13| In Vino Veritas
𝕰𝖗𝖔 𝖚𝖓 𝖊𝖗𝖗𝖔𝖗𝖊 𝖉𝖊𝖑𝖑𝖆 𝖓𝖆𝖙𝖚𝖗𝖆, 𝖚𝖓𝖆 𝖇𝖊𝖘𝖙𝖎𝖆 𝖎𝖒𝖕𝖆𝖟𝖟𝖎𝖙𝖆
-Andrei Chikatilo
Asteria si era sdraiata sul divano, in camera sua, con lo sguardo fisso sul suo quinto calice di vino.
Era incredibile come nemmeno l'alcol riuscisse a sollevarla dal flusso continuo di ricordi, lasciandola pensierosa e ubriaca.
Non aveva mai retto gli alcolici e quasi mai ne aveva fatto uso, ma quella era una sera speciale e tanto valeva usufruire del vino che le cameriere le facevano trovare in stanza.
Se la sua situazione fosse continuata così, sarebbe finita con il divenire un'alcolizzata.
Nonostante non riuscisse a dimenticare riusciva, grazie al cielo, a esser più leggera.
Aveva alzato una mano in aria come a provare la sua tesi, muovendola un paio di volte per far danzare le dita e a quella visione era scoppiata a ridere.
Era così libera, in quel momento, da poter volare.
Ma nonostante questo suo vivace pensiero era sicura che se anche avesse avuto le ali, Iblīs gliele avrebbe tagliate.
O forse avrebbe volato con lei, chissà.
Per continuare a esser leggera, però, non avrebbe potuto portarlo con lei. No, doveva lasciarlo a terra e andarsene da sola.
Da sola, improvvisamente quella parola le faceva una paura tremenda. Era realmente sola lì; non c'erano i suoi amici a farle compagnia e nonostante vi fossero altre persone si sentiva alienata.
Non le conosceva e loro non conoscevano lei, ci sarebbe voluto un po' per fare amicizia.
Ma voleva davvero stringere qualche rapporto con loro? Si, desiderava disperatamente poter uscire da quella bolla di solitudine nella quale era entrata.
Asteria si era sentita gli occhi gonfi e umidi, così pieni di tristezza da far male mentre lo stomaco le si contorceva.
Aveva portato una mano alla testa, grugnendo nel sentire bussare alla porta.
Si era nascosta il viso tra le mani, biasciando un veloce "avanti."
Era forse venuto qualcuno a prenderla per giustiziarla? Non se ne sarebbe sorpresa affatto. Dopotutto i potenti del mondo si liberavamo dei problemi a quel modo, no?
"Bevi senza di me?" Nasser si era sporto verso di lei con espressione pensierosa e divertita al tempo stesso. Asteria aveva davvero un aspetto buffo in quel momento ma ciò che lo confondeva era il perché avesse bevuto così tanto.
Se l'era figurata come una persona attenta e rigorosa, ma forse si sbagliava.
In risposta aveva mosso un dito verso il calice di vino, sorridendogli.
"Se vuoi favorire è lì."
Era sollevata che fosse solo lui e non una qualche guardia pronta a trascinarla via. Nonostante fosse un tipo strano e alle volte maleducato, non le dispiaceva la sua compagnia.
Forse era semplicemente troppo brilla per capire se le dispiacesse o meno ma ormai l'aveva fatto entrare, quindi tanto valeva usufruire della sua compagnia.
Nasser aveva annuito mentre si versava da bere, sedendosi sulla prima poltrona libera.
Non aveva avuto il cuore di farle notare in che posizione strana si trovasse: completamente abbandonata sul divanetto, con un braccio a penzoloni e le gambe una sopra l'altra.
Aveva pensato che Asteria fosse stata fortunata ad aver ricevuto la sua visita invece che quella di qualcun altro. Un altro uomo, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, se ne sarebbe approfittato.
Per qualche secondo Asteria aveva provato a tirarsi su, senza però ottenere alcun risultato se non quello di far spostare il vestito.
Nasser si era dovuto girare dall'altra parte per evitare di guardare, dandole il tempo di sistemarsi.
"Cosa ti ha fatto venire tutta questa voglia di bere?" Aveva preso un generoso sorso di vino, mandandolo velocemente giù. Era più dolce di quanto pensasse, supponeva che ad Asteria piacessero quindi i sapori dolci piuttosto che quelli amari.
La ragazza aveva sbuffato, rigirandosi sul divano fino a sdraiarsi lateralmente.
Il passo successivo era stato alzare il sopracciglio, come a volergli dare dello stupido.
"Non è evidente? Tutti i problemi di questo posto derivano da una persona, no?"
Nasser aveva sentito la mascella cadergli in preda allo shock. Cosa diavolo le era successo? Era fortunata ad averlo detto a lui e non a una guardia.
Parlare in modo simile del proprio sovrano era una pena capitale, diamine!
Ma Asteria proprio non voleva smettere di parlare e così aveva deciso di sciogliere la sua lingua da ogni freno, cantandosela.
"Credo sia il diavolo, sai? Lui ne è certo o forse vuole solo farmelo credere, ma di sicuro non è normale."
Nasser aveva dovuto guardarla con attenzione per capire se stesse scherzando o meno e la risposta non gli era piaciuta affatto.
Asteria era solitamente molto formale, ligia alle regole e rispettosa verso il Re. L'alcol sarebbe stato la sua rovina.
"Perché credi che sia il diavolo?"
"Perché me l'ha detto." Semplice e diretta, non ci sarebbe stata risposta migliore.
Le aveva detto tante di quelle cose che dubitava di ricordarle tutte ma alcune, quelle più crude e terrificanti, le rammentava perfettamente.
Era sicura che se avesse chiuso gli occhi e si fosse concentrata, sarebbe riuscita a sentirne l'eco.
Nasser si era sporto verso di lei per sfilarle dalle mani tremanti il calice, l'aveva quindi poggiato sul comodino e aveva osservato il modo in cui il suo corpo fremeva.
Lui era abituato alle stranezze del Re, alle sue folli parole e ai suoi gesti senza senso ma lei no.
Poteva capire la sua paura ma voleva saperne la motivazione.
Cosa poteva aver fatto di così sconvolgente? Aveva osservato il corpo di Asteria in cerca di segni dovuti a una qualche colluttazione ma non era riuscito a trovare nulla.
Si era coperta con uno scialle tutta la parte superiore del corpo e lo stringeva come se da quello ne dipendesse la sua vita.
Stringeva e lasciava la presa in maniera convulsa mentre i suoi occhi saettavano ovunque tranne che su di lui. Gli sembrava che si aspettasse di veder qualcuno entrare da un momento all'altro.
Era preoccupata, di questo era certo, ma ancora non sapeva di cosa.
Solo dieci giorni erano passati dal suo arrivo a palazzo e già crollava in preda all'ansia.
Aveva preso un respiro profondo e le aveva toccato la spalla coperta dallo scialle.
"Cosa ha fatto? Devi parlarne a qualcuno o finirai con l'impazzire."
Asteria aveva scosso la testa per poi rivolgergli un sorriso triste e consapevole. Non si sentiva affatto bene, la testa le girava e i conati di vomito iniziavano ad affacciarsi alla sua gola.
"E tu a chi parli?"
Nasser aveva velocemente ritratto la mano come scottato mentre le rivolgeva uno sguardo duro. Non era bravo a parlare di sé e sapere d'esser spaventato da quella domanda l'aveva reso inquieto.
Era normale che Asteria gli facesse una contro domanda, dovevano pur esser pari in qualche modo, ma non se lo aspettava.
Se voleva delle risposte avrebbe dovuto anche darne, giusto? Ah, si era dimenticato di quanto difficile fossero i rapporti sociali.
"Ne parlavo con mia sorella."
Parlavo, Asteria si era ripetuta quella parola per moltissime volte prima di realizzare che stava parlando al passato. Con chi parlava, quindi, adesso? E perché aveva smesso di farlo con sua sorella?
I freni erano tornati a bloccarle la lingua ed ora non trovava il coraggio di approfondire l'argomento. Se non le aveva detto altro voleva dire che non voleva farlo, e chi era lei per forzarlo? Nessuno, non aveva nessun legame d'amicizia con Nasser e non poteva quindi frugare nel suo passato.
Aveva quindi deglutito, afferrando lo scialle che la copriva. Aveva ricevuto la sua risposta, ora toccava a lei scoprire le sue carte.
Con un movimento lento ma netto si era sfilata il tessuto morbido dalla pelle, rivelando l'orrendo disegno fatto di sangue che ancora viveva su di lei.
Il medesimo disegno di cui lei era protagonista, una lei mutilata e intenta ad urlare. Non riusciva a guardarlo e, allo stesso tempo, a toglierselo di dosso.
Nasser aveva aggrottato le sopracciglia mentre osservava il dipinto, realizzando subito di cosa fosse fatto. Con un tipo le aveva sfiorato le clavicole, sporcandosi di rosso le dita.
"Di chi è questo..." non era riuscito a completare la frase.
Sangue, di chi era quel sangue? Ad Asteria era quasi venuto da sorridere nel vederlo così in pena. Era preoccupato per lei? Nessuno lo era da moltissimo tempo, ormai.
In realtà era sempre stata abituata a cavarsela da sola, a gestire i propri problemi in silenzio ed era quindi normale che le persone non si interessassero a lei.
Ma lo era davvero? Forse non interessava a nessuno, divenivano tutti ciechi davanti ai suoi problemi.
"Mio e suo, di entrambi."
La parola nostro non era un'opzione perché, andiamo, sarebbe stato come ammettere di condividere qualcosa con lui.
Una parte di lei riconosceva il fatto che Iblīs si fosse comportato in maniera quasi premurosa verso di lei. Non l'aveva forzata a fare nulla e spesso voleva passare il tempo con lei.
Le sembrava che stesse riempendo la sua solitudine ed era così sbagliato ma allo stesso tempo così piacevole da farle agitare lo stomaco.
Iblīs stava riuscendo nel suo scopo e nemmeno lo sapeva! Oh quanto ci sarebbe voluto per piegarla al suo volere?
Nasser l'aveva realizzato prima di lei e non aveva nessuna intenzione di lasciare che qualcosa di simile accadesse anche a lei.
"Voleva che lo facessi sanguinare," aveva borbottato Asteria, "e così gli ho morso il labbro. Vuoi sapere cosa ha fatto?"
Gli si era avvicinata con gli occhi che le bruciavano per lo sforzo di non uscire, di rimanere dentro al sicuro. Voleva parlarne, far uscire tutto quello che aveva dentro fino a rimanere vuota.
Si era portata le mani tra i capelli per tirarseli e massaggiarli a ripetizione. Dio, stava impazzendo.
Le mani di Nasser aveva raggiunto le sue e con delicatezza gliele aveva allontanate dallo scalpo, preoccupato che si facesse male.
Con le labbra le aveva baciato i dorsi e i palmi delle mani, accarezzandole le linee che le componevano.
Era un gesto dolce, puro, che Asteria non riusciva ad inglobare.
Era così piena di odio e di sentimenti ingiusti da non sapere più cosa fosse un affetto sincero. Alisha si comportava spesso come un'adolescente ribelle e quasi mai le mostrava affetto fisico mentre Azef era troppo introverso e timido per approcciarsi ad una femmina.
Nemmeno sua madre le era mai stata vicina, persino le tutrici dell'orfanotrofio l'aveva trattata come un qualcosa da manipolare e da riempire d'odio.
"Cosa ha fatto?" Le carezze di Nasser non erano mai cessate, si erano anzi moltiplicate ed ora era passato a massaggiarle il cuoio capelluto.
Asteria aveva quindi ceduto, iniziando a piangere senza far alcun rumore.
"Mi ha baciata e io, oh che stupida che sono! Io ho ricambiato, sai? Sono una persona terribile, terribile e pazza!"
Lui era rimasto a bocca aperta per pochissimo tempo, ricomponendosi il più velocemente possibile per non darle l'idea di star giudicando.
Si era alzato in piedi, mormorandole un "aspettami qui", per poi dirigersi verso uno dei mobili al lato della stanza.
Aveva frugato nei primi due cassetti pieni di abiti, trovando solo nel terzo ciò che stava cercando: una spugna.
Soddisfatto era quindi tornato al tavolo dove si trovava una bacinella d'acqua.
"Riesci a metterti seduta?"
Lei aveva annuito e con estrema lentezza aveva spostato meglio le gambe fino a sedersi con la schiena dritta e le gambe fuori dal divano.
Le stava venendo la nausea a causa di tutti quei movimenti, ma se fosse stata ferma si sarebbe comunque sia sentita male.
Non c'era soluzione: aveva deciso di bere e questo è ciò che le spettava per aver preso una decisione tanto affrettata e infantile.
Nasser aveva immerso la spugna nell'acqua per poi strizzarla un paio di volte, una volta contento del risultato si era avvicinato a lei e con delicatezza le aveva premuto la spugna contro la pelle.
Avrebbe cancellato quel dipinto, quel sangue, e possibilmente anche il ricordo che esso manteneva.
Non voleva che avesse nulla di Iblīs sopra il suo corpo perché sarebbe stato come avere un marchio.
E lei non doveva averne.
Aveva strofinato con leggero vigore sul sangue incrostato mentre con la coda dell'occhio osservava le piccole goccioline rosse percorrerle il petto.
"Non sei affatto stupida, Asteria, altri non sarebbero resistiti nemmeno un giorno nella tua posizione."
Con la mano libera aveva afferrato lo scialle, asciugando le parti che bagnava con la spugna.
Asteria non aveva risposto, si era limitata a rilassarsi contro il divano, lasciando fare a Nasser ciò che aveva iniziato.
Era stata attenta a non chiudere mai gli occhi, impaurita dalla possibilità di far risalire la nausea.
Odiava quell situazione e odiava il modo in cui Nasser la stava trattando. Perché tutto d'un tratto era premuroso? Lei non se lo meritava un affetto del genere, ciò che le spettava era esattamente quello che negli anni aveva ricevuto.
"Se il Re ti ha baciata vuol dire che sta cercando di creare un legame. Probabilmente lo incuriosisci o trova la tua presenza intrattenente, non è una cosa positiva ma nemmeno negativa.
Non giocare alle sue regole, non cedere ai suoi giochetti perché perderai, ma sfrutta questa situazione. Vuole avvicinarti? Allora ricattalo. Fatti dare ciò che vuoi e in cambio dagli strascichi di attenzioni."
Glielo aveva sussurrato all'orecchio in modo calmo ma coinciso, sperando che la mattina dopo si sarebbe ricordata quella conversazione.
Aveva quindi dato l'ultima passata di spugna, asciugandola subito dopo.
Asteria aveva inclinato la testa di lato, riservandogli uno sguardo confuso ma concentrato.
Razionalmente sapeva che quelli erano consigli utili e di vitale importanza, doveva quindi dargli ascolto.
"Cantagli una canzone e inizia un contatto fisico, ma dev'essere minimo e devi far in modo che sia tu a gestirlo, e poi chiedigli di tornare a casa.
Manipolalo, fagli credere di essere in possesso di qualcosa di tuo. Digli che tornerai con un regalo, un qualcosa che lo rappresenta così penserà di infestare i tuoi pensieri."
L'aveva tirata su di peso, issandosela in braccio per portarla fino al letto.
Perché le stava dicendo tutto quello? Voleva aiutarla, certo, ma non stava forse cospirando alle spalle del suo Re?
Ma lei gli pareva così persa, sola e triste da fargli tenerezza. Voleva rassicurarla, farle capire di non esser sola e darle in mano qualche arma per vincere se non altro un paio di partite.
L'aveva fatta sdraiare sul letto e come se nulla fosse le si era seduto vicino, accarezzandole i capelli morbidi e nerissimi.
La prima volta che l'aveva vista aveva pensato fosse insolente, ora pregava che continuasse ad esser così.
Le donne che si piegavano al corso degli eventi o peggio: ad un uomo, non gli erano mai piaciute.
Doveva solo combattere ancora e un giorno, forse, ne sarebbe uscita con meno ferite del previsto.
Asteria aveva annuito, ringraziandolo senza più dire una parola. Gli aveva pizzicato una guancia e l'espressione che aveva ricevuto era riuscita a rincuorarla e divertirla.
Avrebbe seguito i suoi consigli e ne avrebbe fatto tesoro.
"Mi dispiace."
"Di cosa?" Nasser le aveva accarezzato una guancia, lasciando che lei giocasse con i suoi capelli.
Farsi toccare lo infastidiva, di solito, ma ora pareva quasi rilassante. Si era piegato verso di lei fino ad appoggiare la guancia contro il cuscino, guardandole solo ed esclusivamente gli occhi.
A lui piacevano quelli e nonostante non si sentisse affatto virile ad ammetterlo pensava che fossero più interessanti di qualsiasi altra cosa avesse da offrire.
"Volevo usarti, avvicinarti così da poter ricevere aiuto per fuggire. Ma ora che sembri così...così, mi sento in torto, sono davvero una persona orribile."
Il giorno dopo si sarebbe pentita di averglielo detto, ne era certa. Aveva appena spifferato il suo piano ed ora era quindi da cancellare.
Era forse stata una scelta avventata e stupida? Forse si.
Nasser non si era sentito offeso né ferito: sospettava che Asteria avesse provato a mettere in atto un piano del genere e apprezzava che glielo avesse rivelato.
Doveva ringraziare l'alcol, per questo.
"Hai fatto ciò che avrebbero fatto tutti, non pentirti di decisioni fondamentali a tenerti in vita. Non esistono persone totalmente buone, a questo mondo, ma nemmeno completamente cattive.
Non sei orribile, non lo sei affatto. Ho compiuto gesti peggiori dei tuoi, ma tutti necessari a farmi vivere."
Le spalle di Asteria avevano tremato nuovamente, pronte a sorreggere qualche nuovo pianto e singhiozzo. Nasser aveva sperato di non vederla piangere ancora perché non avrebbe saputo che dirle per consolarla ulteriormente.
"Iblīs dice che chiunque rimanga qui finirà con il diventare immortale, io non voglio che accada. È così tremendo, per me, il pensiero di sopravvivere ai miei cari."
Gli occhi le si erano chiusi da soli in preda a un'ondata di stanchezza. Doveva esser tardi, decisamente tardi, o magari era semplicemente l'effetto del vino.
Aveva caldo e la vicinanza di Nasser non l'aiutava affatto, ma la confortava. Non si sarebbe spostata e, allo stesso tempo, non si sarebbe avvicinata.
Voleva mantenere quella distanza, avvicinarsi a lui lentamente come imponevano i rapporti normali e sani di cui tanto aveva sentito parlare.
Magari non sarebbero divenuti amici, ma anche confidenti le andava bene.
Nel giro di qualche minuto si era quindi assopita mentre Nasser le accarezzava i capelli, rimuginando sulle sue ultime parole.
Non aveva avuto la forza di dirle che lui stesso aveva smesso di invecchiare molti anni prima e che per lui la morte non sarebbe mai arriva.
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