II
Non ho ancora finito di pensare a questa frase che guarda caso un uomo alto, brizzolato e dagli occhi penetranti si ferma dietro di me, fissando la vetrina dove è rispecchiata la mia sagoma. Ha lo sguardo sicuro e quel sorriso sghembo in un modo che mi fa sciogliere. E' lui! E vai, Claudia! Finalmente una bella notizia. Mi volto verso di lui e decido di mostrarmi intraprendete per fare bella figura.
- Piacere, Claudia Casterman. Sono davvero lieta di conoscerla.
L'uomo mi guarda stranito mentre il sorriso gli si congela sul volto. Lentamente arriva alla mia mano stringendola in modo automatico, mentre con l'altra estrae il cellulare per portarlo all'orecchio.
- Piacere, James Blake. Come ha detto che si chiama? - mi chiede senza staccare l'orecchio dal suo telefono.
- Sono Claudia Casterman. Ma lei non si dovrebbe chiamare Galloway? - chiedo in preda al panico.
James Blake mi guarda ancora più sconvolto alzando un sopracciglio, mentre si rivolge allo smartphone.
- Cara? Ho visto in vetrina la borsa che cercavi. Aspetta che mi sposto che c'è una persona un po' strana qui...
Merdamerdamerda. Batto un tacco per terra. Ma come faccio a essere così scema? Mi allontano dalla vetrina e da questo sconosciuto. Calma, Claudia Casterman, calma. Respira... Aria buona dentro, aria cattiva fuori. Ecco, così, brava. Mi sono ricomposta e sono di nuovo tutta d'un pezzo. L'attesa, l'indecisione e il periodo di sofferenza, stanno lavorando sulla mia psiche e basta un nonnulla per farmi scattare i nervi, mannaggia. Mi sono lasciata trascinare dalle mie fantasie, ecco come stanno le cose. Anche il signore basso, anziano, con la barba bianca e mal vestito che si sta avvicinando a me in questo momento, per esempio, non è uno degli imitatori di Babbo Natale, anche perché è ottobre, e tenterà invece di vendermi qualcosa per cui devo sforzarmi di essere cortese, ma nel contempo irremovibile. Ecco che arriva, mi guarda in volto e mi sorride e di sicuro mi vorrà proporre un accendino, delle calze di spugna oppure uno di quei giochini assurdi, pensando che abbia un bimbo piccolo che mi aspetta a casa. Contegno e decisione, Claudia. Rispetto, cortesia, ma decisione.
- Signorina... -
- Buongiorno. La ringrazio, gentilissimo, ma non mi serve nulla. E' una giornataccia, guardi, sono davvero spiacente.
L'uomo sembra non capire e corruccia lo sguardo, pur mantenendo il sorriso sulle labbra.
- Come dice, dottoressa Casterman? Perché lei è Claudia Casterman, vero?
Rimango di ghiaccio e mi viene da piangere. Uccidetemi! Ora, per favore. Sparatemi alla nuca senza neanche dirmi il perché.
- Signor... Professor Galloway?
- In persona, signorina Casterman, sono davvero lieto di fare la sua conoscenza - esclama Galloway con un sorriso bonario e l'aria paciosa.
- Oh, mannaggia! Io... Mi scusi, professore, sono terribilmente spiacente - bofonchio mentre stringo la mano che Julian Galloway mi offre. Indossa un lungo pastrano grigio che si è bagnato con la pioggia che sta cadendo fuori dalla stazione. In realtà sotto l'impermeabile denota l'eleganza degli uomini degli anni sessanta, abito grigio scuro, farfallino rosso e sul volto un paio di occhiali tondi. Come posso essere così stupida e perennemente preda dei miei timori?
- La verità, professor Galloway, è che sto inanellando figuracce a iosa, stamane. C'è un uomo qui in giro che pensa che io sia una pazza furiosa e ora le ho risposto frettolosamente in preda al più miserevole dei pregiudizi.
Una risata solare gli scuote la barba. Mi è già simpatico.
- Non si preoccupi, dottoressa Casterman, normalmente sono un po' meno fradicio, ma un taxi ha ridotto il mio soprabito a uno straccio. Venga che parte il treno, ho con me i biglietti. Ah, e naturalmente le ho prenotato una camera singola nel miglior hotel di Blosbury. Che è anche l'unico, dottoressa.
- La ringrazio.
- Strada facendo le spiegherò alcuni dettagli di ciò che andremo a vedere e del perché abbiamo bisogno del suo aiuto. E' che...
Il professor Galloway si interrompe e solleva lo sguardo verso l'alto. La parte di cielo grigio che riesco a osservare si copre di uno stormo di uccelli neri, forse corvi. Non ne ho mai visti così tanti, e nel contempo l'allegria del mio accompagnatore si smorza, quasi che quello volo improvviso abbia oscurato, oltre al cielo, anche il suo buonumore.
- Venga, dottoressa, dobbiamo andare. Non abbiamo molto tempo - dice con un accento grave, quasi di preoccupazione, accennando un sorriso forzato quando torna a guardarmi negli occhi.
Ci affrettiamo verso la banchina dove un treno, moderno e di un blu fiammante, attende paziente i passeggeri che si avvicinano alla spicciolata. Saliamo nei pressi del nostro vagone e non posso fare a meno di notare il professor Galloway che si sporge dalla porta per osservare ancora una volta il cielo in alto il piombo di Londra che lo sovrasta. Un ultimo gruppo di tre corvi si allontana veloce verso l'orizzonte che si confonde con l'asfalto, i binari, l'umore dei passeggeri e l'impressione che ho oggi della vita e con la medesima direzione verso cui punterà il nostro treno.
- Pensa che pioverà ancora, professore? - chiedo più per intavolare un argomento di conversazione che per vero interesse. Gli inglesi adorano parlare del tempo.
- Credo di no. Penso che il cielo rimarrà nuvoloso, però.
- Pare piuttosto preoccupato, professore, se mi posso permettere. Vedrà che il suo soprabito si asciugherà - gli dico mentre mi accomodo su un sedile libero alla nostra sinistra.
- Alla mia età ormai ci si preoccupa solo per questioni più impellenti, dottoressa Casterman.
Accade un episodio curioso. Mentre ascolto le parole del professore, un grosso corvo si è poggiato non so come sul finestrino accanto a noi e rimane in equilibrio precario scuotendo le ali. Galloway non se ne cura minimamente. Quando il treno parte, il nostro curioso ospite molla la presa e va a raggiungere il resto dello stormo, quasi a seguire in volo il nostro viaggio, quasi a volerci ricordare con la sua presenza qualcosa che non riusciamo a cogliere.
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