9. Jazz Jam
Aprile, 2017.
Edward.
Quel venerdì la parola d'ordine allo Chat Noir era Memento Audere Semper. Quando la pronunciai, fui subito accolto nello locale che era stato appositamente addobbato per la serata. Anni '20: questo il tema. Luci soffuse, lampade accese su ogni tavolino e musica in sottofondo delicata.
Freya mi aspettava già dentro; l'avevo lasciata all'ingresso per cercare parcheggio, proprio perchè in quella serata, con il sold out al locale, era impossibile trovarne.
Non appena la raggiunsi, mi fu impossibile non rimanere quasi ammaliato dalla sua bellezza. «Sei bellissima!» Esclamai. Lei sussultò per lo spavento, ma si voltò non appena riconobbe la mia voce.
«Anche tu, cucciolo. Stai benissimo.» Disse. Mi lasciò subito dopo un bacio sulla guancia, con ancora le labbra rosee e pulite dal rossetto che a breve avrebbe indossato .
Salutai i nostri colleghi, Peter e Adam, che accompagnavano le nostre musiche con batteria e contrabbasso, e mi avvicinai al bancone per ordinare un whisky ghiacciato.
Era da un po' che avevo familiarizzato con il whisky, alcolico preferito di mio padre, ma avevo imparato, con il tempo, a dosarlo in maniera corretta, considerate le esperienze mie e sue.
Mancavano tre minuti alle dieci e a quell'ora precisa saremmo dovuti essere sul palco per dare inizio alla serata.
La gente entrava copiosa all'interno del locale, tutti agghindati e vestiti a tema, come lo Chat imponeva quel venerdì di aprile.
Alle dieci in punto fui sul palco, portando con me il bicchiere di whisky che avrei poggiato sul pianoforte a coda. Di fronte a me Peter e Adam, con due completi abbastanza simili, a righe, e dei berretti sulla testa, e Freya al centro del palco che sistemava il suo sgabello, con in braccio il sassofono dorato. Era davvero splendida, quella sera. Il dorato dello strumento si abbinava al suo vestito, un tubino lungo fino al ginocchio, fatto di lustrini e glitter color oro. Aveva le mani guantate di bianco, come tutti nel gruppo, e sulla testa una fascetta piumata. Ma la cosa che risaltava di più erano i tre giri di perle che portava al collo,seguite poi dal rouge pour couture solito che contornava il beccuccio del sassofono.
C'era caldo. E fu proprio quello il motivo per cui rinunciai a gilet, giacca e capello e lasciai che il mio corpo si fasciasse di una sola camicia e dei pantaloni scuri. Avevo comunque portato la giacca, per evitare di essere sgridato dal proprietario, ma l'avevo lasciata sul sedile del pianoforte, e lí sarebbe rimasta tutta la sera. L'unico accessorio che era rimasto insieme ai guanti, sul mio corpo, erano le bretelle blu, abbinate ai pantaloni, che stringevano il tessuto bianco della mia camicia lasciata aperta di qualche bottone.
Sorseggiai un'ultima volta il liquido ambrato nel mio bicchiere e lascia che Freya iniziasse il suo canto. Seguimmo io, il basso e infine la batteria nel ritmo allegro che Freya andava cadenzando con il suo sax. Ero finalmente felice di essere tornato Mr. Hyde per la notte dopo tutto quel tempo in cui avevo dovuto essere Jekyll, e vivere giornate di puro stress con l'arrivo di Louis e il suo tornado emozionale.
Suonammo per una prima decina di minuti, per poi circondarci degli applausi generali e riposare qualche e minuto.
«Grazie.... Buonasera, noi siamo i Jazz Jam.»Salutò Fey.
Era un nome piuttosto buffo, a primo impatto. Lo riconoscevo. Ero stato io stesso, tuttavia, a sceglierlo. Erano passati mesi in cui vari nomi ipotetici ci venivano affibbiati, ma alla fine, nessuno riusciva a rappresentarci nella maniera giusta. Solo un giorno, quando ormai c'eravamo arresi, io e la mia amica norvegese stavamo facendo una sana merenda con pane e marmellata, e da lì l'eureka. Dopo qualche secondo di incomprensibili confabulii, ero giunto alla conclusione con il nome. Freya rise. Ma poi le spiegai: le jam session sono delle vere proprie sessioni musicali di jazz in cui vige la mera improvvisazione. Considerato lo stile della nostra band, in cui la maggior parte delle nostre musiche erano frutto della casualità , e spesso sul palco lasciavamo che fosse l'improvvisazione stessa a inglobarci nel suo mondo, il nome era perfetto.
Era andato bene a entrambi, tranne la precedente coppia basso-batteria che, per vari motivi, ci aveva lasciato soli. Non era da molto tempo,infatti, che Peter e Adam si erano uniti al nostro duo. Li avevamo trovati per caso, proprio allo Chat Noir.
Dopo una buona mezz'ora di ottima musica, ci concedemmo una pausa. E di nuovo, elogiati da un applauso rumoroso, lasciammo il palco per dedicarci a un secondo giro di whisky per me, un Negroni per Fey, e una sigaretta per gli altri due. Una musica di sotttofondo partì dalle casse nel locale per intrattenere gli ospiti durante la nostra assenza.
«Stiamo andando alla grande, non credi?» Le domandai, poggiando i gomiti sul bancone del bar.
Fey annuì e come ci vennero serviti i drink, sbattemmo i bicchieri fra loro e buttammo giù un sorso abbondante dei liquidi colorati. «Benzina, cazzo! Sa di benzina.» Si lamentò, io ridacchiai. «Continui a ordinarlo ogni volta, però.» Lei mi fece il verso e alzò le spalle, portandosi alle labbra rosse il bicchiere, nuovamente.
«Comunque, ritornando al discorso dell'altro giorno, non riesco a credere a quello che abbia fatto Charlie. » Iniziò. Sussultai, non appena sentii il suo nome. Mi continuavo a ripetere che avrei dovuto farci l'abitudine, lo avrei sentito spesso in quei mesi. Ma non riuscivo, per quanto ci provassi, a non trasalire ogni volta che quelle lettere venivano pronunciate. «Cambiare tutto all'ultimo momento, quando avevamo già imparato gli altri pezzi... non credi, Eddie? Insomma, ha scelto un ottimo rimpiazzo..glielo devo riconoscere soprattutto per la storia che c'è dietro..» Tentò di continuare,ma la fulminai.
«Freya.» La avvertii.
«Scusa, cucciolo. Ma lo so. E lo sai che anche tu. Ci deve essere un motivo per cui ha deciso di accettare di venire a suonare con noi, e cambiare le nostre musiche con questo concerto, sapendo che ci saresti stato anche tu. Dopo che entrambi sappiamo che importanza gli avevate dato.» Mi canzonò con tono di rimprovero, sorseggiando il suo drink. Io non avevo ancora finito il mio , roteavo il bicchiere tra le dita della mano sinistra, mentre osservavo il liquido scivolare da un ghiacciolo all'altro. «E' impossibile che se lo ricordi, Fey. Non penso potrebbe proprio essere possibile. Ma in ogni caso, non ha importanza. Dobbiamo concentrarci sulle possibilità che Vienna ci porterà . E soprattutto, dobbiamo concentrarci su stasera.» Fui sicuro di aver concluso il discorso quando, dopo le mie parole, Freya sbuffò e terminò il Negroni, poggiando il bicchiere vuoto sul bancone e allontanandosi da esso.
«Dovresti indagare meglio su questa storia, Edward. Nessuno di noi due crede a quella gigantesca stronzata dei tuoi genitori. Faresti meglio a ingaggiare qualcuno.» Non aveva proprio intenzione di smettere di parlare e quella non era certamente la serata adatta per parlare di investigatori privati e del mio passato.
«Ti prego, Freya. Non farmi incazzare. Posso anche non crederci, ma ho visto il certificato di nascita e il test del DNA, è un dato di fatto. Abbiamo lo stesso sangue. Ora finiscila di blaterare teorie complottiste e saliamo sul palco, ci stanno aspettando.» Mi resi conto tardi che probabilmente ero stato un po' troppo duro. Non a caso mi rivolse infatti uno sguardo truce, e io seppi che dopo la serata mi sarei preso una bella sgridata. Tornò sul palco e io feci per raggiungerla, intento a portare con me, nuovamente, il resto del mio alcolico preferito sul palco.
Sbiancai, però, quando nel momento in cui il mio sguardo cadde sull'ingresso del locale, vidi entrare una coppia di cui avevo fatto già conoscenza nei giorni precedenti.
«Cazzo!» Imprecai a voce bassa. Il mio cuore iniziò a battere troppo veloce che pensai di essere entrato in tachicardia, e le mie pupille a tremare. Mi passai un anno nei capelli sciolti mentre buttai giù tutto d'un fiato il resto del liquido ambrato dall'odore pungente, poggiando con forza il vetro vuoto sul legno.
«Un altro, per favore. » Domandai al barista che subito si impegnò per preparare un altro bicchiere.
Non appena potei, raggiunsi Freya sul palco che mi guardava con occhi confusi, probabilmente perche in faccia avevo lo sguardo di uno che aveva appena visto un fantasma.
Disorientato, guizzai gli occhi da una parte all'altra, una volta seduto sul mio sedile, provando una strana sensazione di afa incontrollabile. E quando lo vidi sedersi in prima fila, mano nella mano con la sua dolce fidanzata, cercai disperatamente la mia amica per comunicarle la situazione.
Bevvi un sorso abbondante dal mio bicchiere, riappoggiandolo subito sul pianoforte facendone cadere un po' sui tasti lucidi. Stavo tremando come una foglia. Non avevo idea del motivo, ma mi sentivo particolarmente violato. Non era come in auditorium, perchè sapevo che prima o poi, avrebbe invaso la mia orchestra, ma lo Chat Noir era come un segreto. Una seconda vita di cui nessuno era a conoscenza. Il fatto che Louis fosse lì con la sua ragazza come se nulla fosse mi spaventava a morte.
Feci un respiro profondo nel tentativo di calmarmi e diedi io inizio alla musica, quella volta. Un pezzo calmo, non troppo allegro, inizialmente. Lo avevamo chiamato Angel Steps ma non avremmo dovuto suonarlo prima della seconda pausa. Ero nel panico. Freya, Peter e Adam mi guardarono sbigottiti, presi anche loro da un attimo disorientamento e rimasero in silenzio per qualche secondo. Quando proseguii per le successive tre battute sentii la batteria di Adam seguirmi e Peter iniziò a battere il ritmo con le corde del basso. L'ultima fu Freya, che si sedette sul suo sgabello comodamente e rimase in silenzio ancora per qualche battuta. Sarebbe partita a metà del primo movimento.
Quando trovai abbastanza coraggio, rivolsi il mio sguardo verso il pubblico, e cercai distrattamente quello di Charlie, che trovai praticamente subito. Se la maggior parte delle persone sedute di fronte a noi chiacchierava, si godeva ad occhi chiusi la musica, o sorseggiava qualche alcolico, riuscii a trovarlo subito perchè aveva gli occhi quasi fuori dalle orbite. Non credo sapesse che mi avrebbe trovato lì. Era completamente scioccato, che continuava a picchiettare la mano della fidanzata per intimarla a rendersi conto della situazione. In quel momento Freya diede inizio al suo malinconico assolo. Tutti gli altri strumenti rimasero in silenzio, lasciandole lo spazio. Una luce la illuminò completamente. Guardai Charlie. Faceva per alzarsi e andare via, ma Isabel gli doveva aver calpestato un piede, perchè lo vidi sedersi nuovamente con un'espressione dolorante. Finii, finalmente, il mio drink, e sentii l'alcol iniziare a ribolllire nel mio sangue, dando i primi segni della sbronza.
Tornai sui tasti. Muovevo le dita lentamente,e piano piano rallentai, fino a quasi fermarmi. Ma quando fui sul punto di fermare la musica, ripresi con un nuovo movimento, più veloce e allegro, che permise a Freya di cambiare ritmo e rivoluzionare la scena con un andante vivace che portò l'attenzione di tutti su di noi.
Fui di nuovo sereno. Charlie , quando lo guardai, mi rivolse una sorta di sorriso imbarazzato, ma che naturalmente non ricambiai, tornando a concentrarmi sul pianoforte.
Mi tornarono in mente le ultime serate allo Chat. Mi ricordai quando avevo perso un paio di battiti vendendo una coppia di zaffiri farsi spazio nel locale, ma non potevano essere gli stessi che mi guardavano oggi dalla prima fila. Charlie era arrivato da poco, e la prima volta che avevo incrociato lo sguardo con quegli occhi era stato a inizio del mese precedente. Molto probabilmente era un'altra persona.
La serata terminò quasi all'una. Ero esausto. Mi sfilai i guanti bianchi e sentii le mani libere di respirare. Come sempre, mi ero accordato con Freya per riaccompagnarla a casa, ma l'avevo avvisata che prima avrebbe dovuto concedermi il tempo di una sigaretta. Erano settimane che non fumavo e lo stress di quel venerdí era alle stelle. Mi ritirai nel retro del locale eliminando le bretelle che mi stringevano le spalle e lasciandole ricadere sui fianchi, tenendo tra le labbra una delle mie Marlboro disintegrate nel pacchetto rosso.
Non appena il fumo entrò nei miei polmoni mi sentii fluttuare, sebbene fossì già un po' brillo per l'alcool, e sovraeccitatto per la serata accesa.
«Sono le preferite di papà.» Avrei riconosciuto la sua voce fastidiosa fra mille altre. Sbuffai, cacciando fuori il fumo dalla mia bocca e mi voltai per capire da dove provenisse la sua voce. Me lo ritrovai davanti , all'altezza delle spalle, che mi fissava. Cazzo, non avevo ancora fatto caso al suo outfit. Era vestito uguale a me, solo che i suoi pantaloni e le sue bretelle erano verdi. Mi ricordò un periodo del 2012 in cui era completamente fissato con le bretelle.
«Ne vuoi una?» Proposi, incredulo di me stesso nel sembrare così... gentile nei suoi confronti.
«Ma si, dai.» Disse e afferrò una sigaretta dal pacchetto che gli porsi. La accese, con il mio accendino, e tossì di colpo.
Ridacchiai.
«Pensavo fumassi.» Dissi, ricordando l'ultima volta che l'avevo visto fumare.
Lui, guardando la punta delle sue scarpe, sospirò cercando di far passare la sua tosse. «Si è cosí. Ma non Marlboro rosse. Ho uno strano rapporto con queste ...»
Bah. Come si poteva avere una sorta di ... repulsione per delle sigarette?
«Sai... è grazie a papà se ho iniziato a fumare.» Aggrottai le sopracciglia e Charlie mi guardò, accennando un mezzo sorriso.
«Si.. quando mi portasti per la prima volta a casa tua, nel suo ufficio. Praticamente mi costrinse a fumare, e da lì è diventato un vizio.» Mi si formò un groppo in gola che faticai a buttar giù. Scossi poi la testa.
«Che ci fai qui, Charlie?» Domandai, cambiando discorso.
«Mi godo una serata con la mia ragazza, che c'è di male?» Rispose. Pensai mi stesse prendendo in giro. Ma poi mi ricordai della sua faccia quando mi aveva visto sul palco. Non sapeva che suonassi là.
«Davvero, Davis? Allora perchè sei qui con me, e non con lei?» Lo stuzzicai, tirando il fumo dalla sigaretta. Charlie non stava più fumando. Che spreco avergliela offerta.
«Dovevo parlarti, Edward. Non sapevo suonassi qui, e ne sono totalmente affascinato, devo riconoscere la tua bravura al pianoforte. Avevo intenzione di chiamarti, ma non ho il tuo numero. Avrei aspettato alle prove di domani, ma quando ti ho visto qui ho colto l'occasione e ho aspettato che finisse la serata per fare due chiacchiere.»
«Cosa dovevi dirmi di così importante che non potesse aspettare domani?»
«Domenica è Pasqua.»
«Quindi?»
«Mamma vuole che andiamo tutti da lei, a pranzo. Ha provato a chiamarti ma non rispondi al telefono, dice, così mi ha incaricato di riferirti questo messaggio.»
Sbuffai sonoramente e alzai gli occhi al cielo . Ero completamente cosciente delle chiamate di mia mamma, e non era un caso se non avevano ricevuto risposta. Ogni anno tentava di trascinarmi a casa sua per le feste, che fosse natale, pasqua o il mio compleanno, ma trovavo sempre un modo per rifiutare. Non mi faceva piacere stare con i miei genitori. Mi avevano rovinato la vita,insomma. Era giusto che scegliessi di starne lontano.
Ma mi faceva infuriare che quell'anno Charlie si fosse degnato di presentarsi o addirittura Claudia l'avesse incaricato di reclutarmi per il pranzo del secolo. In nessuno dei cinque anni precedenti aveva risposto agli inviti. Perchè avrei dovuto farlo io? E perchè, soprattutto, quest'anno aveva così voglia di riunire la famigliola a tavola per delle ore infinite ed estenuanti?
«Come avrà già intuito, non ci sarò. Ho già degli impegni che non posso rimandare.» Risposi secco. Non avevo grandi programmi. Sarei andato da Freya come ogni anno. I suoi genitori mi volevano bene. Peró avevo anche sentito Alec, e ci eravamo accordati per uscire la sera tardi, insieme a Fey e Caroline.
«È la tua famiglia, Edward. Devi venire, mamma ci tiene tanto. Non vai mai a trovarli. » Senza accorgermene avevo finito la sigaretta che bruciava insistentemente e accumulava sul filtro il tabacco bruciato.
«Come se tu fossi stato presente a un singolo pranzo,cena o compleanno negli ultimi cinque anni.» Lo canzonai. Sospirò, cosciente che avessi ragione.
«Non capisco perchè tu insista tanto. Non sarà domenica a rivoluzionare il nostro rapporto. Quello è, e quello rimarrà. Perchè ti interessa tanto che venga?»
«Perchè sono tuo fratello maggiore, e mi sto comportando da tale. E perchè voglio passare una festa insieme alla mia famiglia. È così male?» Sentii una strana sensazione nello stomaco sentendo quelle parole. In realtà erano poche le volte in cui avevo conversato con Charlie riferendoci a noi come fratelli, perciò era più facile lasciar perdere e far finta che non fosse vero, ma a sentire la sua voce dire quelle cose, mi trovai costretto a realizzare.
«Non mi va, Charlie. Non è obbligatorio rimanere legati a una famiglia che non ti vuole bene.» Sussurrai. Buttai la sigaretta per terra e la calpestai con la scarpa, per spegnerla. Louis mimò i miei movimenti, anche se la sua sigaretta era quasi intera e ripensai nuovamente allo spreco che era stato offrirgliela.
«Ti prego, Edward. Sarà solo un pranzo. Poi potrai fare quello che ti pare. Fallo per me.» Era strano sentire Charlie pregarmi.
«Non lo farò per te. Ma sei estenuante. Non rimarrò più di due ore. Questo è il patto. E non mi vestirò di tutto punto per un pranzo di cui non mi interessa nulla. »
Charlie sorrise dolcemente.
«Prima ti piaceva vestirti di tutto punto.» Mi ricordò.
«Prima ero sotto la manipolazione di Claudia.» Risposi.
«Ci vediamo domani, Edward. Grazie.» Continuò Charlie. Mugugnai un verso di assenso, e mi voltai per tornare dentro, recuperare Freya e tornare a casa.
«Buonanotte.» Dissi.
«Hai intenzione di chiedermi scusa per come ti sei comportato o pretendi che faccia finta di niente?» Freya non esitò un secondo: non appena salimmo in auto, partì in quarta con la sfuriata che sapevo mi sarebbe stata fatta.
Sospirai guardandomi le ginocchia.
«Mi dispiace, Fey, lo sai.»
«Tutto qui?» Chiese inquisitoria; la vidi incrociare le braccia al petto dopo essersi strappata la fascetta dalla fronte.
«Mi dispiace di averti risposto male! Sai che mi irrita sentir parlare di Louis e del nostro passato. Ma questo non mi giustifica, avrei dovuto pensare prima di aprire bocca. » Le rivolsi un sorriso triste, speranzoso che quella breve discussione potesse finire al più presto.
«Scuse accettate, cucciolo.» Fey mi lasciò un bacio sulla guancia, lasciandomi lo stampo delle sue labbra. Sorrisi affettuoso e le baciai il dorso della mano, mimando un grazie.
«Adesso parti e raccontami cosa ti ha trattenuto tutto quel tempo fuori!»
*
Provocare mia madre era una cosa che avevo imparato a fare molto bene e che adoravo. E siccome ero ben cosciente che lei adorasse vedere i suoi figli eleganti a questo genere di eventi, mi sentii euforico nell' indossare un paio jeans neri strappati sulle ginocchia e una camicia a righe bianche e nere, rigorosamente a maniche corte, aperta fino a metà petto, in modo che i miei tatuaggi fossero ben in vista. Claudia odiava i miei tatuaggi.
Mi ricordo quando avevo fatto il primo, appena maggiorenne, mi ero preso una di quelle sfuriate simili a quando sei piccolo, pensai pure che sarebbe stata in grado di sculacciarmi, se avesse voluto. Ridacchiai al ricordo, e mentre mi sistemavo i capelli con la mano, mi guardai nello specchietto retrovisore dell'auto. Decisi che sarei entrato con uno sguardo corrucciato, in modo che tutti notassero la mia scarsa voglia di essere lì in quel momento.
Scesi dalla macchina e chiusi la portiera con noncuranza, infastidito dalla presenza della Porsche Cabrio nera di Charlie nel piazzale di casa nostra.
Feci il giro della mia umile auto e aprii la portiera a Freya. Considerato che era certo che Louis avrebbe portato la fidanzata, chi ero io per non avere un +1 ? Avevo inoltre bisogno di sostegno morale perchè, infondo,ero terrorizzato all'idea di quella rimpatriata familiare dopo cinque anni di silenzio stampa. Erano infatti cinque anni precisi in cui non facevamo qualcosa insieme, e sapevo che se mi fossi presentato da solo, sarei stato attaccato da tutti i fronti senza possibilità nemmeno di difendermi a dovere.
«Ciao, Gertrude.» Salutai una volta arrivati al portone e suonato il campanello. La donna di fronte a noi ci guardava felice.
«Buongiorno, Edward! Quanto tempo!» Gertrude fece un sorriso smagliante e mi lasciai abbracciare dalle sue braccia minute, abbassandomi per arrivare alla sua altezza cosicchè non faticasse per raggiungermi.
«Chi è questa splendida ragazza?» Mi chiese euforica. Le sorrisi e strinsi Fey sotto il mio braccio.
«Un'amica.»
Gertrude ci fece strada verso il salotto, dopo aver preso il cappotto di Freya, come se non avessi mai vissuto sotto quel tetto, e raggiungemmo i miei genitori che, probabilmente già da una buona mezz'ora, mi aspettavano sul divano insieme a Charlie e la sua inseparabile Isobel.
«Buona Pasqua!» Salutai a voce alta, facendo spaventare i un po' tutti. Claudia si girò verso di me con uno sguardo terrorizzato per lo spavento, esagerata come suo solito, poi il suo volto si aprì in un sorriso nauseante.
«Tesoro mio!» Gridò, alzandosi dal divano e venendo nella mia direzione. Guardò poi Freya confusa. Non l'avevo avvisata. Ma avevo avvisato Freya di tutto quello che sarebbe potuto succedere. In un modo o nell'altro aveva imparato a conoscere mia madre attraverso i miei occhi. Le sorrise in maniera genuina.
«Lei è Freya.» Pronunciai fiero, invitando mia madre a porgerle la mano. Si presentarono. Adoravo vedere il suo viso corrucciato per la confusione e il panico nell' aver fatto qualcosa che non rientrava nei suoi piani.
Claudia mi scrutò analitica da capo a piedi, probabilmente infastidita dai miei vestiti poco adatti. Fey, al contrario, indossava un vestito azzurro di tweed fino al ginocchio, decorato con bottoni dorati e un giro di perle sottile al collo.
Sembrava una principessa.
«Ciao, figliolo.» Fu il turno di Joseph. Si alzò dal divano, un bicchiere di whisky tra le dita della mano destra, vestito formale come sempre. Feci una smorfia e alzai il mento in segno di saluto. Charlie era seduto sul divano con le mani di Isobel intrecciate alle sue. Sembravano usciti da un negozio di bambole. Con un finto sorriso, Isobel fu la prima dei due ad alzarsi e venire verso di noi. Charlie la seguì a ruota.
«Ciao Edward. Freya,» salutò con tono affettuoso. Feci un sorriso forzato mentre osservavo i movimenti del suo fidanzato, curioso di come si sarebbe rivolto a noi.
«Non ci siamo ancora presentati, noi due.» Disse alla bionda, porgendole la mano. Fey la strinse, fore in maniera un po' troppo salda, tant'è che vidi l'espressione di Charlie stringersi per la sorpresa.
«Il pranzo è pronto.» Annunciò Gertrude, riapparendo in salotto. Riuscì, per fortuna, a sollevare il velo di tensione che stava calando nell'aria, e tutti le rivolgemmo la nostra attenzione.
Fui sollevato all'idea di allontanarmi da mia madre per brevi secondi, spaventato dalle domande che avrebbe potuto farmi. Ci sedemmo a a tavola: Claudia e Joseph a capotavola, io e Freya da un lato, la romantica coppia dall'altro. Gertrude afferrò i piatti e le posate e le sistemò sul tavolo, aggiungendo il posto per Fey.
Sulla tavola addobbata da un centro tavola esageratamente grande, erano presenti già numerosi piatti contenenti vari antipasti. Morivo di fame.
Afferrai un vassoio e mi impegnai a servire Freya,assicurandomi che assaggiasse tutto, e poi mi riempii il piatto: il cibo di Gertrude era il più buono che avessi mai mangiato. Anche Charlie si riempì il piatto tanto da non farci stare più nulla, e dovette sistemare qualcosa pure sul tavolo intorno a sè, con larga disapprovazione da parte della fidanzata che, altezzosa, si era fatta servire solamente una tartina al granchio e un po' d'acqua.
«I miei bambini, finalmente riuniti.» Claudia parlò e la fulminai, rimanendo in silenzio.
«Come stanno andando le prove?» Cominciò. Mi versai il vino rosso che si trovava di fronte a me nel bicchiere.
«Tesoro, ti stai trovando bene nell'orchestra?» Domandò a Charlie. Stranamente tutte le attenzioni, durante il pranzo, si rivolsero a lui. E alla sua ragazza. E al loro fidanzamento.
«Eravamo a un suo concerto. Io ero in prima fila che lo guardavo e quando tutti si alzarono in piedi per applaudire lui corse giù dal palco, per poco non si rompeva l'osso del collo e tirò fuori un cofanetto azzurro. E' stato splendido.» Isobel squittiva nel raccontare la proposta di matrimonio di Charlie. E in quel momento li vidi baciarsi per la prima volta. Avevo la nausea. Forse stavo mangiando troppo. Buttai giù un altro bicchiere.
Quando arrivò l'agnello io mi sentivo già pienissimo.
Freya non aveva esitato a fare conversazione, socievole com'era, e sembrò quasi che a mia madre stesse simpatica. Sorrideva di continuo, la ascoltava interessata. Tuttavia, ogni volta che Isobel apriva bocca, le si formavano dei cuoricini negli occhi così fastidiosi da farmi venire il mal di mare. Mio padre fu silenzioso per tutto il pranzo.
Non che io,poi, fossi stato molto loquace. Mi limitai a chiedere, esclusivamente a Fey, di passarmi qualcosa dal tavolo o a rispondere si o no a mia madre.
«Edward, amore, ti vedo silenzioso. Non sei felice di essere qui? Ci siamo tutti: io e tu padre, tuo fratello, tua nuora e la tua ragazza.» Mi voltai di scatto verso Claudia quando sentii la parola ragazza, riferita a Freya.
«Freya non è la mia ragazza.» Puntualizzai.
«Tesoro, qualsiasi cosa sia, ti vedo giù di morale. Metti su un bel sorriso, non passiamo mai insieme nessuna festa!»
«Tua madre ha ragione, Edward. Non vieni mai per le feste.» Fu mio padre,questa volta, a intervenire.
«Al vostro funerale non mancherò di certo.» E il terzo bicchiere di vino scese giù per la mia gola velocemente. Freya mi tirò una ginocchiata sotto il tavolo che mi fece sussultare. Mia madre lasciò cadere le posate sul piatto, che fecero così rumore quasi da rompere la porcellana. Charlie rise. Mio padre battè un pugno sul tavolo e Isobel mi guardò esterrefatta.
Charlie rise.
Lo guardai confuso. Aveva riso. Era strano. Queste battute non lo facevano mai ridere. Ed era troppo legato ai nostri genitori per ridere a una frase del genere. Però rise. Certo, un cosa breve, perchè Claudia lo fulminò con gli stessi occhi di Medusa, e si zittì subito come un topolino spaventato.
Il pranzo continuò totalmente in silenzio. Controllavo l'orologio di continuo, impaziente che le due ore che avevo stabilito passassero. Mancava un quarto d'ora. Sarei stato libero a breve.
«La tua ragazza è simpatica.» Mi disse Claudia in cucina, mentre mi avvicinavo a portare verso la lavastoviglie i piatti. Sbuffai.
«Non è la mia ragazza.» Ripetei.
«E' molto bella.»
«Si, ma a me piacciono i ragazzi. Mi sono sempre piaciuti,e sempre mi piaceranno. Io e Freya siamo ottimi amici, ma non ci potrà essere mai altro.» La rimproverai. Poggiai con poca eleganza i piatti nel lavandino per chiarire il mio fastidio.
«Non ti sei neanche impegnato a vedere se ti piace.»
«Cosa non capisci, Claudia? Perchè fai finta di non sapere che sono gay?» Era veramente assurdo. La rabbia si faceva sentire dentro di me e cercai un modo per trattenermi: iniziai a lavare i piatti armandomi di spugna e detersivo.
«Grazie per aver portato i piatti, ma li laverà Gertrude.» Disse, avvicinandosi a me, nel tentativo di distogliere la mia attenzione dalla schiuma bianca che ricopriva le stoviglie nel lavandino nero.
«Non devo essere una persona spregevole solo perchè lo sei tu. Non ho perso l'educazione. » Mi lamentai serio e sfregai intensamente le forchette.
«Dai, Edward, mi dispiace.» La rabbia mi ribolliva nelle vene.
«No! Non ti dispiace.» Mi voltai verso di lei tirando per aria la schiuma bianca che avevo nelle mani, anche un po' sul suo viso.
«Perchè mi hai invitato qui? Volevi che mi sentissi umiliato? Si, Charlie è più famoso. Si, è più bravo, ha più soldi, sta per sposarsi, è il tuo orgoglio, non è così? Perchè farmi venire qui se il tuo interesse era rivolto unicamente a lui?» Mi ero ripromesso di non cascare nelle trappole manipolatorie, ma non potevo far inta di niente e sopportare.
«Sai che non è così. Vi voglio bene allo stesso modo. Volevo stare con la mia famiglia, chiedo troppo?» Sentii un singhiozzo e alzai gli occhi al cielo.
«Non esce mai niente dalla tua bocca che non sia una bugia, Claudia?»
«Non chiamarmi così, Edward. Per te sono mamma, per l'amor del cielo!» Si coprì il volto con le mani e pianse.
« No, non più.» Decisi che la conversazione sarebbe terminata in quell'istante. Lei alzò il volto verso di me e quasi mi venne da ridere nel vedere che sulle sua guance non c'era l'ombra di una lacrima. Me l'aveva quasi fatta.
Uscii dalla cucina e arrivai verso Freya con passo svelto, la afferrai per il polso e la feci alzare dal divano.
«Noi andiamo.» Avvertii e ci trascinai entrambi verso l'uscita. Freya era disorientata e mi domandò più volte cosa fosse successo.
«Aspetta!» Charlie mi raggiunse correndo.
Aprii la porta di casa e uscii nel piazzale, senza voltarmi. Ero furioso.
«Edw, ti prego , aspetta.» Continuò.
«Che c'è?» Gridai.
«Grazi di essere venuto.»
Risi a voce alta. «Certo, ti piace fare la figura del figlio perfetto. Senza di me, non avresti fatto così colpo, no?»
«Non è per questo che ti ho chiesto di venire!»
«E allora perchè?»
«Non lo so. Mi mancavi, credo.»
«Credi? Io...devo andare, Charlie. Ciao.» Mi voltai e salii in macchina con Freya.
Cazzo. Ero così furioso da non vederci più. Strinsi così forte il volante che il sangue smise di circolarmi nelle dita. Volevo spaccare tutto. Se avessi potuto, avrei ribaltato la casa. Mi ero fatto fregare e avevo accettato di andare a quel pranzo solo perchè Charlie mi aveva pregato. E ora? Gli mancavo? Così credeva, almeno. Ero arrabbiato, confuso e disperato.
« Chiama Alec, digli che arriviamo.» Avvisai Freya e misi in moto.
Lei non disse niente per tutto il viaggio.
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