Capitolo 2
Nia osserva John mentre si riveste e si chiede se debba fidarsi davvero. D'altronde, la lettera parlava chiaro, potenzialmente chiunque sa di lei potrebbe ucciderla, non per ultimo lui.
"Come faccio a essere sicura di potermi fidare di te? Chi mi assicura che non mi ucciderai tra cinque minuti?" chiede, mentre lui si abbottona la camicia.
"Non puoi fidarti infatti." si sistema il colletto della camicia e rivolge lo sguardo verso Nia. "Ma se può convincerti anche solo a riporre un briciolo di fiducia in me, ho un piano per tenerti al sicuro, e quel piano prevede andarcene da Toronto domattina."
"D'accordo..." la riluttanza nella sua voce è percepibile, John se ne accorge. "Immagino di non aver tempo di portar via le mie cose."
"Hai fino alle quattro di mattina per prendere le cose di cui hai bisogno." Nia resta in silenzio per qualche minuto. Tante sono le domande che frullano nella sua testa e mentre si alza per andare in camera e prendere una valigia di dimensioni ragionevoli, dalle sue labbra esce quella che forse ritiene la più stupida da fare a Jonathan.
"Lavori per la CIA?" chiede, voltandosi verso di lui, che finge di sistemarsi il polsino della camicia. John sorride appena, un movimento quasi impercettibile degli angoli delle sue labbra, un gesto che non faceva da troppo tempo ormai, quasi diventato innaturale.
"No." risponde, quasi senza separare le labbra.
"FBI?"
"Non proprio. Quanto sai della faccenda in cui sei coinvolta?"
"Non molto in realtà. Sai della lettera?" continua, entrando in camera sua. La luce dei led illumina il letto matrimoniale, i due comodini e l'alto armadio a sei ante. Apre una delle ante e nascosta tra le felpe invernali dentro una scatola di vestiti messa da parte tira fuori la busta che non tocca da quando l'ha letta il giorno in cui ha comprato l'orologio.
"So della lettera ma non ne conosco il contenuto." Nia gli passa la lettera e John resta in piedi accanto a lei a leggerla, mentre lei prende una valigia non troppo grande dall'armadio. La apre e la appoggia sul letto, cominciando a riempirla con le cose essenziali. "È quello che hai posato sul mobile all'ingresso?"
"Sì, non si nota il codice a meno che non ti avvicini, per questo l'ho lasciato aperto." risponde, aggiungendo pantaloni e maglie al contenuto della valigia.
"Devi portarlo via e dato che immagino tu abbia imparato il codice, dovremo trovare il modo di distruggere almeno la prova fisica della sua esistenza." Nia annuisce semplicemente, poi sparisce dalla stanza solo il tempo di andare a prendere l'orologio. Lo osserva ancora una volta, poi ne chiude il coperchio e lo infila tra i vestiti. "Porta tutto quello che potrebbe servirti proprio come se stessi iniziando una nuova vita altrove, non preoccuparti dei vestiti, te li comprerò io." John ripone i due fogli di nuovo all'interno della busta e la posa tra le cose nella valigia di Nia. Altre domande affiorano nella testa di Nia mentre si guarda intorno alla ricerca delle cose da prendere. I libri a cui è più affezionata, sulla mensola sopra il letto. Il suo pc, sulla scrivania nella camera degli ospiti appena oltre la parete contro cui poggia la testiera del letto in camera sua, la tavoletta grafica con cui sta imparando a disegnare solo da qualche mese. Si sposta in bagno e recupera tutti gli oggetti e i prodotti che usa di solito, posandoli in un beauty case. Torna in camera, ma John non c'è, osserva la sua valigia, metà piena di vestiti e due paia di scarpe da ginnastica e metà piena di oggetti a cui tiene o che le serviranno. Il suo stomaco brontola, guarda la piccola sveglia digitale sul comodino dal suo lato di letto, le nove di sera. In cucina John è in piedi accanto alla piccola finestra sopra il tavolo, che dà sulla strada dove si affaccia il portone del palazzo. Parla piano, ma Nia riesce a captare qualche frase.
"Sì, sono con lei." Mormora, posando la mano destra sopra la fondina della pistola seminascosta dal lembo della giacca. "Il volo è alle cinque e trenta." Nia si avvicina al frigo e John mette giù il telefono in quel momento. La mora prende qualcosa da mettere sotto i denti al volo e chiede a John se abbia fame, ma lui risponde di no. "Non mangio molto quando lavoro." Continua, guardando fuori dalla finestra. Lei si siede al tavolo, senza togliere gli occhi dall'uomo in casa sua. Passano interminabili minuti di silenzio, poi lui mormora una frase che subito Nia non coglie. "Saresti potuta scappare, ma non l'hai fatto."
"Hai ucciso quegli uomini per difendermi, ma se fossi scappata te ne saresti accorto, probabilmente non sarei arrivata in fondo alla prima strada senza un tuo proiettile nella schiena." Non sa se quello che gli ha detto abbia molto senso, ma si fida del suo subconscio. "È la prima sera che rischio di essere aggredita."
"Non lo è." Risponde lui, tutto d'un fiato. "Ne ho fermati a decine prima di stasera, negli ultimi tre giorni. Probabilmente non saresti più viva da un po'." Nia resta in silenzio, pensando a tutti quelli che non ha visto, ma che lui ha ucciso. Pensa al sangue versato dall'uomo dietro di lei e lo moltiplica per tante volte quante la sua mente riesca a reggere il colpo, ma sono troppe.
"Come fai a vivere con questo peso?" Mormora a sua volta, allontanando il piatto davanti a sé, lo stomaco che improvvisamente si è chiuso.
"Non credo che la mia si possa definire vita. Ho portato via tante di quelle persone ormai che ho perso il conto, e una in più ormai non aggrava nemmeno più quello che sento." John abbassa lo sguardo sul davanzale sotto di sé e si perde per qualche secondo. "Non è questo il tipo di uomo che vorrei essere, ma non ho scelto io. Sono stato cresciuto per questo, sono condannato." Cala il silenzio tra i due, carico del peso delle parole di John. Nia non sa come confortarlo, tutto quello che le viene in mente le sembra stupido e inutile. "Domattina voglio che viaggi con una felpa con cappuccio e degli occhiali da sole." John liquida la scomoda atmosfera con una frase, Nia si limita ad annuire. Si alza dalla sedia su cui era seduta, mette il piatto in lavastoviglie e la programma per farla partire la mattina seguente poco dopo che saranno partiti, come sempre, facendo in modo di lasciare la casa più in ordine possibile e con ancora una credibile parvenza di normalità.
Nia e John parlano, quasi senza sosta, per parecchio tempo. Nia rintanata in un angolo del divano, le gambe raccolte di lato, John sempre appoggiato al davanzale della finestra, dal quale si è allontanato solo per un paio di minuti per accettare la mela che lei gli ha offerto. L'ha finita in un paio di minuti e ha buttato il torsolo dove Nia gli ha indicato. John le parla della Gran Tavola, degli Hotel Continental sparsi in giro per il mondo, del fatto che siano gli unici posti sicuri in cui possono stare, lei soprattutto.
"Lì dentro non possono toccarti. E anche se ci provassero, dovrebbero prima vedersela con me. Solo che non sono esattamente il tipo di persona che vorresti trovarti davanti quando cerchi di uccidere qualcuno." Nia non aveva ancora notato il tono distaccato di John nei loro discorsi, lui la guarda a malapena, perdendosi più che altro tra le vene del marmo del top della cucina, un piccolo modo per cercare di staccarsi dalla realtà.
"Posso sapere chi mi vuole morta?" chiede lei, dopo qualche secondo di silenzio.
"Nessuno ha mai dichiarato esplicitamente di volerti uccidere, prima mi sono espresso male. Ma vogliono il codice che è custodito in quell'orologio e, sfortunatamente, anche nella tua testa. Quindi tecnicamente nessuno ti vuole morta, ma tutti vogliono torturarti per indurti a dirglielo... cosa che ti porterebbe comunque ad essere uccisa subito dopo." John fa una pausa, sposta lo sguardo su di lei. "Si chiama Dominik Killmonger, è risaputo da anni che sia in possesso di un'arma che avrà una forza tale da distruggere metà Stati Uniti ma non ha una fonte che possa sostenerla e compiere la sua opera. Tempo fa è venuto a sapere di qualcosa in grado di farlo, ma non l'ha ottenuta -non ancora almeno- e non possiede il codice per attivarla. Questa non è una faccenda leggera Nia, qui c'è in gioco la vita di milioni di persone, se lui riuscisse a prenderti e a sapere il codice, ai potenti della Terra sarebbe sufficiente una sola mossa sbagliata, un dettaglio che a lui non va a genio, per distruggere il mondo come lo conosciamo adesso, e metà americani morti sarebbero solo una piccola fetta delle conseguenze. Lui non sta nemmeno alle regole della Tavola, non tutte almeno. Sei diventata la donna più preziosa e ricercata di questo continente, è per questo motivo che devo proteggerti, sono l'unico che può farlo." senza distogliere lo sguardo da quello di John, Nia ascolta le sue parole, cercando di assimilare tutte le informazioni che lui le ha detto. Ci mette qualche secondo a realizzare, finché non si lascia andare a un piccolo sospiro di sorpresa.
John non dorme nemmeno un minuto in tutta la notte, la tensione lo tiene sveglio e non vuole saperne di abbassare la guardia fuori dal Continental. Nia va in camera sua a mezzanotte e mezza e torna da John alle tre e mezza, già vestita per andare via, con la valigia al seguito. I suoi vestiti sono anonimi e il cappuccio della felpa nera le garantirà protezione da occhi indiscreti. Il suo viso assonnato salta subito all'occhio di Jonathan quando lei gli passa accanto per andare in bagno a lavarsi il viso per aiutarsi a restare sveglia. Nia controlla di avere tutto e mentre John scende in strada per chiamare un taxi lei si guarda intorno un'altra volta. Una brutta sensazione all'altezza del petto le dice che quella sarà l'ultima volta che vedrà casa sua. Scende in strada un paio di minuti dopo e si mette il cappuccio in testa, tenendo a portata di mano gli occhiali da sole per quando atterreranno a New York, come le ha detto John. Trova l'uomo accanto al loro taxi, le apre la portiera e salgono senza dirsi nulla, la valigia già nel bagagliaio grazie a lui che l'ha portata giù prima. Nia guarda fuori dal finestrino lo scorrere dei palazzi di Toronto nel buio della notte, è tutto fermo e silenzioso, solo un paio di macchine passano nelle vicinanze, poi si accorge che qualcosa non va, nell'aria c'è un peso che aleggia. Si volta verso John e capisce subito qual è il problema, lui è nervoso, finge di guardare fuori dal finestrino a sua volta ma sa che con la coda dell'occhio sta controllando il tassista, come se da un momento all'altro potesse creare problemi. Nia non sa come approcciare John per calmarlo, non lo conosce, quindi si limita a lasciare che l'aria carica di tensione li accompagni fino all'arrivo al terminal.
Camminano fianco a fianco all'interno del terminal, dal momento in cui Nia lascia la sua valigia al banco del check in John non la lascia sola nemmeno un minuto, nonostante l'aeroporto sia praticamente vuoto. Appena passati i controlli e poco prima che chiamino il loro volo per l'imbarco, Nia decide di fare una sosta in bagno.
"Torno tra un paio di minuti." mormora, avviandosi verso la porta.
"Se tardi verrò a controllare." risponde lui, voltandosi a guardarla negli occhi dopo che ha controllato per l'ennesima volta l'atrio. Nia accenna un sorriso per nulla convinto e lascia che la porta le si chiuda alle spalle. All'interno una donna addetta alla manutenzione dei bagni sta passando un panno sui rubinetti puliti, la mora le passa accanto e torna vicino a lei non appena ha finito per lavarsi le mani. Non vuole allarmare John e cerca di essere il più rapida possibile, ma la fotocellula del rubinetto non fa in tempo ad attivare il getto d'acqua che mentre Nia ha gli occhi sul suo riflesso nello specchio di fronte a sé con la coda dell'occhio vede qualcosa che preferirebbe non aver notato. Si volta verso la donna e per un istante l'acqua scorre nel lavandino, i suoi occhi si posano su lei che tiene in mano un coltello dalla lama relativamente corta, Nia alza le mani in segno di resa.
"Credo di sapere chi sei, e tu sai cosa voglio. Lui non accompagna mai delle persone qualunque." la voce della donna è cupa mentre fa un cenno con la testa in direzione della porta d'ingresso, oltre la quale si trova Jonathan. "Ti conviene parlare alla svelta." si avvicina con fare minaccioso, ma la mora non fa in tempo a preoccuparsi davvero che la porta alle sue spalle si spalanca e John fa irruzione. Lo scontro è immediato, Nia si allontana, appoggiandosi contro la parete alle sue spalle, John sovrasta la donna con la sua figura, facendola cadere a terra. Nia non vede molto dello scontro, è tutto veloce e confuso, ma vede chiaramente quando John strappa il coltello dalle mani della donna e senza esitare glielo conficca nel collo. Un rantolo riempie i bagni mentre John si rialza e si sistema la giacca che la donna stava per strappare, il sangue esce dalla ferita e dalla sua bocca, lo spettacolo è raccapricciante anche per un'infermiera in carriera come Nia, che ne ha già viste parecchie. Distoglie lo sguardo ed esce in fretta dal bagno, lasciando Jonathan lì. Fa un sospiro, poi un'altro, posa una mano sulla fronte, si guarda attorno per accertarsi che nessuno abbia sentito il trambusto della lotta, ma è tutto tranquillo. L'altoparlante annuncia l'imbarco per il loro volo nel momento in cui John esce dal bagno, qualche secondo dopo. I due si guardano negli occhi, ma la mora non riesce a reggere lo sguardo dell'uomo che ha di fronte.
"Per favore, andiamo via." costringe le parole a uscirle di bocca, si volta e si incammina verso il gate, noncurante del fatto che l'uomo la stia seguendo o meno.
Il volo per New York è quasi vuoto e scorre tranquillo, Nia dorme per la maggior parte del tempo appoggiata alla spalla di John, il cappuccio della felpa sempre in testa, abbassato per coprirle anche gli occhi. È un'ora e mezza che passa nella quale la mente di John non smette un attimo di pensare a quali saranno le mosse successive. Sono quasi le nove quando i due arrivano in centro a New York a bordo di un taxi, e ci vuole almeno un'altra mezz'ora prima che raggiungano il Continental. Quando Nia scende dal taxi ha la netta sensazione di avere gli occhi della città puntati addosso, ma cerca di non prestarci attenzione mentre si mette gli occhiali da sole e si avvicina a John che sta togliendo la valigia dal bagagliaio dell'auto.
"Vieni." la voce di John è più distesa, Nia lo può percepire. Lo segue su per i pochi gradini che li separano dal portone d'ingresso dell'hotel, la tenda marrone scuro che proietta la sua ombra sui gradini riporta una grande C dorata sulla parte davanti, oltre essa, il palazzo si erge per diciotto piani, la curvatura della parete lascia Nia impressionata. All'interno, oltre al pullulare di persone dall'aspetto più o meno amichevole, le arcate del soffitto catturano l'attenzione della mora. Guarda in alto, tra le colonne e i rosoni decorati con motivi sul dorato e blu, i lampadari semplici che pendono a tre metri da terra, le grandi ringhiere di ghisa che circondano le colonne che separano le due navate dell'enorme atrio, in lontananza un bancone di reception finemente curato e in apparenza molto semplice. Il receptionist alza lo sguardo in quel momento, proprio mentre John si avvicina al bancone, e Nia nota che anche lui è vestito elegante, esattamente come John, così da non sfigurare nell'ambiente raffinato.
"Bentornato signor Wick." La voce calda dell'uomo rassicura Nia, al quale lui rivolge poi un leggero sorriso.
"Le nostre stanze sono pronte?" Chiede John, infilando una mano nella tasca interna della giacca.
"Come da lei richiesto, le nostre due migliori suite al diciassettesimo piano." John posa sul bancone circa una decina di monete d'oro che Nia non ha mai visto prima.
"Desidererei parlare con il direttore a breve." Il concierge posa sul piano marmoreo due chiavi che riportano i numeri 171 e 172 e prende le monete.
"Il direttore è in terrazza, devo annunciarla?"
"Non sarà necessario. Vieni Nia." Risponde John, avviandosi verso l'ascensore. Nia resta in silenzio per tutto il tragitto verso le camere, John le consegna la chiave della 171. "Le nostre stanze sono comunicanti. Se hai bisogno vieni senza esitare. Vado a parlare con il direttore, tu ambientati, esplora, ordina qualcosa, qui sei al sicuro." I due si guardano negli occhi, la mora annuisce, infila la chiave nella serratura e apre la porta. La camera è grande, un unico ambiente formato da una parte dedicata al giorno e una alla notte, con un letto matrimoniale di fronte a un divano in pelle grigio chiaro separati da un tavolino di vetro. Nia lascia la sua valigia accanto alla porta e subito nota il rialzo dove può lasciarla, poi si volta di nuovo. I colori rendono l'ambiente ancora più lussuoso di quanto già non sembri e i dettagli dorati qua e là la fanno quasi sentire fuori posto. La parete di fronte a lei è riempita da due grandi finestre che danno sulla strada, le tende bianche più sottili affievoliscono la luce dei raggi del sole e quelle più spesse nere serviranno per la notte. Sui due lati della stanza, due porte scorrevoli conducono a destra a una cabina armadio e a sinistra nel raffinato bagno, dove una doccia walk-in di quasi due metri di larghezza occupa tutta la parete di fondo. Tra le due finestre in camera, una scrivania arricchisce l'arredamento, sopra sono posati alcuni fogli da lettera, una penna dallo stile classico e una busta. Qui è tutto così raffinato e costoso... pensa, rivolgendo lo sguardo al letto. Su uno dei due comodini, oltre a un telefono retrò, si trova una scatola di legno incisa a fuoco, sopra la quale si trova un biglietto, che da un lato riporta il nome di Nia. Lei lo prende e lo gira.
Non ti serviranno, ma è meglio che tu li abbia.
John.
Dentro la scatola ci sono tre serie da venti monete come quelle che John ha dato al banco della reception poco prima, disposte in scomparti cilindrici che le tengono ferme. Nia fa per chiudere il coperchio, poi nota che il fondo non combacia con l'esterno della scatola, prova a sollevare il vassoio con le monete. La vista dell'oggetto al di sotto la lascia senza parole, il nero del metallo della pistola luccica sotto la luce della camera. Un altro biglietto posato sopra di essa recita: ti insegnerò a usarla in questi giorni. Chiude la scatola, lasciando tutto come l'ha trovato e decide che sistemerà le sue cose nell'armadio prima di andare a fare un giro per l'hotel.
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