25| Il Calore Di Un Villaggio
𝕲𝖑𝖎 𝖘𝖈𝖔𝖑𝖆𝖗𝖎 𝖘𝖔𝖓𝖔 𝖚𝖓 𝖇𝖊𝖑 𝖇𝖊𝖗𝖘𝖆𝖌𝖑𝖎𝖔. 𝕮𝖗𝖊𝖉𝖔 𝖈𝖍𝖊 𝖚𝖓𝖆 𝖒𝖆𝖙𝖙𝖎𝖓𝖆 𝖋𝖆𝖗ò 𝖋𝖚𝖔𝖗𝖎 𝖚𝖓 𝖎𝖓𝖙𝖊𝖗𝖔 𝖆𝖚𝖙𝖔𝖇𝖚𝖘 𝖉𝖎 𝖇𝖆𝖒𝖇𝖎𝖓𝖎. 𝕻𝖗𝖎𝖒𝖆 𝖌𝖑𝖎 𝖘𝖕𝖆𝖗𝖔 𝖆𝖑𝖑𝖆 𝖗𝖚𝖔𝖙𝖆 𝖉𝖆𝖛𝖆𝖓𝖙𝖎, 𝖕𝖔𝖎 𝖆𝖎 𝖇𝖆𝖒𝖇𝖎𝖓𝖎 𝖒𝖆𝖓𝖔 𝖆 𝖒𝖆𝖓𝖔 𝖈𝖍𝖊 𝖘𝖈𝖊𝖓𝖉𝖔𝖓𝖔.
- Il Killer dello Zodiaco
Fate partire la canzone, se vi va
Asteria era tornata a casa con un groppo in gola e le mani percorse da tremendi fremiti d'agitazione.
Non appena i suoi piedi avevano superato l'uscio della porta, era scattata in avanti per correre verso la sua camera.
Azef stava preparando la cena e non si era reso conto della sua presenza, per fortuna.
Era certa di avere ancora dei rimasugli di sangue addosso e spiegarne l'origine sarebbe stato oltremodo difficile.
Per questo era sgusciata nella sua piccola stanza, come una ladra, svestendosi il più velocemente possibile.
Aveva riposto il vestito su una sedia in legno, all'angolo della stanza e di fianco al grande armadio castano, gettando sopra al piccolo letto la borsa.
La camera era stata privata dei vestiti di Alisha ma i suoi disegni, tutti allegri e ben fatti, erano rimasti fissi sulle pareti e sui due comodini che affiancavano i materassi delle ragazze.
Azef aveva unito quest'ultimi per formare un letto più spazioso, cambiando le lenzuola con un paio più chiare che profumavano di spezie.
Tutto il resto era rimasto come una volta.
Asteria aveva osservato la sua figura nello specchio, rabbrividendo nel vedere i grandi segni violacei che le macchiavano il collo e i fianchi.
Iblīs si era assicurato di lasciarle addosso i suoi piccoli e dolorosi marchi. Con le dita si era sfiorata il collo e poi la vita, premendo sui lividi per riviverne il dolore.
Esso si era affacciato al suo stomaco, scombussolandoglielo come fossero farfalle.
Era una sensazione forte di déjà-vu, quella che stava provando. Aveva inghiottito un boccone amaro mentre si costringeva a distogliere lo sguardo per rivestirsi.
Partendo dalle gambe aveva fatto scivolare una sottile veste bianca, tirandola su fino alle spalle. Il vestito era stato fatto a mano da un sarto oltre l'oceano; lei lo aveva acquistato al mercato settimanale.
Il materiale era sottile e morbido quasi come una nuvola a contrasto con la sua pelle scura e abbronzata.
Aveva sospirato nell'avvertire la consistenza dolce, sedendosi sul letto con gli occhi chiusi. Ora doveva semplicemente aspettare che Azef terminasse di cucinare e poi avrebbe speso con lui il resto della serata.
Il suo sguardo era quindi ricaduto sulla sua borsa, lasciandole un fremito di eccitamento in corpo. Nascondeva il cuore del sovrano d'Egitto, lì dentro, assieme a un libro appartenente a quest ultimo.
Sapeva cosa fare durante l'attesa.
Aveva afferrato il manoscritto con la mano sinistra mentre si sedeva all'angolo del letto, il cuscino dietro alle schiena e le gambe flesse.
L'azione le aveva ricordato i pomeriggi in orfanotrofio, quando la sua tutrice era solita leggerle le fiabe più strambe che avesse mai sentito.
Le aveva insegnato a scrivere e a leggere per darle potere e ora si ritrovava a ringraziarla dal più profondo del suo cuore.
Con il dito aveva sfiorato le pagine, osservando l'indice e le parole scritte a mano in una calligrafia piacevole agli occhi.
Si era chiesta chi fosse l'autore di quel tomo e di come fosse venuto a conoscenza di tutte quelle informazioni. Il libro parlava di avvenimenti lontani centinaia di anni, l'artefice doveva quindi esser morto.
O almeno così pensava Asteria.
Iblīs, comunque sia, era stato in possesso di quel manoscritto, prima che lei lo rubasse, e doveva quindi sapere a chi appartenesse.
La ragazza non ne era così sicura visti i suoi vuoti di memoria e i suoi ricordi latenti. Avrebbe dovuto chiederglielo? No, non era un'opzione sicura.
In qualche modo avrebbe dovuto scoprirlo, e chi meglio di Nasser le avrebbe potuto dare informazioni utili?
Certo, ora aveva Ciril con lei ma non poteva comunicare in modo umano e quindi non le era d'aiuto.
Aveva lanciato uno sguardo alla scatola nera, toccandola con le punte delle dita.
Il contatto era stato fisicamente doloroso, quasi a volerla bruciare, e l'aveva costretta a scostarsi.
Con un ultimo gemito di fastidio aveva scosso la testa, puntando lo sguardo sul titolo del terzo capitolo.
Avrebbe letto il più possibile sul Re e avrebbe tentato di capirlo, non per lui ma per sé stessa.
Se fosse riuscita a pensare come lui, ad agire come lui, allora avrebbe avuto un vantaggio. Non poteva più permettersi momenti di debolezza, fisica o mentale, come quello che aveva avuto appena due ore prima.
La sua psiche doveva rimanere intatta e sana, così come il suo corpo, e per questo si sarebbe dovuta impegnare.
Così aveva concesso ai suoi occhi un ultimo sguardo oltre la finestra, per poi iniziare la lettura.
Capitolo terzo: le fiamme del villaggio.
Caro lettore, credimi: provo pena per te.
Perché torturi te stesso, continuando a leggere? Non vedi, forse, quanto queste pagine siano intrise di dolore e oscurità?
Eppure, mio curioso amico, le tue dita fremono contro la carta e i tuoi occhi ti pregano di andare avanti.
Vuoi leggere, vuoi sapere e vuoi conoscere.
Ma cosa, o meglio chi, vuoi conoscere? Dovresti sapere, arrivato a questo punto, che Iblīs è diverso e che la sua storia non è facilmente comprensibile.
Persino narrarla è per me un gran lavoro.
Ma sei qui e vuoi leggere.
Se è una storia quello che stai cercando, te ne darò una.
Non biasimarmi, però, quando alla notte non riuscirai a dormire.
Se rimarrai sveglio per la paura, ti capirò.
Ma se dovesse essere la curiosità a lasciarti cosciente, voglio dirti che mi dispiace.
C'era una volta, molto tempo fa, un piccolo villaggio situato appena fuori le mura del castello.
I suoi abitanti erano soliti pregare e cacciare tutto il giorno, impigliandosi nella tela della monotonia.
Gli uomini erano alti e robusti, con il petto fiero che si innalzava poderoso a ogni respiro, mentre le donne avevano tratti severi ed educavano i loro bambini con parole taglienti e atteggiamenti nocivi.
Alla morte del Re, comunque sia, le loro piccole menti andarono in frantumi e piansero tutti assieme, riuniti in piccoli gruppo.
Avevano amato il sovrano, buono e giusto ai loro occhi, e ora lo piangevano come fosse stato un padre misericordioso.
Tutti avevano sperato che a succedere al trono fosse Uraeus; volevano un capo che assomigliasse al precedente e il secondo principe ne aveva le sembianze, seppur solo fisiche.
Per giorni si erano recati al tempio, pregando tutti gli dei affinché il più giovane dei fratelli potesse salire al potere.
Ma non fu così e il loro scontento crebbe in rabbia.
Volevano un Re capace, loro, non un ragazzino deforme.
E cosa fa un popolo arrabbiato e deluso? Insorge, questo è quello che ha sempre fatto. Il villaggio si munì quindi di torce e coltelli, pronto a reclamare l'erede che più preferivano.
I bambini furono lasciati a casa ma le donne vennero costrette dal loro ego a unirsi agli uomini. Partirono quindi tredici giorni dopo la morte del precedente Re, non trovando nemmeno una guardia davanti al portone.
Tutti i precedenti servi erano stati mutati in animali e Iblīs si era rifiutato di assumerne di nuovi, impaurito al pensiero che anche loro si sarebbero trasformati in delle bestie.
Non incontrando resistenza alcuna, i popolani spinsero le spalle contro la pesante porta d'entrata, impiegando dieci minuti per aprirla.
Il suono fu stridente e pesante, allertando Iblīs. Lo avevano ridestato dal suo sonno, facendolo grugnire dal fastidio.
Ai tempi il ragazzo ancora riusciva a dormire, seppur con difficoltà, e nulla gli dava più soddisfazione che appisolarsi in un angolo buio della sua stanza.
Ora che era morto suo padre e che suo fratello se n'era andato, poteva finalmente concedersi il lusso di addormentarsi su un vero materasso.
Riusciva a sentire la stanchezza lavargli il corpo e scivolargli sulle sue spalle, appesantendolo. Non importava quanto stanco fosse: a Iblīs servivano ore intere prima di cedere al sonno.
Basil aveva gracchiato, ridestandosi a sua volta dal sonno leggero. Aveva mosso due piccoli passi in avanti, sentendo le zampe cedergli leggermente.
Non riusciva ad abituarsi a quella forma animale e iniziava a pensare che non ci sarebbe mai riuscito.
Appollaiato sulla finestra, il corvo aveva puntato gli occhi verso l'esterno del palazzo, guardando con agitazione la folla di abitanti.
Decine e decine di puntini rossi e luminosi si muovevano tra il fogliame, senza però dar fuoco a nulla.
La terra di Iblīs, Ajiba, era stata maledetta assieme a lui e ora nulla poteva più crescere perché tutto era stato coperto da uno spesso strato di ghiaccio.
Era sempre autunno o inverno, lì, e il nuove Re iniziava ad abituarsi all'idea che tutto sarebbe rimasto costantemente congelato nel tempo.
Iblīs sperava che nulla mutasse, come un manoscritto ben tenuto ma lasciato a impolverarsi.
Si era alzato dal letto con aria stanca, affacciandosi alla finestra per capire da cosa provenisse tutto quel frastuono. Le sue orecchie, per chissà quale motivo, avevano iniziato a far rimbombare ogni suono che il Re udiva, stordendolo.
C'erano così tante voci, lì fuori, così tanti passi diversi da disorientarlo. Chi era tutta quella gente? Lui era certo di non conoscere nemmeno uno di loro. Riusciva a vedere volti femminili dai tratti duri e severi, e altri maschili che mostravano sdegno e risentimento.
Erano forse i suoi precedenti servi? Possibile che fossero tornati umani per vendicarsi di lui? No, più li guardava e più si convinceva di non averli mai visti prima di allora.
Se non erano membri della sua vecchia servitù, dovevano essere dei nuovi acquisti, giusto? Magari era stato Uraeus ad assumerli, spedendoli da lui senza dirgli nulla. Un piccolo sorriso si era affacciato sulle sue labbra, dando al suo viso un tocco più bambinesco.
Li avrebbe accolti a dovere.
Aveva infilato velocemente le scarpe, sgusciando fuori dalla stanza con Basil attaccato alla sua spalla. Gli artigli dell'animale gli aveva perforato la pelle mentre s'agitava, gracchiando con veemenza.
Il povero esserino riusciva ad avvertire l'odore del pericolo e non capiva come Iblīs potesse esser talmente stolto da non comprendere che quella non era affatto una situazione conveniente.
Si sarebbero dovuti nascondere da qualche parte inaccessibile e introvabile a chiunque provenisse dall'esterno. Ma il nuove e ingenuo Re non voleva saperne di tirarsi indietro.
C'erano delle persone alla sua porta, persone che potevano essersi recati lì solo per lui. Non c'era nessun altro da cui andare, giusto? Era da solo nel palazzo e dovevano quindi esser lì per servirlo, giusto?
Ah, caro letto, lo so cosa pensi: come può esser stato tanto stolto?
Tu, al suo posto, lo avresti capito subito, non è così? Eppure io ti dico che no, forse non l'avresti compreso. Magari fu il sonno a offuscargli la mente, oppure la solitudine, ma dopo quel giorno Iblīs decise che ad averlo reso debole fosse stata la speranza.
E allora mai più avrebbe consentito a quell'emozione di farsi largo nella sua mente; no, lui avrebbe smesso di sperare.
Giunto alle porte d'entrata, il Re non riuscì a impedire a sé stesso di ghignare. Finalmente era il suo momento, finalmente c'era qualcuno per lui!
Tutto avvenne velocemente, catapultando i presenti in un caos interminabile. Gli uomini avevano osservato Iblīs con gli occhi spalancati, sorpresi di vederlo arrivare di sua spontanea volontà.
Era bastato un singolo grido, comunque sia, ad animare il gruppo.
Il mondo attorno al Re aveva assunto una tinta rossa, a tratti blu, oscurandogli la vista. Aveva udito gli strepiti di Basil, il nitrire dei cavalli e le risa di chi lo circondava.
Gli sembrava che-che qualcuno, si, che qualcuno lo stesse tenendo stretto al proprio petto. Era questo ciò che si provava quando si veniva abbracciati? Andava a fuoco, Iblis andava a fuoco e quella tremenda sensazione di calore non gli dispiaceva.
Sentiva qualcosa, finalmente avvertiva qualcosa spingersi contro il suo corpo e inglobarlo per interno.
Gli abitanti avevano rivolto un'occhiata di sorpresa al Re, osservandolo con espressioni spaventate e disorientate.
Erano sicuri che Karesh, uno dei cittadini, avesse scagliato contro il sovrano la propria torcia. I loro stessi occhi potevano confermarlo visto che Iblīs, ormai con la schiena contro al muro, stava letteralmente andando a fuoco.
L'odore di carne bruciata si era infiltrato nelle narici degli umani, disgustandoli e scioccandoli al tempo stesso. Sembrava che le lingue rosse e infuocate non riuscissero a lederlo nonostante gli fossero appiccicate.
"Come è possibile?" Aveva bisbigliato una donna, nascondendosi dietro le spalle del marito, "Non sta bruciando."
Il Re aveva continuato a ridere, lasciando che dalla sua gola uscisse un verso grottesco e rauco. Avvertiva le sue carni fondersi contro le ossa ma, nonostante questo, i suoi occhi non vedevano alcun danno sul suo corpo.
"Ancora, ancora, ancora!" Aveva gridato lui, gettando la testa all'indietro. Voleva che continuassero a dargli fuoco, a farlo sentire al caldo e al sicuro, eppure lo guardavano con occhi disgustati.
Erano stati loro a iniziare, quindi perché adesso non volevano terminare?
Un secondo abitante s'era fatto avanti, colpendo il viso di Iblīs con la torcia. Non bastava, doveva fare di più per ferire il mostro.
Così aveva piegato il gomito, spingendo con veemenza il braccio in avanti.
L'estremità della sua torcia era andata a scontrarsi contro l'occhio destro del Re, lasciando che il fuoco si avvolgesse attorno alla sua sfera violacea per infiltrarsi fino al suo cervello.
Adesso riusciva a sentire quell'incredibile emozione di torpore e calore in ogni singola parte del suo corpo e lo adorava.
Un terzo uomo aveva fatto un passo verso gli altri due compari, pronto a sostenerli.
Se volevano che il fuoco attecchisse, dovevano agire contemporaneamente.
Mandando giù un amaro groppo in gola, l'umano aveva lasciato che la sua torcia colpisse l'orecchio di Iblīs, stordendolo completamente.
Era stata una buona mossa, o almeno questo era ciò che aveva creduto.
Il Re aveva mosso quattro passi di lato, completamente disorientato, mentre sentiva il cervello agitarsi contro la scatola cranica. Il suo corpo era stato percorso da fremiti talmente forti da costringerlo in ginocchio, con le mani premute contro il pavimento freddo e la lingua che gli penzolava dalle labbra.
Aveva provato a inumidirsi le labbra per dare al suo corpo un po' di conforto, ma non era servito.
Lui stava divinamente, era il suo piano fisico a soffrire e non ne capiva il motivo. Per anni si era lamentato dell'atteggiamento freddo che gli veniva riservato e ora, ora che finalmente lo stavano scaldando, sentiva dolore.
Era forse un egoista? Gli abitanti stavano facendo tutto questo per lui, no? E cosa gli stava dando in cambio se non risate sguaiate e pianti acuti?
No, Iblīs avrebbe dovuto ricompensarli a dovere per l'incredibile dono che gli avevano fatto.
Con determinazione s'era alzato da terra, grugnendo e sospirando per la fatica mentre muoveva qualche passo incerto verso i muti abitanti. Forse sentiva dolore perché non era stato abituato a tutto quel calore, forse i cittadini che aveva davanti non provavano tutto quel bruciore perché avvezzi al torpore umano.
Si, Iblīs era certo di star avvertendo dell'affetto e proprio non riusciva a realizzare il fatto che avessero appena tentato di bruciarlo vivo.
Il Re decise che li avrebbe ripagati con la loro stessa moneta.
Con i capogiri e le mani che gli tremavano, Iblis aveva estratto dal suo fianco la prima torcia. Quest'ultima aveva creato un varco nelle carni, arrivando a toccargli l'intestino.
Non appena l'oggetto era stato scacciato dalla sua posizione, però, la pelle di Iblis aveva iniziato a rimarginarsi. Il suo corpo continuava a guarire e guarire senza mai fermarsi, lasciando che il Re avvertisse si il dolore ma nient altro.
Su di lui non sarebbero mai rimasti segni, non dopo esser stato maledetto per lo meno.
Il suo occhio si era liquefatto a causa di tutto quel calore, lasciando che l'iride colasse sulla guancia per macchiargliela di viola. Sarebbe guarito in qualche minuto, certo, ma in quel momento era terribilmente ripugnante.
Aveva lasciato che la torcia oscillasse contro la sua presa, scaraventandola quindi verso un piccolo gruppo di abitanti. Non aveva perso altro tempo e, preso dall'agitazione e dalla felicità, si era lanciato contro di loro.
Le torce erano sfuggite dalle mani frementi dei cittadini e le fiamme si era appigliate ai loro abiti, arrampicandosi fino in cima. Iblīs le avrebbe aiutate; avrebbe reso il processo più veloce.
In lontananza aveva osservato il volo agitato di Basil che repentino aveva aperto le ali, improvvisamente in grado di sfruttare quel corpo animale che gli era toccato.
Ma il sovrano non si era lasciato distrasse e con mano ferma aveva artigliato la gola di un uomo, spingendogli il viso contro la torcia. Erano accorsi tre suoi compari e due donne in suo soccorso, nel vano tentativo di salvare l'amico, ma non c'era stato modo di staccare Iblīs dal poveretto.
Una volta soddisfatto si era distanziato per concentrarsi sulla vittima successiva. Li avrebbe scaldati tutti, dal primo all'ultimo.
Le sue risate avevano riempito l'intero palazzo, accompagnate dall'odore di carne e capelli bruciati. Tutti urlavano eppure alle sue orecchie parevano parole di gratitudine.
Si, lo stavano ringraziando per tutto il calore che stava dando loro.
Erano riconoscenti, vero? Erano grati di tutto quel calore, vero? Dopotutto anche i cittadini gliene avevano fatto regalo, quindi ricambiare li avrebbe sicuramente resi felici.
Aveva lasciato che la sua ultima vittima scivolasse dalla sua presa, cadendo ai suoi piedi in preda agli spasmi. Lui le si era accovacciato vicino, accarezzandole i capelli bruciati.
In qualche secondo sarebbero completamenti spariti per dare alle fiamme libero accesso alla testa della femmina. Quest'ultima lo guardava con gli occhi spalancati, urlando e imprecando a voce altissima.
Iblīs, però, non riusciva a sentirla.
Avvertiva solo lo scoppiettare del fuoco, il ballo lento delle fiamme e le sue risate. Li vedeva piangere contro il pavimento, agitarsi e muovere incessantemente gli arti.
Erano così felici da danzare a terra? Il pensiero aveva divertito il Re, amplificando il suono delle sue risa.
Da quel giorno fu vietata la ripopolazione del villaggio, quest ultimo venne distrutto e mai più ci si avvicinò al palazzo. Le donne iniziarono a narrare storie di mostri fatti di fiamme per tener lontani i bambini dal bosco e gli uomini si limitarono a cambiare sentieri di caccia.
Nessuno tornò mai a scaldare Iblīs e i cadaveri degli ex cittadini furono trascinati nel giardino. Il Re non riuscì mai a capire se fu la terra a inglobarli o se la causa della loro sparizione fosse stata la fame degli animali.
Questa è quindi la storia, mio caro lettore, di come Iblis bruciò il suo villaggio e di come, finalmente, ne sentì il suo calore.
A T T E N Z I O N E
Datemi altri due (o magari uno solo) capitoli e poi farò tornare Asteria al palazzo, o almeno questo è quello che voglio fare ora.
P.s: una playlist per The Cursed King vi piacerebbe?
Un bacio!
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