10. Chapter ten ~•~ Dream
Nel Capitolo precedente
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«Sono qui, e non ho intenzione di andarmene di nuovo» rispose Alec passando le dita tra i capelli corvini del compagno.
I suoi occhi gialli erano lucidi ma vi si poteva ancora notare l'alone della sofferenza provata fino a poco prima.
«Ora per carità, riposatevi, al vostro risveglio ci saremo noi e Adrian, e speriamo di riuscire a capire qualcosa di questa situazione» esclamò Catarina muovendo ritmicamente le braccia verso il cielo, facendo ridere nuovamente Izzy.
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Chapter Ten
Dream
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Alec aprì gli occhi e cercò di non farsi prendere dal panico.
Era al buio, un buio rischiarato da una lieve luce proveniente da chissà dove ma, che non gli permetteva di vedere abbastanza per capire dove si trovava.
Voleva alzarsi e scappare, correre via e urlare, ma niente di tutto quello gli veniva possibile.
Si sentiva stanco e senza forze, come se fosse legato e non potesse muoversi.
Apriva gli occhi tentando di studiare l'ambiente circostante, ma la vista era appannata, come se fosse immerso in una vasca d'acqua calda, ma stranamente non sentiva il bisogno di respirare.
Solo in un secondo momento realizzò che effettivamente si trovava immerso dentro l'acqua, e che non stava respirando, ma questo non sembrava creargli alcun problema.
Il silenzio fu improvvisamente distrutto, e Alec riuscì a vederne i pezzettini sgretolarsi e cadere giù, come se fosse fatto di materia, mentre la sua testa veniva invasa da urla di dolore, grida e altri strani suoni di cui non capiva la fonte.
Voleva gridare alche lui, dirgli di smetterla, voleva prendersi la testa tra le mani tentando di isolarsi da tutto quello, ma ancora una volta le sue mani erano legate.
Dopo quelli che gli parvero minuti interminabili, tutto tacque e una voce dolce parlò sopra il caos che vi era "fuori".
Alec non sapeva chi era, o cos'era, a dir la verità non riusciva neanche a capire cosa gli stava dicendo, ma quella voce tanto dolce, anche se piena di paura, lo faceva sentire al sicuro e si rilassò leggermente, come cullato.
Oltre a quella voce ora ne sentiva un'altra, più dura ma pur sempre bella, che lo rilassò in modo diverso confronto alla precedente.
Si sentiva ugualmente protetto, anche di più, e un nuovo calore gli scaldò il cuore.
All'improvviso sentì una parola, pronunciata dalla seconda voce, fattasi improvvisamente più tenera e malleabile.
-Alexander...-
Non sapeva cosa voleva dire, ma si sentì stranamente legato a quella parola e alla voce che la pronunciava.
Inaspettatamente il buio venne rischiarato da una luce azzurra che lo avvolse con la sua brillantezza, facendolo sorridere.
Voleva toccarla e finalmente la sua mano si staccò dal resto del corpo e le dita si immersero in quella scia azzurra che gli fluttuava davanti agli occhi.
Alec corrugò le sopracciglia alla vista della sua mano talmente piccola da sembrare quella di un neonato.
Era spaventato e tentò di tirare via la mano, ma non appena essa entrò in contatto con quella strana luce, questa diventò di un brillante color magenta, avvolgendolo e accecandolo.
Alec si svegliò di soprassalto accecato dalla luce che gli sferzò il viso, ma sta volta era la luce del sole che filtrava dalle tende.
Si trovava nella camera da letto di Magnus, stretto al suo petto come la notte precedente.
Gli si strappò di dosso, con uno scatto, e si trovò seduto con il respiro corto e la gola che bruciava come se avesse urlato con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
«Ehi ehi» sussurrò dolcemente lo Stregone, sedendosi a sua volta e accarezzandogli teneramente la guancia.
«Era solo un incubo» gli mormorò contro la tempia, lasciando un lieve bacio sulla pelle sudata.
Alec si voltò a guardarlo, e notò che, nonostante le parole di conforto, aveva un'espressione corrucciata e preoccupata.
«Non era un incubo» disse Alec all'improvviso, passandosi una mano tra i capelli, anch'essi umidi di sudore.
«Poco prima di svegliarti, hai iniziato ad agitarti, e continuavi a ripetere "Alexander"» spiegò lo Stregone posando nuovamente la schiena contro i cuscini.
Alec lo osservò con espressione turbata e confusa, ma tentò comunque di rilassarsi e posò nuovamente la testa sul suo petto, respirando profondamente.
«Non era affatto un incubo» ripeté ancora, come una litania.
Non era un incubo, ma neanche un sogno.
«Era molto confuso, ma era come un ricordo, qualcosa che...» si interruppe subito non appena notò l'espressione dell'altro, non voleva spaventare ulteriormente Magnus vaneggiando su qualcosa che forse non aveva alcun significato.
«Lasciamo perdere, forse era solo uno stupido sogno» rise leggermente, sollevando il viso e lasciando un bacio contro la bocca di Magnus.
«Okay» mormorò lo Stregone, poco convinto, ma se Alexander aveva deciso di non pensarci più, lui era intenzionato a seguire il suo desiderio.
«Forza, andiamo di là, sto morendo di fame» disse Alec con un sorriso, tirandosi su dal letto, pronto a vestirsi e iniziare quella nuova giornata che sicuramente avrebbe dato qualche risposta.
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Alec sorrise non appena mise piede nella sala.
«Oddio» rise Magnus «Fai silenzio, devo fare assolutamente una foto, Catarina mi ucciderà ma ne vale la pena» mormorò tornando silenziosamente in camera da letto.
Il malumore dell'anomalo risveglio, totalmente dimenticato per entrambi.
Catarina e Isabelle erano addormentate in uno dei grandi divani.
Erano protette da una grossa coperta dall'aspetto morbido e caldo, e dormivano profondamente.
Alec rise rumorosamente quando notò il viso della Strega quasi totalmente coperto dai capelli spettinati di Izzy.
«E ora dite "Buongiorno"» rise Magnus tornando in sala e puntando il telefono sulle due profondamente addormentate.
Il "click" dello scatto venne sostituito dal forte flash, che stordì anche Alec, svegliando di soprassalto le due.
Catarina balzò in piedi, muovendo alla cieca le mani in un tentativo di attacco e Isabelle invece si era tirata su a sedere, stringendosi forte la coperta addosso, come se essa potesse difenderla.
Magnus scoppiò in una grossa risata e Alec non poté far altro se non ridere con lui.
«Siete due stronzi!» sbottò Catarina, che aveva chiaramente intuito cosa era successo.
Spostò lo sguardo nuovamente sul divano, e su Izzy, e entrambe arrossirono guardando altrove.
Isabelle mise via la morbida coperta, alzandosi dal divano, e si accostò il fratello.
«Come ti senti?» gli domandò posando una mano sulla sua guancia e accarezzandola lentamente.
«Ora sto molto meglio» sorrise guardando Magnus che invece stava ancora ridendo di Catarina, mentre lei cercava di rubargli il cellulare.
«Dove sono la mamma e Jace?» chiese passandosi la mano sulla fronte, non appena avvertì un principio di mal di testa.
«Ieri notte sono tornati all'Istituto» disse Isabelle, «Jace ha promesso di tornare stamattina, la mamma invece forse viene più tardi».
Alec annuì pensieroso, sperando che la madre non raccontasse tutto a loro padre.
Era già difficile gestire il Sommo Stregone di Brooklyn, un fratello iperprotettivo e uno strano sogno che lo tormentava.
Non era certo di poter sopportare anche Robert Lightwood.
«Okay allora, credo che aspetteremo l'arrivo di Jace per, bhe... discutere della situazione» disse sedendosi sul divano e notando Isabelle arrossire ancora.
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Si trovavano tutti nel soggiorno e si fissavano a vicenda.
Nella stanza regnava il silenzio totale, e gli occhi di tutti parevano esaminare gli altri, come a giudicare l'un l'altro.
«Dio, sembriamo un club per alcolisti anonimi» disse Ragnor osservandosi le unghie, «E io che, stupidamente, pensavo di vivere una vita fantastica e piena di avventure ora che sono entrato in una cerchia di Shadowhunters!» continuò e fu premiato da qualche risatina soffocata.
«Io ero più che felice della vita che stavo facendo!» ribatté Jace infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni e osservando Alec, ancora.
«Già, mi immagino che gran divertimento dovesse essere la tua vita» rispose Ragnor osservandolo senza un'espressione precisa.
«Rompendo le scatole al tuo migliore amico affinché diventi a tua immagine e somiglianza, inseguendo una rossa che non ti fila e tagliandoti i polsi perché ora Alec scopa e tu no» elencò alzandosi e camminando elegantemente in mezzo alla sala.
Alec arrossì come non mai e vide Magnus, accanto a sé, ridacchiare del sio imbarazzo.
Jace si alzò di scatto, senza però muoversi e Maryse, seduta accanto a lui, gli posò una mano sul braccio.
«Tu non sai nulla della mia vita, e non vi perdonerò mai per avermi portato via il mio migliore amico!» disse lentamente, scandendo parola per parola, mentre Alec abbassò lo sguardo ferito.
Ragnor sorrise, ma era un sorriso gelido e la minaccia era chiara nei suoi occhi.
«So più di quanto tu credi, e non ti perdonerò mai per aver tentato di uccidere il mio migliore amico» rispose portando a galla quello che era successo un paip di giorni prima.
Sul viso di Jace comparve nuovamente l'espressione piena di rimorso e prese nuovamente posto accanto alla madre, in silenzio.
«Bene» intervenne Catarina alzandosi dal divano anche lei e camminando nervosamente, riempendo la stanza del ticchettio dei suoi tacchi.
«Tra poco arriverà Adrian e potreno finalmente capire qualcosa di tutto questo» disse indicando Alec e Magnus, come fossero un esemplare strabo di demone.
Il campanello suonò allegramente e Ragnor si allontanò per aprire, prima che qualcuno potesse fermarlo.
Ragnor aprì la porta e storse il naso alla vista dell'ospite.
Davanti a lui si trovava un ragazzo di piccola statura, con lunghi capelli liscissimi e bianchi, dai quali spuntavano due lunghe orecchie a punta, pelle chiara e un sorriso dai denti appuntiti come sciabole.
Il classico Seelie, pensò Ragnor.
«Hai intenzione di farmi entrare Stregone o pensi di continuare ad ammirare la mia magnificenza?» chiese quello con voce sottile da bambino, e con un ghigno che non si addiceva ad un viso così delicato.
Aveva un'espressione di chi pretendeva di avere ciò che voleva e quando lo voleva, come se tutto gli fosse dovuto.
Ragnor se lo ripeteva da secoli!
Mai fidarsi dei Seelie.
«Sia mai che con il mio sguardo sciupi questo bel fiore» rispose con una nota ironica, spingendolo dentro e chiudendo la porta con un tonfo.
«Come osi!» sbottò il giovane Seelie lisciandosi con la mano la giacca fiorita che indossava.
«Sono uno dei Seelie preferiti della Regina, se lei-» iniziò tutto indispettito, ma venne interrotto dall'altro.
«Suvvia fiore, non arruffare i petali» lo beffeggiò lo Stregone prendendo una ciocca di quei particolari capelli bianchi e rigirandosela giocosamente tra le dita.
«Fatto vuole che non sei nei meandri della terra sotto la gonnella di Sua Maestà, e quindi La Regina non può fare nulla per qualche battuta di pessimo gusto» rise lasciando andare i capelli con una smorfia.
«Quindi puoi anche smetterla di fare il bambino con la puzza sotto il naso, qui non sei superiore a nessuno» mormorò lentamente, con uno sguardo che non aveva nulla di ironico, voltandogli le spalle e allontanandosi verso la sala.
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