XVII

Quando ero piccola avevo paura dei temporali. Mia madre amava dipingere in quei frangenti, diceva che il suono dei tuoni la ispirava, perciò mi teneva accanto a sé, nella soffitta che aveva trasformato in studio. Al centro dell'ampia stanza, il soffitto era molto alto, mentre ai lati, seguendo il profilo del tetto, diventava via via più basso, fino a raggiungere il metro di altezza. Io mi accucciavo dietro un vecchio divano, chissà perché proprio accanto a una minuscola finestra. Mia madre cantava tutto il tempo le canzoni dei REM, Shiny Happy People in particolare, per farmi stare tranquilla e io cantavo con lei, stringendo forte il mio Charlie, un gorilla spelacchiato senza un occhio, che lui aveva più paura di me. Ogni tanto, però, guardavo fuori dalla finestra lo spettacolo dei lampi sopra la città, la Mole che veniva colpita dai fulmini, il Monte dei Cappuccini che si illuminava d'improvviso, il vento che faceva volare le cartacce lasciate in terra proprio sotto di me in strada. Nonostante la paura ero rapita da questi fotogrammi rapidi, dalla realtà di ciò che accadeva fuori. Anziché calmarmi, la visione esaltava il terrore che avevo dentro, fino a quando non nascondevo la testa tra le mie ginocchia e non finivo per addormentarmi cullata dal suono della voce di mia madre che mi raccontava di persone splendenti e felici che si tenevano per mano.

Nei pochi secondi in cui realizzo che qualcuno mi sta puntando un coltello alla gola, riemergono questi ricordi e tutto ciò che vorrei in questo momento è che un lampo illumini la stanza, per vedere negli occhi la realtà. E vorrei una voce che canti di gente felice.

- Non urli, dottoressa Casterman. Non si azzardi a far uscire un singolo lamento dalla sua bocca - intima invece una voce di donna di fronte a me.

Un click realizza il mio primo desiderio. La stanza si illumina e accanto all'interruttore scorgo la sagoma di una donna che indossa un berretto sopra i suoi lunghi capelli. Quando si volta e torna davanti a me, riconosco la ragazza che era nello scompartimento con me e il professore sul treno per Blosbury. Per osmosi, intuisco che quello dietro di me che mi punta il coltello alla gola è il suo compagno di viaggio e autista del furgone che ho avuto la sfortuna di vedere qualche ora prima.

La ragazza sorride e si avvicina al mio volto. Mastica un chewing gum e una zaffata di menta mi arriva alle narici.

- Falla accomodare, fratellino. Sono certa che la nostra amica non avrà il coraggio di proferire alcun suono.

Vengo scaraventata sul divano, mentre i due intrusi prendono due sedie e si piazzano proprio di fronte a me.

- Bene, bene, bene. Lei ha una gran memoria, dottoressa Casterman. Mi ha riconosciuto, oggi - esclama il ragazzo con un ghigno orribile in volto. Avrà sì e no diciannove anni, la ragazza altrettanto. Si somigliano molto, credo siano gemelli.

- Sì, gran troia, hai proprio una bella memoria - sibila lei. Ha gli occhi sbarrati e le pupille piccole. Probabilmente è strafatta oppure è semplicemente pazza. Se non fosse per quell'orribile sorriso che le storpia il volto sarebbe anche una bella ragazza.

- Cosa vo...

- Ehi, puttanella, non hai sentito cosa ho detto prima? - mi sputa addosso - Parli solo se ti diamo noi il permesso. E a me non pare di averti dato il permesso. Le hai dato tu il permesso di parlare, fratellino?

-No, sorellina, io non le ho dato nessun cazzo di permesso - risponde ridacchiando. Tira fuori uno smartphone e inizia a digitare sopra la tastiera.

Stringo le labbra e sento gli occhi che si bagnano di lacrime. Devo avere il volto deformato in una di quelle grottesche maschere che si possono trovare sui libri, quelle che si indossavano nelle tragedie greche. Provo terrore come non ne ho mai provato, il panico mi impedisce di reagire in qualunque modo.

- Lo sai che è carina, fratellino?

Non si chiamano per nome, questo particolare non mi è sfuggito. E non mi toccano in alcun modo. Si limitano a guardarmi e sghignazzare.

- Non farti venire strane idee. Sai che non possiamo fare nulla.

- Peccato, fratellino. Avevo in mente un bel po' di idee.

Il ragazzo si alza e va alla finestra. Sposta le tende e guarda fuori. Mentre lo fa armeggia con lo smartphone per leggere un messaggio appena arrivato.

- Ci vorrà un po' di tempo. Almeno mezz'ora - dice rispondendo al messaggio.

La ragazza sposta la sedia e si mette alla mia sinistra. Io rimango impietrita. Sto per morire, penso. Stavolta muoio davvero.

- Lo sai cosa faccio a quelle come te, baldracca? Lo sai? - mi chiede sottovoce all'orecchio.

Non rispondo, non so se posso parlare.

- Lo sai? - ringhia lei.

- No - rispondo con un filo di voce.

La sento sorridere. Con la lingua mi sfiora il lobo.

- Io quelle come te le faccio coricare a terra, proprio qui sul pavimento, e le dico di stare ferme sennò le ammazzo subito. Poi prendo un coltello, come quello che hai lì sopra la cucina. Mi levo i pantaloni e gli slip e mi siedo sopra la loro bocca. Poi mi porto il coltello dietro la schiena e lo punto alla gola e dico: "Adesso muovi la lingua come non hai mai fatto in vita tua". E la muovono. O quanto la muovono, non te ne puoi fare un'idea. E quando sto per venire, sai che faccio?

Si ferma, sembra ansimare.

- Lo sai che faccio? - ringhia nuovamente. Ma non alza la voce. Non vuole farsi sentire dai miei vicini, intuisco.

- No - rispondo ancora soffocando la voce con i miei singhiozzi.

- Zac! Abbasso la lama sulla gola. Oh, non sai come si gode quando il tuo partner ha le convulsioni mentre tira le cuoia. L'orgasmo è immenso.

- Hai finito con questi racconti del cazzo? - esclama il ragazzo mentre continua a guardare fuori dalla finestra.

- Non lo so, fratellino. La troia mi sembra stia apprezzando. Secondo me è già tutta bagnata. Adesso controllo...

- Cazzo, no! - interviene seccamente lui, distogliendo lo sguardo dalla finestra e tornando verso di noi - Possiamo toccarla solo se cerca di fuggire, ma al momento non mi sembra davvero che voglia farlo, non è vero, bellezza?

- Che palle! - chiude Sorellina.

La ragazza si alza e sposta la sedia di nuovo di fronte a me. Finge un'aria imbronciata per poi tornare a sorridere mentre continua a masticare la sua gomma.

- Stiamo aspettando una persona, dottoressa. Quando arriverà ci penserà lei a te.

- E' il professor Galloway, vero? - mi scappa tutto d'un fiato.

I due si guardano e poi lei si mette a ridere, mentre lui scuote la testa.

- Non hai capito un cazzo, troietta. Quando sei salita su quel treno non ti sei resa conto di esserti immischiata in faccende che sono molto più grandi di quanto tu riesca a immaginare.

- Perchè...

- Ehi, troia! Allora non ci capiamo...

- Calma, sorellina. Cosa vuoi sapere, dottoressa?

- Perché mi volete uccidere? - chiedo in preda alla disperazione.

I due mi guardano sorpresi e poi iniziano a sghignazzare.

- Che cosa sai davvero dell'universo, dottoressa? - mi chiede la ragazza.

Sono pazzi. Tutti e due. Non sono fatti o ubriachi. Sono totalmente fuori di testa. Per questo non ho speranze.

- Mettiamola così. Noi non vogliamo proprio nulla. La persona che sta arrivando deciderà lei il da farsi. Anche se pensò che finirà come tutte le altre volte. E comunque nessuno ti ucciderà, credimi.

La ragazza ride ancora più forte dopo la frase pronunciata dal fratello. Io non capisco le intenzioni di queste persone ma rimango convinta che il mio destino sia segnato. Smette di ridere quando alza il portafoto e trova l'immagine di Jeremy sulla sua cazzo di moto.

- E questo chi è, troietta? Il tuo ragazzo?

- Non la toccare!

Sorride in quel modo orribile e getta a terra il portafoto, che si infrange sul pavimento spargendo cocci di vetro ovunque.

- Ehi, fratellino! La dottoressa ha le pene d'amore. Lo farà in seguito a una delusione.

- Grande idea, sorellina... - risponde il ragazzo, quando il suo cellulare inizia a vibrare.

-E' qui! - annuncia Fratellino con un sorriso foriero di pessime intenzioni.

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