IX

Dapprima rimango bloccata come il coniglio di fronte ai fari dell'auto che gli sfreccia addosso a tutta velocità. Poi inizio a gridare, ma ancora non capisco cosa stia accadendo con esattezza. Le urla della signora Coltrane sovrastano le mie, mentre si muove lenta, avvolta dalle fiamme, incendiando in questo modo i tappeti e le tende. Realizzo la gravità della situazione e cerco di aiutarla gettandole addosso una coperta, ma è tutto inutile: le fiamme inghiottono anch'essa, insieme a tutto ciò che la vedova sfiora. L'olio del lume continua a bruciare su di lei, ma la pelle non sta ancora bruciando a fondo, per cui riesce a muoversi in preda al panico e così facendo incendia tutto quello che le è attorno. Nel giro di qualche secondo la copertura perlinata del vecchio soffitto si trasforma in una stella incandescente, mentre la signora Coltrane esce in qualche modo dalla stanza con una forza insospettabile e capitombola giù dalle scale. Mi butto fuori anche io dalla stanza, cado e mi rialzo con l'idea di correre anche io verso le scale, ma la porta della camera in cui dormivo è ormai divelta e lo spigolo mi colpisce in piena nuca. Sento le forze mancarmi mentre scorgo ombre che paiono sagome che si muovono in fondo alle scale. Jeremy, sei tu? Mi sento mormorare in modo assurdo.

Rosso. Giallo. Oro. Bianco. Le sfumature che scorgo dietro le mie palpebre mi riportano alla realtà. L'aria è irrespirabile, il fumo avvolge le pareti, il soffitto, ogni anfratto. Sono rimasta svenuta non so quanto, forse pochi secondi, forse diversi minuti, troppi. Ormai la situazione è tale da rendere impossibile una fuga in tempi rapidi. Con orrore mi rendo conto di avere una sola via d'uscita, le scale, e che questa via è totalmente ostruita da fumo e fiamme. Striscio pancia a terra come ho visto fare nei documentari in televisione: il fumo sale verso l'alto e l'aria in basso è più respirabile. Prego, sebbene non lo sappia fare. "Padre Nostro, che sei in Paradiso...". No, la preghiera non fa così, ma quel che conta è che mi ascolti, che ancora una volta non voglio morire, non riesco a morire. Non sono pronta, forse dovrei, ma non lo sono. Mi muovo fino ad arrivare ai gradini della scala in pietra. Gli occhi bruciano e non riesco a rendermi esattamente conto della situazione che potrei trovare in basso, in fondo alla scalinata. Eppure non ho nessuna alternativa se voglio sopravvivere. Mi sollevo e sedendomi appoggio la schiena contro il corrimano. E' rovente e sposto immediatamente il mio corpo contro il muro, rovente anch'esso. Guardo verso il basso in mezzo al grigio che mi opprime e con sgomento scorgo il rosso del fuoco qualche metro più in basso. Ostruisce tutto. E' finita, mi dico, la sola via d'uscita è bloccata dalle fiamme e non ho modo di oltrepassarle. Spero solo di non soffrire troppo. Manca l'aria e mi butto nuovamente a terra a racimolare un po' di ossigeno. L'istinto di sopravvivenza ha ancora una volta la meglio, ma temo sia per un breve lasso di tempo. In modo inesorabile, percepisco l'oblio che mi avvolge, la conoscenza che perdo a poco a poco. Massì, lasciami andare via, va bene così. Meglio rassegnarsi e lasciarsi avvolgere dalla notte. Volerò, finalmente. Tutti muoiono intorno a me e muoio anche io, nonostante tutto è giusto arrendersi.

E' per questo motivo che quando sento il mio corpo che si solleva penso subito alla mia anima che abbandona il mondo terreno. Allora è questo che si prova: pensavo peggio. Poi la mia anima viaggia attraverso le nuvole di fumo ed è avvolta da qualcosa di bagnato, mentre passa accanto al fuoco, solo che accade una cosa strana: il fuoco in realtà si è spostato insieme al fumo, fisicamente. Passo come in un tunnel, insomma, le cui pareti sono composte di distruzione e morte. Scorgo nel fumo la sagoma annerita di quella che fino a poco prima era la signora Coltrane. Non riesco a levare lo sguardo, succube di quello sbigottimento che rende curiosi nonostante il ribrezzo. Allungo il braccio sperando di afferrarla e portarla via che magari riesco a salvarla, ma una mano afferra la mia e sento un "no" che arriva da qualche punto vicino a me. Mi accorgo allora che la mia anima è sorretta da qualcosa che possiede due braccia, che la portano all'esterno e la posano a terra mentre tutto intorno è un turbinio di voci e grida. Percepisco l'erba bagnata dell'umidità notturna e mi occorre qualche minuto per comprendere i rumori, le sirene, a inquadrare la persona che sta prendendo a schiaffi la mia anima che anima non è, bensì corpo fisico e sopravvissuto.

- Dove sono? - mi sento dire con un filo di voce.

- Parla una lingua straniera - rispondono da fuori.

Ho parlato in italiano. Apro e chiudo gli occhi e cerco di far funzionare le poche cellule cerebrali che ancora possono rispondere ai miei comandi.

- Dove mi trovo? - ripeto in inglese.

- E' di fronte alla casa della signora Coltrane! È viva per miracolo. Cosa ci faceva là dentro?

L'uomo che mi porge la domanda è un poliziotto territoriale in divisa. Probabilmente è l'espressione della giustizia nella contea.

- Ero ospite - riesco a rispondere.

- Sì, è lei. È la dottoressa Casterman. Te lo confermo, Jerry - la voce è quella di Amita e proviene da qualche parte alle mie spalle.

- Va bene, signora. Ora verrà accompagnata all'ospedale più vicino. Mi sa dire chi c'era dentro con lei?

- Solo la signora Coltrane. Lei... Si è data fuoco... Era avvolta dalle fiamme. Chi mi ha portato qui fuori?

- Non lo sappiamo, signora, nella confusione non siamo riusciti a capirlo. Dottore! Venga qui per favore...

Vorrei dormire ma non ci riesco. Vorrei lasciarmi andare e pensare che prima o poi la morte che mi passa sempre così vicino, possa allungare la mano e afferrare la mia per portarmi via, lontano da questo strano mondo fatto di case delle fiabe che prendono fuoco e adorabili vecchiette che perdono la testa d'improvviso. E invece mi ostino a lasciare che la vita trionfi e mi faccia riemergere da ogni oblio nel quale mi capiti di affogare.

- Stia tranquilla, signora. È sotto shock! - mi rassicura un medico, adorabile anch'egli.

La vita ha un'inesauribile pazienza con me, mi confido nella confusione che mi circonda, mentre mi trascinano su un'ambulanza per accompagnarmi lontano da questo pozzo di disperazione.

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