Capitolo 1

New York

Due mesi e mezzo dopo

I raggi del sole riflettono piccoli giochi di luce sul viso di Winston, il direttore dell'hotel Continental di New York, colpendo la superficie ambrata del tè nella sua tazza bianca. Lui li ignora, continuando a sfogliare indisturbato il New York Times, mentre una leggera brezza tiepida di metà giugno accompagna la sua lettura attraverso il pomeriggio all'apparenza tranquillo. Dall'altra parte del tavolo che ospita il raffinato servizio da tè di porcellana bianca con il logo del Continental, la sedia di metallo dai cuscini arancioni uguale a quella di Winston aspetta di essere occupata dal suo ospite. Il direttore alza lo sguardo dal giornale per un attimo e dopo aver dato una rapida occhiata alle aiuole e ai bassi cespugli della terrazza dell'ultimo piano rivolge lo sguardo verso la porta a vetri d'ingresso alla sua destra. Si sistema la giacca e nella penombra appena oltre la porta scorge una figura che sarebbe in grado di riconoscere tra milioni.

"Vieni avanti Jonathan." l'uomo muove un passo verso la terrazza e lasciandosi la porta alle spalle un raggio di sole del tardo pomeriggio illumina il lato destro del suo viso. Una leggera folata di vento muove la sua giacca e un ciuffo dei suoi capelli, Winston chiude il giornale e lo posa vicino al servizio da tè, prende la sua tazza e beve un sorso mentre l'uomo lo raggiunge e si siede di fronte lui. "Sai perché ti ho chiesto di venire a fare una chiacchierata, vero?" le mani di Jonathan si uniscono e le sue dita si intrecciano, in posizione tranquilla.

"L'orologio." risponde evasivo, guardando Winston negli occhi.

"Non ti avrei chiesto di venire se non mi interessasse la questione, John."

"Avevi detto che non t'interessava infatti." la voce profonda di John vibra attraverso l'aria del pomeriggio, Winston lo guarda a sua volta negli occhi.

"Non è dell'orologio che mi interessa e che mi preoccupa, ma chi lo possiede adesso."

"Perché?"

"Perché non sa cosa l'attende." John già sa quale sarà la cosa che lui gli chiederà da lì a qualche istante. Entrambi restano in silenzio per qualche secondo, finché il più anziano dei due non si decide a continuare il discorso. "Non lo chiederei a te se avessi un'altra alternativa, devi proteggerla."

"Perché?"

"Lei morirà. E tu sei l'unico uomo che può salvarla. Alla Tavola sanno già chi vuole mettere mano su quell'orologio e ti posso assicurare che nessun civile dovrebbe avere contro quell'uomo. Sai bene di cosa è capace Dominik Killmonger e ora che ha messo gli occhi sulle potenzialità di quell'affare cosa gli impedirà di dare la caccia al codice che lo attiva? Non è una novità che lui tenti di prendere il controllo di cose che nessun uomo come lui dovrebbe avere tra le mani e sai bene che ucciderà chiunque gli si pari davanti per ottenerlo. È per questo che ho bisogno di te, baba yaga." John rimane in silenzio, lo sguardo fisso in quello di Winston, il tono che quasi non ammette repliche. John sa che può rifiutare, può pensare di smettere di far parte di questo mondo per un po', può essere libero di vivere una vita normale, smettere di uccidere le persone, cercare di ripulirsi la coscienza almeno un po', smettere di essere l'uomo nero che tutti temono, senza una fama che lo preceda nel mondo dell'High Table. Senza smettere di guardare l'uomo di fronte a sé John fa per rispondere che non accetterà la sua proposta, ma Winston lo precede. "Jonathan, per favore. Non te lo sto chiedendo da direttore del Continental, te lo chiedo da amico. Aiutala a liberarsi del codice e poi potrai andartene da questo posto quando vorrai, prometto che sarà l'ultima cosa che ti chiedo." John si alza dalla sedia con un movimento fluido ma deciso, si passa velocemente una mano tra i capelli neri lunghi a filo del lobo delle orecchie e si allontana di qualche passo, fermandosi a poca distanza dal tavolo, lo sguardo fermo sulla siepe accanto a lui. Vede qualche formica passeggiare tranquilla sul bordo in pietra del piccolo giardino e si ferma a riflettere. In fondo, quella donna è solo una tra miliardi, esattamente come la formica che sta seguendo con lo sguardo, una tra miliardi, mentre cammina probabilmente verso il suo formicaio, uno tra miliardi.

"Come si chiama?" le parole escono dalle sue labbra in automatico, senza che lui riesca a fermarle.

"Nia Davis, ha appena compiuto trent'anni." le informazioni che arrivano alle orecchie di John sono più di quante ne ha chieste, e ora che sa queste poche cose di quella donna, anche meno di quante ne vorrebbe. Si lascia andare a un sospiro quasi impercettibile dall'esterno. Se una scarpa calpestasse quella formica con l'intento poi di uccidere tutte le altre, cambierebbe solo la formica, ma la scarpa resterebbe sempre la stessa.

Non può lasciare che Killmonger la vada a cercare. Non può lasciare che lei dia il codice a qualcun altro, perché se dovesse morire lui ucciderà tutti quelli che sono entrati in contatto con il codice per averlo. Le formiche, la scarpa. Non può lasciare tutti quei civili alla sua mercé, deve portare via Nia e trovare il modo di distruggere il codice o la fonte di energia che dipende da quel codice.

"Lei dov'è?"

Toronto

Nia sta camminando lungo la corsia del reparto di pediatria con il vassoio della cena di Tommy tra le mani, saluta un paio di colleghe e spiega che il piccolo paziente di sei anni le ha chiesto che fosse lei a portargli la cena. Bussa alla porta della terzultima stanza in fondo al corridoio sulla sinistra, e il piccolo le risponde che può entrare.

"La porta è sempre aperta." esclama lui, sedendosi sul bordo del letto, con le gambe a penzoloni a una ventina di centimetri di distanza dal pavimento, rivolto verso il mobiletto e la finestra, Nia si avvicina e posa il vassoio sul ripiano, poi lo regola a un'altezza comoda perché lui ci arrivi.

"Lo so, ma magari eri impegnato a fare qualcosa di importante." risponde lei con un sorriso dolce, accarezza delicatamente la guancia di Tommy. "Così ho bussato lo stesso."

"Stavo solo leggendo le avventure di Iron Man! È fortissimo, pensa che in questo fumetto ferma un camion che sta cadendo da un ponte con le sue mani!"

"È davvero forte! Ma secondo me il più forte sei tu."

"Resti con me per cena?" chiede il piccolo mentre afferra la forchetta accanto al suo piatto di pasta al sugo.

"Ma certo. Cosa vorresti fare domani?" Nia si siede sulla sedia accanto a lui e pensa ai suoi genitori che sono tornati a casa da meno di mezz'ora, a come dev'essere vuota la casa alla sera senza loro figlio, costretto a stare in ospedale. Non sente la risposta che il bimbo le dà, la sua mente si focalizza senza motivo sul codice dentro l'orologio che tiene sul mobile dell'ingresso. In fondo, il miglior nascondiglio è in bella vista, pensa accennando un leggero sorriso. Non è cambiato molto negli ultimi due mesi, nessuno le è venuto a dire che si comporta in modo diverso da quando è in possesso del codice, ma lei sa che qualcosa in lei è cambiato. Quando va in ospedale o quando torna a casa dopo il turno è sempre all'erta mentre cammina per strada, e nonostante sappia che molti potrebbero già sapere dove abita, sente che a casa o al lavoro è più al sicuro. "Va bene." risponde in automatico quando si accorge che Tommy ha finito di parlare. Sposta lo sguardo alla sua sinistra, fuori dalla finestra e giù in strada, cinque piani più in basso. Nessuna persona nell'ultimo periodo l'ha spaventata a tal punto da farle temere per la sua vita, ma sa che non ci vorrà molto perché sappiano che è lei ad avere il codice. O almeno, queste erano le parole della lettera di Vincent. Non ne ha mai parlato con nessuno, e sente che se lo facesse probabilmente metterebbe a rischio anche le vite di chi le sta a cuore. Sospira. Si alza poco dopo dalla sedia, spostando lo sguardo su Tommy. "Il mio turno sta finendo, ci vediamo domattina. Se hai bisogno chiama Valerie, d'accordo piccolo Iron Man?" esordisce, con tono dolce. Il suo turno finirà tra circa dieci minuti, ma se sarà abbastanza brava da non farsi vedere da troppi colleghi riuscirà a uscire e tornare a casa mentre in giro c'è ancora abbastanza gente perchè lei possa passare inosservata, o quasi. Sta per uscire dalla stanza di Tommy, quando la vocina acuta e dolce del bambino la ferma sulla soglia della porta.

"Ti voglio bene Nia." lei sorride in automatico, voltandosi verso di lui, la sua piccola figura che si staglia contro la cornice della finestra e fuori, a ovest, contro il tramonto arancione e rosa. Nia posa una mano sullo stipite della porta, il cuore leggero per la prima volta dopo due mesi.

"Anche io ti voglio bene Tommy." risponde, quasi a fil di voce.

Nia pensa ai suoi genitori e a sua sorella mentre percorre una delle tante strade per tornare a casa sua, i suoi familiari che ha visto stamattina prima di iniziare il turno ridotto del pomeriggio, pensa al rischio che correrebbero se lei dicesse loro il segreto che nasconde. Si chiede se la cosa migliore sia andare via per un po', cambiare aria e sparire da Toronto, cercare di farsi una nuova vita fuori dal Canada, ma non sa come muoversi, le sembra una faccenda più grande di lei. Come se quella in cui si è involontariamente cacciata non sia già una faccenda più grande di lei. È ormai buio, le strade sono ancora abbastanza trafficate, ma i pedoni sono pochi e Nia non si sente completamente al sicuro. Scorge in lontananza una stradina che di solito non percorre, perché troppo isolata e poco illuminata, mentre procede lungo il marciapiede e si chiede se la cosa migliore sia sgattaiolare lì dietro l'angolo o proseguire dritto, segue con lo sguardo una macchina che passa in strada fino oltre la sua spalla destra, gesto che le fa notare un uomo vestito di nero a pochi metri da lei. Si volta velocemente e si dice che andare a morire in un vicolo non è la fine che vuole fare, accelera il passo.

Poi succede tutto così velocemente che lei quasi non se ne rende conto.

Dietro di sé sente un trambusto e un gemito, si volta senza smettere di camminare e nota solo la confusione di due ombre nere a terra, il suo cuore accelera senza preavviso, distoglie lo sguardo, si infila nel vicolo che non voleva imboccare. Dietro di lei sente ancora il rumore delle due persone che sicuramente stanno lottando. Verranno a prenderti, corri. Ma mette un muro tra sé e i suoi pensieri, correre vorrebbe dire attirare l'attenzione, e lei non vuole farlo. Passa sotto la luce di un lampione, continua a camminare nel lungo cono d'ombra seguente, accanto a cassonetti e sacchi neri della spazzatura ammucchiati nella penombra contro la parete del retro di un ristorante, un fruscio alle sue spalle la porta a voltarsi di nuovo, all'ingresso del vicolo vede una delle due ombre sdraiata a terra, forse svenuta, probabilmente morta. L'istinto prevale, le sue gambe iniziano a correre nella direzione opposta, ma non appena muove un passo e si accorge di cosa le sta davanti, si pietrifica all'istante, l'unica cosa che fa rumore è il suo cuore che batte veloce nel petto. Davanti a lei, a una decina di metri appena prima del cono di luce del lampione successivo, una figura nera tiene un braccio teso verso di lei. La figura indossa una giacca, può intuirlo dai lembi sul fondo, che sporgono appena oltre il polso dell'uomo, e dalla rigidezza del collo, sopra quello... di una camicia? Ma non appena ha notato i capelli lunghi dell'uomo, il suo sguardo viene catturato nuovamente da quello che effettivamente l'ha costretta a fermarsi di colpo, il riflesso della luce su quello che lui tiene in mano e punta verso di lei. Una pistola, il cui silenziatore la rende ancora più minacciosa.

"Fossi in te non mi muoverei." la voce non suona minacciosa alle orecchie di Nia, ma comunque cosa potrebbe fare? In ogni caso lui la ucciderà comunque. I pensieri corrono nella testa di Nia come cavalli in corsa, senza soffermarsi su nulla in particolare. Il suo respiro accelerato rischia di sovrastare nelle sue orecchie il suono della voce dell'uomo davanti a lei. "Non ti avvicinare." sente qualcosa alle sue spalle, ma non avrebbe il coraggio di voltarsi. I suoi occhi si chiudono in automatico nell'istante in cui l'uomo spara.

Passano secondi interminabili, mentre aspetta di sentire il dolore del proiettile. Lo cerca lungo tutto il corpo, all'altezza del cuore, la gola, la testa, lo stomaco. Pensa che in fondo è qualcosa di talmente veloce che probabilmente è già morta ma non se ne rende conto. Sente il suo respiro riprendere pian piano, non si era nemmeno accorta di averlo trattenuto, decide di riaprire gli occhi. Nulla davanti e intorno a lei è cambiato, tranne che per l'uomo, ora non punta più la pistola su di lei, la tiene in mano, il braccio rilassato lungo il corpo. Lei non è morta, lui non le ha sparato. Ma se non sono morta... Nia non ha il tempo di dirsi che non vuole sapere la risposta, che il suo corpo si è già rivolto indietro, e i suoi occhi sono fissi sul cadavere a terra, nella penombra. Una chiazza scura si allarga sotto la sua testa, espandendosi fino a entrare nella luce del lampione. Il liquido scuro e denso riflette appena il giallo, facendolo sembrare nero. Non riesce a fare a meno di guardarlo. Con gli occhi sbarrati dal terrore, fissi su quell'uomo, mentre il sangue allaga il vicolo. L'istinto da infermiera le urla di aiutarlo, il buon senso le dice che ormai è già morto, il terrore le fa capire che se non fosse stato per quell'uomo, a quest'ora sarebbe morta e sa benissimo per quale ragione. O probabilmente sarebbe finita in qualche capannone, torturata fino allo stremo, per cercare di strapparle il codice che non avrebbe mai dovuto imparare.

"È meglio per te che tu venga con me." la voce dell'uomo irrompe nella testa di Nia in mezzo a tutto il casino che questi pochi minuti le hanno creato. Sa che non dovrebbe seguirlo, forse lui sta solo prendendo tempo, la ucciderà di lì a poco e ha tolto di mezzo quegli uomini solo per essere lui a mettere mano su quel codice. Impaurita e ancora tremante, decide di seguirlo, non vuole che lui le faccia male anzitempo, e gridare aiuto non le servirebbe, attirerebbe ancora di più l'attenzione. Lo segue a qualche metro di distanza, potrebbe scappare, ma lui non si volta mai per controllare che lei sia ancora lì. L'uomo svolta un paio di volte in un altro vicolo e poi in una strada più grande ed eccolo, il portone di casa di Nia. Morirò da sola e non mi troveranno mai. Lui si guarda intorno mentre si avvicina al portone, Nia cerca le chiavi di casa nella sua valigetta, come farebbe di solito. Le trova, infila quella giusta nel portone e con la coda dell'occhio nota che l'uomo tiene la mano sinistra sul fianco destro. In un paio di minuti sono a casa di Nia, e lui entra per ultimo. Si chiude la porta alle spalle, mentre lei lo osserva andare in cucina e togliersi la giacca, vede per un istante il sangue sul suo fianco destro prima che sparisca dietro lo stipite della porta. Nia posa la valigetta sulla poltrona accanto all'ingresso, si toglie la giacca di pelle e dà una rapida occhiata all'orologio sul mobile mentre si avvia a sua volta verso la cucina. Resta sullo stipite della porta, osservando lo sconosciuto in casa sua mentre si sfila la manica destra della camicia, la giacca abbandonata sul pavimento a qualche metro da lui. Osserva la struttura del suo corpo, le spalle e la schiena lasciati scoperti dalla camicia. Le braccia con i muscoli accentuati dalle ombre che la luce della cucina crea sul suo corpo, i capelli lunghi e un livido alla base del collo. La macchia di sangue sulla camicia bianca non è molto grande, ma basta a far preoccupare in automatico Nia. Lui apre il rubinetto del lavello e lava la sua mano sinistra dal sangue, tiene le dita sotto l'acqua per un po', poi la posa sul fianco, probabilmente per alleviare il dolore e anestetizzare per quanto possibile la zona. Nia si avvicina a lui con cautela. Dovrebbe essere terrorizzata, ma la realtà è che non ha paura di lui, d'altronde, se avesse voluto davvero ucciderla, lo avrebbe fatto non appena entrati in casa.

"Lascia fare a me, sono un'infermiera." non lo guarda in faccia, si concentra semplicemente sulla ferita, sfiorando il polso di lui per spostare la mano, ma non deve insistere, lui la allontana subito.

"So bene chi sei." la sua voce, più bassa di qualche minuto fa nel vicolo, alle orecchie di Nia risulta sempre meno una minaccia, ma ancora non si osa di guardarlo. La ferita non è troppo profonda ed è corta, ma sanguina parecchio, sembra quella di un coltello, i lembi di pelle sono puliti e divisi nettamente.

"Serviranno un paio di punti, ho qualcosa in bagno, arrivo subito." si allontana. Mentre prende la sua piccola valigetta con il kit del pronto soccorso si chiede esattamente perché lo stia aiutando. Si perde nei suoi pensieri finché non torna in cucina. "Siediti, per favore." lui ubbidisce, lei posa la valigetta sul tavolo e la apre, prendendo i guanti subito in cima, dentro una bustina trasparente sigillata e sterile. La apre, li infila e prende la busta degli aghi curvi e il filo per suture. Passano pochi secondi prima che si metta all'opera, mentre lui la osserva.

"Credo di capire perché Winston vorrebbe salvarti..." mormora, Nia alza lo sguardo su di lui per un istante, ma quando torna sulla ferita, il suo viso le è già rimasto impresso nella mente. La barba leggermente cresciuta, curata, gli occhi marroni, leggermente velati dalla stanchezza, forse non dorme da un po'. "Sei troppo pura per essere tolta a questo mondo." le parole lasciano Nia a metà di un punto, non sa se debba essere spaventata oppure no. "Non meriti che vengano a ucciderti per una cosa così futile come un codice."

"Sembri sapere così tanto di me, mentre io non so nemmeno il tuo nome." termina la sutura con un triplo nodo e passa una garza pulita sopra la ferita, prima di prendere un grosso cerotto per coprirla.

"Per quanto non vorrei che tu lo sapessi, dovremo stare insieme per un bel po', sono qui per proteggerti. Jonathan Wick." risponde lui, i loro occhi si incontrano quando lei ha finito di medicarlo.

"Nia Davis." si toglie i guanti e gli porge la mano, lui la prende con delicatezza.

"Lo so." l'espressione sul suo viso rimane impassibile. "E so anche di essere una delle poche persone sulla faccia della Terra a non volerti morta."

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top