XXIV

- Sì, certo... Immagino, Sir Conrad. É stato un assurdo incidente, glielo assicuro.

Steven si volta verso di me e per un attimo mi sento di nuovo a scuola, quando il professore di geometria cercava l'alunno da interrogare.

- Ora è qui al sicuro, ma è chiaro che la situazione potrebbe ripetersi. Non possiamo permettere che una nostra collaboratrice venga minacciata in un modo così deplorevole.

Silenzio. Steven rimane immobile seduto sulla poltrona per quasi un minuto. Siamo in tre nel suo ufficio, alla Lunar House. Connor è svanito chissà dove con la sua Land Rover, salutandoci con la mano quando abbiamo lasciato Portobello Road. Sull'auto di Steven, mi sono chiusa nel più assoluto silenzio fino a quando siamo giunti qui: un po' offesa con Connor, forse turbata, ma ben mi sta dopo le illazioni che gli ho esternato al "Mary's Secrets".

- Capisco, Sir. - riprende d'improvviso Steven Bellamy, alzando gli occhi al cielo.

Mi squadra nuovamente e per far evaporare la tensione mi guardo la punta dei piedi.

- Non ne dubito. Le faremo sapere. Grazie ancora.

Steven riappende e contempla la sua scrivania mentre si rivolge ai suoi due uditori.

- La polizia ha passato Claudia da indagata a vittima di tentato omicidio e tentata violenza. Le indagini sono state reindirizzate nel modo che volevamo. I nostri uomini al Ministero hanno fatto un ottimo lavoro con Scotland Yard...

- Oh, bene... Sono...

- ... Ma il tuo appartamento rimarrà sotto sequestro per parecchio tempo. Occorre trovare un'alternativa. I nostri uomini avranno cura di portare via tutti gli indumenti dal tuo guardaroba e gli effetti personali, documenti e tutto l'indispensabile.

- Oh, mannaggia!

- Abbiamo già trovato una soluzione, dottoressa Casterman, non si preoccupi.

- Certo, professore. Ma sono affezionata a quell'appartamento. E poi...

Il telefono squilla nuovamente e Steven inizia un breve dialogo fatto di "certo, signore", "senz'altro, signore", quasi copia incolla di quello precedente e che termina quando alza il braccio con la cornetta in mano.

- Claudia! Tuo padre al telefono.

Rimango di sasso per qualche secondo e poi mi alzo cercando di lisciare le pieghe sui pantaloni di recupero, per poi controllare se la camicia è abbottonata. Quindi afferro il telefono.

- Pronto?

- Per la miseria, Claudia, come stai? Io e la mamma stavamo morendo di paura.

- Io... Io sto bene, sono solo un po' stanca, ecco...

- Ma che diavolo è successo? Carmen è sconvolta. Dice che la polizia ti cercava per arrestarti. Che hai buttato uno giù dalla finestra.

- Oh, ma papà... Non dire assurdità! Non sono quasi capace di buttare fuori dalla finestra neanche un insetto...

Steven e Galloway ridacchiano, io cerco di nascondere il mio imbarazzo dando loro le spalle e tenendo bassa la voce.

- Comunque è tutto chiarito adesso. Sono entrati in casa per aggredirmi. Sono io la vittima.

Silenzio.

- Papà?

- Claudia, tesoro, vengo subito a prenderti e torni con me in Italia!

- Mamma? Ma che ci fai con papà?

- È una specie di call conference, così ci hanno detto, amore. Ma sarai sotto shock... Ti prego, Claudia, vieni via da quel...

- No, mamma. Rimango qui. Non posso e non voglio scappare. E poi...

Mi volto verso il professore e Steven, che mi osservano interessati.

- E poi non posso lasciare il Paese. Le indagini sono in corso anche se ormai è tutto finito. State tranquilli.

- Allora saliamo noi... - aggiunge papà.

- No, ecco. Questo no! Non posso permettere che voi... Che veniate qui... Rischiando... Non voglio e me la cavo benissimo da sola, insomma. Non è il caso.

- Diamine , sei sempre la solita testarda. Un mulo, ecco.

- Ma, tesoro, dopo tutto quello che ti è successo un anno fa...

- No! - li interrompo in modo brusco, quando entrano in un territorio pericoloso - Vi ringrazio. So che lo fate per il mio bene, ma davvero non è il caso. Sto benissimo e ciò che è successo è stato davvero un episodio spiacevole. Ma solo un episodio, tutto qui.

- Cara...

- Ora però vi devo lasciare. Vi voglio bene. Tanto.

- Anche noi, tesoro.

- Un mulo. Ma ha preso da te, Maria, lo sai che ha preso da te.

- Ma smettila, cinghiale. Per fortuna non ha preso da te.

Sorrido nel sentire le loro scaramucce. Sebbene separati, quando si incontrano sono spassosi e si vogliono ancora un gran bene. Li saluto ancora, sorbendomi una lunga lista di raccomandazioni che ascolto con infinita pazienza e alla fine crollo su una sedia, esausta. Il professor Galloway nel frattempo è uscito dall'ufficio, per cui siamo rimasti soli io e Steven. E' lui a rompere il silenzio e l'imbarazzo.

- Sono davvero spiacente per quanto accaduto, Claudia. Ma il segreto su questa faccenda è fondamentale.

Lo guardo. Ora posso dire di averlo giudicato con eccessiva severità. La "faccenda" che cita è degna del massimo riserbo, sebbene alcuni aspetti di questa gestione non mi siano piaciuti.

- Lo so, Steven. Ti chiedo solo di lasciarmi un po' di tempo per pensare a tutto quanto.

- Tutto il tempo che vuoi, Claudia.

- Steven, non vorrei apparire pedante, ma ho davvero bisogno di...

- Ops. Certo, tranquilla. Mentre parlavi al telefono abbiamo avuto la conferma per la soluzione che abbiamo pensato.

- Che sono io!

La voce arriva dalla porta d'ingresso dell'ufficio, dove una radiosa Callista Monteux sorride amabilmente a beneficio di un pubblico neanche troppo immaginario.

---

- Deve essere stata una giornata tremenda, Claudia.

Callista, per farla breve, si è offerta di ospitarmi a casa sua e si è rivelata un'ospite perfetta. L'appartamento, proprio nei pressi di Trafalgar Square, è enorme, di un gusto sublime, ma allo stesso tempo caldo e accogliente. I colori pastello sono tenui, appena accennati e tutto quello che osservo richiama la natura senza mai citarla direttamente. La sua nomea di "paladina dell'ambiente" emerge senza pregiudicare comodità, gusto e stile. La "ricchissima ereditiera che è riuscita a fare dell'ambientalismo e della generosità un business", è seduta di fianco a me. Il divano è composto di soli cuscini poggiati su un tappeto di fronte a un caminetto incastonato in un monolite al centro del salotto. Godiamo del suo calore dopo una cena giapponese ordinata dalla sua guardia del corpo, sorseggiando un vino sudafricano, Steen, che poi sarebbe uno Chenin Blanc, come due amiche di vecchia data. Ho addosso la mia tuta preferita, recuperata insieme al mio guardaroba dalla polizia e dal personale della Governance. È il primo momento della giornata in cui la tensione cala e riesco a sentirmi quasi me stessa, e tutto ciò che voglio fare è scordare per un attimo i quadri, gli Highlanders e i supereroi.

- Io non so se posso parlarti della mia giornata...

- Hai ragione, Claudia, scusa. Sono una delle maggiori finanziatrici della Governance Bowden, ma è giusto che parecchi aspetti delle loro operazioni siano coperte dal massimo riserbo.

Steen. Buono, corposo. Ma scioglie la lingua, mannaggia.

- Diciamo che è stata una giornata molto complicata, ecco. Che arriva alla fine di un periodo piuttosto complesso della mia vita. Speravo di essermi lasciata parecchi problemi dietro alle spalle, e le cose sembravano andare per il meglio.

- Vedrai che tutto tornerà a posto in men che non si dica. È stato semplicemente un episodio spiacevole.

- Speriamo. Sì, sono ottimista - replico con poca convinzione.

- Steven mi ha detto che sei un'esperta d'arte come poche se ne trovano in giro.

Apprezzo molto il fatto che cambi discorso.

- Me la cavo. Ho imparato parecchie cose alla National Gallery, quando ci lavoravo con il mio fidanzato di allora.

- Caspita! La National Gallery - ripete Callista facendo una faccia da snob che mi fa scoppiare a ridere. Ride anche lei, mentre affondo sempre più nei cuscini.

- Così hai mollato lavoro e fidanzato e ti sei messa in proprio. E brava Claudia!

Il vino, il tepore, il relax dopo l'adrenalina, le barriere che crollano miseramente.

- Non proprio.

- Perdonami. È terribile essere lasciati.

Sorseggio ancora il mio Steen mentre la mente gioca a mostrarmi ancora una volta Jeremy che saluta in sella alla sua moto. La lingua che si scioglie come non è mai successo in vita mia.

- È partito con Pamela.

- Che razza di stronzo!

- No! No, Pamela era la sua Honda. La chiamava così. Voleva andare a Cambridge, era l'estate dello scorso anno. Doveva ritirare dei documenti per la Gallery, roba di poco conto e allora ne aveva approfittato. Io ho paura delle moto, non mi piacciono.

Callista sorride e sembra non capire dove voglia parare il mio monologo.

- Non è riuscito ad arrivare nemmeno a Stratford. Un'auto non si è fermata al semaforo e lo ha travolto in pieno.

Ora Callista ha smesso di sorridere. Jeremy invece ride, poi ha un tubo in bocca ed è tutto ammaccato, poi sta di nuovo bene e mi abbraccia e mi sussurra qualcosa all'orecchio e poi è collegato a una macchina che fa "bip" e non parla.

- È rimasto sei giorni in coma. Non aveva più un osso intero, era un miracolo che fosse ancora vivo, dicevano i medici. Il sesto giorno ha deciso che ne aveva avuto abbastanza dei miracoli. E se n'è andato.

Sento una lacrima rigarmi il volto. La bara che scende nella terra, i "mi spiace tanto", mia madre che piange, il suo orologio rotto che tengo a casa nel comodino.

- Ho avuto una specie di crollo, una sorta di esaurimento. Un giorno, mentre ero al lavoro, un giorno qualunque, uguale a tutti gli altri, ho afferrato un coltello e ho spinto la lama sul polso. Forse non volevo davvero uccidermi, ma la Gallery ha pensato che questa consulente era troppo problematica per i loro standard e mi ha lasciato per strada.

- Io... Non so che dire, Claudia. Non immaginavo...

- Non potevi, Callista. È tutto così triste e a volte è difficile reagire. E poi sono stanca. Molto stanca.

Poso il calice sul parquet, sono un po' brilla e sento gli occhi che finalmente si chiudono. Qualcosa mi copre e sento un "buonanotte" arrivare da chissà dove, ma io sono già insieme a Jeremy e Pamela a correre felici nel mezzo della campagna inglese.

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