Una Mente Oscura pt4

Quella, per Alexander Dubè, era stata decisamente in una delle giornate più dure e pesanti che avesse mai avuto.

Aveva dovuto passare l'intera mattinata a parlare con la polizia a causa del breve ma singolare scontro avvenuto proprio davanti all'entrata della banca.

Stando quanto avevano raccontato i pochi testimoni presenti, sembravano fossero coinvolti dei ragazzini vestiti in maniera bizzarra che combattevano contro quelli che parevano dei loro cloni.

La lotta era durata a malapena tre minuti, ma erano bastati per creare sufficienti danni. Diversi dei negozi che si trovavano nei dintorni avevano le vetrine distrutte e le merci messe in esposizione danneggiate.

Neppure la banca ne era uscita completamente illesa, in una delle vetrate che si trovavano vicino all'entrata vi era un enorme buco, come se qualcuno vi fosse stato lanciato contro con una forza tale da rompere il vetro.

Per non parlare poi delle condizioni della strada. Oltre a qualche buca disposta qua e là sull'asfalto, milioni di frammenti di vetro ricoprivano quella parte di carreggiata.

Non erano pochi coloro che si chiedevano cosa fosse realmente successo. Neanche i poliziotti erano in grado di dare una spiegazione logica a tutto quanto, le telecamere poste tutt'attorno a quella zona avevano smesso inspiegabilmente di funzionare tutte nello stesso medesimo istante.

Bisognava ammettere che tutto ciò era alquanto strano, oltre che parecchio inquietante.

Tra i disagi provocati da quella insolita situazione, le lunghe es interminabili ore passate a parlare con gli agenti di polizia su quanto era accaduto e tutte le chiamate effettuate e ricevute dai clienti a cui per quel giorno era saltato il loro appuntamento alla banca, per Dubè era stata una giornata alquanto stancante.

Se poi ci si aggiungeva la riunione straordinaria che il suo capo, il signor Hebèrt, aveva indetto all'improvviso per quella sera stessa a causa di una email inviatagli da Suprem Dragon, non c'era da stupirsi che il segretario della Royal Banc non desiderasse altro che tornarsene a casa a riposare.

Fu proprio a causa di questa incedibile stanchezza che l'uomo, una volta che ebbe chiuso alle sue spalle il cancello della sua piccola villa e cominciato ad attraversare il vialetto innevato che circondava la casa, non si rese conto di non essere più solo.

Se ne accorse solamente quando udì il rumore dell'acqua che scorreva attorno a lui, ma a quel punto era già troppo tardi.

In un battito di ciglia, Dubè si trovò il corpo completamente avvolto da una colonna d'acqua, sollevandolo di qualche centimetro da terra, che si congelò con la stessa velocità con la quale lo aveva attaccato.

Soltanto la testa era libera.

«Nottata freschina questa» da dietro la colonna di ghiaccio che teneva bloccato l'uomo, comparì la figura piccola ed esile di un ragazzino sugli undici o dodici anni. Questo camminò sul selciato fino a fermarsi esattamente di fronte al segretario, in un punto in cui però la luce proveniente dai piccoli lampioni, che costeggiavano il vialetto, non riusciva a raggiungerlo. «Non trova, signor Dubè?»

Era molto basso, difficilmente doveva arrivare al metro e sessanta, ma emanava una strana aurea che avrebbe fatto trasalire Alaxandre se non si trovasse già immobilizzato dal ghiaccio.

Per via del cappuccio che teneva calato sul viso, non era possibile riuscire a vedergli bene il volto e il fatto che si trovasse pure in ombra non aiutava di certo a rivelare la sua identità.

L'unica cosa visibile era il suo sorrisetto scaltro.

«Chi-Chi sei tu?» domandò Dubè rabbrividendo, e non solo per il freddo.

Il ragazzino piegò il capo da un lato continuando a sorridere accorto. «Qual è la mia identità è una questione che al momento non interessa nessuno di noi due, ma se hai un minimo d'intelligenza potrai forse intuirlo.» ripose con un tono quasi beffardo. «Ma perché ora non parliamo di cose più interessanti?» parlò nella stessa maniera di quando un bambino chiede ad un adulto di giocare assieme a lui.

Dubè tentò disperatamente di muoversi, ma il ghiaccio gli impediva persino di girare la testa. L'unica cosa che poteva muovere erano gli occhi.

«Che-Che cosa vuoi da me?» quasi gridò dall'agitazione.

L'angolo delle labbra del ragazzino si sollevarono maggiormente in un sorriso divertito. «Conosci i "Gemelli-Specchio"?»

Nell'udire quel nome, l'uomo ebbe come una specie di sussulto che fece confermare i sospetti del suo interlocutore.

«Credo proprio di sì» affermò lo strano ragazzino perspicace.

Dubè avvertì la paura che cominciava ad impadronirsi del suo corpo. «Chi-Chiunque tu sia, sappi che ci sono una decina di telecamere che ci stanno riprendendo in questo momento» fece ghignando ansiosamente. «Se mi uccidi, anche sei nascosto nell'ombra, stai pur certo che la poliz-»

«So bene che ci sono le telecamere.» lo interruppe con aria annoiata il piccoletto. «Le ho già individuate tutte e sedici mentre ti aspettavo» poi sorrise sagace. «E poi non sono io quello che dovrà preoccuparsi di ciò che registreranno.»

Di colpo, come se avesse avuto una qualche improvvisa rivelazione, Dubè sbarrò gi occhi sconcertato. «Tu-Tu sei... sei uno di quei ragazzini...» mormorò titubante. «Uno di quei piccoli Eroi di ieri...»

Gabriele ghignò compiaciuto. «Allora un po' d'intelligenza ce l'hai!»

La fronte dell'uomo si aggrottò irata. «Si può sapere che vuoi da me, razza di essere demoniaco?»

«D'accordo, la farò molto breve» disse Gab portandosi le braccia dietro la testa in un atteggiamento svogliato. Poi, abbassando una mano, indicò il segretario. «Tu sei il complice delle rapine effettuate alla banca da parte dei "Mirroir-Twins".»

Prima ancora che l'uomo potesse aprire bocca per ribattere, uno strato di ghiaccio gli coprì la parte inferiore del viso impedendogli così parlare.

Solo il naso era lasciato libero, in modo da poter continuare a respirare.

«Mi dispiace zittirti in questo modo, ma poi tu avresti cominciato a gridare rischiando così di attirare attenzione indesiderata» replicò l'orfano con fare disinvolto, pareva che avesse previsto con largo anticipo quale sarebbe la reazione del segretario davanti ad una tale accusa. «Ma torniamo a noi: adesso ti spiego perché saresti il complice dei gemelli» esordì vivacemente. «In realtà è molto semplice la cosa. Innanzitutto, ho capito che i Mirroir-Twins avevano un complice all'interno della banca quando Hebèrt ha affermato che inizialmente, per poter accedere al caveau, era necessario un codice di cui solo poche persone fidate conoscevano. Eppure i primi due dipendenti, filmati nell'atto di rapinare la banca, non rientravano in questa categoria di persone, ciò significava che qualcuno aveva fornito il codice di accesso.» mentre esponeva i suoi ragionamenti, Gabri prese a camminare avanti e indietro ripetutamente giocherellando distrattamente con un lembo della sua sciarpa. «Ora passiamo alla parte del perché io sia convinto che sei stato tu a consegnarlo» esordì allegramente. «Il tuo movente è il rancore. Eri il migliore amico del direttore precedente, il padre di Hebèrt, quando questo era ancora in vita. Nell'ufficio di Claude ci sono ancora parecchie fotografie a dimostrarlo, la maggior parte di esse vi ritraggono assieme in momenti non lavorativi come la pesca o il bowling» di tanto intanto, mentre parlava, il ragazzino dava delle fugaci occhiate all'uomo imprigionato. «Però dev'essere stato un colpo davvero duro e amaro scoprire che, dopo la morte del vecchio Hebèrt, l'incarico del successivo "direttore della banca" non spettava a te ma, bensì, al figlio. Per questo motivo che, non appena ti si è presentata l'occasione più propizia, non hai esitato a mettere in cattiva luce prima la banca e poi chi la dirigeva, in questo caso Claude Hebèrt. Infatti non è stato certo un caso che, nella quinta rapina, è stato usato il riflesso del direttore.» arrivato a quel punto della sua spiegazione, Gab si fermò davanti a Dubè fissandolo con intensità. Un angolo del labbro piegato in un sorriso previdente e allo stesso tempo beffardo. «Se non avessi la bocca bloccata dal ghiaccio, la domanda che mi faresti ora sarebbe: in che modo saresti entrato in contatto coi gemelli? Bene, la mia risposta è questa: il vostro accordo è stato per lo più casuale e non calcolato da entrambe le parti.» disse infilandosi nuovamente le mani dentro le tasche del giubbotto. «Tu sei la persona più vicina al direttore della banca e che ricopre anche un ruolo abbastanza importante all'interno di essa. Ciò faceva di te il candidato perfetto di cui usare il suo riflesso per infiltrarlo dentro la banca e recuperare così le informazioni fondamentali sulla struttura, sia fisica che lavorativa, che sarebbero poi servite a rapinarla in seguito. Ma, per mettere in atto tale piano, avevano bisogno di mandarti fuori dai giochi almeno per un po'.» piegando il capo leggermente in avanti gli sfuggì una sottile risatina. «M'immagino la sorpresa di trovarsi improvvisamente dentro casa una coppia di ragazzini sui tredici anni che provano a tramortirti maldestramente. Dev'essere stata scena abbastanza buffa.» dichiarò divertito per poi risollevare il viso con espressione scaltra. «Comunque, di certo, quello si aspettavano era che tu ti saresti offerto a collaborare con loro di tua spontanea volontà, tradendo così sia i tuoi colleghi che il figlio del tuo migliore amico.» terminò tenendo fisso lo sguardo sul segretario guardandolo con interesse.

Non aveva pronunciato una parola come quella legata al "tradimento" in maniera casuale, ma perché voleva riuscire ad indurlo a confessare e, se le informazioni che aveva avuto da Dri erano corrette (e lui era certo che lo fossero), tale termine sarebbe stato abbastanza forte e doloroso da potergli facilitare il compito.

Con un gesto della mano, attivando l'abilità unicamente sulle dita di essa, tolse il ghiaccio dal viso dell'uomo.

Questo chinò il capo serrando le labbra in una smorfia di dolore. «Tradimento? Dopo...» iniziò incerto. «Dopo tutto quello che avevo fatto per lui... dopo tutti i miei sacrifici che ho fatto per lui... il mio dolore...» grazie alla luce emessa dai piccoli lampioni, presenti nel giardino, era possibile vedergli le lacrime scendergli sul viso e cadere sulla neve. «Io ero rimasto, sai?» disse con un tremito nella voce. «Ero rimasto con lui anche quando non era stato più in grado di camminare o di pronunciare anche la più semplice delle parole. Nei suoi ultimi giorni di vita, passati tutti su quel dannato letto, non era neppure l'ombra di ciò che era stato un tempo. Ma io sono rimasto lì, accanto, a vederlo lentamente spegnersi giorno dopo giorno mentre tutti gli altri invece non avevano neppure la forza di guardarlo in faccia. Io sono rimasto fino alla fine.» pronunciò a fatica tra i singhiozzi. «E qual è stata la ricompensa per tutto il dolore che ho provato? Costretto a fare da baby-sitter quel poppante incompetente di suo figlio! Non è giusto, io dico! Non è giusto non è giusto non è giusto!» gridò a pieni polmoni.

Gabriele socchiuse gli occhi inspirando profondamente per poi rigettare subito fuori tutta l'aria.

Capiva perfettamente quello che l'uomo stava dicendo, il suo dolore, però...

«Questo tuo discorso è privo di senso.» commentò duramente riaprendo gli occhi. «So bene cosa significa perdere qualcuno a cui si voleva bene, ma far coinvolgere nella propria vendetta delle persone che non centravano nulla facendole così soffrire... beh, neppure questo sarebbe giusto. Non nei loro confronti.» affermò smettendo, temporaneamente, di sorridere.

In parte comprendeva davvero la sofferenza di Dubè e, forse, aveva subito sul serio un'ingiustizia. Però trovava superfluo e inutile portare dolore a coloro che non centravano niente, solo per potersi vendicare del torto subito.

Ma la verità era che la giustizia era contorta, un organismo che portava più sofferenza che riparazione.

Gabri lo stava ormai capendo, soprattutto a proprie spese.

Sul volto dell'uomo si formò un ghigno malevolo pieno di rabbia. «Sai che me ne frega di quello che pensa un demone come te!» sbottò pungente. «Per me puoi andartene all'inferno anche adesso!» non appena ebbe finito fi pronunciare tale frase, gli sputò addosso.

E poi Fahed diceva che erano lui e Nick ad essere spesso infantili.

Gabriele lo schivò senza scomporsi minimamente, avendo previsto pure in gesto simile, e sorrise invece abilmente. «Però di vivere scommetto che invece t'interessa, giusto?» inclinando di poco la testa da un lato con espressione affabile.

A quella frase, gli occhi di Dubè si sbarrarono spaventati, se avesse potuto tremare l'avrebbe certamente fatto.

Davanti a quella reazione, l'orfano arcuò gli angoli delle labbra in un sorrisetto compiaciuto.

Aveva notato di come la paura rendesse le persone molto più prevedibili e remissive, oltre che facilmente manovrabili.

Yen, quella mattina, ne era stato il chiaro esempio.

«Che-Che cosa vuoi farmi?» domandò Dubè nervosamente.

Se avesse cercato di usare di più la testa si sarebbe certamente ricordato che l'italiano aveva già fatto intuire che non aveva alcuna intenzione di fargli del male, ma, proprio come Gab aveva calcolato, la paura gli stava impedendo di ragionare in maniera lucida.

«Io? Assolutamente nulla!» esordì vivace il ragazzino sorridendogli spigliato. «Però credo che sia ora che tu lo sappia» attivando l'abilità solo nella metà superiore delle dita, raccolse alcuni fiocchi di neve tra quelli che stavano cadendo e prese a farli vorticare attorno alla sua mano. Lentamente questi, su ordine mentale di Gab, cominciarono a sciogliersi trasformandosi così in un sottile anello d'acqua. «Ci sono delle persone che stanno dando la caccia a quei gemelli in quanto Ultra anomali e tu sei l'ultima persona, oltre a me ed i miei compagni, ad essere entrato in contatto con loro.» gli comunicò lanciando a Dubè uno sguardo astuto. «Sai che cosa significa questo, vero?» fece senza aspettarsi alcuna risposta da parte del segretario.

O almeno, non una risposta verbale.

Il respiro dell'uomo, infatti, aveva preso a farsi più affannoso mentre si lasciava prendere sempre più dall'angoscia e dal terrore, comprendendo che tipo di pericolo per sé stesso comportava il legame che aveva con i Gemelli-Specchio.

L'italiano ghignò sempre più soddisfatto.

Quella della morte è una paura che risiede in ogni essere umano. Davanti ad essa sono diverse le reazioni che le persone potevano avere, ma la maggior parte di esse tendevano a lasciarsi sopraffare negativamente dal terrore, diventando così incapaci di fare o intendere qualsiasi cosa di loro iniziativa.

E questo era esattamente quello che stava accadendo a Dubè.

Gab riprese a parlare con aria disinvolta. «Non sapendo con esattezza l'identità di queste persone mi è difficile prevedere con precisione che cosa ti faranno quando riusciranno a trovarti, ma, se devo essere sincero, dubito fortemente che ti lasceranno in vita. Perciò non pensare di poter vuotare tutto il sacco a loro nella speranza che poi ti lasceranno stare, perché non credo che lo faranno.»

«A-Allora che cosa devo fare?» chiese il segretario abbassando la testa tremante.

Gabri sollevò le palpebre sorridendo arguto. Finalmente era giunto al motivo per il quale era stato necessario mettere su tutto quel teatrino. «Prima mi hai chiesto più volte che cosa io volessi da te» mormorò assumendo un tono di voce particolarmente tranquillo e rilassato. «Beh, ecco che cosa voglio» alzò lo sguardo verso Dubè in modo da poterlo guardare in faccia. «Voglio che tu sparisca. Per sempre.»

Sentendo una dichiarazione simile, il segretario tirò su il capo spalancando maggiormente gli occhi con un misto di stupore, confusione e paura. Tutti mescolati assieme. «Co-Come? I-Io cosa...?» balbettò scioccato.

«Non so se ne sei consapevole o meno, ma tu possiedi abbastanza informazioni da mettere in pericolo i gemelli ed io questo non lo posso proprio permettere» affermò l'orfano come se tutta questa cosa fosse solo un'enorme seccatura. Cosa che poi era tra l'altro vera, perlomeno quanto riguardava alle informazioni di cui Dubè era, inconsciamente, in possesso.

Anche se, apparentemente, sembrava che in realtà stesse prendendo in giro il povero segretario, tutto quello che Gabriele aveva detto fino ad ora corrispondeva alla verità.

Dubè possedeva davvero delle informazioni importanti sui gemelli, dovute grazie e quei più di due mesi nei quali era in contatto con loro, e questo lo rendeva quindi un obbiettivo particolarmente succulento a cui rivolgersi nel caso i due Ultra anomali scomparissero improvvisamente, cosa che effettivamente accadrà.

Perciò Gab, se voleva aiutare i due fratelli, doveva assicurassi l'incolumità di Alexandre Dubè.

O perlomeno il più a lungo possibile.

Continuando col suo atteggiamento rilassato e indifferente, Gabri gli sorrise vivace. «Vedila così: tu hai bisogno di trovare un modo per sfuggire a questi tizi, se vuoi continuare a vivere, mentre io voglio evitare che costoro riescano a catturare i gemelli e per fare ciò mi tocca creare un piano per proteggere anche te. Come puoi vedere i nostri obbiettivi coincidono» aprendosi appena il giubbotto tirò fuori, da una tasca interna, tre foglietti ripiegati quattro volte l'uno sull'altro. Tenendoli tra due dita, li mostrò al segretario sorridendogli accorto. «Qui dentro ti ho scritto tutte le istruzioni necessarie per organizzare la tua fuga. Seguile tutte accuratamente, d'accordo?» lo avvisò beffardamente.

Dopodiché, trasformando nuovamente le dita dell'altra mano in acqua, con un solo gesto, fece sciogliere la colonna di ghiaccio liberando così l'uomo.

Dubè rovinò a terra malamente rimanendo poi rannicchiato in posizione fetale, alcuni singulti si udirono provenire dal segretario. La cartella di pelle che aveva con sé gli cadde poco distante.

Passandogli accanto, Gabri lasciò cadere i fogli ripiegati vicino alla sua testa. «Ti consiglio di non perderli» lo avvertì lanciandogli un'occhiata canzonatoria mentre camminava verso l'alto muretto che circondava la piccola villetta del segretario, sotto il quale si era appostato per quasi un'ora e mezza in attesa dell'arrivo del suo proprietario.

Una volta che lo ebbe raggiunto, usando la sua abilità creò un piccolo turbine d'aria che lo sollevò fino a portarlo sopra il muretto. Quando si trovò lì in cima rivolse un ultimo sguardo affabile a Dubè, il quale era ancora a terra. «Ah mi raccomando, non dimenticarti delle telecamere!» lo schernì per poi lanciarsi di sotto.

Usando nuovamente l'aria attutì la caduta e, una volta atterrato perfettamente in piedi, si incamminò in direzione dell'albergo.

A quell'ora tarda della notte erano davvero poche le persone che erano ancora in giro per la città.

Gli unici esseri viventi che incrociò lungo il tragitto erano gatti randagi e qualche ubriaco che camminava con una postura ciondolante.

L'orfano uscì a fare qualche isolato accompagnato solamente dalla neve e dal silenzio, col desiderio di mettere più metri possibili tra lui e la casa di Dubé e da quanto aveva fatto. Ma alla fine però cedette e, sostenendosi con un braccio contro la parete di una stradina nascosta, prese vomitare tutto quello che aveva ingerito qualche ora prima.

Quando non ebbe più nulla da rigettare fuori, si lasciò cadere a terra schiacciandosi contro il muro opposto del vicolo dove aveva scelto di rifugiarsi e prese a tremare fortemente, portandosi le mani sulle tempie si strinse la testa con angoscia.

Si sentiva uno schifo.

Era uno schifo.

Come aveva potuto essere in grado di fare una cosa simile?

Certo, l'aveva fatto per aiutare i gemelli però, minacciare ed intimidire un uomo in quella maniera era... sbagliato.

Ma poi in realtà non era tanto questo a sconvolgerlo così.

No.

Era stata la facilità con la quale aveva previsto ogni singola azione, ogni signola parola dell'uomo ad atterrirlo.

Persino lo sfogo riguardante la malattia del precedente direttore era riuscito a prevedere.

Tutto era talmente andato esattamente come aveva calcolato che per poco non si era messo a ridere e questo lo spaventava enormemente.

No...

Tutto questo non era affatto normale.

Lui non era normale.

Nessuno avrebbe dovuto riuscire a fare una cosa del genere.

Era semplicemente sbagliato.

Era...

Un demone.

«No...» gemette Gabri scuotendo la testa disperatamente.

Perché doveva essere così?

Non voleva questo.

Non avrebbe mai voluto essere così.

Una specie di essere anormale.

Qualcosa di cui avere paura.

Voleva soltanto essere un ragazzino come tutti gli altri.

Nient'altro.

Ma aveva visto quello che era stato in grado di fare a quell'uomo.

Com'era riuscito a manipolare tutta la situazione facendo leva sulla sua paura e prevedendo ogni sua reazione.

Non era normale.

Non era affatto normale.

Non c'era da stupirsi se i suoi amici l'avessero, un giorno, guardato con la paura negli occhi.

Perché lui stesso era terrorizzato da ciò che la sua mente potesse essere capace di fare in futuro.

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