Capitolo 2
Doveva essere uno scherzo.
Infilai le chiave nella mia macchina "vintage" e lasciai che il motore andasse per un buon minuto prima che si spegnesse di nuovo. Niente. Le persone mi lanciavano strane occhiate mentre lottavo con la macchina, perciò feci del mio meglio per fare silenzio in imbarazzo. Mio papà e Joie dovevano già essere partiti per la via di casa e io ero qua a litigare con la mia macchina.
Questo era il karma? Perchè se fosse così, era davvero un-
"Serve un passaggio?" sentii. Il mio corpo di fermò appena Lola Greene camminò verso la mia direzione, una pazza che faceva a pugni con una macchina.
Per qualche ragione, la sua presenza mi intimidii nonostante quello sguardo gentile sul suo viso. Non sapevo perché, ma le ragazze mi spaventavano in generale.
"Grazie ma chiamerò i miei genitori," buttai lì come risposta.
Nel secondo che le parole lasciarono la mia bocca, realizzai che mia mamma stesse pensando che fossi a casa di un'amica a studiare.
Potevo ammettere senza problemi che mia madre fosse estremamente severa. Pensava che le brave ragazze non dovessero passare il tempo a giocare o alle feste ma invece, a studiare.
"Um. A dire il vero, mi servirebbe un passaggio... se per te va bene."
Lola mi sorrise. "Nessun problema."
Le dissi il mio indirizzo mentre scivolavamo nei sedili della sua decappottabile nera lucida e annuì semplicemente con il suo ampio sorriso sempre stampato sul viso mentre guidava al massimo della velocità. Andò tutto bene fino a quando non girò in una direzione opposta a casa mia.
Mi sentii in dovere di correggerla ma la mia alta ansia sociale, mi trattenne. Il mio cervello elaborò delle scuse. Probabilmente stava prendendo un'altra strada o qualcosa di simile. Tutte le mie speranze però vennero distrutte quando parcheggiò fuori una casa nel bel mezzo di una strada sconosciuta.
Sentii risate divertite e il rumore della musica a distanza di un blocco.
"Um...dove siamo?" chiesi mentre uscivamo dall'auto. Si sciolse la sua coda alta e oscillò i capelli leggermente.
"Alla festa del dopo partita," rispose allegramente con tono ovvio. I miei occhi iniziarono a battere rapidamente.
"Aspetta, cosa? Pensavo mi avresti portata a casa," chiesi confusa.
Lola si fermò e le sue labbra crearono una perfetta O.
"Mi dispiace. Pensavo volessi un passaggio alla festa," lanciò un'occhiata alla casa e poi tornò a guardarmi con un sorriso. "Be', dato che sei qui, divertiti," con uno sguardo incoraggiante, si allontanò e andò dritto le braccia di Jaden Brown.
Oh no.
•••
Credevo che la partita fosse la cosa peggiore... ma questo era niente in confronto a quello. Musica che non capivo risuonava al massimo del volume, sopraffatta solo dalle risate acute delle ragazze mentre i ragazzi bevevano dei body shots sopra di loro. Ovunque guardassi, c'erano coppie che si baciavano senza ritegno o facevano altro. L'intera casa puzzava di erba e di calzini sudati. Appena entrata, avevo preso un drink e avevo iniziato a bere a sorsi meccanici. Pensai fosse succo ma nel momento in cui la vista si fece offuscata iniziai a pensare che non lo fosse.
Perciò iniziai a cercare un cestino dove buttarlo, proprio in quel momento uno a caso della squadra di football si attaccò alle mie labbra baciandomi spudoratamente.
"Che schifo! Allontanati!" sputai arrabbiata mentre i ragazzi urlano e fischiano verso di lui. L'alcool intensificò la mia rabbia, la quale di solito riuscivo a controllare bene.
Il mio primo bacio era stato rovinato.
Cercando vendetta, afferrai un drink per svuotarlo sulla sua testa ma una mano mi afferrò il polso a mezz'aria, bloccandomi.
Non guardai neanche chi fosse. "Lasciami!" ordinai mentre lottavo per liberare la mano.
Notando che avessi ancora un bicchiere quasi pieno nella mani, cercai ancora di buttarglielo addosso ma venni fermata una seconda volta.
"Non ti conviene farlo," una voce, bassa e vellutata, avvertì. A quel punto la mia testa voltò lentamente per dare uno uno sguardo al ragazzo. Era Harris Lee, il runner più veloce della squadra. Mi guardò dall'alto come una statua scolpita, zigomi alti e mascella tagliente. Era dannatamente stupendo.
Era una minaccia.
Strattonai il mio braccio fuori dalla sua presa. "Disgustoso," mormorai, lanciando un'occhiataccia al ragazzo che mi aveva baciata, e me ne andai via.
O almeno ci provai, Harris mi afferrò ancora il braccio. "Ti conosco," disse con un barlume negli occhi.
All'improvviso, scoppiò in una risata. "Hey, DeMarco!" Harris urlò verso all'incivile che mi aveva baciata senza il mio permesso. Tenne sollevato il mio braccio con un ghigno. "Questa dolcezza è la figlia del coach!"
Come se non già non fossi un repellente per ragazzi, annunciare che fossi la figlia del coach praticamente aveva creato un campo di forza attorno a me.
"Mi lasci andare?" parlai, realizzando che ancora non avesse liberato il mio polso. Appena la sua presa allentò, mi allontanai con un'occhiataccia. "Ugh, vaffanculo, Harris."
"Ma che cazzo?" disse mentre me ne andavo via con tono così disgustato che mi fece fermare per guardarlo sconcertata. "Che razza di idiota sei?"
Per un secondo, rimasi stupita perchè nessuno mi aveva mai parlato così prima d'ora. "Quale sarebbe il tuo problema?" domandai.
"Non sono Harris."
Le mie sopracciglia si alzarono incredule. Per questo era cosi arrabbiato?
"Ok. Scusa." asserii. Forse la cosa intelligente da fare sarebbe stata quella di chiedere scusa e andarmene ma non io non avevo fatto niente per cui scusarmi.
Mi guardò in cagnesco e potei quasi sentire le sue iridi dal colore ossidiana bruciare nelle mie marroni.
"Cosa?" chiesi stancamente. "Continuerai a guardarmi come un bambino che ha ricevuto ciò che voleva?"
"Devi pensare di essere una gran figa, rivolgendoti a me in questo modo," rispose, arricciando le labbra.
Con la coda dell'occhio, notai che aveva iniziato a crearsi una folla attorno a noi per cercare di vedere la ragazzina che litigava con un giocatore della Lincoln. Dovevo andarmene prima di essere aggredita dai suoi compagni.
Schiarendomi la gola, rifilai il mio più dolce sorriso, quello che usavo per far sciogliere i miei professori. I suoi si strinsero ma la sua mascella si rilassò leggermente.
"Mi dispiace davvero tanto non aver saputo il tuo nome," mi scusai, gli occhi spalancati. "Ho sbagliato e spero tu possa perdonarmi."
Un ghigno compiaciuto si creò sul suo viso e per la prima volta distolse lo sguardo per passare tra i capelli neri la mano color avorio. Cogliendo l'opportunità, versai il drink sui suoi vestiti e tornai ad avere un'espressione impassibile. Prima che la mia confidenza svanisse, girai i tacchi ma non potei fare a meno di fermarmi quando lo sentii borbottare, "dove cazzo credi di andare?" cosi lentamente che avrebbe potuto essere un sussurro se non fosse stato per il tono ruggente.
Sospirai rumorosamente, mi voltai e incrociai le braccia.
"Sto andando a casa," dissi atona. "Va bene per te?"
A grandi falcate si avvicinò a me, alto almeno un metro e ottanta con sola massa muscolare, avrebbe potuto sbattermi facilmente a terra.
"Quelle come te," iniziò con dispetto. "Che ottengono tutto come se foste delle principesse del cazzo e che non portano mai rispetto."
Avanzò ancora fino a che non c'erano pochi centimetri a separarci. Stringendomi tra le braccia, ignorai ogni cellula del mio corpo che urlava di fare un passo indietro e evitai di rompere il contatto visivo. L'elettricità scoppiò tra noi.
"Non mi conosci," ripetei amaramente. Avevo lavorato sodo per quello che avevo e lo sapevo dannatamente bene.
"Ah, no?" mi sfidò, inarcando un sopracciglio folto e scuro. "Non vai alle partite, non vai alle feste. Infatti la tua presenza qui oggi è probabilmente uno sbaglio. Pensi di essere una brava ragazza e di essere migliori di tutti quei ragazzi che saltano scuola perchè il tuo paparino ti ha cresciuta bene cosi è tua responsabilità insegnare a delinquenti come me una lezione." Finì con un ghigno compiaciuto che urlava 'ho ragione io'.
"Ti sbagli," lo contraddissi. "Quello che fanno le persone che non conosco non è affare mio e non sento il bisogno di dare lezioni a nessuno perchè, come abbiamo già detto, tu ed io non ci conosciamo."
Fu in quel momento che realizzai che le nostre facce fossero troppo vicine. I suoi occhi erano cosi scuri, cosi bui come un cielo senza stelle.
E continuai. "Sai, se non fossi stato cosi maleducato, anche io non lo sarei stata."
Inclinò la testa lievemente. "Perciò è colpa mia se sei una-"
"Non azzardarti," lo minacciai.
"Stronza," terminò con un sorrisetto denigratorio. "Sei una grandissima stronza."
"Tu sei uno stronzo. Come puoi darmi della stronza se mi hai conosciuta due minuti fa!" esclamai.
"Un po' ipocrita, no?" alzò un sopracciglio e potei giurare di aver visto un sorriso nascosto sulle sue labbra.
Si stava... divertendo?
Stringendo i denti, affilai lo sguardo.
"Tu hai iniziato," commentai, come avrebbe fatto un bambino. "Non capisco come tu possa essere cosi pieno di te stesso che ti infastidisci se non conosco il tuo nome."
"Tutti mi conoscono," fu la sua risposta.
Lo beffeggiai. "Sei il presidente o altro? Perchè dovrei sapere chi sei?"
Fece un passo indietro, incrociò le braccia e ghignò prima di zittirmi con tre parole.
"Sono Zack Darrington."
Merda.
Conoscevo Zack Darrington. Be', sapevo di Zack Darrington. Eravamo cresciuti nella stessa città dopo tutto, ma non gli avevo mai parlato.
Zack Darrington era considerato come un dio nella nostra città, il miglior running back della costa occidentale, se non dell'intero paese. La scuola lo venerava perchè perderlo significava perdere le partite. E aggiungiamo anche che era dannatamente bello.
Era intoccabile.
E io gli avevo appena dato dello stronzo.
"Già spaventata?" chiese con un ghigno perfido. Non era davvero una domanda.
Si. "No," dissi, scioccata che la mia voce non stesse tremando. Strinsi le labbra. "Ho sentito le voci che girano su di te ma da quanto vedo io, non sei cosi notevole."
Fece un cenno con il mento e mi scrutò attentamente, quasi divertito. "Del tipo?"
Mi morsi il labbro, pensando a cosa dire. 'Ho sentito dire che sei sexy' non era esattamente la miglior cosa da dire.
Purtroppo parlai ancora prima di connettere pensieri e bocca. "In quarta elementare, hai pianto quando il coniglietto della classe è morto." Mi scioccai delle mie stesse parole. Come cavolo avevo fatto a ricordarmelo?
Mi colse di sorpresa la sua reazione, perchè rise. Anche se era una risata profonda e cupa, e riempì l'intera stanza.
"Sei divertente, sai?" disse, i suoi occhi mi guardavano con malizia.
Sentivo il bisogno di vomitare e di mettere a fine la mia battaglia interiore. Quindi per questo faceva paura. Perchè ci mise meno di due secondi a trasformarsi in questa persona affascinante. Affascinante come lo era il protagonista di Shining.
"Non farlo," chiesi, e agli angoli della bocca le sue labbra si incurvarono.
"Cosa?" ribattè innocentemente.
Lo sapeva benissimo.
"Non fare il gentile ora."
"Vuoi che sia cattivo con te? È una tua qualche perversione per caso?" A quel punto, tutta la sua rabbia era sparita ed era stata rimpiazzata dal divertimento.
Ruotai gli occhi. "Sei un maiale."
Era un insulto per i maiali.
"Io ti piaccio," rispose senza esitazione, sicuro che mi sarei innamorata senza dubbio dei suoi magnifici insulti e occhi pieni di odio.
Soffocai un sospiro. "Piacermi?" Ripetei. "Per favore. Ho degli standard."
"Fammi indovinare." Camminò verso di me. "Stai aspettando che il Principe Azzurro appaia con il suo cavallo bianco e ti porti via."
Aspettò una mia risposta che non diedi. Il suo corpo era troppo vicino al mio e potei sentire anche il calore uscire dall'ampiezza del suo petto. Anche in questo lurido posto, lui in un qualche modo aveva un buon profumo. Non capivo come potesse sapere di fumo e vento ma ancor di più non capivo come potesse avere un buon odore ma intossicante. Come il profumo di marshmallow bruciato su un fuoco di un falò.
"Devo aver ragione," commentò, riportandomi con i pensieri a terra.
"Perchè sei cosi interessato? Ti piaccio per caso?" Lo dissi con la totale consapevolezza che che fosse un no.
Chinò la testa verso di me e mise la sua faccia proprio davanti alla mia. Marrone incrociò il nero. Non dovevo respirare.
"Come puoi piacermi se non ti conosco nemmeno?"
Dovevo parlare, forza Amelia.
"Bene," risposi rapidamente. "Perchè non voglio piacerti."
Sorrise a quello.
"Come ti chiami?" parlò lento, la sua voce vellutata e liscia come un buon vino.
"Amelia," risposi dopo qualche esitazione.
Il suo sorrisetto si allungò. "Guarda un po'. Ora ci conosciamo."
Alzai gli occhi al cielo. "Me ne sto andando." Questa conversazione era stata uno spreco di tempo per entrambi.
"Hai bisogno di un passaggio a casa?"
Sollevai le sopracciglia incredula e incrociai le braccia sul petto.
"Preferisco camminare piuttosto che salire sulla tua macchina." mi accigliai.
"Chi ha detto che mi stavo offrendo?"
La mia pressione sanguigna aumentò. Cominciai a star per perdere la calma.
"Hai letteralmente chiesto tu-ugh, sei così fastidioso!"
"Oh, mi dispiace." La sua voce grondava di sarcasmo. "Non mi ero accorto che ti stessi obbligando a parlare con me."
Inspirai profondamente. "Hai ragione."
Mi voltai per andarmene ma lui mi afferrò il polso per fermarmi per un'ultima volta.
"Ok, sul serio. Vuoi un passaggio a casa o cosa?" lui chiese.
Feci finta di pensarci per un buon minuto, poi gli rivolsi un sorriso innocente, che si spense immediatamente appena catturai il suo sguardo.
"Preferisco strisciare."
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