XX
- Il problema non è la polizia - chiarisce Julius - ma gli amici di chi era nel suo appartamento. La prossima volta potrei non essere lì.
Mi armo di coraggio e mi avvicino alla cucina. L'uomo si è messo a tagliare della frutta a pezzi. Il tavolo a destra dell'isola è preparato per due e sopra di esso campeggia una serie di fette di quello che sembra una sorta di pane color oro. Una caraffa riempita di spremuta d'arancia e due vasi di marmellata completano il quadro.
- Si segga, prego. È quasi mattina e sarà affamata. Mi sono preso la libertà di preparare delle fette biscottate. Fatte in casa, in questo forno. È professionale, costa un occhio della testa, ma ne vale la pena. Le fette sono preparate con farina integrale, di farro e miele d'acacia.
- Ma la smette? - sbotto a un tratto.
Campbell si gira a guardarmi.
- Ho rischiato la vita, ha ammazzato un uomo non so come e mi ha praticamente rapita. E tutto ciò di cui riesce a parlarmi è di miele e farina? - pronuncio con tono isterico.
- Mi creda se le dico che sono davvero dispiaciuto per tutto ciò che le è accaduto. Per sua sfortuna è stata coinvolta in un affare nel quale è del tutto estranea.
- Questo l'avevo capito. Me lo aveva detto anche il personaggio che ha fatto volare non so come dalla mia finestra!
- Io...
- Non si avvicini! - urlo quando mi accorgo che il tipo ha fatto un passo verso di me. Afferro rapidamente il coltello che è stato abbandonato a terra poco prima da Campbell, sebbene io abbia la certezza che sia del tutto inutile ai fini della mia difesa. L'uomo per fortuna si ferma.
- È libera di andarsene, Miss Casterman, glielo ripeto. Sono affranto per la situazione e non so come fare per scusarmi o per modificare la realtà dei fatti. Vada, ma le consiglio di rivolgersi subito alla polizia e di farsi mettere in isolamento con la raccomandazione di essere sorvegliata.
Rifletto velocemente e valuto la situazione prima di dare un ordine che sorprende anche me.
- Siediti! Posa il coltello che hai in mano e siediti di fronte a me.
Campbell mi guarda e poi esegue l'ordine sedendosi su una delle due sedie della tavola guarnita. Avanzo tenendo il coltello puntato verso l'uomo e mi siedo al tavolo anche io.
- Spingi indietro la sedia. Allontanati dal tavolo! Non voglio la tua compagnia, voglio solo che tu stia a portata della mia vista. E di questo coltello.
Ancora una volta Julius esegue senza fiatare.
Senza lasciare il coltello afferro una fetta biscottata e la porto alla bocca. Ovviamente è ottima, fragrante, dolce ma non troppo. Mangio perché non so che altro fare. Vorrei fuggire ma non so dove andare e temo per la mia vita.
- Chi sei? - gli chiedo.
- Non posso dirlo. Ho giurato di non dirlo finché non arrivano certe persone.
- Stiamo aspettando i tuoi complici?
- Non sono i miei complici, sono le persone che in modo involontario ma sciocco ti hanno coinvolto in questa storia e che ci devono aiutare a tirartene fuori.
- I soli che conosco...
Il citofono suona.
- Devo alzarmi - esclama Campbell.
- No! Vado io.
- Miss Casterman, mi ascolti...
- Vado io ho detto! - gli ringhio addosso.
Mi alzo e mi sposto nel corridoio senza perdere di vista l'uomo che rimane seduto, mansueto come un cagnolino. Continuo a puntare il coltello nella sua direzione, sperando in questo modo di mantenere il controllo della situazione. Arrivo al videocitofono che si trova nel corridoio proprio di fronte alla cucina, permettendomi così di non perdere d'occhio l'uomo. Guardo il monitor e posso osservare due volti che guardano me.
Getto il coltello a terra e premo il pulsante di apertura della porta. Poi, lentamente scivolo ancora una volta a terra e mi siedo con le spalle al muro. Come al solito, appoggiare la schiena a qualcosa di solido mi fa sentire protetta quando non c'è nulla che mi possa difendere dalla realtà. Inizio a piangere. Piango perché sono stupida, ingenua, ignorante. Non riesco proprio a rendermi conto delle persone che sono intorno a me, non capisco il loro carattere e i loro intenti.
Campbell si avvicina e si china di fronte a me.
- Miss Casterman...
- Stai zitto, per favore...
Suonano alla porta. Campbell va ad aprire e i due uomini che ho visto sul monitor entrano nell'appartamento mentre sono in preda ai singhiozzi. Il primo stringe la mano a Campbell, mente il secondo lo abbraccia.
- Julian, amico mio. Quanto tempo è passato? - domanda Julius Campbell, e io non capisco. Poi l'altro uomo si inginocchia di fronte a me. La mano di Steven mi solleva il viso.
- Non mi toccare, pezzo di merda! - gli urlo in faccia colpendo la sua mano.
- Dottoressa Casterman... La prego di perdonarci.
Il professor Galloway è rimasto in piedi e pare davvero affranto.
- Voi... Voi chi cazzo siete davvero?
- Claudia, noi... - cerca di dire Steven.
- Ti avevo detto di stare zitto! - urlo in preda alla rabbia più cieca.
- Dottoressa Casterman, - riprende Galloway - noi siamo esattamente quelli che abbiamo detto di essere. Ma per una serie di ragioni che coinvolgono la sicurezza nazionale abbiamo dovuto omettere delle informazioni importanti. Purtroppo il suo incontro con quest'uomo e gli eventi successivi non potevano essere previsti.
- Ma per favore, Julian. L'incontro forse no, ma gli eventi a seguire... - interviene l'uomo che conosco come Campbell.
- Abbiamo commesso una leggerezza, Mister Blackhorse - ammette Steven.
- Chi è quest'uomo? - chiedo ancora.
Steven accenna una risposta ma lo zittisco con uno sguardo. Galloway si toglie gli occhiali e si stropiccia gli occhi.
- Il... Il suo nome è...
- Mi chiamo Connor Blackhorse. Sono qui da molto tempo, Miss Casterman. La mia storia è folle. Per questo i suoi amici non le hanno detto nulla. Ho conosciuto il professor Galloway tanti anni fa, intorno al settantacinque.
Connor Blackhorse è il nome del tizio che la Governance Bowden doveva rintracciare. Lo guardo negli occhi, neri come la notte che sta finendo, e continuo a non capire. Eppure sono certa che non stia mentendo, sebbene non riesca a comprendere cosa voglia dirmi esattamente.
- Mi chiamano anche con un altro nome, Miss Casterman. Il ragazzo con Sir Churchill e Charlotte nella foto che avete trovato nella mia casa a Blosbury sono io.
Il mio cuore batte a mille. Vorrei parlare ma non riesco a emettere un solo suono.
- La persona che ha visto di spalle sul dipinto di William in casa mia sono sempre io. E... E anche l'uomo sul dipinto che era in casa di Charlotte....
Ma che cazzo sta cercando di dirmi? Guardo il professore, che accenna un sì con la testa. Tutto questo è follia pura!
- L'altro nome con cui vengo chiamato è Crossover, Miss Casterman.
Non capisco. Continuo a non comprendere le parole, i nomi, i concetti, ciò che mi viene detto. È come se stessi guardando un quadro cubista senza avere l'apertura mentale necessaria per interpretarlo. Sento partire una suoneria che riconosco essere quella dello smartphone di Steven e poi colgo un paio di frasi "D'accordo, dobbiamo andare" "Oggi, allora".
Terminata la chiamata vedo i tre uomini discutere tra loro a bassa voce. Io mi alzo lentamente tenendo sempre la schiena incollata alla parete. Quando sono finalmente in piedi, Steven sembra finalmente accorgersi della mia presenza.
- Claudia, non abbiamo il tempo di spiegarti nulla. Dobbiamo andare. La pista che Connor ha trovato ieri è quella giusta. Tu starai qui in questo appartamento. Mando due uomini a sorvegliarti.
- Col cazzo! - rispondo in italiano.
Rimango sorpresa persino io dalla mia risposta e nel contempo cerco un minimo di dignità staccandomi finalmente dal muro. Connor Blackhorse sorride perché evidentemente capisce bene l'italiano.
- Non rimango qui con gente che non conosco, dicevo.
- Sono nostri uomini.
- Anche quelli che hanno preso il quadro lo erano. E quelli che stanno facendo questo casino sono entrati in casa mia senza problemi.
- Claudia, non è una gita di piacere. Non possiamo andare lì e controllare te.
- Infatti non vengo con te. Mi hai riempito di palle, Steven. Da quando è iniziata questa storia. Sapevi benissimo chi era lui e avevi più di un'idea su cosa poteva essere successo dalla signora Coltrane.
- Claudia, non potevo dirtelo e...
- C'è un oceano tra dover nascondere la verità e raccontare una montagna di stronzate. Vaffanculo, Steven. Vado con Blackhorse che è l'unico in questa stanza a non avermi mentito finora. E il solo ad avermi salvato la vita per due volte.
Steven sembra trattenere a stento la vergogna o più semplicemente l'ira, mentre Connor Blackhorse si porta una mano tra i capelli e si sistema il codino.
- Ok, va bene. Nella camera da letto troverai degli abiti femminili. Prova a vedere se c'è qualcosa che sia della tua misura. Sbrigati, per cortesia. Prendiamo una delle mie auto - mi risponde come se si trattasse di andare a fare la spesa al supermarket.
- Claudia, santiddio... - prova ad accennare Steven.
- Senti, ti chiedo la grossa cortesia di non rivolgermi più la parola per le prossime ore.
Lui solleva lo sguardo verso l'alto, allarga le braccia, sbuffa, ma poi finalmente tace.
- "Una delle mie auto" - ripeto ironica - Hai una concessionaria?
- No, sono vecchio. Ho accumulato molti soldi.
Faccio cenno di sì con la testa come se avessi capito, mentre non ho capito proprio nulla.
- Mi porto il coltello. Se provi a toccarmi ti ammazzo - esclamo sull'orlo di una crisi isterica mentre mi dirigo verso la stanza con il coltello da cucina recuperato da terra.
- Non puoi farlo - risponde lui serafico.
Mi blocco proprio mentre appoggio la mano sulla maniglia, mi volto e torno indietro fino a trovarmi a dieci centimetri dal volto preoccupato di Blackhorse.
- Non sottovalutare mai una donna esasperata - gli sibilo in faccia.
Dopodiché mi allontano ed entro nella stanza per cambiarmi, lasciando la platea ammutolita.
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