10| I Dipinti Del Re
𝕻𝖊𝖓𝖘𝖔 𝖉𝖎 𝖆𝖛𝖊𝖗 𝖚𝖈𝖈𝖎𝖘𝖔 𝖖𝖚𝖆𝖑𝖈𝖚𝖓𝖔.
-Phil Spector
Lo sconcerto, un'emozione primordiale e profonda che ha sempre albergato nell'uomo.
Come una scatola fungiamo da contenitore per i sentimenti, per le emozioni, e Asteria era divenuta proprio quello: una scatola colma.
E il suo coperchio sobbalzava sotto le pressioni dello sconcerto che agitato tentava di manifestarsi.
"Dopo-dopo quanto tempo si diventa immortali?"
Aveva osservato Iblīs sfiorare con la punta delle dita qualche petalo con talmente tanta delicatezza da sembrare una carezza intima, pareva voler condividere con quel fiore un particolare segreto a loro solo noto.
E lui dava l'impressione di amare quel piccolo essere così pieno di vita eppure così immobile e silenzioso da esser considerato inanimato.
Adorava quei boccioli più di quanto avesse mai amato qualcuno, sempre se l'avesse mai realmente fatto.
Asteria l'aveva quindi visto sorridere teneramente al fiore per poi spegnersi, appassirsi, mentre tornava a guardarla.
Era così pieno di amarezza da dare la nausea e da suggerire pietà.
"Non lo so," si era accasciato a terra, dove il ghiaccio incontrava le erbacce e le mattonelle scolorite, "dicono che l'ignoranza renda felici, sai? Pensi che io sia felice? Dammi pure del tu."
Pensava di non meritare che gli si desse del voi-voi-voi. No, suo padre era un voi mentre lui, beh lui era un misero tu indegno di un titolo più alto.
Si sentiva così scarno, vuoto e sporco da potersi tranquillamente paragonare ad un normale popolano.
Asteria aveva corrucciato le sopracciglia, sedendosi con cautela proprio davanti a lui.
Agli occhi di uno sconosciuto sarebbero sembrati due amici intenti a conversare.
"Non lo so, lo sei?" Il tono informale era uscito strozzato, la forzatura ben udibile così come il disagio che stava provando.
Aveva appena commesso un reato capitale e nonostante fosse stato il Re stesso a chiederle di farlo, si sentiva in colpa.
In qualsiasi caso, Asteria credeva che Iblīs non avesse ragioni per non esser felice. Dopotutto aveva tutto ciò che una normale persona potesse desiderare: potere, soldi e stabilità.
Non si sarebbe mai dovuto preoccupare di non aver cibo a sufficienza o di non possedere un tetto sotto al quale dormire.
Eppure i suoi occhi erano così pieni e così vuoti al tempo stesso da farlo sembrare infinitamente triste, immensamente solo e sperduto in sé stesso.
Iblīs si era limitato a sorridere con vaga riconoscenza mentre la osservava muoversi davanti a lui.
Si era sistemata meglio il vestito verde così da coprirsi per poi poggiare il gomito sulla gamba e la guancia sul palmo della mano.
"Io non mi sento felice, in realtà credo di essere piuttosto miserabile. Non so se io sia mai stato realmente entusiasta della mia vita, forse da bambino. I bambini sono sempre felici, no?"
Con le dita ossute aveva preso a tracciare forme di stelle sulla brina sottile, tentando di rammentare la sua infanzia.
Di quest'ultima non ricordava molto, quasi nulla in realtà, e probabilmente era meglio così.
Dimenticare era stata, oltre che la sua condanna, anche una manna dal cielo.
Asteria non era d'accordo e la sua espressione lo mostrava alla perfezione. I bambini non erano sempre felici, non dove aveva vissuto lei perlomeno.
Molti venivano abbandonati in orfanotrofio, costretti a vivere nella miseria e nel triste pensiero di non avere nessuno mentre altri soffrivano la fame e la povertà.
Lei stessa non era stata una bambina felice o spensierata.
Per un attimo aveva pensato di sentirsi arrabbiata, offesa dal fatto che Iblīs si definisse miserabile.
Lui non aveva alcun diritto di esserlo, non aveva nulla di che preoccuparsi eppure eccoli lì, a disperarsi.
Doveva esserci qualcosa in quel Re folle, oltre alla pazzia, di oscuro e segreto. Cosa avrebbe mai potuto ridurlo in quel modo?
Non poteva di certo chiederglielo.
"C'è qualcosa che ti rende felice?" Si era sporta verso di lui con occhio curioso.
Iblīs aveva invece aggrottato le sopracciglia, si era concentrato e aveva preso a mordersi le labbra con l'ansia ad appesantirgli il petto.
Voleva ridere, dio quanto voleva ridere.
Quella situazione era semplicemente ironica e strana! Si stavano parlando come due amici, come nei libri che per anni aveva letto, e lei lo stava approcciando come se non lo odiasse affatto.
Ma era impossibile; sapeva che tutti erano nati per odiarlo e che nessuno al mondo sarebbe mai riuscito ad accettarlo.
Dahlia, una vocina aveva sussurrato il nome nella sua mente con fare derisorio, lei lo aveva amato come un figlio ed era morta.
"Dipingere."
Senza nemmeno accorgersene si era accarezzato un braccio, aveva passato le dita sul punto in cui le vene erano visibili e si era lasciato rilassare.
Asteria aveva notato il modo in cui le sue spalle si erano distese e come il suo sguardo-oh come il suo sguardo si accendeva dando vita a quelle pozze assurdamente violacee.
Era così letalmente attraente con quel vestito di serenità da toglierle il respiro.
"Cosa dipingi?"
"Il mondo, il mio mondo."
Non glielo avrebbe mai detto ma quello era l'unico modo di capire cosa vedeva, di comunicare a se stesso i suoi stessi pensieri e di ricordare.
In vita sua li aveva mostrati a sole due persone ed entrambe si erano mostrate impaurite o sconvolte davanti ai suoi quadri.
Nasser stesso era inavvertitamente incappato in quest ultimi e la sua reazione, ah! Iblīs l'avrebbe ricordata per molto tempo.
Ma Asteria era curiosa, lo era sempre stata, e avrebbe desiderato con tutta se stessa avere la possibilità di vedere.
"E come è il tuo mondo?"
Iblīs aveva chiuso gli occhi e s'era protratto in avanti fino a poggiare la fronte sulla spalla di Asteria.
Odorava di sabbia e di mare, da quanto non vedeva il mare? E da quanto non avvertiva la sensazione della sabbia contro le dita?
Come era il suo mondo?
Per dare una risposta precisa avrebbe dovuto sapere come era il mondo degli altri ma ahimè, non lo ricordava più! Fare paragoni gli risultava quindi difficile.
"È strano, qualche volta fa...si, lo fa." Aveva strofinato la fronte contro la stoffa del vestito di lei e si era rannicchiato un po' di più.
Asteria non gli aveva chiesto cosa facesse il suo mondo perché l'aveva intuito o forse sperava di averlo fatto.
La realtà, dura o meno, è che Iblīs era totalmente impenetrabile, irraggiungibile e incapibile.
Lui ne era consapevole eppure sperava ancora che qualcuno riuscisse a comprenderlo o a confortarlo, un desiderio inconscio ma che il suo corpo avvertiva.
"Certe volte è così bello, però, da farmi disprezzare il vostro mondo." Le aveva stretto una caviglia in cerca di qualcosa di reale mentre con la coda dell'occhio osservava i boccioli innalzarsi e ballare.
Ballavano, un-due-tre, un-due-tre, e cantavano le vicende di petali viaggiatori e di spine ferite.
Non cadevano mai quei petali, non si spegnavano mai, mai mai mai mentre lui moriva ed appassiva giorno dopo giorno senza mai morire.
Perché diamine non poteva morire?
Se non altro i fiori gli avrebbero fatto compagnia.
"Cosa lo rende bello?"
Asteria aveva continuato a parlare, concentrando lo sguardo sul pallore del suo viso senza osare muoversi.
Era la quarta o la quinta volta che la toccava, che si accostava a lei senza domandare permesso ma era diverso.
Iblīs pareva farlo con spirito bambino e senza malizia, non come si aspettava che facesse un uomo.
Si era quindi posta una domanda: lo lasciava fare per timore o perché accettava il suo tocco?
Se fosse stato Nasser a toccarla, si sarebbe scansata?
La risposta era balenata velocemente: no, ma per motivi strategici. Aveva bisogno di creare un legame con il consigliere per andarsene, che fosse fisico o mentale poco le interessava.
Il suo corpo era solo carne, solo ossa montate da chissà chi e come tale lo usava.
Che male c'era nel farlo? Gli uomini erano autorizzati dalla società ad usare i corpi femminili ma se erano quest'ultime a farlo allora si gridava alla prostituta.
Non era giusto che fosse così, lo sapeva, ma che poteva farci lei?
Quello era il suo corpo e l'avrebbe usato come più voleva.
"Qualche volta- ecco qualche volta il cielo si tinge di colori strani, inumani, che voi non vedrete mai. Le piante ballano e l'aria si rende visibile, prende le sembianze di dei bellissimi e mi chiede di danzare.
Ma poi arrivano loro e si tolgono il mantello, capisci? È spesso e nero, talmente lungo da avvolgere tutta l'umanità e mi divorano.
Di notte loro, loro si fanno più veloci e corrono, corrono in cerchio e mi danno la caccia.
Ma io ho la luce e li scaccio, quando si spegne loro però mi raggiungo e-"
Il respiro del Re si era bloccato e il suo corpo aveva preso a tremare sotto lo sforzo della sua mente.
Doveva impedire a se stesso di dare in escandescenza, di afferrare Asteria per il collo e salvarla da quel mondo orribile con l'unica salvezza possibile: la morte.
"Cosa fanno quando ti raggiungono?" Asteria aveva deglutito, consapevole della pericolosità della situazione.
"Affondano i loro denti nel mio petto e scavano, scavano fino a trovare le mie interiora per cibarsene e tirarle.
Urlano nelle mie orecchie frasi incomprensibili o piangono, si disperano per ore e chiedono il mio aiuto ma io non posso, non posso aiutarli."
Si era accasciato con la testa sulle gambe di lei e le ginocchia piantate a terra. Piccoli singhiozzi avevano preso a scuotergli il petto e man a mano l'intero corpo.
Voleva smettere di piangere, di tremare e di vedere.
Voleva smettere, annullarsi e divenire tutt'uno con il nulla cosmico, unirsi alle stelle e disintegrarsi.
Se fosse stato una stella sarebbe stato una di quelle cadenti, potenzialmente distruttiva e di veloce passaggio.
Era tutta una vita che precipitava, che feriva gli altri durante la sua caduta ed era stanco, così dannatamente stanco.
Asteria non lo giustificava, però.
Lo vedeva piangere e pensava al male che aveva fatto, al dolore che aveva causato e odiava il fatto di provare anche solo un briciolo di pietà verso di lui.
Aveva davvero assassinato i precedenti membri dello staff?
Eppure sembrava provare qualcosa, seppur raramente, e come poteva un essere dotato di emozioni uccidere qualcuno?
"Cosa usi per dipingere?"
Iblīs aveva tossito per poi mandare giù il groppo in gola mentre tornava a raddrizzare la schiena.
"Sangue, solo il mio però: non preoccuparti." Si era sporto per baciarle la fronte in un gesto di conforto; ricordava che Dahlia lo faceva spesso per rincuorarlo.
Asteria si era, ovviamente, paralizzata sul posto.
Non aveva sprecato tempo a domandarsi se le avrebbe mai fatto del male perché la risposta era dolorosamente ovvia.
"Vuoi vederli? Vuoi vedere i miei dipinti?"
Il Re l'aveva tirata per le braccia fino a farla scivolare tra le sue gambe con un sorrisetto talmente tentatore da sembrare quello di un diavolo.
A quel punto le era risultato impossibile non scansarsi: quel contatto era troppo anche per la sua sopportazione.
Lui non aveva tentato di trattenerla, si era limitato a osservarla in cerca di una risposta. Sapeva che ci sarebbe voluto un po' per riceverne una e quindi aveva preso a giocare con gli anelli che portava alla mano sinistra.
Li portava da anni, alcuni non li aveva mai tolti ed era certo che se li avesse sfilati si sarebbe ritrovato dei segni violacei sulle dita.
Asteria, intanto, aveva preso a chiedersi se fosse una buona idea vederli o meno. Dovevano essere sicuramente intensi e il fatto che fossero stati fatti con il sangue li rendeva ancora più impressionanti.
Non voleva rimanere scioccata ma allo stesso tempo non voleva perdere un'opportunità del genere.
Così aveva annuito.
Le era venuto da pensare a cosa avrebbe detto Alisha nel sentirla acconsentire. Probabilmente si sarebbe tinta di rosso in viso e avrebbe urlato, le avrebbe detto di rimangiarsi le sue parole e di starsene zitta.
Azef, invece, l'avrebbe lasciata fare con sguardo di disapprovazione in viso.
Era sempre stato molto permissivo con lei, probabilmente perché le voleva troppo bene per fermarla dal far qualcosa.
Asteria si era talmente assorta nei suoi pensieri da ignorare totalmente il fatto di star venendo trascinata da Iblīs.
Camminava veloce, lui, entusiasta di arrivare e mostrarle ciò che riusciva a vedere.
Sapeva che era un'idea tremenda, che lei non avrebbe mai apprezzato ma voleva o forse doveva provarci.
I quadri appesi nei corridoi avevano preso a muoversi ed i ritratti a parlargli come fossero suoi lontani amici.
Gli sorridevano come ad augurargli buona fortuna mentre altri, i più scettici, scuotevano la testa senza rivolgergli parola.
Ormai era troppo tardi per fermare la camminata: non sarebbe tornato indietro.
Le sue gambe non erano più sue, vi era qualcun altro a controllare e a muoverle. Era certo che qualche entità avesse preso possesso del suo corpo per impedirgli di tirarsi indietro.
"Vedrai, vedrai come vedo io!" Aveva stretto la presa contro il polso di lei per incitarla a muoversi, a raggiungere il prima possibile la stanza dei quadri.
Asteria aveva lanciato un veloce sguardo dietro di lei, dove il giardino si allontanava sempre di più da lei, da loro.
Una parte di lei si pentiva di avergli detto di si, di aver posto tutte quelle domande perché ora era costretta a seguirlo.
Voleva davvero vedere il suo mondo? Cosa sarebbe successo se non fosse stata in grado di accettarlo?
Dopotutto aveva capito quanto la realtà di Iblīs fosse distorta e piena di creature a lei estranee. Se fosse stata nei suoi panni non avrebbe retto nemmeno un giorno, ne era certa.
Per svariati minuti Asteria aveva camminato in silenzio mentre contava i passi che stavano facendo.
Al centesimo passo aveva notato il respiro di Iblīs accelerare, cinque passi dopo si era fermato per guardarsi attorno con aria spaesata.
Non ricordava più dove stavano andando, dove si trovava e che direzione doveva prendere.
Era tutto così confuso nella sua mente da fargli perdere il senso dell'equilibrio.
Doveva andare...si lui doveva-cosa doveva fare? Si era guardato i piedi: uno davanti all'altro, questo significava che stava camminando.
Ora doveva capire dove era diretto.
Si era voltato di poco, appena il necessario per rendersi conto di non esser solo.
Inizialmente non l'aveva riconosciuta, gli ci era voluto un po' per collegare il suo viso ad un nome.
"Dove ti stavo portando, Miel?" Si era voltato completamente verso di lei per osservare meglio il modo in cui il suo corpo reagiva.
Asteria aveva fatto un passo indietro mentre distoglieva lo sguardo dal suo.
Stava valutando se mentirgli o meno, Iblīs lo aveva capito e non gli importava. Voleva solo una risposta, che fosse fittizia o veritiera non era importante.
Per lei, invece, quella era una vera e propria opportunità. Avrebbe potuto sviare il discorso, farsi trascinare di nuovo in giardino o dirgli semplicemente che le aveva detto di volerla congedare.
Diamine quanto sarebbe stato facile, eppure le sembrava sbagliato. Poteva davvero approfittarsi di una persona in quel modo? Si, non vi era giusto o sbagliato in caso di necessità.
Aveva quindi scartato l'opzione "buona samaritana" decidendo che non voleva approfittarsi di lui per uno scopo personale: soddisfare la propria curiosità.
"Volevi mostrarmi i tuoi dipinti."
Ricordava, almeno, di averle chiesto di dargli del tu? Sperava vivamente di si o sarebbe stato un be problema. Ma Iblīs era tranquillo ed ora, con la risposta in tasca, aveva ripreso a trascinarsi per i corridoi.
Asteria lo sentiva borbottare "dipinti, devo mostrarle i dipinti," più e più volte per ricordasene.
Gli dava fastidio l'aver dovuto chiedere, il non esser stato in grado di controllare la sua mente davanti a qualcun altro. Era passato per stupido e lo odiava, si odiava.
Centocinquanta passi e il Re si era fermato dinnanzi ad un'imponente porta completamente bianca.
Riusciva ad avvertire un formicolio percorrergli le estremità delle dita e arrivargli fino alle spalle. Si sentiva energico, eccitato e impaziente di vedere le sue opere.
Si era tastato il collo alla ricerca della chiave che teneva appesa ad una collanina, sempre vicino a lui e a portata di mano.
Con foga se l'era sfilata mentre tentava di infilarla nella toppa. Era quindi intervenuta Asteria; gli aveva fermato la mano e con lo sguardo aveva silenziosamente chiesto il permesso di poter aprire lei la porta.
Sentiva il cuore sfregarle contro la cassa toracica per l'agitazione del momento mentre Iblīs le cedeva la chiave.
Era entrata con difficoltà minima e con ancor meno difficoltà l'aveva girata verso sinistra.
Click, Iblīs aveva ripetuto il rumore nella sua testa per diversi secondi fino a perderne il senso.
Click, e aveva sorriso verso il buio della stanza.
"Accendi una candela," le aveva bisbigliato all'orecchio lui, aggirandosi silenziosamente per il perimetro.
La luce non serviva a lui, ma a lei.
Conosceva quel piccolo spazio come le tasche delle sue braghe; prima di farlo divenire un ripostiglio era stata la sua cella.
Click, la fiamma si era alzata in aria e aveva preso a vorticare su se stessa, sorridendogli per prenderlo in giro.
Il sorriso del Re si era allargato mentre osservava le goccioline cremisi cadere dal soffitto sulla fronte di Asteria.
Plick, l'aveva vista guardarsi attorno un paio di volte e avanzare verso i quadri con espressione strana e indefinibile.
Plick, un'altra gocciolina e poi l'eco, oh! L'eco di un urlo a riscuotere l'intero palazzo.
Plick, qualcuno stava urlando proprio davanti a lui, talmente forte da stordirlo e plick: cosa ci faceva Asteria sul pavimento, cosparsa di sangue?
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