50|| Epilogo

Isra si era alzata sulle punte, roteando con la maestria che solo una ballerina esperta poteva avere. I fianchi le si erano mossi, sinuosi, creando un perfetto otto orizzontale.

Aveva udito il tintinnio delle decine di decorazioni che, appese poco sotto l'ombelico, si muovevano freneticamente.

La danzatrice aveva chiuso gli occhi, estasiata dal senso di mitigata eccitazione che quel ballo le dava. Sentiva il ritmo bussarle contro la cassa toracica per donarsi a lei; poteva fare di esso ciò che voleva. Era lei a dettare la sequenza dei movimenti.

Aveva velocemente piegato prima un fianco e poi l'altro, tenendo le ginocchia leggermente incurvate, quasi piegate, per fargli seguire il movimento del bacino.

Isra si era dedicata al movimento, chiamato "vibrato" solo da coloro che lo praticavano, per diversi minuti.

Aprendo gli occhi, la ragazza aveva sorriso a colui che era senza ombra di dubbio un membro della famiglia reale. Si era sentita sensuale mentre vedeva le iridi dell'uomo scorrerle dal seno al ventre, e quindi giù verso i fianchi pieni.

Quando finalmente si era stancata del vibrato, aveva posto il bacino all'indietro, formando un largo cerchio in avanti.

Il movimento le era costato una piacevole contrazione agli addominali. Quindi aveva spinto il busto verso gli spettatori, preparandosi al seguito.

Aveva alzato le braccia in aria, lasciandole morbide mentre spingeva i polsi l'uno contro l'altro. Avvertiva l'aria solleticarle le costole e giocare con i suoi orecchini.

Il bacino era stato spinto all'indietro in un ultimo, sentito atto prima di esser riportato alla posizione iniziale.

La danza era terminata, eppure nessuno si era premurato di dirglielo. Finché non le fosse stato ordinato, Isra avrebbe continuato a ballare.

Era cambiata la sinfonia, ora più lenta e morbida, ugualmente sensuale, mentre un omino più basso di lei schiudeva le labbra per cantare.

Il matrimonio funebre, la chiamavano in città. Forse era l'unica canzone a essersi espansa con così tanto vigore.

Era stata composta centinaia di anni prima da un cantastorie arricchitosi a palazzo e narrava le vicende di due amanti.

Isra aveva sentito il cuore dolerle nell'ascoltare il brano, ma aveva continuato a danzare. Questa volta, però, con meno sensualità e più malinconia.

I due amanti, secondo il testo della canzone, avevano vinto gli dei e sconfitto il destino pur di stare assieme.

Il loro amore, cantava l'omino, sarebbe rinato per sempre e un giorno ancora prima di assopirsi.

Non erano due semplici amanti, ma i primi sovrani d'Egitto dei quali, ai giorni di Isra, si avevano testimonianze scritte.

E quindi muori, amore mio
rinascerai tra le braccia di qualcun altro
per morire tra le mie.
Finché vita non ci separi.

Isra aveva sentito le palpebre alzarsi e gli occhi muoversi da soli verso una figura slanciata, coperta da lino pregiato sulle gambe. Il tessuto scopriva leggermente i polpacci tonici e il colorito abbronzato dell'uomo.

Il torace ampio, muscoloso e fiero era stato rivestito da una larga camicia, anch'essa bianca.

Al collo, poi, portava una collana ingombrante, colorata di verde. Sulle pietre erano state incastonate delle falene del medesimo colore, ma dotate di uno scintillio che nemmeno la giada più finemente lavorata possedeva.

Quando aveva alzato lo sguardo verso il suo viso, lo aveva sorpreso a guardarla. Il terzo principe in linea di successione, Jafar, aveva inclinato la testa di lato, inarcando un angolo soltanto delle labbra.

Erano state le sue iridi, dipinte di lilla, a inquietarla. Se il caos avesse avuto residenza, si sarebbe stabilito in quelle due sclere.

Isra aveva perso l'equilibrio per un secondo, dissimulando il tutto con un colpo frenetico del bacino.

"Il testo fu scritto a quattro mani," le aveva sussurrato la danzatrice alla sua destra mentre, con studiata eleganza, le girava attorno, "da Lyeak ed Ehsan, i primi cantastorie del Regno. Pare che, dopo aver rivendicato il trono, il Re abbia deciso di premiarli con ingenti somme di denaro."

Si era sentita impallidire, mentre il sudore le imperlava la fronte e la schiena semi nuda.

Nella sua testa, un ordine sussurrato aveva preso a rimbombare.

Canta per me,
danza per me.

Più la sua compagna parlava, comunque sia, e più Isra sentiva il vestito succinto attaccarsi alla pelle sempre più sudata. Non stava affatto bene, ma doveva finire lo spettacolo.

Le monetine d'oro che sua madre le aveva annodato ai capelli iniziavano a farsi pesanti, ma le ricordavano il motivo per cui si trovava lì.

"Ci misero anni a cambiare l'opinione che i popolani avevano sul Re e, alla fine, il matrimonio tra i due fu inevitabile."

Si erano guardate negli occhi, sorridendosi appena per non attirare innecessarie attenzioni.

"E dimmi, il sovrano prevalse anche sulla sua stessa mente?" Il tono di Isra era stato talmente dolce e debole che nessuno oltre alla compagna avrebbe potuto sentirla.

"Oh, così pare. Ma la Regina, dopo il matrimonio, non fu più la stessa. Si dice che perse un po' la testa, quanto bastava per farlo capire, ma non abbastanza da farsi etichettare. Alla fine, lei morì per prima. La leggenda vuole che il Re l'amasse così tanto che, una volta aver assistito alla dipartita dell'amante, pregò gli dei di farlo rinascere ancora e ancora.
Il suo cuore, poi, smise di battere pochi secondi dopo quello della Regina."

Isra aveva scosso la testa, turbata.

Il terzo principe aveva sussurrato qualcosa all'orecchio del fratello maggiore per poi gettare la testa all'indietro, ridente.

Aveva spalancato le labbra, soffocando la canzone con le sue risa sguaiate. Nessuno, comunque sia, aveva badato lui.

L'ultimo dei principi non era degno d'esser riconosciuto, non se non aveva nulla da offrire. Un'alleanza con lui non avrebbe portato a nulla di buono, questa era la motivazione principale dietro il rifiuto sociale.

Isra stessa era stata assunta per danzare in onore del primo principe, Hatim. Quel giorno avrebbe compiuto ventisei anni.

Contando mentalmente, la danzatrice del ventre aveva stabilito che l'età del terzo principe si aggirasse tra i venti e i venticinque anni.

Quando la ballata era finita, Isra aveva preso un respiro di sollievo, ora più leggera e meno oppressa dalla sinfonia.

Le sue compari, poste lateralmente rispetto a lei, avevano fatto discendere le braccia lungo i fianchi, dandole il via libera per l'ultima, liberatoria, mossa.

Si era piegata in avanti, allungando il braccio destro per rivolgere il palmo aperto verso il soffitto. Quindi aveva lasciato che tutto il corpo volteggiasse in un'elegante piroetta, concludendo in una posizione laterale.

Dando le spalle alle sue compagne di sinistra, Isra aveva allungato la gamba più vicina alla platea, mostrando parzialmente la pelle diafana, per poi voltare il viso verso la famiglia reale.

I suoi occhi si erano assottigliati, felini e lucidi, mentre un minuscolo ghigno regalava al pubblico quel brivido necessario per continuare a guardarla.

Dopotutto, a sua madre ci erano voluti giorni per trovare quel sottile, ma brillante, strato di trucco che portava sulle palpebre. Un artigiano aveva dovuto diluire un po' di malachite con acqua, resina e grasso prima che fosse pronto per lei.

Era stato il regalo per il suo debutto: un bel visino.

Piegando la schiena all'indietro, la danzatrice aveva nuovamente allungato il braccio, sorridendo così al principe festeggiato.

Dalla folla si era levato un coro di lodi, ma le ballerine non avevano fatto altro che sorridere, abituate.

Se ne dovevano andare alla svelta per lasciar spazio ai regali materiali, quelli fatti dalle famiglie più benestanti.

Quindi si erano riunite in un'ordinata fila indiana, sfilando ognuna verso un lato diverso della sala.

Isra aveva mosso i piedi doloranti a sinistra, dove si trovava la terrazza, sforzandosi di mantenere la postura elegante.

Lo spettacolo, come le aveva insegnato la sua insegnante, terminava solo quando si era soli. Fintanto che ci fosse stato qualcuno a guardarla, avrebbe continuato a esporre il suo corpo come quello di una statua greca.

Solo quando aveva sentito la gentile brezza serale si era rilassata, facendo crollare le spalle. Si era appoggiata contro l'estremità del balcone, guardando verso il punto in cui il sole moriva.

Nonostante gli occhi chiusi, Isra riusciva a vedere le lingue rosse delle torce appese. Non aveva mai visto tanti colori in vita sua, mentre la famiglia reale poteva disporne giornalmente.

Con la porta del balcone chiusa alle sue spalle, era riuscita perlomeno a isolarsi dai rumori della sala.

Tutto era maestoso, lì dentro. Maestoso e dorato, in realtà. Era certa che avessero fatto decorare la maggior parte del palazzo con oro e galena.

Aveva premuto il pollice contro la porzione di pelle che si frapponeva tra le folte sopracciglia chiare. Le stava venendo un mal di testa colossale, degno della portata di quel luogo.

Sua madre aveva tentato di impedirle di esibirsi, facendosi beffe della famiglia reale. "Un branco di ricchi uomini che giocano a fare gli dei." Erano così stati definiti. Inoltre, avvicinarsi a loro non avrebbe portato a niente di buono.

Isra, comunque sia, era stata presto sedotta dalla ricompensa offerta: dieci monete d'oro e dieci d'argento.

Una somma in grado di far girare la testa anche a lei che, nonostante tutto, poteva ritenersi soddisfatta della propria condizione economica. E così aveva accettato di esibirsi assieme alle sue compagne.

La preparazione era stata sfiancante, talmente ardua da mozzarle il respiro e farle quasi contemplare l'idea di non presentarsi affatto. In cuor suo, però, Isra aveva sentito il bisogno di recarsi a palazzo.

Onestamente parlando, non vedeva l'ora di potersene tornare a casa per coricarsi a letto. Dopo quel lavoro si sarebbe presa una degna e meritata pausa.

Il fato, quasi a volersi prendere gioco della ragazza, aveva però altri piani in serbo per lei. Quando si era voltata verso le vetrate, pronta a osservare in disparte i festeggiamenti, non aveva visto altro che rosso.

La tappezzeria era stata macchiata di vermiglio e il vetro, così freddo e sottile, pareva starsi squagliando sotto i filamenti color porpora che lo ricoprivano. Contro l'indifesa finestra premeva il corpo esanime del primo principe.

Con le labbra spalancate in un ultimo, rauco, grido di terrore, il primo genito fissava il panorama con gli occhi vacui e spettrali che solo un cadavere aveva l'onore di possedere.

Isra aveva urlato, terrorizzata, mentre scivolava a terra. Le ginocchia le si erano improvvisamente fatte di gelatina e a nulla erano serviti i suoi sforzi di stare in piedi.

Oltre il primo corpo, verso i tavoli colmi di leccornie, giaceva un mare di respiri stroncati. In vita sua non aveva mai visto tanti cadaveri. Che diamine era successo? Si era portata una mano al viso, raccogliendo le lacrime che le offuscavano la vista.

Il sangue era ovunque: sui tavoli, le mura e i pavimenti. Erano pochi gli oggetti a non esser stati toccati dal vermiglio; e quei pochi soprammobili che erano scampati, si trovavano a giacere a terra, quasi solidali ai cadaveri.

Isra si era chiesta chi mai avesse organizzato un colpo di stato simile e poi, con enorme stupore, aveva notato i vivi. Uomini alti e con il petto nudo, coperti da brandelli di stoffa e cicatrici rosate che perlustravano la zona.

Quando una delle loro vittime si muoveva, o quando era talmente sfortunata da non riuscire a trattenere un gemito di dolore, loro vi si avventavano contro. Usavano ogni genere di arnese per trafiggergli la pelle e fermare il battito dei loro cuori.

Tra gli assassini, il terzo principe faceva da protagonista.

Le macchie di sangue avevano rovinato il delicato tessuto delle sue vesti e il suo viso, incupito da un quasi impercettibile grugno, aveva preso una sfumatura macabra.

Quando l'aveva visto sorridere, Isra aveva notato i denti scarlatti del principe. Il sangue era giunto fino a lì.

Era stato un colpo di Stato, quindi?

Aveva fissato il cadavere a lei più prossimo, ancora più impaurita di prima. Per un attimo le era sembrato che quei piccoli occhi scuri, morti e privi dell'allora splendore, la stessero guardando.

Poi, colpita dalla gravità della situazione, aveva deciso di muoversi. Non riusciva a vedere le altre ballerine, ma da un lato era un aspetto positivo: significava che non erano state attaccate.

Ma se non si trovavano lì, allora dove erano? Possibile che si fossero ritirate tutte dopo la fine dello spettacolo? Nonostante i dubbi e il nodo allo stomaco, Isra si era costretta a scuotere la testa. Non era il momento giusto per pensarci.

Forse sarebbe stata giudicata come egoista, ma non le importava. Doveva uscire viva di lì e poi, se il tempo glielo avesse concesso, si sarebbe impegnata a cercare le sue compagne.

Ancora accucciata a terra, la ballerina aveva avvicinato il viso alle inferiate, sbirciando verso il terreno. A occhio e croce, Isra pensava che avrebbe dovuto fare un salto di almeno due metri. Poteva farcela, non era un'altezza troppo pericolosa, ma c'era il pericolo di rompersi un osso o di storcersi la caviglia.

Facendo saettare gli occhi da una parte all'altra, aveva con piacere notato quanto desolato fosse il suolo. Non vi erano né guardie, né ospiti. Se avesse deciso di prendere quella strada, avrebbe avuto campo libero.

Aveva quindi deglutito, tentando di scacciare l'ansia che le si era addormentata sul petto. Poi, quando le ginocchia erano tornate dallo stato liquido a uno solido, si era alzata in piedi.

L'aria di maggio non ospitava la tipica afa estiva e anzi, il tempo pareva estremamente piacevole e mite. Una leggera brezza le aveva scombinato gli ordinati capelli corti, di un colore talmente chiaro che solo una malattia avrebbe potuto giustificarlo.

L'albinismo l'aveva dipinta di candore ovunque, tranne che sulle iridi.

Aveva scavalcato il parapetto del balcone con una gamba, facendola seguire velocemente dalla compagna. Si era dovuta alzare sulle punte per non cadere di sotto.

Erano solo due metri, solo due metri.

Aveva continuato a ripeterselo, ancora e ancora, per scacciare via i dubbi che aveva su quel piano improvvisato. Se voleva ridurre la distanza, si sarebbe dovuta accucciare più che poteva, per poi lasciare che le gambe penzolassero in aria.

E quindi lo fece, affidandosi all'equilibrio professionale.

I palmi delle mani avevano iniziato a sudarle, facendole quasi perdere l'appiglio. Si era dovuta concentrare e armare di coraggio mentre stendeva le gambe, consegnandole al vuoto.

La sensazione di non avere niente sotto i piedi le aveva divorato le budella, regalandole nausea e formicolio agli arti. Era terrorizzata.

A quel punto, doveva solo lasciare la presa sulle inferiate e lasciare che la gravità la tirasse a sé.

Come primo braccio aveva ceduto il sinistro, quello meno forte. Aveva lanciato un ultimo sguardo al terreno e poi, convincendosi, si era lasciata completamente andare.

Isra aveva chiuso ermeticamente gli occhi, rifiutandosi di guardare, mentre aspettava l'impatto con il terreno.

Questo, però, non arrivò mai.

La sensazione di star galleggiando in aria rimase, confondendola, ma a essa se ne aggiunse un'altra: sentiva un rassicurante calore attorno al polso destro.

Questa sensazione si era mossa, quasi fosse un insetto, in movimenti circolari. Aveva sentito lo stomaco inondarsi di farfalle che, aggressive, tentavano di risalire verso la cassa toracica.

Talmente erano forti che non le avrebbe associate a quei graziosi insetti, ma piuttosto a tremende falene.

Quando aveva avuto il coraggio di aprire gli occhi, aveva lasciato che la gola le si aprisse, facendo scivolare fuori dalle labbra un acuto grido di sorpresa e paura. Avrebbe preferito precipitare per l'eternità se questo avesse significato non assistere allo spettacolo che aveva davanti.

Due gote rosse, un lungo naso dritto e delle labbra carnose, lacerate di rosso, adornavano il viso più meraviglioso e contorto che avesse mai visto.

Il terzo principe in linea di successione aveva appena impedito che cadesse, avvolgendo la mano caldo attorno al polso di lei.

Isra si era dimenata, strillando a pieni polmoni di esser lasciata libera, mentre lui non faceva altro che sorridere. Era lì per uccidere anche lei? Forse voleva impedirle di diffondere la voce di ciò che era accaduto.

Con la mano libera aveva tentato di graffiarlo, di perforargli la pelle, ma a nulla erano serviti i suoi attacchi: Jafar non aveva nemmeno battuto ciglio. La fissava con la vuotezza di un morto e la grandezza di un uomo risorto.

Quando era sul punto di credere che sarebbero rimasti in quella posizione per anni, lui l'aveva strattonata. Aiutandosi con entrambe le mani, il principe l'aveva sollevata verso il parapetto, costringendola a guardarlo da una distanza spaventosamente ravvicinata.

Quindi aveva mosso prima il braccio sinistro, avvolgendole i fianchi, mentre con la mano destra le teneva fermo il mento.

E così si erano spartiti le falene, dividendo equamente quella nefanda sensazione.

Isra aveva premuto la schiena contro il suo arto, tentando di farsi il più lontana possibile, ma la paura di scivolare e cadere a terra aveva reso i suoi movimenti più lenti.

"Lasciami andare," aveva infine pregato lei, priva di singhiozzi. Sentiva le lacrime montare eppure, per qualche strana ragione, più lo guardava e più la sua paura si dissipava.

In realtà, più che dissiparsi, essa si stava facendo piacevole.

Un dubbio si era quindi insinuato nella mente di Jafar: che rumore fa il corpo di una femmina quando si infrange a terra?

Mostrandole i denti bianchi, il principe aveva fatto avvicinare i loro volti fino a quando, con muto stupore di lei, le aveva lambito una piccola porzione di pelle, appena sopra la mascella, con la lingua.

Una lacrima, aveva appena raccolto una lacrima.

"Mi chiedo se le tue labbra abbiano lo stesso, straordinario, sapore." Aveva sussurrato lui. Si sentiva febbricitante, come governato da una forza più grande di lui.

Isra non era riuscita a trovare la forza di muoversi mentre, scioccata, elaborava il significato di quelle parole. Eppure non aveva avuto il tempo di parlare perché, istantaneamente, lui l'aveva preceduta.

"Ciao, Miel."

A T T E N Z I O N E

Ed ecco a voi la fine! La reincarnazione mi pareva un'idea carina per continuare la storia di questi due poveri innamorati. E come è giusto che sia, Iblis (o Jafar?) è sempre e comunque un pò...deviato.

Non so come ringraziarvi per essere arrivati fino a qui, con me. Spero che la storia vi abbia provocato una qualsiasi emozione, che sia buona o cattiva non importa. Vi sono grata per il sostegno, per i feedback e le belle parole che avete speso per questo libro.

Vi adoro e vi sono riconoscente, grazie mille <3

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