03| Dea Delle Stelle Cadenti

𝕹𝖔, 𝖚𝖈𝖈𝖎𝖉𝖊𝖗𝖊 𝖓𝖔𝖓 𝖊𝖗𝖆 𝖑'𝖔𝖇𝖎𝖊𝖙𝖙𝖎𝖛𝖔. 𝖁𝖔𝖑𝖊𝖛𝖔 𝖘𝖊𝖒𝖕𝖑𝖎𝖈𝖊𝖒𝖊𝖓𝖙𝖊 𝖆𝖛𝖊𝖗𝖊 𝖑𝖆 𝖕𝖊𝖗𝖘𝖔𝖓𝖆 𝖘𝖔𝖙𝖙𝖔 𝖎𝖑 𝖒𝖎𝖔 𝖈𝖔𝖒𝖕𝖑𝖊𝖙𝖔 𝖈𝖔𝖓𝖙𝖗𝖔𝖑𝖑𝖔.
-Jeffrey Dahmer.


Il sole estivo, quella mattina, pareva irradiare freddo; lunghi brividi gelati avevano iniziato a percorrere i corpi rigidi dei presenti.

Alisha era in preda al panico mentre, con movimenti convulsi, tentava di trascinare Asteria indietro e verso Azef. Aveva combinato un bel casino, ne era consapevole, ed ora non sapeva come rimediare.

Ora che vedeva il Re si rendeva conto di quanto realmente fosse malato, pericoloso.
Aveva permesso a se stessa di posare gli occhi su di lui per dieci secondi appena e ciò che aveva visto non le era piaciuto affatto.

Che razza di umano aveva gli occhi violacei? Ma il Re non era umano, non poteva esserlo. Eppure ai suoi occhi era sembrato così scarno, magro e malaticcio: come poteva un uomo così debole essere così letale?

Le pareva impossibile che fosse realmente un assassino, eppure il suo ghigno confermava tutti i pettegolezzi e le dicerie su di lui.

"Sono sicura che a sua Maestà una serva in meno non cambi nulla." Asteria aveva continuato a controbattere, rifiutandosi di cedere. Più lo guardava e più la voglia di nascondersi dietro qualcuno aumentava, il suo sguardo era talmente fermo che per un attimo si era chiesta se la stesse davvero guardando.

Non che le importasse, comunque sia.

"Asteria!" Aveva boccheggiato Alisha, sconvolta. Parlare così al Re era da pazzi, da sconsiderati; come poteva rivolgersi a lui in quel modo? La scelta più saggia, aveva pensato la minore, sarebbe stata lasciarla lì.

Dopotutto era stata lei ad andare e sempre lei a proporsi, nessuno l'aveva costretta né tanto meno trascinata davanti al Re. Si sarebbe dovuta prendere la responsabilità delle sue azioni nonostante la parte più infantile e umana di lei gridasse riconoscenza ad Asteria e ad Azef per essere venuti a prenderla.

Iblīs aveva abbassato lo sguardo verso il pavimento, dove le mattonelle rosse erano quasi completamente coperte da uno spesso strato di ghiaccio. S'era chiesto, in un attimo di distrazione, come fosse quella terra prima di venir congelata per sempre.

Non riusciva a ricordare, ad afferrare quel frammento di ricordo.

Era sicuro, però, che un tempo quello fosse un luogo sommerso da grandi quantità di flora; che vi fossero alberi verdi e alti ed un forte sole caldo.

"Sei divertente, Miel. Osi dire al tuo Re di cosa ha bisogno e di cosa può fare a meno?" Aveva sorriso per poi guardarla teneramente, come se non fosse più di una bambina capricciosa. Era, dopo tanto tempo, sinceramente divertito.

Gli sarebbe bastato un lieve cenno del capo e Nasser l'avrebbe uccisa proprio lì, davanti a lui, e le mattonelle sarebbero tornate a dipingersi di rosso.

Oh, chissà come sarebbero state! Riusciva a figurarsele nella mente: bianchi quadrati rigati di rosso e chiazze, piccole chiazze scarlatte a formare costellazioni ovunque.

Plick, aveva ripetuto quel suono sordo un'infinità di volte nel suo immaginario.

Che rumore fa una goccia quando si frantuma a terra?

Asteria era rimasta ferma al suo posto, aspettando che accadesse qualcosa mentre spingeva Alisha verso Azef.

Aveva deciso di non rispondere, mordendosi la lingua per bloccare qualche parola di troppo fino a quando Iblīs aveva allungato il braccio pallido verso di lei, muovendo le dita per farle segno d'avvicinarsi.

Nasser, al fianco del Re, le aveva rivolto un piccolo segno d'incoraggiamento con il capo, invitandola ad ubbidire. Poteva fidarsi? La risposta, ovviamente, era no. Anche solo il fatto che si fosse posta quella stupida domanda era fonte di stupore per lei.

Non poteva fidarsi ma doveva obbedire.

E così aveva dato l'ultima spinta ad Alisha, osservando per qualche secondo il modo in cui s'era lasciata abbracciare da Azef. Per lo meno non le aveva ordinato di andarsene e di lasciare lì Alisha, era una consolazione quella.

Mentalmente aveva contato i passi, dieci per la precisione, che qualche secondo prima l'avevano separata dal Re. Da vicino, se possibile, pareva ancora più malato.

La sua pelle era talmente chiara da permetterle di notare perfettamente le ombre viola, tendenti al nero, che sostavano sotto ai suoi occhi. Le due sclere non erano lattee come le sue ma bensì arrossate, iniettate di sangue.

Da quanto non dormiva?

A separarli, ora, vi erano due miseri passi.

La sua mano era rimasta ferma sulla borraccia ancorata al suo fianco, giocandoci per distrarsi dall'ansia. I loro respiri, tanto erano vicini, si erano intrecciati e districati tra di loro per chissà quante volte.

Poteva studiarlo quanto voleva, adesso, nonostante la paura le avesse ancorato gli occhi al pavimento. Guardarlo da lontano era risultato difficile ma fattibile mentre ora era totalmente impossibile.

L'aveva sentito sbuffare dal naso ed il suo sguardo si era mosso da solo, in preda alla confusione, alzandosi fino ad incontrare quello di Iblīs.

Si era sporto verso di lei, riempendole le narici d'un odore acre, pungente, di salvia bruciata e metallo.

"Asteria," Iblīs aveva ripetuto un paio di volte il suo nome, legandoselo alla lingua e facendolo cadere dalle labbra come a volerne sentire il gusto, "dea greca delle stelle cadenti." Aveva in fine concluso lui, azzardandosi a lanciarle una veloce occhiata.

Il contatto visivo, per lui, risultava alle volte difficile.
Gli piaceva osservare le persone, incutere in loro il timore di un futuro incerto ma, allo stesso tempo, odiava esser fissato.

Lo faceva sentire, ecco lo faceva sentire...come lo faceva sentire?

Aveva provato a riflettervici sopra mentre lasciava che Asteria lo guardasse; doveva capire come si sentisse per dare una definizione.

Ancora un po', aveva pensato Iblīs, le avrebbe permesso di guardarlo solo per un altro po'.

Poi c'era stato un click, una lampadina accesa nella sua testa a suggerirgli le parole.

Vulnerabile, lo faceva sentire vulnerabile e lui odiava, oh lui detestava essere debole.

Era stata lei, in quel momento, a farlo sentire vulnerabile. Quindi era senza ombra di dubbio colpa sua, era colpa sua se era debole?

Cosa avrebbe dovuto fare, allora, per punirla?

Asteria aveva velocemente abbassato lo sguardo, preoccupata dell'improvviso silenzio e del suo sguardo concentrato.

Ma concentrato su cosa? Iblīs non pareva focalizzato sulla realtà, sul mondo che lo circondava, ma su qualcosa di inafferrabile e di irraggiungibile.

"Ti consiglio di fare qualche passo indietro," Nasser era velocemente intervenuto, facendo un passo verso di lei per scostarla.

Conosceva bene il suo sovrano, talmente bene da sapere che non stava di certo facendo pensieri positivi.

Ma era arrivato tardi o forse, solo forse, Iblīs l'aveva sentito e aveva deciso di agire prima. La mano del Re era scattata con velocità inumana verso il collo abbronzato di Asteria, stringendosi attorno ad esso come se volesse tenerla in piedi.

Come poteva una persona dall'aspetto così cagionevole avere tanta forza?

Asteria si era accorta, nonostante la paura ad offuscarle i pensieri, che più deglutiva e più lui rafforzava la presa.

Con le orecchie arrossate aveva udito il gemito sofferente di Alisha e il grugnito di Azef; era quindi riuscita ad alzare una mano verso di loro per intimargli di non avvicinarsi.

Iblīs la guardava, dentro di sé sapeva di guardarla eppure non vedeva niente. Una macchia scura in un contorno bianco, azzurro e grigio, Asteria era stata ridotta ad una macchia e non riusciva, diamine lui non riusciva a vederla!

Una macchia rossa su una mattonella bianca, una macchia nera sul suo trono, due macchie rosa su due guance piene.

Erano le guance di Asteria, quelle?

Aveva allentato la presa sul suo collo senza però togliere la mano: perché non la stava soffocando? Mi piacciono le macchie, aveva pensato Iblīs mentre tratteneva a stento un sorriso.

Aveva avvicinato la testa alla sua per osservare meglio quelle due chiazze rosa e oh, quanto sarebbe stata bella se avesse avuto il viso macchiato di rosso, o di nero, del suo nero.

"Sai che rumore fa una goccia quando si frantuma a terra?" Glielo aveva sussurrato sulle labbra ed il contatto del suo respiro contro la bocca aveva fatto sobbalzare Asteria.

In un certo senso le era sembrato che respirare la sua stessa aria l'avrebbe soffocata.

Nasser si era irrigidito sul suo posto, mandando giù il groppo di preoccupazione che gli stringeva la gola. Cosa voleva fare Iblīs? Forse pensava di metterla in difficoltà o magari era alla ricerca di un motivo per farle del male.

Non che gli fosse mai servito un motivo per ferire gli altri.

Asteria aveva deciso, comunque sia, di prenderlo come un indovinello, un quesito al quale era necessario rispondere correttamente.

Aveva mosso la mano destra con lentezza snervante, per non agitare Iblīs o eventuali guardie: ci teneva a tornare viva a casa, e se l'era portata al viso.

Gli occhi di Asteria si erano chiusi per qualche secondo, sotto le palpebre le sue due sfere color miele avevano iniziato a muoversi selvaggiamente.

E poi eccole: piccole lacrime rotonde avevano preso a sgorgare, aggrappandosi alle sue ciglia per non cadere.

Con il dito indice ne aveva raccolta una, ci aveva messo talmente tanta attenzione da non schiacciarla contro il polpastrello. Aveva piegato il dito, facendo sì che puntasse verso il terreno mentre osservava la lacrima percorrerle la falange.

Iblīs era rimasto a guardare, eccitato e smanioso di sapere al contempo stesso. Aveva pianto di proposito ed ora stava offrendo quelle piccole lacrime al cemento, a lui.

Plick.

La goccia s'era rotta e le lacrime avevano cessato il loro percorso, lasciando tutti i presenti confusi ed esterrefatti.

"E pensare che dicevi di non esser pazza." Le aveva sussurrato Nasser, ghignando; ma Asteria non gli aveva prestato attenzione, troppo occupata a fissare Iblīs.

Cosa le avrebbe risposto?
Aveva dato la risposta che si aspettava, o aveva sbagliato tutto?

Ma Iblīs rideva, piccoli singhiozzi incontrollabili che cadevano morbidi, cadevano e cadevano.

Crollava tutto, attorno a lui.
Riusciva ad immaginare il proprio cervello deteriorarsi e i pezzi, o i piccoli pezzi viscidi che si staccavano e crollavano sul fondo del proprio cranio.

La sua ragione, la sua ragione stava cadendo, o era già caduta? S'era passato una mano sul viso, artigliandoselo con le unghie lunghe fino a lasciare sulla propria pelle delle strisce rossicce.

Era pazzo? Non importava, non gli importava.

Con l'altra mano, quella stretta attorno al collo di Asteria, aveva tracciato piccoli cerchi immaginari sulla pelle di lei.

Rossa, se la sua pelle fosse stata rossa, se fosse stata viola e poi nera era certo che l'avrebbe adorata.

Che rumore fa il corpo di una femmina quando si infrange a terra?

Gli sarebbe bastato, ecco gli sarebbe bastato uno spintone ben assestato, una sgambetto, un colpo al ginocchio e poi uno al viso per atterrarla.

"Corretto." Aveva invece bisbigliato lui, lasciando che la presa sul collo di Asteria svanisse. Con entrambe le mani libere si era afferrato il collo e poi i capelli, sorridendole.

"Vuoi strangolarmi, Miel?" Riusciva ad immaginarsi le mani piccole e le dita lunghe di lei stringersi attorno al suo collo, smorzargli il respiro e fermare il passaggio del sangue, della pece.

Di che colore si sarebbe tinto, il suo viso?
Viola, rosso, bluastro.

Asteria aveva fatto un passo indietro, sconvolta.
Non pensava, si era chiesto il Re, lei non pensava fosse cosí? Perché, perché diamine lo guardava in quel modo?

Le stava offrendo l'opportunità di una vita!
Cosa piaceva, cosa piaceva, piaceva...piaceva? Non ricordava più a cosa stesse pensando, ma non ne era infastidito.

Si era abituato a non esser più il padrone della sua mente, dei suoi pensieri.

"Perché mai dovrei volerla strangolare, sua Maestà?" Il solo pensiero le aveva dato il voltastomaco, inquietandola al punto in cui le si erano drizzati i capelli dietro la nuca.

Iblīs non capiva, non riusciva a comprendere il perché non volesse. Tutti volevano fargli del male, no? Glielo avrebbe permesso, una specie di ricompensa per aver risposto correttamente alla sua domanda.

Suo padre, ricordava il suo sorriso mentre lo...no, non riusciva ad afferrare quel frammento di memoria. Ma lo sentiva ancora sulla pelle, quella calda sensazione d'umiliazione, di dolore, che lo percorreva adesso come allora.

Le aveva sorriso e, oh, che begli occhi che aveva quella stramba femmina!

Forse, forse sarebbero stati perfetti da tenere, da conservare per sempre. Doveva, ecco lui doveva preservarne la bellezza, il colore caldo che gli ricordava il miele.

"Non mi guardi. Perché non mi guardi, Miel?"

Asteria si era ritrovata a pensare a quanto soffice fosse la sua voce, al tremore dietro le sue parole e al modo in cui teneva la testa lievemente inclinata verso sinistra.

Tutto l'aspetto di Iblīs gridava debolezza, eppure non lo era affatto e la cosa la terrorizzava. Non aveva paura di ammettere di sentirsi in soggezione, spaventata e persino arrabbiata.

Voleva semplicemente tornare a casa con Azef e Alisha, entrare nel suo negozio ed immergersi nell'odore di pagine vecchie e inchiostro.

Si era portata una mano al collo in un movimento istintivo, sobbalzando dal dolore. Iblīs aveva stretto forte, inizialmente, ed era quasi certa che le avesse lasciato qualche livido.

"Non sono degna di guardarla, sua Maestà." La bugia era uscita velocemente, camminando sulle sue gambe come se le parole avessero una coscienza loro.

Non era una menzogna totale: guardare il Re negli occhi equivaleva a sfidarlo e lei non ne aveva la minima intenzione.

Iblīs si era fatto serio, pensieroso, mentre cercava di decidere se fosse vero o meno.

"Dici-dici di non esserne degna, mi mostri rispetto eppure," si era chinato verso di lei per afferrarle il mento con l'indice e il pollice, avvicinandola affinché solo lei potesse sentire, "eppure hai osato interrompere la selezione, non mi hai porto i tuoi saluti appena arrivata ed ora tenti di far fuggire una partecipante senza il mio consenso."

Nasser le aveva rivolto un ghigno consapevole, simile ad un "ora sei proprio nei guai!".

Asteria aveva, ancora una volta, ingoiato le parole velenose che minacciavano di uscire, tentando di mantenere un certo contegno.

Doveva impedire a se stessa d'esser impaurita, bloccare i lunghi brividi di freddo che le percorrevano la schiena e concentrarsi su altro.

Elaborare una risposta era difficile perché, parliamoci chiaro, trovare le parole giuste per accomodare un folle era difficile.

Folle, aveva analizzato quella parola un paio di volte, a mente, concludendo che suonava meglio di pazzo.

"Mi scuso, sua Maestà, se il mio comportamento è risultato offensivo. Non avevo nessuna intenzione di offenderla," aveva chinato la testa in segno di sottomissione, pregando che avesse effetto.

"Asteria, per favore, basta. È stata colpa mia, io ho deciso di venire qui, la prego di punire me e di perdonare la mia amica." Alisha era stata strattonata da Azef il quale non era affatto contento dell'andamento della situazione.

Era rimasto in silenzio per tutto quel tempo, senza interferire, ma dentro di sè si sentiva spaventato. Teneva ad Asteria e ad Alisha con tutto se stesso e non aveva intenzione di vederle perire.

Iblīs aveva lanciato un veloce sguardo ad Alisha, esaminandola con veloce indifferenza.

In realtà era divertito: gli umani erano così deboli davanti ai loro affetti che per proteggerli sarebbero stati disposti a tutto.

Nessuno lo avrebbe fatto, per lui.
Nemmeno suo padre.

"Sai cantare, Miel?" Era tornato a guardare Asteria, in attesa di una risposta. Iniziava ad esser stanco, voleva coricarsi a letto e lasciare a Nasser il compito di finire tutto.

"Si."

Non le piaceva, però.

Detestava cantare, le ricordava sua madre, la donna che l'aveva abbandonata per fuggire oltre oceano.
Gliene aveva parlato la tutrice dell'orfanotrofio, aveva complimentato sua madre con parole dolci, dicendole quanto la sua voce fosse simile alla sua.

Canti come tua madre, come un uccellino alla mattina.

E sua madre, proprio come un uccellino, era volata via lasciandola in un nido non suo.

Iblīs le aveva sorriso, questa volta con più spontaneità, afferrandole la mano con foga.

"Prendi il suo posto," aveva fatto un passo avanti allargando gli occhi come un bambino capriccioso mentre lanciava un veloce sguardo disgustato verso Alisha, "prendi il suo posto e canta per me!"

Asteria aveva aggrottato le sopracciglia, confusa, trattenendosi dallo strattonare via la mano dalla presa di lui.

Come poteva proporle un affare del genere con così tanta disinvoltura?

"Io non credo di poter accettare, sua Maestà." Era rimasta sorpresa da quanto controllo avesse sulla
sua stessa voce, su quanto fosse facile fingersi.

Iblīs aveva aggrottato le sopracciglia, senza mai liberare le mani di Asteria dalla sua presa. Non capiva che motivo avesse di rifiutare, dopotutto le aveva solo chiesto di cantare per lui.

Non era felice? Avrebbe lasciato andare l'altra, insignificante, ragazza e anzi: avrebbe graziato lei di un posto a palazzo. Perché, perché diamine non era felice?

Si era quindi chiesto cosa rendesse gli umani felici, ed era arrivato ad una conclusione: i soldi.

Da quando era al mondo, e ciò equivaleva a centinaia di anni, aveva avuto modo di affiancare gli umani nel corso delle loro misere vite e i soldi, per quanto aveva potuto constatare, li affascinavano.

C'era stato un tempo, forse, in cui non aveva detestato gli uomini, in cui ancora non era stato un pazzo eppure non riusciva a rammentarlo.

Sapeva, lui lo sapeva, che erano lì, quei dannati ricordi erano rinchiusi in uno scompartimento della sua mente ma oh, ahimè, pareva che lui avesse perso la chiave di quell'angolino!

"Venti monete d'oro e venti d'argento ti faranno cantare per me?" L'aveva osservata aggrottare le sopracciglia con confusione, incredulità e curiosità.

In quel momento Asteria, per lui, equivaleva ad un tenero pesce che ignaro nuotava attorno all'amo, al suo amo, e Dio quanto voleva che abboccasse.

"No, sua Maestà."

Asteria si era morsa il labbro, attirando lo sguardo di Iblīs sulle proprie labbra.

Macchie rosse, non sarebbero forse state perfette, le sue labbra, con un tocco di sangue? Sarebbe stata così bella, così dannatamente affascinante, con un tocco di rosso.

"Allora temo che dovrò trattenere la tua amica, dopotutto pare che una dama da compagnia mi serva."

Nasser aveva annuito, dandogli ragione con lo sguardo falsamente annoiato.

Azef aveva stretto Alisha a sé con un po' più di forza mentre Asteria sobbalzava ed inspirava profondamente dal naso.

La stava minacciando?

Che stupida ch'era stata! Stava parlando con un Re, un folle Re, e pensare di guadagnarsi la sua pena era stato da stupida.

Non voleva ascoltare la parte egoista, la parte umana, di sé che le gridava di lasciare Alisha lì, che era stato un errore della minore e non suo.

Perché prendersi la responsabilità di qualcosa che non aveva fatto?

Ma lei amava Alisha come una sorella, l'amava più di quanto avrebbe mai amato se stessa e la cosa la spaventava.

Si era chiesta se sarebbe stata in grado di fare da dama da compagnia al Re, quanto sarebbe sopravvissuta e le risposte che s'era data non le erano piaciute affatto.

Alisha aveva borbottato il suo nome un paio di volte, richiamandola a sé con tono implorante mentre Asteria faceva un passo avanti, sorridendo.

"Che canzone dovrei cantarle, sua Maestà?""

A T T E N Z I O N E
Avete un personaggio che già vi incuriosisce di più? Cosa ne pensate, fino ad ora, di loro?

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