00| L'editto Imperiale
𝕷'𝖎𝖓𝖋𝖊𝖗𝖓𝖔 è 𝖛𝖚𝖔𝖙𝖔, 𝖊 𝖙𝖚𝖙𝖙𝖎 𝖎 𝖉𝖊𝖒𝖔𝖓𝖎 𝖘𝖔𝖓𝖔 𝖖𝖚𝖎.
-William Shakespeare
Gli abitanti del villaggio avevano abbandonato, per la prima volta dopo anni, la loro perfetta maschera di serenità per sostituirla con una fabbricata dalla paura e dalla preoccupazione.
In un posto in cui v'erano sempre le stesse facce, gli stessi negozi e le stesse abitudini, si trovava ora qualcosa a rompere l'equilibrio della quotidianità: una convocazione reale.
Il documento, affisso su ogni angolo della città, aveva smosso qualcosa negli abitanti, attirandoli a sé.
Asteria aveva lanciato un'occhiata veloce al manifesto, evitando di avvicinarsi troppo per non scontrarsi con gli altri.
Il Re pareva essere impazzito e ora, dopo anni di silenzio, aveva finalmente deciso di rendere il popolo consapevole della sua presenza.
Alisha si era stretta il busto con le braccia, facendosi più vicina ad Asteria con una punta di paura a tingerle gli occhi castani.
Incredibile come un solo pezzo di carta riuscisse a scaturire tanto terrore in una folla così grande. Asteria si era chiesta se il Re ne fosse stato consapevole quando aveva deciso di pubblicare il documento e se se ne fosse sentito soddisfatto.
Riusciva a immaginarlo mentre, seduto sul suo trono, rideva della desolante preoccupazione della gente.
Azef, l'apprendista del fornaio, aveva affiancato velocemente le due ragazze per chiedere loro di leggergli ciò che il documento annunciava.
Non tutti erano, infatti, in grado di leggere e scrivere. La maggior parte dei cittadini pensava fossero attività inutili e quindi nessuno si preoccupava troppo di imparare.
Asteria aveva dunque assottigliato gli occhi per concentrarsi meglio sul documento e sulle informazioni che conteneva.
«In data sette aprile dell'anno corrente, il Re Iblīs richiede la presenza volontaria di due cuochi, sei cameriere, dieci guardie, un giullare e una dama da compagnia presso la residenza reale, al mezzodì.
I volontari riceveranno, come compenso, dieci monete d'oro e altre dieci in argento ogni due mesi di servizio. Si invitano inoltre gli abitanti a presentarsi oggi, ventotto marzo, nella piazza del mercato, così da ricevere delucidazioni dal consigliere reale, Nasser.»
Comunicato reale, firmato e autorizzato da sua Maestà il Re.
La voce di Asteria si era spezzata verso la fine, lasciando gli abitanti allibiti. Presto, subito dopo la lettura, i giovani del villaggio avevano iniziato a muoversi, spargendo la voce.
"Il Re è impazzito!" Aveva urlato Alisha, aggrappandosi al braccio di Asteria per ricercare un minimo di conforto.
L'amica si era però limitata a metterle una mano sulle labbra, zittendola.
"Non farti sentire, potrebbero condannarti a morte per una frase del genere." Si era guardata in giro, accertandosi che non vi fosse nessuna guardia, per poi lasciare andare Alisha.
Ma lei proprio non ne voleva sapere di tacere e così, sotto gli sguardi ammonitori di Azef e di Asteria, aveva ripreso a parlare.
"Vuoi sapere il perché sta richiedendo nuovo personale?"
Sempre più gente si stava ora radunando vicino ad Alisha per sentire con le proprie orecchie quali terribili notizie potesse avere la ragazza.
E così Asteria si era costretta ad annuire, osservando l'annegare della piazza.
Nonostante odiasse i pettegolezzi, si sentiva in dovere di sapere ciò che stava accadendo e il perché il Re cercasse nuovo personale.
"Ho sentito dire, da un amico che abita nella capitale, che il Re non dorme per più di mezz'ora al giorno da anni! E pare proprio che sia impazzito, uccidendo tutto il personale del castello.
È per questo che vuole convocare nuova gente: perché ha ucciso tutti i suoi precedenti servi!"
Asteria era rimasta paralizzata sul suo posto, incredula. Non c'erano prove per verificare che ciò che Alisha aveva detto fosse vero, ma che motivo avrebbe avuto di mentire?
I cittadini che avevano assistito al discorso si erano guardati tra di loro, senza fiato e con le labbra schiuse in segno di profondo stupore.
"È meglio incamminarci verso la piazza del mercato." Aveva borbottato Azef, lanciando uno sguardo di rimprovero ad Alisha. Era riuscita ad attirare più attenzione di quanto lui e Asteria volessero e ora le persone erano ancora più nel panico.
La loro destinazione non era lontana, un paio di minuti a piedi, eppure quel giorno la strada era ancora più gremita di gente, rendendo difficile il passaggio.
Una volta a settimana ci si recava al mercato per acquistare stoffe, spezie e molti altri beni. Quasi tutti partecipavano. Si allestiva il proprio banco e si vendeva qualsiasi cosa avesse un minimo di valore, con lo scopo di racimolare qualche moneta in più.
"Non credo che esista gente tanto pazza da offrirsi volontaria. Il Re dovrà trovare un altro modo per procurarsi del nuovo personale."
Gli occhi grandi di Azef avevano ispezionato i volti di diversi abitanti, arrivando a un'unica conclusione: avevano tutti paura e per nulla al mondo si sarebbero recati volontariamente dal pazzo sovrano.
"Il compenso è molto alto, però." Asteria l'aveva borbottato a mezza voce, sperando che solo Azef e Alisha la sentissero.
Dieci monete d'oro e altre dieci in argento ogni due mesi equivalevano a un totale di centoventi monete in un solo anno.
Una tale somma di denaro lei non l'aveva mai vista, tanto meno i suoi concittadini.
Alisha, nel sentirla, aveva roteato gli occhi.
"Nessuno pensa che il denaro offerto sia poco, ma credi davvero che sopravvivrebbero per due mesi con il Re? L'unica costante del nostro sovrano è il suo consigliere, Nasser."
Il tono di Alisha si era fatto restio, acido nel pronunciare quel nome. Tutti coloro facenti parte del regno di Re Iblīs consideravano Nasser un traditore del popolo.
Alcune donne narravano di come l'uomo avesse sacrificato la propria anima al diavolo per ottenere il posto di consigliere reale.
Asteria non era, comunque sia, della stessa opinione.
Provava pena per Nasser e per il loro Re che, maledetto dagli dei, era costretto ad abitare in una terra perennemente ghiacciata: Ajiba.
In quest'ultima vi era il castello del Re e poi il nulla, metri e metri di terreno ghiacciato. L'unico cambiamento di paesaggio si trovava alle porte d'uscita, verso est; lì vi era una piccola radura, in passato usata come terreno di caccia.
Il sovrano era quindi condannato a vivere ad Ajiba, il luogo in cui nulla poteva nascere ma dove tutto doveva morire.
"Come pensate che sia, il Re? Di aspetto, intendo." Asteria non era riuscita a trattenere quella strana curiosità che man mano aveva iniziato a soffocarla.
A Iblīs venivano attribuite moltitudini di descrizioni diverse. Alcuni ipotizzavano avesse un'accesa carnagione rossa, simbolo del sangue che aveva sparso per il regno, mentre altri erano sicuri fosse nera quanto i suoi occhi.
"Mia madre era solita raccontarmi, quando ero piccola, che il Re fosse alto tre metri e che avesse lunghissimi artigli per uccidere i nemici." Alisha aveva alzato il viso verso il cielo, pensierosa.
Di sua madre ricordava solo quelle brevi storie. Era stata lasciata in orfanotrofio quando era solo una bambina e ora quei racconti erano tutto ciò che possedeva di lei.
La sua storia veniva narrata da centinaia e centinaia di anni eppure, Asteria ne era sicura, nessuno sapeva realmente qualcosa di lui. Alle volte pensava che nessuna delle informazioni che il popolo possedeva sull'uomo fosse reale.
Il Re era al potere da un lasso di tempo relativamente sconosciuto. Gli anziani del villaggio erano sicuri che, quando loro erano ancora bambini, Iblīs fosse già sul trono.
In pochi avevano avuto l'onore, o meglio la sfortuna, di vedere il volto del sovrano e pareva che nessuno di questi fosse sopravvissuto. Nessuno eccetto Nasser, per questo i popolani diffidavano di lui.
Alisha era certa, a differenza di Asteria, che il Re avesse un aspetto mostruoso. Era come se avesse bisogno di immaginarselo con sembianze demoniache perché, onestamente, se fosse stato un uomo attraente, sarebbe riuscita a considerarlo ancora un mostro?
Ah, quanto poteva esser pericoloso e ingannevole l'aspetto fisico!
Azef si era lasciato andare a una sonora risata, mentre avanzava con le due verso la piazza.
"Certo, e magari ha anche tre braccia!"
Asteria aveva riso a sua volta, prendendo in giro la giovane amica. Alisha aveva compiuto diciassette anni due mesi prima ed era di cinque anni più piccola di Asteria e di Azef.
Erano cresciuti tutti e tre assieme nell'orfanotrofio del villaggio, nessuno si era quindi sorpreso quando avevano deciso di prendersi un piccolo appartamento assieme.
"È lui, è Nasser!" Aveva strillato un uomo tra la folla, puntando l'indice verso il palco in cui si tenevano le danze per le feste.
La gente si era, per un attimo, ammutolita.
Nessuno osava parlare e di incontrare lo sguardo del consigliere del Re non se ne parlava nemmeno.
Ma quell'assurdo silenzio era durato poco. Presto la gente aveva iniziato a strepitare, ponendo domande e lanciando imprecazioni verso l'uomo sul palco, ordinandogli di dare spiegazioni.
Asteria aveva fatto cenno ad Azef di abbassarsi per portarla in spalle visto che, da dove si trovava, non riusciva a vedere altro che grovigli di capelli e profili di volti conosciuti.
E così l'amico aveva piegato le ginocchia, permettendole di far scivolare le gambe sulle sue spalle, senza aver nulla da ridire.
"Sei proprio strana," le aveva sorriso Alisha, scuotendo la testa, "io non ho nessuna voglia di vedere il viso di un mostro del genere, invece te non vedi l'ora."
Asteria aveva sollevato gli angoli delle labbra, stringendosi nelle spalle con fare noncurante.
"Voglio solo dare un'occhiata." E con un ultimo sorrisetto si era voltata a guardare Nasser.
Era un'opportunità, si era detta lei, più unica che rara. Finalmente avrebbe visto un volto nuovo. Sarebbe stato solamente qualcosa di nuovo. Qualcosa per spezzare la monotonia.
Le sue aspettative erano state, in un certo senso, stravolte non appena aveva individuato il viso giovane dell'uomo. Quest'ultimo sostava in piedi sulla pedana, il mento alto in segno di orgoglio e gli occhi assottigliati per scrutare ogni singola persona lì presente.
Le era sembrato un uomo piuttosto scontroso, magari anche un po' egocentrico, ma i tratti del suo viso nascondevano delle sfumature infantili.
Forse era stato il lavoro, si era detta lei, a dargli quell'aria così minacciosa. Una sorta di deformazione professionale che gli si era avviluppata addosso, deformando sia il suo carattere sia il suo aspetto.
Nasser aveva le sopracciglia costantemente aggrottate in un'espressione di puro fastidio: non voleva essere lì tanto quanto gli abitanti, aveva realizzato Asteria.
L'uomo aveva raddrizzato la sua postura, il petto largo e fiero si era lentamente sollevato. Pareva non curante nei confronti delle grida e degli epiteti maligni che gli abitanti gli stavano rivolgendo.
"Ha davvero gli occhi completamente neri?" Le aveva sussurrato Alisha, senza riuscire a contenere la curiosità.
Azef e Asteria avevano trattenuto una risatina divertita; ah, i pettegolezzi! Persino lei aveva ceduto alla curiosità, non vi era una singola persona a non averlo fatto.
"Direi proprio di no, hanno il colore del legno bagnato." Aveva notato, inoltre, che erano piuttosto piccoli; questo particolare non aiutava di certo la sua costante espressione accigliata.
Alisha aveva annuito, forse delusa.
Si era aspettata di vedere Asteria boccheggiare per la paura, invece le era parsa rilassata e per niente turbata. Si era però detta che fosse normale: l'amica aveva sempre avuto un atteggiamento neutro e incurante in ogni situazione.
Magari Nasser era davvero il mostro che tutti dipingevano e Asteria stava solo fingendo di non esserne toccata.
Gli altri abitanti, invece, erano dello stesso parere della maggiore: Nasser non aveva affatto l'aspetto di un demone e non sapevano se esserne delusi o entusiasti.
Per una frazione di secondo i loro occhi si erano incontrati e scontrati in una sfida all'ultimo sguardo. Come animali si erano contesi una dominanza inesistente, tentando di asserire quanto l'uno fosse superiore all'altro.
Asteria aveva inclinato la testa, sostenendo senza problemi i due occhi sconosciuti, forse nemici, che parevano giudicarla.
Chissà se Nasser li considerava strani, non adatti ai suoi canoni di bellezza.
L'aveva visto alzare una mano in aria, chiudendola velocemente a pugno per intimare ai presenti di fare silenzio.
Con un piccolo ghigno di soddisfazione aveva quindi preso a parlare, lasciando che le sue parole fluttuassero leggere nell'aria.
"Suppongo che tutti i presenti siano a conoscenza dell'editto imperiale, non è forse così?" Aveva cercato lo sguardo degli abitanti che, per nulla contenti, guardavano i ciottoli ai loro piedi.
Non avrebbero rivolto nemmeno uno sguardo a un mostro del genere, era poco ma sicuro!
Nasser non ne era sembrato infastidito, forse era abituato a simili trattamenti o forse perché non li riteneva abbastanza importanti per farsi influenzare dalla loro ostilità.
"Sono sicuro abbiate delle domande, vi prego quindi di farvi avanti uno alla volta e di chiedere ciò che volete." Aveva preso un respiro profondo, chiudendo un attimo gli occhi per ricercare un po' di calma.
"Ripeto: uno alla volta, non gradisco la confusione."
Il suo tono si era inasprito, facendosi duro e glaciale.
Asteria si era sentita percorrere la schiena da un lungo brivido, la pelle le si era accapponata e le era parso che i capelli le si fossero drizzati.
Ora capiva la paura dei suoi concittadini, la capiva e la giustificava pienamente.
Nasser era riuscito a far tacere una folla intera con otto semplici parole e, dal sorrisetto soddisfatto che gli si era dipinto in viso, Asteria si era detta che quella non era affatto la prima volta che lo faceva.
Il consigliere reale le aveva lasciato addosso una strana sensazione di inadeguatezza nonostante sembrasse poco più grande di lei, magari era persino un suo coetaneo.
Un uomo anziano, forse sulla settantina, aveva alzato una mano in aria per reclamare l'attenzione di Nasser il quale, con impazienza, gli aveva fatto cenno di parlare.
Ad Asteria era sfuggito un verso di scherno nel vedere la scena: come poteva trattare così un uomo più anziano di lui?
Nasser aveva fatto saettare gli occhi verso di lei, come se l'avesse sentita, alzando un lato della bocca in un sorrisetto ironico.
Era impossibile che l'avesse udita, ma era invece ovvio che avesse visto la sua espressione di pura disapprovazione. Lei, comunque sia, non aveva la minima intenzione di nascondere o dissimulare tutto il fastidio che stava provando.
"Irrispettoso..." aveva borbottato lei, tirando una ciocca di capelli di Azef per distrarsi. Era certa, quella volta, che Nasser non avesse potuto sentirla.
Aveva sussurrato talmente piano che persino Azef, che ancora la teneva sulle spalle, aveva fatto difficoltà a percepire le sue parole.
Contro sua ogni aspettativa, il ghigno dell'uomo si era ulteriormente allargato, guardandola come se avesse realmente voluto scendere dalla pedana per accoltellarla.
I loro sguardi si erano quindi distanziati e Nasser aveva riportato la sua attenzione sull'uomo.
"Che fine hanno fatto i precedenti servi del Re?" La voce dell'anziano era uscita piano dalle sue labbra, tradendo un po' di timore. Tremava, si era resa conto lei, ma teneva lo sguardo alto, fiero, e lo puntava dritto negli occhi sereni di Nasser.
La folla era rimasta in religioso silenzio; tutti volevano conoscere la risposta. Alisha aveva invece roteato gli occhi, continuando a sostenere la sua tesi: il Re li aveva uccisi.
"Sono stati sollevati dai loro incarichi," Nasser aveva risposto velocemente, come se si fosse aspettato quella domanda e avesse già preparato una risposta. L'anziano aveva annuito nonostante non sembrasse convinto.
"Mio figlio era una guardia del Re, quando tornerà a casa?"
A quel punto il silenzio si era fatto ancora più pesante, intriso di risposte e supposizioni per nulla confortanti. Nasser aveva guardato l'uomo con un sopracciglio inarcato, mostrando minimo interesse.
"L'unica cosa da cui il Re li ha sollevati è la vita; suo figlio non tornerà a casa, lo sappiamo tutti." Aveva borbottato Alisha con la rabbia a scuoterle il petto. Azef le aveva colpito un braccio, spalancando gli occhi e sussurrandole di tacere.
"Chi ha parlato?" Il consigliere si era portato una mano ai capelli senza però preoccuparsi di contestare l'affermazione di Alisha, la quale si era rannicchiata dietro la schiena dell'amico.
Aveva parlato troppo, se n'era resa conto quando ormai era tardi e ora Nasser pareva infastidito, molto infastidito. Asteria aveva abbassato la testa per scambiare uno sguardo con il compare, preoccupata.
Di certo non potevano esporre Alisha come colpevole, non se ne parlava nemmeno; dopotutto aveva solo diciassette anni, era normale parlare troppo.
Asteria aveva quindi lasciato che un sospiro uscisse pesante dalle sue labbra per poi alzare velocemente il braccio, attirando su di sé l'attenzione di Nasser e degli altri abitanti.
Anche loro sapevano che non era stata lei a parlare, ma nessuno aveva osato smascherarla, nemmeno Azef il quale pareva genuinamente preoccupato per l'amica. Alisha, invece, aveva boccheggiato mentre tirava Asteria per il vestito, bisbigliandole un: "non prenderti la colpa per me!", ma ormai il dado era già stato tratto.
"Parli molto per essere una semplice popolana." Le aveva sorriso, cattivo, umiliandola davanti a decine di persone. Non le era sfuggito il fatto che le avesse dato del tu in maniera troppo confidenziale, troppo intima.
Aveva ricambiato il sorriso, serafica, leccandosi le labbra nel vano tentativo di trattenere le parole velenose all'interno della bocca. Azef le aveva pizzicato una gamba, consapevole del temperamento dell'amica, in una pietosa richiesta di silenzio.
Dopotutto Asteria era conosciuta per la sua lingua affilata.
"E voi parlate troppo poco per essere un servo del Re." Non avrebbe lasciato che la schernisse pubblicamente, non senza controbattere, perlomeno.
A Nasser non era sfuggito il modo in cui aveva marcato la parola 'servo', come se servire il Re fosse di gran lunga più disdicevole e umiliante di essere una popolana.
Ancora una volta si erano sfidati con lo sguardo, entrambi pronti ad attaccare nel caso in cui fosse stato necessario. Azef aveva deciso di salvare l'amica da un altro scambio di frecciatine, facendo saettare la mano in aria e preparandosi mentalmente una domanda da porre.
"Per quanto tempo sono richiesti i nostri servigi?" Non che gli interessasse particolarmente visto che non aveva la minima intenzione di candidarsi. Il suo unico obiettivo era distrarre Nasser dal guardare Asteria.
Il suo piano aveva miracolosamente funzionato: Nasser aveva distolto lo sguardo dalle iridi color miele di Asteria per puntarlo con fare annoiato su Azef.
"Sarà il Re a decidere quando porre una fine ai vostri servigi, potreste rimanere al castello per due mesi così come per due anni." Aveva evitato di dire, comunque sia, che la fine dei loro servigi equivaleva, nella maggior parte dei casi, alla fine della loro vita.
Non aveva nessuna voglia di scatenare ancora più confusione, era già difficile convincere qualcuno a offrirsi volontario, figuriamoci se avesse detto loro quale destino li aspettava.
"Cosa farete se nessuno si dovesse proporre come volontario?" Asteria non si era preoccupata di alzare la mano, di chiedere il permesso di parlare, aveva agito e basta. Alisha l'aveva strattonata per la seconda volta e Azef, scontento, aveva sospirato.
Attirare tutta quell'attenzione non andava bene.
Il consigliere del Re s'era leccato le labbra mentre infilava le mani nelle tasche dei suoi costosissimi pantaloni in seta rossa, scoccandole un'occhiata tra il divertito e il pensieroso.
"Come ti chiami?" L'aveva osservata corrucciare le sopracciglia e assottigliare le labbra in un'espressione sdegnata: continuava a darle del tu come se la conoscesse e la cosa, lui se ne era reso conto, la infastidiva.
"Asteria Fahim." Aveva alzato il mento, ancora infastidita.
Nasser si era aperto in un profondo sorriso, piegandosi in avanti come a volerle sussurrare qualcosa di intimo, di segreto, ma erano troppo distanti e diede quindi l'impressione di volerla prendere in giro.
"Nel caso in cui non ci dovessero essere volontari, procederemo a fare un'estrazione e credimi, ricorderò il tuo nome alle perfezione, Asteria Fahim."
La minaccia l'aveva colpita dritta al petto, lasciandola momentaneamente a corto d'aria. Avevano ragione i suoi concittadini a trattarlo come un demone, e pensare che fino a pochi minuti prima aveva provato pena per lui!
Il suo sguardo si era fatto duro, accusatorio, e così aveva afferrato il suo scialle trasparente, di un azzurro pastello, posandoselo sui capelli neri e coprendosi la fronte per ripararsi dal sole.
Quindi aveva lanciato l'ultimo, lungo, sguardo verso l'uomo.
"Credimi," aveva iniziato a parlare lei, abbandonando il tono formale e dandogli del tu a sua volta, "il tuo nome lo dimenticherò entro il sorgere del Sole."
Era scesa dalle spalle di Azef il quale, con il volto pallido, l'aveva osservata nello stesso modo in cui avrebbe studiato uno svitato. Rispondere così alla persona più vicina al Re era da pazzi, ne era consapevole, ma lo stesso Re era pazzo, magari persino Nasser lo era, quindi cosa contava che lo fosse anche lei?
Aveva incrociato per l'ultima volta lo sguardo del consigliere, voltandosi per andarsene dalla silenziosa piazza del mercato.
Improvvisamente, quelle dieci monete d'oro e d'argento le parevano stranamente invitanti.
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