che mi premeva davvero sapere; qualcosa che avrebbe alleggerito definitivamente la mia coscienza o mi avrebbe gettato definitivamente nell'inferno del rimorso.

"Azzurra, sei felice?" Lei attese un istante prima di rispondere e poi disse

"Si, Giorgio, sono molto felice!" Dio, il suo tono sembrava così sincero! "Forse... forse hai sempre avuto ragione tu, non eravamo fatti per stare insieme. Troppo simili e al contempo, assolutamente diversi."  Poi, disse qualcosa che mi spiazzò totalmente lasciandomi indifeso di fronte a chi mi conosceva quasi meglio di sé stessa.

"...E tu, Giorgio, sei felice?" optai per la verità, non avrei potuto fare altro.

"Non saprei... tra un po' di tempo, forse."

Chiusi la conversazione e ripensai alla mia risposta. Sì, forse presto avrei potuto essere felice.
Mi stesi sul letto, avevo bisogno di riflettere sulle conseguenze di quello che stavo per fare; per la prima volta da quattro anni permettevo a qualcuno che non fosse della mia famiglia di avvicinarsi a me.

Presi nuovamente il telefono e con dita tremanti digitai il suo numero.

"Pronto?" la sua voce aveva un tono leggermente inquisitorio, il mio numero era nascosto.

"Pronto Giulia." Improvvisamente la mia voce venne meno. "Sono Giorgio."

Tom Odell _ Another Love

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