XV
L'espressione del mio volto deve essere talmente atterrita che il professor Galloway pare davvero preoccupato.
- Tutto bene davvero, signorina Casterman? Devo accompagnarla al pronto soccorso?
Non rispondo subito. Devo ragionare e devo farlo velocemente. Non mi fido! Non mi fido di quest'uomo. Perché guardava quei ragazzi sul treno? Lui allora sapeva tutto. Perché ora ho trovato questo ragazzo proprio qui a Londra vicino a Campbell?
- No! No, grazie professor Galloway. Anzi, se non le spiace vorrei passare un attimo alla Governance. - rispondo cercando di apparire il più naturale possibile - Voglio parlare con Steven per qualche minuto.
- Ma certo. Forse è meglio quando si hanno traumi di questo genere. Pensi che una volta mia cugina Chloe...
Non lo ascolto neanche. Grande attore, comunque. Non ha fatto una piega quando ho cambiato programma cercando così di ricorrere all'aiuto di Steven. Anzi, pare addirittura empatico. Alcuni pezzi del puzzle sembrano ricostruire una situazione che non avevo considerato. Galloway era in apparenza fuori da Blosbury la sera della tragedia, ma potrebbe essere rientrato in anticipo. No, aspetta Claudia. Qualcosa non torna. Quando hanno portato via il dipinto lui era con te in ospedale. Però... Però potrebbe aver incaricato qualcuno di portarlo via. Potrebbe, insomma, avere organizzato il tutto. Quello sguardo scambiato con i due ragazzi sul treno, cosa potrebbe significare? E poi proprio uno di quei due alla guida del furgone nero che era di fronte alla casa della vedova Coltrane. Che fosse uno sguardo d'intesa? In effetti non ho mai creduto alla casualità e in questa serie di eventi ci sono un po' troppe coincidenze. E poi, perché Julius Campbell mi avrebbe aggredito in un modo così idiota? Un uomo che è riuscito a nascondersi per giorni, per quale motivo si sarebbe dovuto lasciar andare a un gesto così stupido?
Un secondo... Se io ho visto il furgone vuol dire che lui dava le spalle alla strada, ovvio. E se a un certo punto ha voluto dare le spalle alla strada, vuol dire che non voleva farsi riconoscere dalla persona che sarebbe passata di lì a poco. Ovvero dal ragazzo sul furgone. E a questo punto potrei spiegarmi il gesto irrazionale: ha finto il bacio per non farsi riconoscere. E questo cambia tutta la prospettiva. Perché se così è, allora Julius Campbell non è in combutta con il ragazzo sul furgone. E allora a questo punto, chi diavolo ha rubato il quadro? Che cosa è veramente successo in quella casa?
- ... e allora le ho detto: "Beh, Chloe, non vorrai certo dar torto a tuo marito". Ah, la cugina Chloe, che personaggio.
Mi lascio scappare una risatina di cortesia e passo il resto del viaggio in silenzio fino a quando non arriviamo a Croydon. La Lunar House si staglia grigia e apatica sotto la luce di questo insolito sole novembrino, esaltandone l'assoluto anonimato. Saluto Galloway frettolosamente e scendo dall'auto correndo verso l'ingresso. Dai vetri vedo che il professore è rimasto di sasso, ma poco male. Entro nell'edificio dove mi attendono i controlli di rito.
- Buongiorno, dottoressa Casterman. Da chi deve andare oggi? – mi chiede l'agente all'ingresso che ormai mi conosce come frequentatrice assidua.
- Dal signor Bellamy, per cortesia.
- Ah, mi spiace. Steven Bellamy è uscito questa mattina e non credo tornerà in ufficio quest'oggi.
Rimango un po' sorpresa dalla risposta. In effetti Steven su WhatsApp mi aveva detto di avere degli impegni, ma non mi aveva avvertito che sarebbe rimasto fuori sede. Comunque non posso salire se non c'è una persona a ricevermi, ma non voglio neanche uscire perché temo di ritrovare il professor Galloway e con lui al momento non voglio avere nulla a che fare. Se davvero fosse implicato nel furto del Turner è meglio che io non lo incontri senza aver prima parlato con Steven.
Oh, mannaggia. E ora che faccio?
Proprio mentre mi sto ponendo questa domanda, Steven entra nell'edificio. Accompagnato da una ragazza che sarà alta come lui, capelli corti, pelle color caffelatte, magra ed elegantissima in un semplice vestito azzurro pandizucchero coperto da un piumino lungo ultrasottile: Moncler, ovvio. La riconosco, è inconfondibile.
È Callista Monteux, una delle persone per le quali ho più stima al mondo. Artista a tutto tondo, paladina dell'ambiente, icona di eleganza e sobrietà, oltre che di umanità. Solo che è con quello che in effetti sarebbe il "mio" Steven.
Stanno ridendo amabilmente e in cinque secondi mi sale una carogna che vorrei ucciderli entrambi all'istante. Fino a quando Steven si accorge della mia presenza e mi viene incontro.
- Claudia, cosa ci fai qui? Mi ero raccomandato che andassi a casa.
- Eh, ho cambiato idea, Steven. D'altronde anche tu mi hai detto che eri molto "impegnato" - rispondo con la dolcezza di un barracuda.
Steven mi guarda sorpreso e poi si rivolge alla sua "amica".
- Cally, lei è la mia ragazza, Claudia.
La mia ragazza. Mi ha chiamato "la mia ragazza". Mi si gela il sangue. No, non voglio questo, non sono assolutamente pronta. Steven, allontanati da me. Non è il momento e forse non sei nemmeno la persona giusta. Non riesco neanche a sorridere, perché in questo momento non voglio essere "la ragazza" di nessuno. Mi spiace per aver giudicato male la situazione con Callista, comunque. Sempre i miei pregiudizi del cavolo. Lei si avvicina e, devo essere sincera, è davvero un gran pezzo di gnocca anche dal vivo.
- Piacere, Claudia - mi dice sorridendo - Sono Callista Monteaux.
- Io la conosco e la seguo da anni. Sono onorata di fare la sua conoscenza.
- Ti prego dammi del tu!
- Cally come ben sai è una delle maggiori esperte europee nel campo dell'arte moderna e collabora con noi da anni. E ci da una mano quando siamo di fronte a emergenze ecologiche, e capita sempre più frequentemente. Siamo andati presso un nostro conoscente per valutare la composizione di un artefatto.
- Oh, capisco. Piacere, Callista. Chiedo scusa per l'improvvisata. Levo il disturbo - provo a eclissarmi in una fuga strategica.
- Non se ne parla neanche, Claudia. Però ti faccio accomodare in sala riunioni, se non ti spiace. Io ne ho ancora per un po'. Poi ti accompagno a casa.
- Io...
Sto per dire di no, che non voglio essere invadente, che me la cavo da sola. Ma poi penso di stare esagerando con le mie fissazioni. Sia questa del voler rimanere single, quella della gelosia per Callista, che la congettura sul professor Galloway, in fondo. Ci sono decine di spiegazioni sull'incontro di poco prima e non voglio passare per pazza. E a pensarci bene il ragazzo sul furgone "pareva" essere quello del treno. Insomma, devo pensare bene a ciò che andrò a raccontare a Steven: c'è di mezzo la reputazione del professore e anche la mia.
- Grazie, Steven, sei molto gentile. Aspetterò in sala riunioni - dico alla fine.
- D'accordo. Jerry, ti spiacerebbe accompagnare la signorina nella meeting room cinque? Dovrebbe essere libera.
- Certo, signor Bellamy.
Steven e Callista si allontanano ed entrano nell'ascensore. Quando le porte si chiudono, l'ultima immagine che rimane impressa nella mia memoria è quella di un rettangolo che racchiude le labbra carnose e sorridenti di Callista sormontate dai suoi occhi scuri che mi scrutano.
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