14| I Sette Cavalieri

𝕷𝖊 𝖕𝖗𝖔𝖘𝖙𝖎𝖙𝖚𝖙𝖊 𝖕𝖊𝖗 𝖒𝖊 𝖓𝖔𝖓 𝖛𝖆𝖑𝖊𝖛𝖆𝖓𝖔 𝖓𝖎𝖊𝖓𝖙𝖊, 𝖊𝖗𝖆𝖓𝖔 𝖈𝖔𝖒𝖊 𝖘𝖈𝖆𝖗𝖆𝖋𝖆𝖌𝖌𝖎. 𝖁𝖊𝖗𝖘𝖔 𝖑𝖆 𝖋𝖎𝖓𝖊, 𝖓𝖔𝖓 𝖕𝖔𝖙𝖊𝖛𝖔 𝖉𝖔𝖗𝖒𝖎𝖗𝖊 𝖑𝖆 𝖓𝖔𝖙𝖙𝖊, 𝖘𝖊 𝖖𝖚𝖊𝖑 𝖌𝖎𝖔𝖗𝖓𝖔 𝖓𝖔𝖓 𝖓𝖊 𝖆𝖛𝖊𝖛𝖔 𝖚𝖈𝖈𝖎𝖘𝖆 𝖚𝖓𝖆.
-Saeed Hanaei

Le cucine erano sempre affollate di mattina, Asteria aveva imparato ad accettarlo e a sopportarlo.

Ehsan era seduto in modo decisamente poco aggraziato sulla sua sedia mentre Hafa e sua madre servivano la colazione a tutti i presenti.

Asteria ne aveva un gran bisogno: dopo la sbronza del giorno prima si sentiva stanca, la testa le doleva e i pensieri non volevano saperne di lasciare la sua mente.

Ricordava quasi tutto: la conversazione con Nasser, lui che le toglieva di dosso tutto quel sangue e il caldo tepore del letto.

Aveva analizzato i suoi consigli più e più volte, chiedendosi quale fosse opportuno seguire e quale no.
Era sicuramente un uomo saggio il quale conosceva il Re da molti anni, le sue parole avevano quindi un certo peso.

Nonostante lo ammirasse e lo ringraziasse tacitamente per i suoi consigli non riusciva a guardarlo. L'imbarazzo, quella mattina, si era svegliato assieme a lei ed ora proprio non ne voleva sapere di lasciarla andare.

"Pensavo che sarei morto di crepa cuore, ieri pomeriggio!" Aveva esalato una guardia mentre sorseggiava la sua bevanda calda.

Il regno di Iblīs era, dopotutto, sotto un costante stato di gelo e abituarsi al freddo era, per tutti loro, difficile.

"Perché mai?" La madre di Hafa aveva inclinato la testa di lato, curiosa, mentre la figlia tentava di zittirla. Non era bene che girassero voci e pettegolezzi, Asteria e Hafa lo sapevano bene, ma quando il parlare era l'unica cosa da fare, come si poteva impedirlo?

Asteria aveva preso a dondolare nervosamente la gamba, alzando lo sguardo solo qualche rara volta.
Avrebbe preferito intrattenersi con i lunghi sproloqui di Ehsan piuttosto che sorbirsi i pettegolezzi di palazzo.

"Il Re sembrava non essere in sé. Quando è tornato nelle sue stanze ha messo tutto a soqquadro per poi spostare ogni mobile in suo possesso.

Sembrava furioso. Eppure, appena cinque minuti dopo, ha iniziato a blaterare da solo mentre sorrideva al soffitto.

Voi avete mai visto il Re sorridere genuinamente? Ah, è stato uno spettacolo a dir poco terrificante!"

Le altre guardie avevano ridacchiato sommessamente, lasciando cadere la conversazione come se nulla fosse.

Asteria aveva aggrottato le sopracciglia mentre incrociava lo sguardo di Nasser.
Possibile che quel cambio di atteggiamento fosse a causa sua? Era forse impertinente e azzardato pensare che l'umore del Re fosse stato influenzato da lei?

In qualsiasi caso era chiaro a tutti il fatto che Iblīs fosse oggetto di scherno e di risa, a palazzo.
Asteria sperava che non udisse mai di quei pettegolezzi proprio perché, conoscendolo seppur minimamente, sapeva quale sarebbe stato il risultato.

"Spera che non ti senta mai, vecchio rottame!"

Ehsan aveva fatto una linguaccia alla guardia mentre si metteva dritto sulla sedia per poggiare sopra al tavolo i gomiti.

La guardia non era un uomo particolarmente anziano, eppure Ehsan si divertiva moltissimo a puntualizzare il fatto che fosse il più grande tra i presenti.

"Perché, sa distinguere le mie parole da quelle che si immagina? Ha talmente tante fantasie in testa che le mie frasi si confonderebbero tra quelle dei suoi fantasmi."

Asteria si era sentita paralizzata sul suo posto nel sentire certe parole. Come poteva parlare in quel modo del Re? Che fosse maledetto o semplicemente malato non importava: la guardia si stava facendo beffa di lui.

Persino Nasser si era ritrovato ad alzare un sopracciglio, scrutando la guardia con fare teatrale.

"Non credi che sia avventato dire certe cose davanti al consigliere e alla dama da compagnia del Re?"

Per qualche secondo era calato un profondo silenzio nel quale Asteria s'era ritrovata a maledire Nasser.
L'aveva appena fatta passare come possibile spia, diamine!

Ora, ne era certa, nessuno si sarebbe più sentito libero di parlare attorno a lei. Forse la cosa non la infastidiva più di tanto, dopotutto i discorsi frivoli non le erano mai piaciuti.

Ma sarebbe stata sola, ancora più isolata, e la cosa non l'allettava affatto.

Ehsan aveva fatto passare lo sguardo dalla guardia ad Asteria, senza prestare attenzione a Nasser.

"Il nostro piccolo usignolo non farebbe mai qualcosa del genere, rilassatevi." Finita la frase le aveva quindi versato un infuso caldo e dall'odore dolce, sorridendole con talmente tanta serenità da rassicurarla.

Era davvero un tipo strano.

Gli altri membri dello staff avevano annuito e come se nulla fosse erano tornati ai loro compiti.
Quel giorno Asteria aveva in mente di gettare le fondamenta del suo piano e di seguire, quindi, i preziosi consigli di Nasser.

Prima di una fuga definitiva sarebbe stato bene tastare il terreno e limitarsi a delle sporadiche visite ad Azef e ad Alisha.

Chissà come avrebbero reagito nel rivederla.

"Hai preparato una nuova storia?"

Ehsan le aveva sorriso mentre si passava una mano sul volto ancora paffuto. Aveva delle guance estremamente rotonde e morbide per appartenere ad un adulto.

"Ti è piaciuta la favola del Gelo, per caso?" Si era quindi leccato le labbra, poggiando la guancia contro il palmo della mano.

Nasser aveva seguito silenziosamente il loro scambio di battute, contemplando l'idea di interromperli. Non lo fece non per garbo ma per Asteria, la quale aveva annuito con forte decisione.

"Moltissimo! Dove l'hai sentita?" Si era sporta verso Ehsan come se questo le permettesse di sentirlo meglio.

Agli altri erano parsi due bambini in procinto di scambiarsi effimeri segreti.

Ehsan aveva alzato le spalle per poi sollevare entrambe le mani in segno di resa. Era giusto, secondo lui, che persino gli adulti rimanessero bambini.

Non completamente, ovvio, ma almeno parzialmente ecco. L'aridità e la noia che i grandi gli trasmettevano erano asfissianti.

Sentirsi piccoli, innocenti e spensierati era raro per le persone che lo circondavano. Tutti impegnati a gestire le proprie vite grigie e monotone per prestare attenzioni ai piccoli piacere terreni.

"Ho incontrato molti mercanti, durante i miei viaggi. Alcuni di loro hanno condiviso con me le loro storie."

Asteria aveva trovato tutto ciò piuttosto interessante. Era sempre stata abituata a scambiare pensieri con i suoi concittadini e raramente era uscita dalla città.

La novità, a quel tempo, non era vista con bontà di spirito ma bensì con occhi pensierosi e diffidenti.
Era normale, dopotutto la monotonia creava una routine sicura, sulla quale fare affidamento.

Se si conosceva il proprio futuro, il corso delle proprie giornate, ci si sentiva rassicurati.
Questo fino a quando qualcosa non rompeva la routine, in quel caso le persone andavano in escandescenza e tentavano di tutto per tornare a ristabilire l'ordine delle cose.

Era sicura che fosse successo lo stesso nella sua città.
Probabilmente nessuno pensava più alla sua dipartita, e se lo facevano era in modo silenzioso e veniva fatto in segreto.

Bisogna che la dimenticassero per tornare alla normalità e lei lo accettava.
Forse persino Azef ed Alisha l'avevano rimossa dalle loro menti.

"Come facevi a comunicare con loro?"

Ehsan si era passato una mano tra i capelli per la terza volta, osservando le altre persone che si erano radunate attorno a lui.

Volevano tutti sentire, valutare l'esperienza del ragazzo e probabilmente giudicare, ma anche ammirare la vastità delle sue vedute.

Il giullare aveva viaggiato sicuramente più di loro e conosceva aspetti e persone differenti.
Era certamente interessante, quindi, stare a sentirlo.

"Parlo diverse lingue: la nostra, il greco e le lingue nordiche. Crescendo con un padre mercante è stato facile imparare," le aveva rivolto un sorrisetto che sapeva di modestia ma non di imbarazzo.

Asteria aveva accettato di buon grado la spiegazione, senza però comprendere come potesse ricordare così tante lingue.

Lei conosceva il latino come seconda lingua, ma praticare era difficile. Non molte persone erano in grado di parlarlo e doveva quindi accontentarsi di far da sola.

Si era quindi chiesta quante lingue parlasse Iblīs.
Se davvero era in vita da centinaia di anni doveva sicuramente conoscerne molto. Ma la sua memoria era evidentemente danneggiata, alle volte non era nemmeno sicura che la riconoscesse.

Nasser aveva lanciato uno sguardo alla finestra, decidendo che era arrivato il momento di avviarsi verso la sala del trono.

Sperava di non dover rimanere lì per troppo tempo.
Le storie, a differenza di Asteria, lo annoiavano terribilmente. Preferiva i racconti veritieri, quelli basati su incredibili battaglie e sulle gesta eroiche di cavalieri.

Lui stesso era il protagonista di molteplici storie.
In quasi tutte fungeva da antagonista, sempre affiancato al male e alla miseria.

Alcune narravano di come, nel tempo, si fosse tramutato in un mostro con le corna; altre ancora parlavano di come egli fosse un'entità buona, affiancata ad una malvagia quale il Re per cambiarne il destino.

Ridicole, le trovava oltremodo ridicole.

La sua storia era molto più semplice, travagliata certamente ma pur sempre normale.

"Vogliamo andare?" Aveva rivolto la domanda ad Asteria senza degnare di uno sguardo Ehsan.
Quel ragazzino non gli piaceva, troppo sbruffone ed estroverso per i suoi gusti.

Ma si era sforzato di domandare, piuttosto che ordinare, e dal sorrisetto di Asteria aveva capito di aver fatto centro.

Un po' di educazione poteva usarla, ma giusto il minimo per non tornare ad un rapporto tra estranei.
Non le avrebbe dato del voi o del lei ma sarebbe stato più cauto con le parole.

"E così inizia la mia seconda prova, eh!" Ehsan si era alzato dalla sua comoda sedia, sbuffando a pieni polmoni.

Non l'avrebbe mai ammesso ma era ansioso, stressato e forse impaurito. Doveva sperare che andasse bene come l'ultima volta, di non raccontare qualcosa di facilmente equivocabile.

Poteva davvero permettersi di fare passi falsi? No, certo che no. Non sottovalutava affatto il Re e anzi lo temeva, si era quindi ripromesso di fare del suo meglio per non irritarlo.

I passi dei tre avevano fatto eco per i corridoi semi deserti del palazzo, ognuno con i propri pensieri ad offuscargli la mente.

Asteria pensava che non voleva vederlo, che si sarebbe potuta fingere malata e rintanarsi in camera fino al giorno successivo.

Ma non era una buona idea, di questo era consapevole. Se il Re avesse scoperto la sua menzogna si sarebbe adirato ancor di più e lei, nonostante gli fosse estremamente vicina, non poteva permetterselo.

Avrebbe dovuto seguire i consigli di Nasser ma non sapeva da dove iniziare. Ci avrebbe pensato dopo, in quel momento desiderava solo darsi pace.

Nasser aveva bussato tre volte all'enorme porta, aspettando che qualcuno aprisse.
C'erano voluti dieci secondi netti per ricevere risposta. Due guardie avevano afferrato i pomelli della porta, aprendola dall'interno.

La stanza, se possibile, pareva ancora più cuba dell'ultima volta nonostante le tende fossero tutte spostate lateralmente.

Iblīs sedeva sul trono con le gambe incrociate, come un bambino annoiato, e faceva dondolare gli arti superiori dai braccioli.

Non aveva rivolto loro nemmeno un singolo sguardo, troppo occupato a fissare un angolo della sala.
Era certo che lì vi fosse una donna che, seduta, lo scrutava malinconicamente.

Gli ci era voluto un po' per capire si trattasse di Dahlia. Perché era lì? La sua vita si era fermata molti anni prima eppure sostava nella stanza del trono, incapace di abbandonarla.

La vedeva graffiarsi il volto con le unghie lunghe, rovinate dal sangue e dalla terra, e gli sorrideva in modo materno.

"Bambino mio," gli sussurrava lei, mettendosi a carponi sul pavimento, "cosa ti hanno fatto?"

Iblīs pensava fosse così strano che lei, la donna che era stata decapitata proprio dinnanzi a lui, gli domandasse cosa gli fosse capitato.

Non era lui quello con la testa a penzoloni, così come non era lui ad esser morto.

Forse Dahlia non realizzava di esser morta, magari per questo era così serena nella sua miseria.

Il fantasma della donna aveva iniziato a grattarsi nevroticamente le braccia fino al punto di graffiarsi la pelle candida.

Iblīs si era rispecchiato in quelle gesta: lui stesso si graffiava le braccia quando l'astinenza dalle sue sostanze stupefacenti si faceva pressante.

Più la guardava e più gli veniva voglia di emularla, di ricreare i suoi stessi movimenti fino ad aprirsi la cute e scavare fino alle ossa.

Avrebbe trovato qualcosa, lì in fondo?
Forse le sue vene gli sarebbero sembrate marcie, secche e nere e le sue ossa, oh le sue ossa sarebbero state ridotte a misera polvere.

"Va tutto bene?"

Falene, Iblīs era stato circondato da falene verdi, verdissime, che in sincrono gli danzavano attorno.
Avevano occhi brillanti, piccoli, e cerchiati di uno spesso nero che non riusciva ad intaccare il luccichio delle iridi.

Una parte dello sciame si era voltata verso Dahlia, volandole attorno come a studiarla.

Sembravano predatori pronti a divorarla e a inglobarla in loro. Ma il fantasma pareva tranquillo e anzi sorrideva a lui, agli insetti, ad Asteria.

"Pare che io sia finalmente libera." Aveva sussurrato Dahlia, schiudendo le labbra.

Senza alcun cenno di esitazione le falene erano partite all'attacco, usando il cavo orale di Dahlia come passaggio per disperdersi nel suo corpo.

La stavano divorando dall'interno.
Ogni morso si evolveva in fasci di luce verde fino a quando il fantasma aveva smesso di esistere, ridotto solo ad un tenue luccichio.

Se ne era andata davvero?

Iblīs aveva deglutito per poi premersi i palmi delle mani contro gli occhi, tentando di scacciare via le strane visioni.

Nella sua testa era impossibile considerarle fittizie, era quindi tutto vero e lui aveva bisogno di dimenticare tutto il prima possibile.

"Sire?" Nasser gli aveva toccato una spalla per ridestarlo, richiamando la sua attenzione su di lui.

Conosceva bene gli attacchi del Re e sapeva che per farlo tornare alla realtà bisognava toccarlo, fargli notare la propria presenza e, purtroppo, parlargli non era sempre un metodo efficiente.

Iblīs si era, come da Nasser previsto, spaventato nel sentirsi toccare e come un fulmine si era voltato a guardarlo.

"Si..." aveva borbottato il Re, "ci sono."

Le falene erano sparite, le stesse che aveva visto addosso ad Asteria durante una sua allucinazione, ed ora vedeva solo i tre.

Ehsan aveva un'espressione ansiosa ma ben mascherata da un sorriso di circostanza mentre Asteria, ah lei pensava di essersi quasi abituata a quei suoi atteggiamenti.

Il pensiero che un giorno il Re potesse semplicemente non ridestarsi da una delle sue visioni aveva preso a tormentarla.

Cosa sarebbe successo, a quel punto?
Magari Iblīs avrebbe totalmente perso il senno della
ragione, la cognizione della realtà e del tempo fino a soccombere alla sua stessa mente.

Che cosa orribile, Asteria avrebbe preferito non pensarci.

"Cosa ci fai, tu, qui?" Aveva rivolto uno sguardo confuso a Ehsan mentre allungava una mano verso Asteria.

Quest'ultima l'aveva afferrata con un cenno di indecisione, lasciando che la tirasse verso di lui.
Gli era quindi davanti e, come se nulla fosse, le aveva posato le mani sui fianchi per spingerla a sedersi sulle sue ginocchia.

Il gesto non era passato inosservato a nessuno, benché meno ad Asteria la quale aveva trattenuto il respiro per svariati secondi.

Non le era mai piaciuto il contatto fisico, ed ora che era quasi costretta ad acconsentire simili tocchi si sentiva mancare.

Iblīs l'aveva fatto di proposito, non per un puro scopo goliardico.
Voleva sapere come avrebbe reagito, testarla e vedere se, magari, ci fosse davvero una sorta di legame dopo il bacio.

Se si fosse alzata non l'avrebbe fermata, questo era certo.

La mossa successiva stava quindi a lei. Aveva riflettuto su cosa fare mentre ripensava alle parole di Nasser.

Non giocare alle sue regole, non cedere ai suoi giochetti perché perderai, ma sfrutta questa situazione. Vuole avvicinarti? Allora ricattalo. Fatti dare ciò che vuoi e in cambio dagli strascichi di attenzioni.

Questo era parte di ciò che Nasser le aveva detto il giorno prima. Non doveva quindi cedere ma nemmeno rifiutare.

Quale era, quindi, la soluzione?

Si era spostata per far in modo di poggiarsi solo di poco su di lui, facendo attenzione a stare in bilico.

Non gli era vicina ma nemmeno troppo lontana, forse era la soluzione migliore.

Nasser aveva trattenuto un sorrisetto compiaciuto mentre Ehsan tossiva, in imbarazzo.

Il Re era soddisfatto, aveva interpretato quel semi-allontanamento come forma di imbarazzo piuttosto che di rifiuto e non aveva quindi fatto ulteriori mosse.

"Per raccontarvi una storia, se me lo permetterete." Aveva lievemente abbassato la testa, aspettando una risposta.
Se gli avesse detto di andarsene lo avrebbe volentieri fatto, ma dubitava che sarebbe finita così.

"Ebbene, racconta."

Era tornato a fissare il tessuto rossastro del vestito di Asteria, chiedendosi se fosse autorizzato ad accarezzarle la schiena.

Essere il Re gli dava il diritto di fare tutto ma moralmente, oh moralmente pensava di non poterlo fare.
Non sarebbe stato giusto toccarla ancora e quindi avrebbe aspettato.

"Vi era una volta un noto stregone, proveniente dall'estrema Asia, il quale si dilettava a passeggiare sul confine del mondo dei morti.

Avanti e indietro, avanti e indietro, lo stregone esplorava e osservava l'aldilà con forte interesse e amore.

Confinato nella pratica della magia nera, lo stregone era in grado di visitare solo l'inferno.
Studiava i demoni, i suoi abitanti e i prigionieri di quel posto effimero, interessandosi sempre più alle loro usanze.

Venne quindi a conoscenza dei sette cavalieri e, sentendo di star per morire, raccontò tutto al nipote così che potesse tramandarne la storia.

Quest'ultima narrava di come uno dei sette cavalieri avesse assunto il potere supremo, facendo da Re ai rimanenti sei.

Lo chiamarono il cavaliere supremo; egli voleva subordinati autonomi e pronti a supportare la sua causa: eliminare la feccia dall'umanità.

Ma si sa, i demoni hanno modo incauto e bruto di agire.
Mandò quindi a chiamare il suo cavaliere più fidato e gli diede il compito di uccidere qualsiasi persona uccidesse per vendetta.

Al secondo cavaliere venne ordinato di occuparsi di tutti coloro che per soldi o per fama avrebbero fatto di tutto.

Venne quindi il turno del terzo e del quarto cavaliere, ai quali furono assegnati lavori di coppia. Il loro scopo sarebbe stato uccidere chiunque avesse usato o sfruttato qualcun altro per raggiungere i propri scopi.

Arrivò quindi il quinto cavaliere, al quale fu detto di liberarsi degli stupratori mentre al sesto vennero affidati i prepotenti, coloro che maltrattavano gli altri.

Più vittime mietevano e più il potere del cavaliere supremo cresceva. Nonostante operassero a fin di bene il potere ricavatone era oscuro e incontrollabile che se usato sarebbe stato incontenibile.

I sei cavalieri, intanto, assorbivano le anime degli umani uccisi, fino a trasformarsi in mostri orrendi e terrificanti.

Fu così che da cavalieri divennero demoni.

Qui inizia la storia di Kim.
La giovane aveva si e no diciotto anni quando, uscita di casa, si vide bloccata da un uomo ubriaco.
Quest ultimo tentò di violentarla senza però riuscirci. Il quinto demone si fece avanti, salvandola, mentre con i suoi artigli affilati trafiggeva il corpo dello stupratore.

Con le zanne gli morse il collo fino al punto di decapitarlo e con le corna gli perforò lo stomaco.
Il quinto demone, aveva notato Kim, rideva nel scuoiare la sua vittima.

Una volta morto il demone mangiò il cuore dello stupratore, alzando lo sguardo sulla ragazza.
Due pozze nere, vuote ma enormi, la fissavano con emozione feroce.

Kim era bella, bellissima, e lui era un mostro.
Non avrebbe mai potuto avvicinarla.

La sua voce, roca e ben udibile, le perforò i timpani.
No, non avrebbe mai potuto averla perché oh, lui lo sapeva: un altro cavaliere stava arrivando per prendere anche lei."

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