XIII

Jeremy che mi guarda. Jeremy che sorride. Jeremy che mette in moto. Jeremy che parte. Alzo la mano per salutarlo, quando ecco che dove c'era lui vedo comparire la signora Coltrane, che mi viene incontro con il suo sorriso disarmante. Sorride ancora quando le sue labbra si muovono e vedo pronunciare un silenzioso "Mio Signore obbedisco al tuo richiamo...". Il sorriso non si scioglie nemmeno mentre in modo lento e inesorabile viene avvolta dalle fiamme.

Apro gli occhi.

La morte è un movimento tellurico che scuote la coscienza. Quando la scossa è così vicina, i sostegni che hai costruito con fatica negli anni crollano di schianto e tu ti ritrovi a piangere sulle macerie e su chi è rimasto sepolto. Nonostante sia passato quasi un mese dalla notte dell'incendio, mi capita di svegliarmi d'improvviso, pensando di essere ancora bloccata in mezzo alle fiamme. Rivedo davanti agli occhi la sagoma urlante della signora Coltrane e mi chiedo cosa l'abbia spinta a quella decisione così drastica e come possa la mente umana concepire una fine così orribile per la propria vita. Invocare il Signore e cancellare ciò che i credenti giudicano il suo dono più grande. Poi ritorno con il pensiero alle braccia che mi hanno sollevata, trasportandomi verso la salvezza. Vorrei ringraziare quell'uomo, ma il caos è stato tale che non si è riusciti in alcun modo a risalire alla sua identità. Per lo meno tutte queste domande e questi dubbi hanno avuto il merito di sovrastare quelle sul motivo per cui Jeremy mi ha abbandonato, e su tutto ciò che mi ha fatto soffrire negli ultimi mesi. Ancora penso a lui che si allontana con Pamela, ma subito cancello dalla mia mente questa immagine, chiudendo gli occhi e concentrandomi sull'oggi, sulla realtà. Vista da questa angolazione, la situazione potrebbe essere, malgrado tutto e in modo tremendamente egoistico, un miglioramento rispetto agli ultimi tempi. Peraltro la disavventura che ho vissuto, pur essendo finita male, ha avuto il merito di procurarmi parecchi incarichi freelance: articoli su riviste d'arte, interventi presso case d'aste, valutazioni. Se continua così forse riesco a imporre il mio nome nel mondo dell'arte e, soprattutto, a pagare regolarmente l'affitto del mio splendido trilocale in South Kensington.

- Ancora non riesco a capire come diavolo riesci a permetterti un appartamento in questa zona.

La voce che ha pronunciato queste parole è l'ultima gradita sorpresa in ordine di tempo. Dal letto sul quale sono coricata senza nulla addosso, mi volto verso di lui. E' di fronte alla finestra e guarda verso la strada. E' completamente nudo e con la mano destra sorregge una tazza di thé che sorseggia lentamente, mentre con la sinistra sostiene il piattino all'altezza del petto. La luce del mattino si riflette sul suo corpo e mette in evidenza le curve dei muscoli tesi sulle natiche. Non riesco a pensare a nulla di più erotico di un uomo in questa posizione.

- E' grazie a mio padre, in effetti. Lui ha questa amica qui a Londra, una certa Carmen, proprietaria di un sacco di appartamenti. E lei mi ha fatto un prezzo ragionevole per l'affitto, sebbene sempre piuttosto al limite per le mie tasche. Ma dopo che "l'Agenzia" mi ha assunto per i miei scarsi servigi, c'è stato un passaparola nell'ambiente. Grazie a questa vicenda terribile, la mia vita qui a Londra è comunque rinata.

Steven Bellamy si volta e in questo modo il sole va a incorniciare anche altri parte anatomiche di un certo interesse. L'uomo che sta allietando alcune delle mie ultime notti posa tazza e piattino e si dirige verso di me.

- Più che "l'Agenzia" devi ringraziare Julian che ha apprezzato il tuo aiuto e la tua professionalità e ha inserito il tuo nominativo tra i consulenti degni di nota. E devo dire che ha fatto bene. Sei molto brava nel tuo lavoro – esclama mentre torna a coricarsi sopra le coperte vicino a me .

- Ci sono novità sul mio amico Campbell?

- Begli amici che hai! Nessuna. Sparito nel nulla. Anzi, si direbbe mai esistito. Non ci sono foto in rete. Non ci sono profili social. Non ci sono tracce sugli archivi anagrafici. Il nome è evidentemente falso - elenca Steven.

- Ma come ha fatto ad aprire un locale, acquistare casa, muoversi. E' pazzesco tutto ciò.

- Non posso e non voglio dirti nulla di più, ma ti confermo che il personaggio è scaltro e abilissimo ad agire nell'ombra. In questo momento potrebbe essere in Polinesia oppure a prendere un tè a Soho. Chi lo sa? Comunque la polizia non ci dà una mano in quanto non ci sono assolutamente prove di alcun misfatto da parte di questo tipo. Anzi, ci ha impedito di indagare in modo ufficiale su di lui dopo il litigio per il dipinto scomparso, per cui dobbiamo muoverci con estrema cautela. Noi della Governance pensiamo sia implicato nel furto e che si possa trattare di un criminale internazionale, comunque.

- Che pasticcio, Steven.

- E' il mio lavoro, baby. Niente di più - pronuncia mentre si volta verso di me.

Mi guarda sorridendo e con la testa appoggiata sulla mano. Devo smentire quanto ho pensato poco fa: ci sono posizioni maschili ancora più erotiche.

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- Mister Jalami, mi ascolti. Io vorrei davvero dirle che questo vaso è della dinastia Ming, ma è solo un'imitazione, nobile, di fattura eccelsa, ma che risale agli anni venti del secolo scorso.

- E lei come fa a esserne sicura? Un tale negli Stati Uniti ha scoperto di avere in casa un vaso Ming che lui usava come ferma porte – esclama l'uomo in tenuta da cuoco che ho di fronte a me.

- Ne sono sicura perché è il mio lavoro, mister Jalami. Io mica le vengo a dare consigli sulla sua cucina. Quello è il suo mestiere. Il mio è quello di esperta d'arte e le assicuro che questo non è un reperto d'epoca, sebbene possa venderlo per quattrocento sterline, a occhio e croce.

Sahid Jalami è un brav'uomo, benestante, simpatico da morire e acculturato. Ha aperto questo ristorante a Notting Hill che lavora molto grazie al suo estremo senso pratico per gli affari. Solo che si è messo in testa di avere un vaso dal valore inestimabile tra le mani e insiste per ulteriori analisi del tutto inutili.

- E il carbonio quattordici? Non sarebbe meglio?

- Ma mister Jalami... Sotto il vaso c'è la scritta Made in China in ideogrammi cinesi e pure la data, millenovecentoventisette. Mi creda, è simile a quello della foto che ha trovato su internet, ma è un'imitazione.

Ricevo un messaggio WhatsApp e controllo lo schermo velocemente, mentre Jalami scruta la parte inferiore del vaso con sguardo corrucciato e facendo "no" con la testa. Steven: "Stasera non possiamo vederci. Sono sul lavoro. Facciamo dopodomani." Va bene, anzi meglio. Non voglio assolutamente qualcosa di troppo complicato con Steven al momento. "Tutto ok, non importa. Baci" rispondo.

L'inizio di una relazione è sempre difficile. Non voglio farmi travolgere dalle sue aspettative e in effetti al momento io non ho alcuna aspettativa, se non quella di passare momenti piacevoli con lui.

- Secondo me qui sotto c'è scritto milletrecentoventisette – riprende Jalami.

- Oh, mannaggia. Mister Jalami... - replico scoraggiata.

Dopo aver finalmente convinto mister Jalami sulla datazione del vaso, senza avergli richiesto ovviamente alcun compenso se non quello delle spese accessorie, decido di dedicare qualche ora a me stessa. Sono giusto a poca distanza da Portobello Road e voglio dare un'occhiata ai negozi d'antiquariato della via. Sono pieni zeppi di paccottiglia, ma qualche volta capita di trovare qualcosa d'interessante.

Raggiungo velocemente la via e mi immergo nel mercatino del sabato. Mi piace Portobello Road. È trash, scontata, vivace e assurda nella sua banalità. Ci sono moltissimi turisti e il mercato è tirato a lucido per l'occasione, complice l'insolita giornata assolata nel pieno di un novembre tra i più grigi che io ricordi. Su di un banco ci sono alcuni romanzi dei primi del novecento. Su un leggio scorgo una prima edizione della Compagnia dell'Anello, venduta al prezzo di... Una prima edizione della Compagnia dell'Anello. Ormai le buone occasioni sono sempre più rare. Dietro un'insegna scorgo un quadro che sembra dipinto a olio e mi avvicino. Non mi sbaglio, si tratta di un ritratto dei primi del novecento di mano non eccelsa, una donna elegante seduta su una sedia a guardare fuori dalla finestra. Il tratto è buono, ma le luci sono un disastro. Alcune pennellate sono inutili e sono andate a correggere qualche imprecisione di sicuro. Lascio il dipinto dove si trova e mi sposto per tornare sul marciapiede e nel farlo mi cade l'occhio dall'altra parte della strada.

Ed è in questo preciso momento che lo vedo.

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