25. Ora basta
Non ero nemmeno entrato a scuola quella mattina. Vedendo che anche quel giorno Annie non si era presentata, ruppi la promessa che mi ero fatto e corsi a casa sua.
Parcheggiai la macchina al solito posto, mi trasformai e mi avvicinai a casa sua per capire che aria tirasse, senza dare nell'occhio.
Non sentivo nulla, se non il suo cuore battere lentamente e il suo respiro tranquillo, segno che Annie stava dormendo.
Ma la cosa non mi tranquillizzò. Non era da Annie dormire fino a tardi. Iniziai a muovermi nervosamente avanti e indietro per il suo porticato.
Le avevo provate tutte per giorni, ma qualsiasi cosa facessi, mi aveva ignorato. Ero conscio di aver commesso l'errore più stupido che potessi fare: l'avevo fatta sentire rifiutata e lei si era chiusa in sé stessa.
Dopo qualche giorno mi ero rassegnato, ritenendo che, dopotutto, il fatto che Annie non mi volesse più nella sua vita, avesse dei risvolti positivi. Forse non stando insieme, avrei evitato di attirare l'attenzione degli altri branchi sulla nostra relazione. Su di lei.
Anche se in quel modo non potevo rassicurarla da tutte quelle brutte sensazioni malcelate, potevo però proteggerla dal suo destino.
O almeno così pensai. Tuttavia, udendo quella telefonata raccapricciante con suo papà, non ebbi più le forze per starle lontano.
Anche io avevo avuto una telefonata molto spiacevole con mio padre qualche settimana prima.
Ad essere sinceri, era stata proprio quella conversazione che mi aveva fatto desistere definitivamente dal voler stare con Annie a tutti i costi.
Harold Kees mi aveva chiamato raccontandomi la storia della predestinata che avrebbe salvato la nostra specie dall'estinzione. Mi disse che erano anni che aveva avviato delle indagini, ma che l'unica cosa che era venuto a sapere, per il momento, era che la ragazza era nata in Francia diciassette anni prima e che una pista la dava nel Nord America.
Dopo avermi chiesto se qualcuno di noi avesse ricevuto il dono della connessione, mi chiese di setacciare la presenza di branchi minori nel raggio di duecento chilometri e, nel caso, di piantonare i licei dell'area di interesse per verificare se qualcuno della nostra specie avesse qualche relazione stabile con una liceale.
Già, una gigantesca spada di Damocle che pendeva sulle nostre teste. Fu così che colsi la palla al balzo e mi feci andare bene quel distacco da Annie.
Tuttavia non resistetti alla fitta di dolore che mi era arrivata come una stilettata nel cuore, una volta che suo padre chiuse la chiamata.
Avevo cercato di rispettare la distanza che mi aveva chiesto, ma a tutto c'era un limite. Non potevo lasciarla stare così male.
Dopotutto, mio padre sarebbe stato buono ancora per qualche mese credendomi impegnato nelle mie ricerche. Avevo quindi il tempo di rassicurare Annie sul fatto che lei contasse davvero, forse anche per troppe persone, o meglio, lupi.
Non sapevo però ancora come. Soprattutto non sapevo in che modo sarei entrato in casa e in quale forma. Il garage era chiuso così come la finestra di Annie.
Pensai di tornare alla macchina per trasformarmi, vestirmi e tornare a suonare il citofono come tutte le persone normali, quando la porta di ingresso si spalancò.
«Tu, ammasso di pelo, dentro! Subito!» mi ordinò una Clohè furente.
Non appena entrai in soggiorno, mi lanciò sul muso dei vestiti: un paio di jeans e un maglione leggero in cachemire girocollo.
«Sono del padre di Annie. Trasformati e vestiti! Dobbiamo parlare!»
Mi diede le spalle, permettendomi di indossare quegli indumenti.
«Cazzo, Clohè, non c'erano un paio di mutande e una t-shirt? Mi prude tutto.»
«Saranno le tue pulci! Non mi sembra il momento di giocare alle sfilate di moda! Ho preso le prime cose che mi sono capitate per non vedere il tuo culo peloso.»
«Io non ho... ahhhhhh. Lasciamo stare! Dimmi come sta Annie.»
«Come pensi che stia? È da due giorni che è chiusa in camera sua a piangere e non tocca cibo.»
Mi feci serio e deglutii.
«Che diavolo hai combinato, ragazzo? Ti ho lasciato dormire qui una notte e le è crollato il mondo addosso!»
«Clohè, adesso basta trattarmi come un ragazzino. Non ho fatto niente. Forse è proprio quello il problema. Non sono voluto andare a letto con lei per paura di perdere il controllo e lei si è sentita rifiutata. Non mi ha voluto più parlare. Per un po' ho pensato che fosse un bene. Che stando lontano da lei l'avrei protetta maggiormente da tutta la storia della predestinazione, ma non sono riuscito a trattenermi dopo la chiamata di suo padre.»
«Senti Liam, le cose non succedono per caso. Se vi è stato fatto il dono della connessione è perché avete bisogno l'uno dell'altra. Devi trovare il modo di stare con lei o soffrirà e basta. E ti assicuro che ha già patito abbastanza nella sua vita... Ora raccontami della telefonata di suo padre.»
«Da quanto ho capito non sentiva suo padre da tanto tempo.»
«È vero. Non la chiama mai. Ancora meno di sua mamma.»
«Lei lo ha chiamato per chiedergli delle casse di vino per la festa a scuola del ringraziamento. Mi è sembrato di sentirla speranzosa di interagirci un po' di più con quella scusa, ma lui l'ha liquidata come se fosse una scocciatrice. Dio, è stato mortificante Clohè, ha terminato la chiamata davvero come se stesse parlando con un venditore di aspirapolveri.»
«Oh, lo so bene, quell'uomo è senza ritegno. Ormai non ha più alcun interesse, né per la moglie, né per la figlia. Quando è successa questa telefonata?»
«Due giorni fa.»
«Oh, fantastico!» Sbuffò, sbattendomi davanti dei biglietti aerei e una lettera strappati.
Li ricomposi e lessi con attenzione quel biglietto raccapricciante.
«Questa donna vuole davvero che Annie prenda un volo per un misero aperitivo il giorno del ringraziamento? Quando ha ricevuto la lettera?»
«Due giorni fa.»
«Cazzo... lo stesso giorno della chiamata con suo padre.»
«Esatto! Cerca di fare pace con il tuo cervello o con il tuo pisello, o qualsiasi altra parte del tuo corpo abbia problemi con lei. Ma Annie ha bisogno di te! Ficcatelo in testa. Non puoi farle credere di comprenderla, di amarla e poi sparire così.»
«Ma io non sono sparito, è lei che mi ha ignorato completamente e mi ha chiesto di starle lontano.»
«Oh andiamo! È una donna, anche se giovane! Non vuoi che ti tratti come un ragazzino, ma non mi sembra tu abbia così esperienza con le relazioni femminili!»
Clohè aveva ragione, essermi unito a un numero considerevole di donne, anche mature, non faceva di me un esperto in relazioni sentimentali, e il dubbio di non aver insistito abbastanza mi attanagliò le budella.
Sospirai e alzai lo sguardo verso le scale che portavano al piano di sopra, che portavano da Annie.
«Vai, ragazzo. Io faccio il pollo Thai. Ve lo lascio qui. Mi aspetto che vi chiarite e che tu glielo faccia mangiare tra un paio di ore.»
Pochi istanti dopo ero fuori dalla sua camera.
Appoggiai la fronte alla porta per prendere coraggio. Sarei stato fermo, qualsiasi cosa potesse dirmi o farmi, non me ne sarei andato da quella stanza per nessuna ragione.
Non sentivo ancora il suo malessere e dedussi quindi che stesse ancora dormendo.
Entrai piano piano. La stanza era tremendamente disordinata, non era da lei. Si era lasciata andare e, da un lato, ne fui sollevato perché voleva dire che stava esternando il suo dolore. L'avevo vista indossare la sua maschera per settimane senza mai vacillare. Le emozioni che percepivo si erano ridotte ai minimi termini, non era stato un comportamento mentalmente sano. Sfogarsi le aveva fatto sicuramente bene, ma era arrivato anche il momento di reagire in modo più costruttivo e io l'avrei aiutata a farlo.
Aprii lentamente la finestra per far entrare un po' di aria fresca.
Mi sdraiai accanto a lei e l'avvolsi con un braccio, respirando finalmente il profumo dei suoi capelli.
Pochi istanti dopo, la sentii irrigidirsi tra le mie braccia.
Stupore.
Si girò lentamente verso di me.
«Mon Dieu, cosa ci fai tu qui?» mi chiese tra l'irritato e l'assonnato.
«Sono passato a vedere come stavi. Non ti ho più vista a scuola.»
Rancore.
«Sto bene! Se non sono venuta è perché non ho voglia di vedere nessuno. Soprattutto te!» si svincolò dalle mie braccia e si sedette sul bordo del letto, mentre rimasi in silenzio, ancora sdraiato. «Ti avevo detto di lasciarmi stare, vattene Liam.»
«No. Non lo farò.»
«Tu... cosa? Ti sto dicendo che te ne devi andare! Subito.»
«E io ti sto dicendo che non lo farò. Non mi muoverò da questa stanza.»
«Merde!» Si alzò in piedi e prese a camminare avanti e indietro.
Mi tirai su sui gomiti, ma rimasi sempre fermo a letto, come a rimarcare il fatto che niente mi avrebbe smosso.
«Te lo ripeto. Vai via! O chiamerò Clohè!»
«Chi pensi mi abbia fatto entrare e chi mi abbia prestato questi vestiti?»
Si accorse solo allora che indossavo gli abiti del padre. La cosa sembrò turbarla tanto che i suoi occhi diventarono lucidi.
«Lurida traditrice!»
«È preoccupata per te, Annie, così come lo sono anche io.»
Rise sarcastica.
«E perché saresti preoccupato per me? Sono solo una ragazzina pazza con cui non vuoi nemmeno andare a letto.»
Mi alzai dal letto, sospirando, mi avvicinai piano guardandola dritto negli occhi.
«Non è così. E tu lo sai...»
Collera.
«Vattene Liam!»
Mi spinse, ma io non arrettrai.
«Vattene!»
Prese a colpire i miei pettorali con i pugni, e io aprii le braccia per accogliere tutto il suo sfogo.
Mi colpì sempre più forte fino allo stremo. Quando esaurì le forze, si accasciò su di me, nascondendo il volto nell'incavo del mio collo e prese a piangere.
Io non persi tempo e l'avvolsi tra le braccia, cullandola finché non smise di riversare le lacrime sulla mia camicia.
Tirò su il volto e prese a guardarmi.
«Liam, cosa vuoi da me?»
«Voglio te, Annie.»
«Completamente?»
«Completamente.»
«Pensi che sia pazza?»
«Mmmh... forse un pochino. Ma solo perché non credi che io non muoia dalla voglia di venire a letto con te. Quello, in effetti, è un pensiero un po' pazzoide.»
Riuscii a strapparle un sorriso.
«Voglio solo che la nostra prima volta sia davvero speciale, ok? Me lo lascerai fare?»
Annuì dolcemente, tirando su con il naso.
«Mi dispiace per tutte le incomprensioni che ci sono state tra di noi. Forse avrei dovuto dirti la verità fin dall'inizio, ma ho avuto paura di spaventarti.»
Corrugò la fronte.
«Quale verità?»
«Se ti mordessi, ti trasformeresti anche tu in un lupo mutaforma.»
«Ma avevi detto che i lupi non sono in grado di creare i propri simili come nei film.»
«È vero. Un lupo non può trasformare un umano. Ma in una connessione mista come la nostra è possibile. Se ti mordesse Marcus non succederebbe nulla, ma se lo facessi io, sì.»
«Quindi è per questo che hai paura di perdere il controllo?»
«Esatto. Ma ti prometto che troverò il modo per controllarmi. Ho capito che è troppo importante per te. Non ti imporrò più nessuna astinenza che ti faccia sentire non desiderata. Perché io ti desidero, Annie, non hai la più pallida idea di quanto.»
Mi avvolse le braccia intorno al collo e singhiozzò.
Percepivo tutta la sua stanchezza e qualcosa di simile a un mal di testa.
«Vuoi sdraiarti? Ho interrotto il tuo sonno prima.»
Annuì, come a vergognarsi della propria stanchezza.
«Non sono riuscita a dormire molto in queste notti. Rimarrai qui con me?»
«Non vado da nessuna parte, Annie.»
Mi sdraiai sul suo letto e lei si adagiò perfettamente ai miei pettorali.
«Niente Pelosone?»
Le sorrisi.
«Niente Pelosone. A meno che tu non voglia.»
Si strinse ancora di più a me.
«No, ti prego. L'odore della tua pelle mi rilassa.»
«Lo so, lo sento, Annie. E ora lo potrai avere sempre, tutte le volte che vorrai.»
Pace fatta!
Avevate dubbi che l'avrebbe lasciata stare così male?
Liam le ha raccontato un altro pezzetto di verità. Ci sono però ancora tante cose che Annie non conosce.
E questo è un problema da risolvere, assieme a quello del sesso.
Liam avrà capito a questo punto che non può gestire le cose come la volta scorsa?
Che dire... ritiriamo fuori i pop corn l'habanero?
Ricordatevi di stellinare se questa riappacificaizone vi è piaciuta e fatemi sapere cosa ne pensate!
Baci
BEA
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