45|| L'inizio Della Fine
𝕷𝖆 𝖈𝖆𝖙𝖙𝖎𝖛𝖊𝖗𝖎𝖆 𝖑𝖆 𝖕𝖚𝖔𝖎 𝖙𝖗𝖔𝖛𝖆𝖗𝖊 𝖆𝖓𝖈𝖍𝖊 𝖓𝖊𝖑𝖑'𝖚𝖑𝖙𝖎𝖒𝖆 𝖉𝖊𝖑𝖑𝖊 𝖈𝖗𝖊𝖆𝖙𝖚𝖗𝖊. 𝕼𝖚𝖆𝖓𝖉𝖔 𝕯𝖎𝖔 𝖍𝖆 𝖋𝖆𝖙𝖙𝖔 𝖑'𝖚𝖔𝖒𝖔 𝖉𝖔𝖛𝖊𝖛𝖆 𝖆𝖛𝖊𝖗𝖊 𝖎𝖑 𝖉𝖎𝖆𝖛𝖔𝖑𝖔 𝖆𝖈𝖈𝖆𝖓𝖙𝖔.
-Cormac McCarthy
Asteria si era lanciata in avanti, avvolgendo il corpo stanco e sudato dell'amico tra le braccia. Sapeva di fumo e di bruciato, di sudore e di sabbia, ma mai come allora lo aveva trovato di conforto.
Tutto il suo corpo era stato scosso da brividi, convulsioni irrefrenabili che come scosse elettriche l'avevano obbligata a tremare.
Gli occhi spiritati della ragazza avevano cercato freneticamente quelli dell'amico, caldi e soffici come quelli di un cucciolo, per trovarvici dentro un mare di affetto.
Era vivo, Azef era vivo.
Forse era la prima buona notizia della giornata. Asteria si era aggrappata con vigore a quel pensiero, tentando di conservare nel petto la sensazione esplosiva di sollievo che aveva provato quando, sbattendo le palpebre, lo aveva visto davanti a sé.
"Stai bene?" Aveva mormorato lei, toccandogli il viso e sfregandogli le guance con i pollici.
"Sto bene." La conferma era arrivata veloce, come se si fosse aspettato di ricevere quella domanda.
Le mani di Azef, però, avevano iniziato a chiudersi a pugno, ancora e ancora, mentre osservava i suoi concittadini.
Erano riusciti a portare in salvo diverse persone, ma molti di loro erano gravemente feriti. Asteria si era chiesta quanti cadaveri ci fossero lì in mezzo, ancora avviluppati tra le braccia calde delle fiamme.
Ricordava gli occhi consumati di una donna, le labbra ancora aperte in un muto grido di aiuto, e gli strilli dei bambini.
Era terribile, la situazione era decisamente terribile e lei pareva non riuscire a pensare lucidamente.
"Il Re ha ordinato questo-" aveva sbottato Azef, assottigliando gli occhi. Asteria aveva premuto le labbra tra di loro nell'osservare le sue iridi deformate dalla rabbia.
Aveva scosso la testa, venendo prontamente fermata. La mano dell'amico si era stretta attorno al suo polso, strattonandola leggermente per attirare la sua attenzione.
"Non ho idea di che lavaggio mentale ti abbia fatto, ma difenderlo è impossibile, Asteria."
Lei aveva aggrottato le sopracciglia, liberandosi velocemente il polso per posizionare entrambe le mani sulle spalle larghe di lui.
"Non è stato lui, devi credermi." La disperazione aveva fatto da olio sulla sua lingua, lasciando scivolare velocemente le parole.
Azef l'aveva vista portarsi le dita tra i capelli per tirarli, nervosa, mentre spalancava gli occhi grandi e isterici.
Non poteva credere che quella fosse opera di Iblīs, non dopo ciò che Seth le aveva mostrato. Lei era sicura dell'innocenza del Re, ma convincere gli altri sarebbe stato oltremodo impossibile.
I soldati che avevano appiccato l'incendio, dopotutto, indossavano il sigillo reale e galoppavano su cavalli tenuti bene, certamente non appartenenti a dei briganti.
Nonostante Asteria credesse nella non colpevolezza dell'amato, però, doveva ammettere di non riuscire a trovate un'altra opzione.
Se non era stato lui, allora chi? E perché?
Azef aveva caricato gli occhi di dissenso, scuotendo lentamente la testa. Quindi le aveva accarezzato i capelli, le guance bagnate di lacrime e la punta del naso.
"Non vedi cosa ti ha fatto?" Aveva mormorato lui, confuso e abbattuto dal comportamento di lei, "Cosa ci ha fatto. Solo un membro della famiglia reale può dare un ordine del genere, e lui-"
Asteria era saltata in piedi, congiungendo le mani tra di loro mentre si apriva in un sorriso storto che trasudava rancore.
Iblīs non era l'unico membro della famiglia reale e lei era stata abbastanza stupida da non capire, fino a quel momento, quanto scontato fosse il tutto.
Era certa che Nasser gli avesse parlato di un piano per togliere di mezzo il Re, un piano ideato da Uraeus stesso.
Quindi aveva ripensato alla visione e alla conversazione che Seth le aveva mostrato, tentando di mettere assieme gli ultimi pezzi del puzzle.
Non poteva essere un caso e tantomeno poteva definirla una coincidenza; adesso che sapeva che Iblīs non era pazzo, come poteva guardarlo allo stesso modo?
Si era morsa l'interno guancia, soppesando le opzioni che aveva. Doveva muoversi per aiutare il Re, e doveva farlo alla svelta.
Non poteva, però, lasciare la sua gente da sola.
In lontananza aveva sentito il nitrire di un cavallo e il rumore di zoccoli calpestare il terreno a ritmo serrato, violento.
Il suono l'aveva colpita a tal punto da farle voltare interamente la testa di lato, preoccupata che si trattasse di un'altra guardia.
Senza pensarci si era quindi alzata, lasciando Azef alle sue spalle.
Tra i rami degli alberi, dove la sabbia non riusciva a soffocare la nascita della rigogliosa erba, un uomo a cavallo si stava avvicinando con espressione stanca, tendente all'isterismo.
Nasser stringeva le mani attorno al collo dell'animale per non perdere l'equilibrio acquisito e, piano piano, aveva iniziato a piantare i talloni contro il ventre della bestia, sussurrandole di rallentare.
Asteria aveva sentito i bisbigli e i gemiti di sconforto e rabbia della sua gente quando, feriti e sanguinanti, avevano visto colui che da anni era stato visto come un mostro.
Adesso, però, lei stessa iniziava a vederlo in maniera diversa.
Il rancore l'aveva accecata, colpita dritta allo sterno per mozzarle il fiato, mentre afferrava il primo bastone disponibile.
Lo aveva stretto con talmente tanto vigore da sentire le nocche dolerle e perdere colore, accendendosi di bianco.
Bianco, non c'era nulla di più puro della violenza.
Aveva pazientemente aspettato di vederlo scendere da cavallo e continuando a mantenere il contatto visivo, si era avvicinata di un passo.
Voleva colpirlo, abbattere il bastone contro il cranio del maledetto e vederlo cadere a terra, esanime e col naso rotto per l'impatto.
Asteria desiderava vederlo soffocarsi col suo stesso sangue, piangere e mugugnare mentre si contorceva al suolo.
Questo era ciò che desiderava.
Poi lui l'aveva guardata, si era lanciato verso di lei in una corsa disperata e improvvisamente la presa sul bastone si era fatta più salda, impaziente.
Aveva ricordato le notti assieme a lui, quando parlare era facile e il suo volto era amico e non nemico. Si era aggrappata al ricordo di Nasser che le lavava le carni dopo che Iblīs gliele aveva dipinte, ai suoi infiniti consigli e allo sguardo che grondava affetto tutte le volte che la guardava.
Eppure, eppure...
Asteria aveva alzato in aria il bastone per poi farlo cadere contro la gamba del consigliere, osservandolo con un mezzo sorriso mentre sgranava le palpebre, confuso e spiazzato.
Dietro di lei, tutti i cittadini avevano trattenuto il respiro.
"Asteria-"
"Tu," l'aveva interrotto lei, non riconoscendo la sua stessa voce, "maledettissimo stronzo, tu sapevi tutto!"
Nasser aveva scosso la testa, allungando disperatamente il busto in avanti per raggiungerla, per spiegarle tutto e giustificarsi.
Lei, però, nulla riusciva a sentire se non le grida delle donne e i pianti dei bambini che, lambiti dal rosso del fuoco, erano morti tra la sabbia e le macerie di una città che mai più sarebbe stata casa.
"Guardali, guardarli, dannazione!" Aveva puntato il bastone verso i suoi concittadini, osservando il modo in cui le sclere di Nasser si muovevano.
E lui, obbediente, aveva guardato.
Aveva puntato le iridi su quelle tumefatte dal fumo di Azef, quindi era passato a scrutare le ustioni che come radici si espandevano sul corpo degli altri.
I più fortunati avevano solo qualche graffio, mentre i meno privilegiati erano piegati su loro stessi in un vano tentativo di tenere assieme la carne lacerata e bruciata.
Asteria si era abbassata alla sua altezza, piegando le ginocchia quasi fino a toccare il suolo; si erano guardati e per qualche attimo Nasser non aveva visto altro che furia negli occhi dell'altra.
"Tu li hai lasciati morire." Era stato un sibilo, un alito di vento che s'era confuso tra il fruscio delle fronde, ma il consigliere l'aveva sentita.
Tutti, in realtà, avevano registrato il brivido di emozione che dalle labbra della mora era uscito.
L'uomo aveva mandato giù il groppo in gola mentre tentava di cercare le parole per spiegarsi.
"Il Re," aveva iniziato lui, abbassando lo sguardo. Asteria lo aveva però afferrato per la maglia, tirandolo in avanti con la bocca che grondava veleno.
"Non sei degno di chiamarlo Re," quindi lo aveva nuovamente spinto indietro, sputando ai suoi piedi, "tu non sei un suo suddito."
Si era alzata per dirigersi verso Lyeak il quale, con diligenza, mai aveva smesso di bendare come meglio poteva tutti gli abitanti feriti.
"Non ne sapevo nulla!" Nasser si era alzato subito dopo di lei, afferrandole il polso per fermarla.
Vederla mentre gli voltava le spalle, mentre lo lasciava indietro, gli aveva spezzato l'anima.
Il secondo colpo, quello decisivo, era stato leggerle negli occhi che non gli credeva.
"È stato il Re ad avvisarmi, a mandarmi qui; suo fratello, Uraeus-è stato lui ad architettate tutto! Né io né Iblīs eravamo a conoscenza di tutto questo, te lo giuro Asteria, te lo giuro sugli dei e sull'Egitto."
I cittadini si erano stretti tra di loro, improvvisamente confusi e attenti al discorso dell'uomo dall'espressione disperata.
Gli occhi della ragazza avevano perso un minimo di astio, lasciando a Nasser una piccolissima apertura.
Non gli avrebbe concesso più di quello.
"Il Re è stato rinchiuso e io- io non avevo la minima idea, non pensavo che-" si era strofinato le mani callose contro il viso, sentendosi ammattire.
Non aveva la più pallida idea di cosa dire per farsi credere da lei, dai presenti, eppure doveva farlo.
L'ansia gli aveva stretto le interiora mentre la paura di essere odiato dalla ragazza si beffava di lui. Aveva fatto molti sbagli, durante il corso della sua vita, e qualcosa gli gridava che quella sarebbe stata l'unica possibilità per redimersi.
Redimersi, che buffa parola per uno come lui.
Aveva sempre pensato di non doversi pentire di nulla, perché una scelta era sempre giusta se nel momento in cui veniva presa si era felici e consapevoli.
Guardandosi indietro, guardandosi dentro, Nasser aveva però realizzato di non esser mai stato soddisfatto di ciò che aveva creato.
Forse era stata l'immortalità a macchiargli l'anima, a renderlo il mostro che tutti pensavano fosse.
Ma pentirsi-si, forse poteva farlo, forse poteva stringere nel palmo della mano il suo orgoglio per appallottolarlo e lanciarlo lontano.
"Non vi chiedo di credermi, ma vi imploro di ascoltarmi. Tutto ciò che è successo oggi è frutto del piano di Uraeus, né io né il Re eravamo a conoscenza di cosa aveva progettato.
Mi dispiace per le vostre perdite, mi dispiace davvero."
Asteria aveva ascoltato attentamente la spiegazione breve e conciliata dell'uomo, chiedendosi se fosse giusto ascoltarlo.
Poi la vista le si era fatta più chiara e i lamenti dei suoi concittadini si erano fatti strada tra la coltre di rabbia che ancora le offuscava il cervello.
Doveva pensare a loro, ma voleva anche aiutare Iblīs.
Un'idea, quindi, si era palesata nella sua mente.
"Portiamoli a palazzo," aveva fatto un lungo passo verso Nasser mentre indicava gli altri, "lì potranno essere curati."
Aveva deliberatamente scelto di non aggiungere che, a quel punto, lei si sarebbe affrettata dal Re.
"Quanti cavalli abbiamo?" Aveva borbottato Lyeak, la voce piccola ma non imbarazzata. Il cuore le si era riempito di gioia nel vederlo.
Aveva fatto così tanto per lei, così tanto...
Un uomo sulla quarantina, ferito alla gamba, si era appoggiato al tronco di un albero per tirarsi in piedi.
Gli occhi di tutti erano quindi scesi su di lui.
"La stalla è a pochi metri dal villaggio, se non l'hanno toccata, potremmo trovarci dentro circa dieci cavalli.
Undici se contiamo quello del consigliere."
Asteria gli aveva sorriso, grata dell'aiuto, mentre contava mentalmente il numero di persone.
In tutto erano in trentasei.
Nasser, facendosi forte della propria mente schematica, aveva quindi annuito, spiegando il da farsi.
"Possiamo caricare due adulti e un bambino su un cavallo. Gli altri dovranno viaggiare in coppia, ma mai più di due persone su una bestia. I bambini pesano di meno, solo loro possono fare da terzo passeggero."
Alcune donne si erano alzate, stringendo al petto i propri bambini. Asteria non le aveva mai viste così fiere, così forti e truci, pronte a difendere con i denti sia se stesse che la loro prole.
"Io andrò a piedi," aveva vociato una delle bellissime donne, la pelle scura che scintillava al sole e gli occhi color mogano che non ammettevano repliche.
Quindi l'aveva vista voltarsi verso gli altri, il mento alto e l'espressione dura di un generale.
"Coloro che non sono feriti," aveva ripreso lei, "dovrebbero lasciare i cavalli ai bambini e a chi necessita di cure urgenti."
Nessuno aveva osato ribadire e, invece, tutti erano parsi concordi. Circa dieci persone, coloro che per fortuna non erano stati toccati dalle lingue di fuoco, si erano diretti a passo deciso e spedito verso l'oratrice.
Undici persone, quindi, avrebbero percorso la strada a piedi. Ne rimanevano venticinque.
Asteria si era fatta avanti, pronta a cedere il proprio posto, quando la donna aveva scosso la testa.
"Vai, aiuta il Re." Le aveva poggiato una mano sulla guancia, materna, per poi sorriderle con candore. "A nome di tutti, voglio dirti che ci dispiace."
Quindi aveva fatto un ulteriore passo in avanti, poggiando la guancia contro quella della minore. Asteria si era sentita invadere dal pianto mentre veniva stretta, capita.
"Sai cosa farebbe una vera donna egizia? Una vera Regina?"
L'aveva sussurrato a voce bassa, impedendo agli altri di sentirla. Lunghi brividi avevano percorso il corpo di entrambe mentre Asteria scuoteva la testa, deglutendo.
"Ucciderebbe il bastardo che ha osato ferire il suo popolo."
**
Iblīs era stato afferrato per i capelli e strattonato in avanti fino a quando la sua fronte non si era scontrata contro le sbarre metalliche.
Per qualche secondo, tutto quel che aveva visto era stato nero.
Uno spesso strato di cielo notturno, ricoperto da miriadi di puntini violacei: questo era ciò che il Re aveva sperimentato.
Aveva immaginato di trovarsi in una qualche galassia, lontano dalla Terra e dai suoi abitanti, e di star galleggiando nel vuoto cosmico.
Suo fratello aveva allungato una mano dietro di sé, gesticolando a qualcuno di farsi avanti. Aveva mosso le labbra, quindi, ma Iblīs nulla aveva percepito se non un lento sibilo.
Si era strofinato le mani sul viso, cercando di svegliarsi perché tutto ciò non poteva essere reale, non poteva star succedendo davvero.
Aveva visto il fantasma di sua madre accarezzargli i piedi, lamentosa, mentre piangeva lacrime che non erano lacrime.
Non erano acqua, non erano fumo.
Le lacrime della donna non macchiavano le pavimenta, non gli inumidivano la pelle quando cadevano su di lui, eppure erano lì.
"Sta arrivando," aveva gracchiato lei, baciandogli la fronte, "lei sta arrivando."
Iblīs aveva subito pensato ad Asteria, perché nessuna altra donna avrebbe mai potuto affacciarsi all'angolo sano della sua mente.
Stava arrivando, ma per fare cosa? Forse anche lei sapeva tutto, forse stava giungendo a palazzo per deriderlo assieme a Uraeus.
Se doveva morire, voleva che fosse lei a ucciderlo.
Oh, quale miglior modo c'era di dimostrare amore, se non quello? L'avrebbe voluta sopra di lui, a baciargli le guance, mentre con un pugnale gli apriva un sorriso sulla gola.
"Alla mamma dispiace tanto, così tanto..."
La voce di sua madre era sempre assomigliata a un canto funebre, tanta era la malinconia che infestava le sue corde vocali.
Iblīs amava anche lei nonostante fosse morta, nonostante non avesse mai realmente abbracciato le sue membra.
Voleva che finisse tutto.
La sofferenza e la solitudine avevano, negli anni, scavato un profondo solco nel suo petto. L'immortalità lo aveva costretto a sorbirsi, a sopportare il peso della propria mente rotta e ferita.
Desiderava solo un po' di pace, e forse la morte sarebbe stata l'opzione giusta.
Asteria.
L'avrebbe aspettata nel regno che esisteva dopo la vita; forse, però, non l'avrebbe incontrata nemmeno lì.
Se lei fosse finita in paradiso e lui all'inferno, avrebbe venduto la propria anima per poterla rivedere.
La parte umana di lui, in realtà, ancora sperava in una vita con lei. Magari sarebbe rinato, magari l'avrebbe incontrata sotto le spoglie di qualcun altro.
Avrebbe indossato una pelle non sua e l'avrebbe avvicinata, consapevole solo nello spirito di conoscerla.
E lei lo avrebbe pianto, senza sapere di averlo vicino.
Iblīs era stato riportato al mondo reale quando, con uno scatto, le sbarre della sua cella erano state tirate all'indietro.
Uraeus era davanti a lui, affiancato da un sacerdote che con una maschera divina si copriva il volto.
"È tempo di iniziare, fratello."
A T T E N Z I O N E
Ehilà, il libro sta giungendo al termine e spero di riuscire a finirlo entro la fine di questo mese (massimo il prossimo) così da poterlo anche iscrivere ai Wattys.
A occhi e croce, io direi che mancano altri tre capitoli.
Che dire, spero che questa parte vi sia piaciuta. Avete qualche idea su come lo farò finire?
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