Confuse Rivelazioni pt1

Nel corso dei diversi secoli la città anticamente conosciuta come "La Serenissima" era cambiata molto, soprattutto dal punto di vista morfologico e del territorio.

Una volta conosciuta maggiormente per i suoi canali, ora buona parte della popolazione si era spostata nell'entro terra per sfuggire all'acqua, rendendola così famosa come "la città divisa a metà".

«Quindi è questa Venezia» mormorò Nick ammirando affascinato le case dai colori caldi che superavano. «Me la immaginavo più... acquosa.»

«È perché ancora non hai visto la metà che si trova sull'acqua» gli disse Gabriele sorridendo sagace tenendo fisso lo sguardo sul dischetto di rame che teneva in mano, sopra di esso vi era stata fissata una piccola freccia del medesimo materiale la cui funzione era quella d'indicare la direzione giusta da prendere. «Destra» annunciò l'orfano entrando in un vicoletto costeggiato da bar e piccole osterie.

I soldati li avevano lasciati circa una mezzoretta prima in un quartiere un po' isolato nella periferia a nord della città. Il loro compito di scortarli fino a Venezia era oramai giunto a termine e adesso si trovavano lungo la strada di ritorno per l'Ucraina.

Gabri non capiva ancora se a Zaystey dispiaceva dover salutare lui ed i suoi amici o se mentalmente si preparasse a festeggiare per la loro partenza.

Di certo però non gli sarebbe affatto mancato Lagna-Umana durante il viaggio, cosa che invece i ragazzini erano destinati a sopportarlo per ancora un paio di giorni come minimo.

Tanto da far venire il mal di testa se lo si ascoltava per più di dieci secondi.

«Allora? Quanto ci vuole ancora per arrivare alla locanda? Non ho mica l'intenzione di passare tutta la giornata a camminare!» insisteva petulante Kozlov lanciando occhiate disgustate ai vecchietti seduti attorno ad un tavolo appena fuori da un bar intenti a giocare a carte. Per evitare di dare nell'occhio, gli Ultra avevano scelto di non indossare la loro divisa da combattimento per dirigersi verso la locanda dove sarebbero stati ospitati finché non fosse arrivato l'aereo che li avrebbe riportati alla Villa.

Alzando gli occhi al cielo con la pazienza che stava già arrivando al limite, l'orfano pigiò col pollice un piccolo pulsante situato al centro della freccia. Da lì partì la proiezione, a cinque centimetri sopra il dischetto, di una mappa di Venezia vista dall'alto.

Un pallino rosso luminoso rappresentava il loro punto d'arrivo, lo stesso che indicava la freccetta.

Originariamente quel dischetto era il regalo che l'orfano aveva costruito per Ada ma che non era mai riuscito a consegnarglielo. Successivamente però decise di convertirlo (dopo averlo prima lanciato contro il muro della camera e quasi rotto) in un navigatore tascabile con il funzionamento simile a quello di una bussola.

«Dipende» fu la svogliata risposta di Gab.

L'Alfa gli lanciò un'occhiata sospettosa e confusa «Dipende da che cosa?» sbottò altezzoso.

L'orfano continuò ad esaminare la sua mappa olografica senza degnare di uno sguardo Lagna-Kozlov. «Da quanto te hai ancora intenzione di parlare» replicò con un tono indifferente. «Possiamo metterci anche una o due ore oppure anche di più, è irrilevante. Io ed i miei amici non abbiamo nessun problema a camminare per un paio di ore in più.»

«Ehm, veramente...» provò a dissentire Nguyen ma venne zittita da una leggera gomitata da parte dell'italiano.

Questo si voltò infine verso l'uomo sorridendogli affabile. «Ma che mi dici di te? Riusciresti a resistere per tutto quel tempo?»

Gli occhi di Kozlov divennero due fessure mentre fissavano pieni di disprezzo il ragazzino, il suo volto diventava man mano sempre più rosso dalla collera. Muoveva nervosamente le mani chiudendole ad artiglio in direzione di Gabriele, il quale si ostinava a sorridergli scaltro, come se non desiderasse altro che strangolarlo.

Roman guardò preoccupato il nipote ma questo, nonostante tutti quei gesti ridicoli che stava facendo, rimase in silenzio senza azzardarsi a pronunciare una sola parola.

A quanto pareva gli era rimasta abbastanza materia grigia da capire che, per una volta, era il giovane Ultra a tenere il coltello dalla parte del manico, dato che era l'unico tra i presenti a sapere la strada giusta da prendere per la locanda dove avrebbero pernottato.

Gab sorrise compiaciuto premendo col pollice sullo stesso punto di prima, facendo così sparire l'immagine della cartina. «Mezz'ora all'arrivo» annunciò proseguendo lungo il vicolo e protendendo una mano per rispondere al cinque di Nick mentre Adri scrollava appena il capo sorridendo tra sé e sé continuando a camminare al suo fianco, il resto del Blocco subito dietro di loro.

«Ma Venezia non era la città dei canali?» domandò Paulo guardando con perplessità le abitazioni e le strade che oltrepassavano alla ricerca di uno di quei corsi d'acqua che una volta rendevano un tempo tanto famosa tale città, oltre alla sua lavorazione del vetro che Gabri desiderava tanto aver l'opportunità di vedere in uno di quei giorni.

«Una volta lo era, due secoli fa se non ricordo male.» disse Fahed allungando di poco il passo per raggiungerli, attento però a non allontanarsi troppo da Yen «Con lo scioglimento dei ghiacci l'acqua si è alzata parecchio. Alcune città che si trovavano molto vicine al mare sono state allagate quasi del tutto mentre altre che si trovavano nell'entro terra sono diventate portuali» spiegò ai suoi amici nascondendo malamente una nota compiaciuta nella voce, provava una certa soddisfazione nell'esprimere il proprio sapere agli altri (la cosa però non funzionava in ugual modo per le verifiche o interrogazioni) «Venezia è stata una delle prime città a venire quasi del tutto sommersa dall'acqua»

«Si possono comunque vedere i tetti o i piani superiori di moltissimi edifici dalla Laguna» continuò Dri «In quelli più alti ci abitano ancora delle persone e so che ci sono dei giri turistici in barca per poter riuscire lo stesso a visitare l'interno di diverse chiese sopravvissute a metà. Per il resto Venezia si è totalmente spostata sulla terra.»

«Okey...» mormorò Paulo aggrottando le sopracciglia perplesso «E voi come fate a sapere tutto questo?»

«Lo abbiamo letto sui libri di storia» rispose Fahed pragmatico.

«La versione originale non era con Dri che leggeva sui libri riguardanti su Venezia e poi li ha spiegati a te?» lo ribeccò Gabriele con un sorriso malandrino. Il marocchino si limitò a sbuffare contrariato lanciandogli un'occhiata infastidita che ebbe però l'effetto di far divertire maggiormente l'orfano.

«Ah! Quanto sarebbe bello farsi un giro in barca sulle placide acque della Laguna di Venezia!» sospirò Yen con un'espressione trasognante.

Paulo la guardò di sottecchi ghignando beffardo «Magari con solo te, Fahed e il sottofondo musicale di un violina, giusto per rendere la scena un po' più romantica.» la canzonò divertito l'argentino.

«Paulo, ti ricordo che la mia padella è fissata il mio zaino ed è a portata di mano.» gli disse con straordinaria calma la vietnamita senza mutare espressione.

«Dimentica ciò che ho detto» fece Paulo perdendo quasi immediatamente il suo ghigno ironico.

«Ecco bravo» affermò Nnguyen sorridendo soddisfatta, di fronte a lei Gab e Nick sghignazzavano di nascosto nella speranza di non essere sentiti dalla loro amica.

Esattamente come aveva preannunciato prima l'orfano, circa una mezz'oretta dopo, passata a camminare tra le varie strade e vicoli della città, giunsero quasi in perfetto orario alla loro meta.

Essa consisteva in un edificio dall'aspetto un po' decadente, sul muro alcuni pezzi d'intonaco si erano staccati con il passare degli anni.

Alcune delle finestre che costeggiavano la parete dell'edificio erano aperte lasciando in bella vista i vetri puliti ma la maggior parte erano chiuse da delle persiane verdi in legno, in molte di esse si potevano intravedere punti dove la vernice era stata crostata via.

Il tutto donava all'abitazione quell'aria di vissuto che il giovane italiano trovava particolarmente affascinante.

Un'asta di ferro non molto lunga sporgeva dal muro color crema poco distante dal grande portone fatto di legno scuro, appesa ad essa vi era un cartello, anch'esso realizzato in legno, su cui vi era stato disegnato a tempera bianca una gondola che navigava placida sull'acqua. Sopra di essa una scritta dai caratteri eleganti e sinuosi, ma di difficile lettura per Gab, comunicava ai nuovi venuti il nome della locanda.

«La Gongola Dianca?» provò a leggere l'orfano corrugando le sopracciglia per lo sforzo. Accanto a lui, sia Nick che Paulo presero a beffardi mentre Nguyen si lasciò sfuggire un risolino.

Fahed si limitò a scrollare il capo rassegnato.

«La Gondola Bianca» lo corresse Adriana con il suo solito tono gentile. «Attento alla "bi".»

Kozlov si voltò verso Gabriele con un'espressione di puro disgusto. «E quindi sarebbe questo l'albergo che avete prenotato?» indicò sprezzante l'edificio «Sta praticamente cadendo a pezzi!»

Il ragazzino lo ignorò volutamente avanzando verso il portone e bussandovi sul legno un paio di volte.

Ad aprirgli fu una signora anziana leggermente robusta e dall'aria giovale, un lungo grembiule rosa e sporco di farina copriva buona parte del vestito viola con un motivo a fiorelloni rossi. Ai piedi portava un paio di ciabatte di legno con delle fasce di cuoio e i capelli grigi riccioluti erano tenuti fermi da una retina.

La donna esaminò velocemente i nuovi arrivati e poi sorrise a loro cordiale «Voi dovete essere quelli della prenotazione speciale, giusto?» disse con tono amichevole, senza aspettare una risposta porse la sua morbida mano sporca di farina verso Gabri, essendo quello più vicino a lei. «Sono la proprietaria della locanda, il mio nome è Giovanna ma potete pure chiamarmi Gio. Entrate pure, vi mostro le vostre camere.» li invitò scostandosi da un lato per permettere al gruppetto di passare.

Una volta dentro la signora li fece svoltare a sinistra dove si trovavano delle scale che conducevano ai piani superiori, l'interno era arredato in maniera piuttosto semplice con mobili in legno antiquati sui quali erano stati posizionati alcuni oggetti di porcellana e cornici contenenti foto o dipinti di Venezia stavano appesi alle pareti rivestite da una carta da parati color azzurro cielo. Il pavimento era composto da delle mattonelle di ceramica smaltata di bianco decorate da disegni di uccelli, probabilmente gabbiani, che volavano in gruppi da tre.

Aveva un qualcosa di accogliente che ti dava l'impressione di essere appena arrivato a casa.

La proprietaria, Giovanna, li guidò su per le scale portandoli al secondo piano mentre elencava brevemente a loro le regole dell'ostello. «Il pranzo qua è all'una e la cena alle diciannove e mezza mentre la colazione è disponibile dalle sette alle dieci di mattina, a meno che non dobbiate svegliarvi molto presto per impegni importanti. In quel caso siamo disposti a prepararvela in anticipo. Se avete intolleranze su alcuni alimenti in particolare non dovete fare altro che dirmelo e io provvederò immediatamente» disse percorrendo con passo spedito gli ultimi gradini che li dividevano dal pianerottolo. «Dalle dieci di sera in poi vige la regola del silenzio; se volete restare svegli fino a tardi non c'è problema a patto che non facciate rumori molesti per chiunque altro voglia passare la notte qui. E, ovviamente, qui vi è anche la regola del "Chi rompe paga". Tutto chiaro?» concluse voltandosi verso il gruppetto ma rivolgendo la maggior parte della sua attenzione in direzione di Nick, il quale aveva preso in mano un vaso di porcellana decorato finemente con dei fiori dipinti.

Il ragazzino, una volta accortosi dello sguardo della signora, rimise a posto l'oggetto con cautela.

Gio sorrise distogliendo l'attenzione dall'australiano. «Le vostre stanze sono queste» affermò indicando alla sua destra tre porte verdi poste l'una accanto all'altro, dopo di essi ve ne erano circa altre quattro tutte dello stesso colore «Dentro sono già tutte pulite ma devo avvisarvi che purtroppo non c'è molta acqua calda, perciò vi consiglio di non sprecarla.» detto questo consegnò al ragazzino più vicino, stavolta Fahed, tre grosse chiavi d'ottone su cui erano incisi sull'impugnatura dei numeri che coincidevano con le targhette fissate sulle porte.

«Se avete bisogno di me mi trovate in cucina» li salutò la donna cominciando a ridiscendere i gradini per tornare al piano terra. «Se vi servono dei vestiti puliti non fatevi problemi a chiedermeli!»

«Si può sapere che cosa cavolo ha detto quella specie di barile ambulante?» domandò brusco, anche se dal tono usato pareva più un ordine, Kozlov una volta che l'anziana sparì dalla vista.

Essendo russi e non conoscendo la lingua italiana, sia Lagna-umana che suo zio, non avevano potuto comprendere neppure una singola parola di quello che Giovanna aveva detto fino a poco fa. Entrambi erano rimasti in silenzio guardando attorno con aria spaesata.

Adri riassunse in poche parole quanto la donna aveva detto a loro prima di andarsene, intanto i suoi compagni erano impegnati a dividersi le camere.

«Noi maschi prendiamo la ventidue!» dichiarò Nick alzando di poco la mano sorridendo allegro.

«Allora noi femmine andremo nella venti» fece Yen allungando una mano per prendere la chiave con quel numero.

«Perché proprio voi dovete prendere la ventidue scusa?» sbottò sprezzante Kozlov intromettendosi nella loro discussione «Chi lo ha deciso? La volevo io quella camera!»

«Misha, ti prego...» mormorò con una leggera sfumatura di stanchezza nella voce Roman premendosi due dita contro una tempia. «Mettendoti nella stanza in mezzo sei più facile da proteggere» provò a spiegargli con calma al nipote.

Dri e Fahed annuirono affermativi, Gabri si limitò a fissare inespressivo Kozlov con la coda dell'occhio. L'uomo guardò gli Ultra poco convinto. «E va bene» sbuffò infine seccato «Ma solo perché sono troppo stanco per discutere!» prese con forza la chiave con il numero ventuno dalle mani di Fahed infilandola nella toppa, gli fece fare un solo giro e la serratura si aprì con un semplice scatto. Una volta dentro la stanza, l'Alfa sbatté con forza la porta dietro di sé chiudendola.

Roman sospirò esausta, poi volse ai ragazzini uno sguardo di scuse «Vi prego di scusarlo.» disse prima di seguire il nipote dentro la camera.

«Davvero era quello il motivo per il quale avete entrambi scartato la numero ventuno?» fece Paulo inarcando le sopracciglia sospettoso.

«Certo!» rispose Nick con naturalezza «Più o meno...» aggiunse poi incerto.

L'argentino lo fissò per qualche secondo impassibile «Io me ne vado in camera» annunciò dopo un po' avviandosi verso la porta contrassegnata col numero ventidue. «Fahed, la chiave» il compagno chiamato si fece avanti per aprire la loro stanza.

«Cavoli! Non vedo l'ora di farmi una vera doccia!» dichiarò quest'ultimo inserendo la chiave nella toppa. «Non ne posso più di puzzare così»

«Puoi dirlo forte amico» disse Paulo attendendo pazientemente che il marocchino aprisse la porta. «Mi sembra quasi di avere un secondo strato fatto di sudore sopra la pelle.»

Nguyen sembrava però pensierosa sulla questione della doccia, come se ci fosse qualcosa che non andava bene per lei. I compagni la guardarono preoccupati, una reticenza simile da parte della vietnamita di fronte alla possibilità di fare un bagno degno di quel nome era a dir poco anomala e inconsueta.

Sarebbe stato come affermare che Nick amava la matematica o che Fahed odiasse studiare.

La ragazzina notò gli sguardi dei suoi amici e si affrettò a correggere incomprensione «Neppure io non vedo l'ora di levarmi di dosso tutto questo sporco dalla pelle, è snervante!» chiarì facendo degli strani gesti con le mani con una smorfia di disgusto. «Secondo me però ci conviene accettare l'offerta dei vestiti di quella gentile signora, anche se dovessero risultare sciatti.» espose poggiando una mano sul fianco e spostando tutto il peso del corpo da quel lato. «Perché diciamocelo; non possiamo rindossare i vestiti che abbiamo ora dopo la doccia, sarebbe schifoso, e le nostre divise da combattimento sono troppo lerce per poterle metterle di nuovo, senza contare che poi così daremo troppo nell'occhio. E scordatevi che io vada in giro per l'hotel con addosso il pigiamo, sporco anche quello tra l'altro.»

Terminato il breve discorso, i ragazzini si guardarono l'un l'altro restando in silenzio per una manciata di secondi.

«Approvo la sua idea» dichiarò Gabriele accennando ad un lieve sorriso divertito.

«Anch'io» disse Adriana lanciando un'occhiata pacifica all'amica.

«Idem» si unì anche Nick con brio.

«Stessa cosa» affermò Fahed tranquillo.

Paulo invece indicò col pollice i compagni alla sua sinistra. «Quello che hanno detto loro»

«Chi si sacrifica per andarli a prendere?» domandò l'australiano infilandosi le mani in tasca. «Io non ne ho voglia» volle mettere subito in chiaro.

L'orfano scrollò le spalle indifferente. «Vado io» si offrì volontario «Così non mi toccherà aspettarvi tutti mentre fate la fila per la doccia. Fahed però la fa per ultimo.»

Il marocchino storse la bocca in una smorfia di disappunto. «E perché scusa?»

«Perché tu in quanto lentezza rischi di essere allo stesso livello di Yen.» rispose Paulo dando una grossa pacca alla schiena a Fahed, facendolo barcollare in avanti.

«Ehi!» fu la debole protesta della vietnamita, offesa per essere stata usata come metro di paragone.

«L'ultimo che arriva al bagno è un babbuino!» gridò Nick fiondandosi alla velocità del fulmine verso la loro camera lasciando dietro di sé una debole ventata d'aria.

«Maledetto...» sibilò tra i denti l'argentino scattando anche lui per rincorrere il compagno. «Stupido moscerino, stai giocando sporco! Non vale!»

Da dentro la stanza numero ventidue si sentirono delle risate soffuse dell'australiano provenire quasi sicuramente dal bagno.

Fahed fissò con disapprovazione l'uscio della camera lasciato aperto per la foga dei suoi compagni. «Idioti...» mormorò scuotendo la testa mentre si avviava anche lui verso la loro stanza.

Adri ridacchiò divertita per poi voltarsi verso il suo migliore amico. «Noi ti aspettiamo con i vestiti, allora» disse un bizzarro e leggero imbarazzo.

Gab le sorrise affabile «Non ci metterò molto» la rassicurò allegro scendendo i primi scalini con rapidità.

«Su su, andiamo! Un bel bagno caldo non si prepara mica da solo!» si riuscì a sentire esclamare la voce di Nguyen una volta che l'orfano arrivò al piano terreno.

Il ragazzino superò con passo spedito sala da pranzo adiacente all'ingresso dove ospitava anche i clienti che non avrebbero passato lì la notte.

I tavoli erano quasi tutti vuoti fatta eccezione per uno dove un gruppetto di quattro vecchietti passavano il tempo insieme a giocare briscola insultandosi a vicenda scherzosamente in dialetto.

Gabriele rimase fermo per qualche secondo a fissarli, commosso nel sentire per la prima volta da due anni delle persone parlare in un gergo che lui ben conosceva al di fuori di sé stesso e di Adri.

Scosse poi la testa nel tentativo di riprendersi e si avviò verso una porta con su scritto "cucina" in stampatello.

«Ehi batòcio, dove stai andando?» lo richiamò severamente uno degli anziani, quello che parlava più forte. «Lo sai che in cucina può entrare soltanto il personale?» disse fissando arcigno il ragazzino.

Dal grembiule che portava legato ai fianchi e dalla camicia azzurro scuro con a lato il ricamo di una gondola bianca che indossava doveva sicuramente lavorare lì mentre dall'anello d'oro nuziale che teneva legato al collo con una catenella comunicava a Gabri che il vecchio doveva essere il marito della signora che li aveva accolti primo.

«Tranquillo Mario» intervenne la voce calda e gentile della proprietaria, la porta della cucina si aprì mostrando così la figura corpulenta della donna con in mano quello che sembrava un mestolo sporco di sugo. «Gliel'ho detto io che potevano entrare se ne avevano bisogno.»

L'anziano che aveva parlato prima rovesciò la testa all'indietro lasciandosi sfuggire un sospiro. «Jo-Jo te l'ho detto un sacco di volte; non puoi dare a tutti il permesso di entrare nei luoghi riservati al personale. Sono clienti, bisogna sempre mantenere una certa distanza professionale!»

«Senti un po' da che pulpito!» ribattè Giovanna poggiando in pugni contro i fianchi assumendo una posizione severa, stavolta però la donna si rivolse al marito parlandogli in veneto. «Non sei poi tu quello che ha voluto organizzare una specie di festicciola a base di alcool in cucina l'altro mese?»

«Eh ma che centra? Quelli erano miei amici e poi era capodanno!» fu la contro risposta di Mario accompagnate da alcune imprecazioni pronunciate rigorosamente in dialetto.

La signora pareva alterarsi sempre di più «E certo! Ma dopo a chi è toccato pulire il macello di bicchieri che avete lasciato mentre tu te ne restavi sul letto a smaltire la sbornia eh? A me! Perciò vedi stare zitto stupido asino e torna a quella tua stupida partita che è meglio!» poi si voltò verso Gabriele, il quale era attento a non perdersi neppure una battuta, sorridendogli cordiale. «Sei venuto per i vestiti vero? Aspettami qui che te li vado a prendere» gli disse passando nuovamente in italiano e si diresse verso una porta situata sotto la scala con fissata sopra una targa d'ottone con scritto "Riservato al Personale".

Il marito della signora rimase a fissarla con la coda dell'occhio fino a quando questa non sparì oltre quello che doveva essere l'ambiente dove i due coniugi vivevano assieme quando non erano in servizio «Donne...» brontolò a bassa voce scuotendo con disapprovazione il capo.

Uno degli amici del vecchio lanciò un'occhiata divertita al ragazzino facendogli l'occhiolino. «Non preoccuparti piccoletto. Questa è una cosa di ordinaria amministrazione, dopo un po' non ci si fa neppure caso a questi battibecchi.»

«Esatto, ti conviene farci già l'abitudine butèl perché la vita marito è tutta così!» brontolò burbero il signore che si trovava più distante da Gabri, era piuttosto basso e robusto con le mani sporche di un materiale bianco che pareva malta.

«E seh!» esclamò ilare l'anziano posto di fronte a Mario buttando sul tavolo un sette di coppe, dalle diverse macchie d'olio di motore che aveva sulle dita callose doveva essere un meccanico. «Tendi sempre ad esagerare, Nino! Per me sei te che ti fai mettere troppo i piedi in testa da tua moglie Sara.» lo provocò ridacchiando beffardamente.

«Tasi Peppe» rispose Nino fissando torvo le tre carte che teneva in mano, punto sul vivo dal suo amico che in quel momento sghignazzava divertito.

Gabriele rimase in silenzio ad ascoltarli i quattro amici prendersi in giro a vicenda passando osservandoli con curiosità misto a divertimento.

Dalla disinvoltura con la quale si scambiavano battute e insulti allo stesso tempo, quei quattro vecchietti dovevano essere amici di lunga data.

Dopo alcuni minuti la proprietaria della locanda ricomparì nella sala da pranzo reggendo due sacchi bianchi pieni di vestiti.

«Ecco qua!» esordì allegra porgendo i sacchi all'orfano. «Allora, in questo ci sono i vestiti per voi maschietti mentre in quest'altro per le ragazze.» gli spiegò alzando prima il sacco che teneva con la destra e poi quello con la sinistra. «Spero che vi possano andare bene, erano dei miei nipoti quando aveva all'incirca la vostra età»

Gabri diede una rapida occhiata ai sacchi che teneva in mano. «Troveremo una soluzione per farceli andare bene» affermò con tranquillità facendo le spallucce «Grazie» disse sorridendo cordiale alla signora.

Lei annuì soddisfatta ricambiando il sorriso del ragazzino, poi si voltò nella direzione dove si trovava suo marito con i suoi amici, ancora intenti a giocare a briscola, cambiando di colpo espressione assumendo una più dura e severa «Voi pelandroni! Sarà meglio cominciate già a sloggiare che fra poco è ora di pranzo e mi devono arrivare i clienti. Tu!» disse in dialetto indicando autorevole Mario, questo prese a impallidire leggermente «Alza il culo da quella sedia e vedi di far qualcosa di utile altrimenti ti chiudo la riserva di vino e ne butto via chiave!»

«No la riserva di vino no!» si udì pigolare il vecchio alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la cucina con una velocità sorprendente per uno della sua età.

Doveva tenerci parecchio alla quella sa riserva di vino.

Capendo che la sua presenza non era più richiesta, anche se trovava parecchio esilerante la scena della signora che scacciava gli amici del marito minacciandoli con il mestolo che teneva in mano, Gabriele si incamminò verso le scale cominciando a salirle senza fretta reggendo con le mani i due sacchi bianchi che Gio gli aveva dato.

Una volta arrivato in cima della rampa picchiettò con le nocche sulla porta della camera venti per consegnare il loro sacco di abiti alle ragazze.

Ad aprirgli la porta per ritirarli venne Yen, dato che Adri si trovava ancora sotto la doccia, afferrando la sacca con grande entusiasmo.

La vietnamita era visibilmente eccitata all'idea di poter nuovamente indossare dei capi puliti.

Doveva proprio essere disperata dopo aver passato quasi una settimana ad indossare lo stesso cambio di vestiti.

«Oh finalmente! Vestiti puliti! Vi aspettavo da fin troppo tempo cari miei!» disse infatti abbracciando con enfasi il sacco e cullandolo come se fosse un bambino o un oggetto prezioso, poi sollevò il viso corrugando la fronte e si guardò attorno confusa. «Ma... cos'è tutto questo trambusto?»

Gabri diede una rapida occhiata al piano di sotto dove la signora Giovanna era riuscita a far scacciare via gli amici di Mario a suon di mestolate in testa. «Niente di particolare...» provò a rispondere senza nascondere un lieve sorriso divertito «È solo la proprietaria che sta cacciando fuori dalla locanda gli amici di suo marito»

Nguyen seguì lo sguardo del compagno per vedere cosa stava realmente accadendo. «Okey...» mormorò quando la porta dell'edificio fu di nuovo chiusa lasciando i tre uomini fuori dall'ostello.

L'orfano ridacchiò mestamente allontanandosi dalla camera delle ragazze e avviandosi verso la propria «Vado a farmi la doccia ora. Ci vediamo dopo.»

«Ecco bravo, vatti a lavare che puzzi peggio di una capra.» gli gridò dietro Yen.

«Senti chi parla!» ribatté scherzoso il ragazzino sorridendole beffardo mentre afferrava con la mano libera la maniglia della stanza ventidue. Lei gli rispose facendogli la linguaccia che Gab ricambiò prima di entrare nella sua camera.

Dentro, però, vi trovo il caos dimorare nella stanza.

Gli zaini dei ragazzi si trovavano ognuno su uno dei quattro letti con lo scheletro di ferro presenti nell'ambiente già svuotati.

Quello di Gabriele ne era stato rovesciato tutto il suo contenuto su uno dei letti posti più vicino alla finestra. Il suo quadernino delle formule, sassi o piccoli oggetti raccolti durante i sui turni di vedetta, un sacchettino pieno di polvere dalla sfumatura blu-violacea e persino alcune provette di vetro contenente liquidi delicati, tutto fuori e sparso sopra la coperta color pervinca. L'unica cosa ad essere stata trattata con maggior cura era quel maledetto pupazzo di unicorno che qualcuno aveva avuto l'idea di sistemarlo sul suo cuscino, sicuramente Nick.

Diverse chiazze d'acqua si potevano vedere sparse sul pavimento di mattonelle rosse. Se le si guardavano attentamente si poteva notare come sembrassero formare una specie di percorso che portava dal bagno alla finestra aperta, dove in quel momento si trovava Paulo impegnato a stendere la sua divisa bagnata sopra un filo che era stato legato tra i due scuri.

Dal bagno vi uscì Nick tutto gocciolante reggendo con una mano un asciugamano legato frettolosamente alla vita e fermarsi davanti al suo letto.

«Non potresti aspettare che finisca di farmi la doccia prima di lavare i panni?» esclamò il ragazzino infastidito. «Un po' di privacy! Almeno mentre mi lavo!»

«Guarda che vi sto facendo un favore visto che nessuno qui a voglia di lavarli.» replicò risoluto Fahed uscendo anche lui dal bagno indossando soltanto i pantaloni di cotone che aveva prima e tenendo una bacinella rosa pieni di vestiti bagnati tra le mani, vide poi il nuovo arrivato. «Oh eccoti qui Gabri. Su forza, togliti i vestiti così riuscirò a finire subito coi lavaggi e poi potrò lavarmi finalmente anch'io!» gli disse con fare sbrigativo.

«Sì, adesso te li do» cercò di calmarlo Gabriele muovendosi verso il suo letto per poterci appoggiare sopra il sacco di panni puliti per poi cominciare a spogliarsi consegnando i propri abiti sporchi al marocchino perché potesse lavarli, questi li afferrò bruscamente strattonandoli appena.

L'orfano lo guardò perplesso. «Come mai sei così nervoso?» chiese, l'angolo delle labbra si incurvò verso l'alto in un sorrisetto perspicace. «Per caso è perché Paulo ti ha impedito di fare la doccia per primo?»

Il grugnito infastidito che sentì provenire dal compagno fu sufficiente per capire di averci preso.

«Esattamente!» rispose Nick ilare infilandosi la biancheria intima. «Dovevi vedere come se l'è presa!»

«Lo vedo anche ora» commentò Gab con espressione scaltra osservando il volto di Fahed scurirsi irritato. «Beh... allora io vado a farmi la doccia. Non ci metterò troppo, promesso» affermò facendo scherzosamente la linguaccia al marocchino entrando poi in bagno.

«Attento a non scivolare!» lo avvisò Nick urlandogli prima che chiudesse la porta. «Paulo prima ha fatto un lago!»

«Aspetta cosa? Ma che razza di bugiardo!» si sentì esclamare l'argentino seguito poi dal rumore di qualcosa che veniva lanciato, probabilmente contro Nick.

Una volta che Gabri si trovò sotto la doccia sollevò il viso verso l'alto tenendo gli occhi chiusi, lasciando che l'acqua fredda gli facesse scivolare via tutti i suoi pensieri cupi e le preoccupazioni.

Mancavano pochi giorni alla fine della missione e non poteva fare a meno di pensare alle parole di quella lettera, dove gli aveva promesso il fallimento della loro missione.

Ancora però non era accaduto nulla e né era comparso il motivo sul perché la partecipazione dell'orfano in quella spedizione fosse essenziale.

Tuttavia sospettava che avrebbe avuto le sue risposte solo all'ultimo giorno della missione e perciò, se le informazioni erano corrette, avrebbe dovuto attendere due giorni soltanto. Non sapeva se essere più preoccupato per questo o sollevato perché sarebbe finalmente riuscito a risolvere alcuni degli interrogativi che più l'angustiavano da un po'.

Poi vociare improvviso proveniente dalla camera lo riscosse dai suoi pensieri.

Qualcuno gridò il suo nome. L'orfano ne riconobbe la voce, nonostante lo scroscio costante dell'acqua sovrastasse la maggior parte dei rumori.

Paulo. E dal tono che aveva usato non sembrava molto felice.

Gabri chiuse i rubinetti della doccia per poter sentir meglio cosa stesse succedendo nell'altra stanza.

Avvertì il suono di passi muoversi verso il bagno e fece in tempo a scostare di qualche centimetro la tendina blu a pois rossi della doccia prima che Paulo entrasse visibilmente irritato.

In mano teneva il sacco bianco dei panni che Gabriele aveva portato.

«Razza d'idiota. Hai sbagliato sacco!» gli disse guardandolo accigliato «Qui ci sono solo vestiti per ragazze!»

«Ah!» fu l'unica cosa che riuscì a dire l'orfano.

Doveva evidentemente essersi confuso la destra con la sinistra, una cosa che gli capitava di tanto in tanto quando aveva altro per la testa.

Dietro all'argentino comparì Nick, con addosso soltanto un paio di mutande, che si teneva davanti al petto un abito lungo color pervinca e i bordi argentati. «Che dici?» chiese divertito il ragazzino con una vocetta acuta nel tentativo di parlare in falsetto. «Secondo te questo abito mi dona? Sai devo fare bella figura, il capitano della squadra di football mi ha invitata al ballo di fine anno ed io devo essere magnifica!» poi gli mostrò un altro vestito però più corto e color menta. «O forse questo? Si abbina splendidamente ai miei occhi.»

Gabriele spostò lo sguardo sull'australiano accennando un sorriso vispo. «Uhm, è meglio quello pervinca. Ti dona di più»

Nick gli inviò un bacio in maniera teatrale. «Grazie tesoro» e sparì in camera.

Allora l'italiano rivolse nuovamente l'attenzione su Paulo, che ancora continuava a fissarlo con severità. «Dov'è il problema?» fece con naturalezza. «Basta scambiare i sacchi con le ragazze. Non è così grave come errore»

L'argentino inarcò le sopracciglia «Oh sì certo. E chi ci va? Non possiamo certo uscire vestiti così!» esordì indicandosi con un gesto il busto privo di maglietta e canottiera.

«E perché no?» chiese sincero Gab «Dri e Yen ci hanno già visto molte volte senza maglietta. Che cosa c'è di diverso questa volta?»

Paulo aprì la bocca per rispondergli ma la richiuse subito dopo non trovando nulla da dire, ripeté il procedimento un paio di volte per poi voltarsi uscendo anche lui dal bagno borbottando seccamente «Vado a scambiare il sacco»

«Sbrigati a farti la doccia Gabri. Mi voglio lavare anch'io!» si poté udire Fahed gridargli aspramente dall'altra parte della stanza un attimo prima che la porta del bagno si chiudesse dietro all'argentino.

Rimasto solo, l'italiano fu in grado finalmente di lavarsi in santa pace senza avere altre scoccianti intrusioni che lo distraessero dai suoi pensieri e dal pianificare possibili strategie da usare per quando avrebbero dovuto confrontarsi con gli Oscuri.

Quando uscì dalla doccia Paulo era già tornato con il sacco giusto e, assieme agli altri due compagni, stavano rovistando tra i vestiti prestati alla ricerca di qualcosa che fosse di loro gusto.

Il primo a notare dell'arrivo di Gab fu Fahed, il marocchino sollevò il capo guardando l'orfano con un'espressione gratificante.

O meglio, guardava l'entrata del bagno aperta e ora libero.

«Oh finalmente! Tocca a me ora!» commentò soddisfatto avviandosi svelto verso la porta aperta della toilette. «Che nessuno si azzardi ad entrare in bagno, adesso è mio!» e sparì dentro la stanza chiudendo l'uscio dietro di sé.

I ragazzini guardarono per qualche istante il punto dov'era scomparso il loro compagno con la faccia di chi sapeva come sarebbe andata a finire.

Bagno inutilizzabile per i prossimi, minimo, tre quarti d'ora a causa della lentezza con cui ci metteva Fahed a lavarsi.

«Qualcosa mi dice che ci converrà usare il bagno delle ragazze. Di nuovo.» commentò aspramente Paulo ritornando a spulciare nel sacco. «Oh bella questa!» esclamò tirando fuori una felpa verde militare scolorita con la cerniera e senza cappuccio.

«Sempre se Yen te lo permette» gli fece notare Nick afferrando dal sacco un paio di pantaloni neri da tuta ed una camicia scozzese rossa e nera. «L'ultima volta mi ha cacciato via dalla loro camera lanciandomi contro la sua spazzola» raccontò tornandosene al suo letto cominciando a vestirsi.

«Te la tirata perché avevi aperto la porta del bagno senza permesso.» disse Gabriele esaminando attentamente che i pantaloni di jeans chiari fossero della sua taglia e li mise poi sopra alla maglietta verde mare a mezze maniche che aveva preso poco prima. «È stato divertente» mormorò sorridendo affabile.

Nick gli lanciò un'occhiata stizzita «Non è stato divertente! Mi ha fatto male.» protestò indispettito ma l'orfano ormai non lo ascoltava più.

Un indumento dalla stampa molto particolare aveva attirato la sua più completa attenzione.

Lentamente, Gabri lo tirò fuori con le iridi che brillavano esaltate. Si trattava di una felpa nera con il cappuccio e al centro il disegno di uno stemma su cui erano raffigurati quattro animali: un leone, un serpente, un tasso ed un'aquila.

Senza neanche restare a pensarci un secondo di troppo, la mise assieme agli altri due capi che aveva scelto e iniziò a vestirsi rapidamente.

Sia i jeans che la maglia gli stavano leggermente larghi mentre la felpa gli arrivava a metà coscia ed era evidente che fosse di almeno due o tre taglie in più rispetto al ragazzino.

Ma a Gab questo lo interessava anzi, lui la trovava meravigliosa.

Ora gli mancava solo una tanto agognata lettera per poter far parte della sua saga preferita.

Paulo gli lanciò un'occhiata curiosa intanto che finiva d'infilarsi una maglietta a mezze maniche color ocra, poi scosse la testa sospirando «Davvero? Ancora con quella storia?»

Gabriele lo fulminò con lo sguardò. «Taci. Tu non puoi capire» disse tornando ad ammirare quella fantastica felpa.

Nick si voltò anche lui verso l'italiano guardandolo confuso. «Ma di cosa...» fece infine notando pure lui il disegno stampato sopra il tessuto «Ah, quello...» mormorò con tono annoiato.

«Babbani» boffocchiò l'orfano scuotendo il capo sconsolato mentre, seduto sul letto, rimetteva a posto le sue cose dentro lo zaino.

Quando mancava circa un quarto d'ora a mezzogiorno, Fahed era uscito dalla doccia soltanto un paio di minuti prima, fecero la loro entrata nella camera dei ragazzi Adri e Yen con addosso gli abiti che la signora Giovanna aveva prestato a loro.

Nguyen indossava un golfino pervinca e una gonna grigio cenere con sotto un paio di calze nere abbastanza grosse mentre Adri portava solo un maglioncino lungo color lavanda con sotto dei jeans scuri.

Entrambe come scarpe indossavano quelle che facevano parte della loro divisa da combattimento.

«Ci siete?» domandò l'italiana rivolta ai ragazzi, fatta eccezione quel qualche treccia sparsa nella sua chioma castana, aveva deciso di tenere i capelli sciolti facendoli cadere in morbide onde «La signora Gio ci ha consigliato di scendere un po' prima di mezzogiorno, così riusciamo a trovare più facilmente un tavolo per noi nel caso debba riempirsi oggi»

Gabri annuì mostrandole di aver compreso. «Okey, adesso arriviamo» le assicurò scendendo dal letto, lo stesso fecero anche Paulo e Nick.

Fahed invece era ancora impegnato ad abbottonarsi la camicia bianca di cotone che aveva trovato nel sacco dei vestiti. «Aspettatemi!» esclamò afferrando da sopra il letto un maglione ceruleo e affrettando il passo per raggiungere i compagni.

«Dovresti cominciare a farti la doccia un po' più velocemente se non vuoi essere sempre l'ultimo.» lo rimproverò Paulo sistemandosi meglio la stringa di una scarpa, anche i ragazzini aveva scelto di portare le scarpe della loro divisa. Eccetto Gab che invece aveva scelto di restare scalzo.

Affermava che gli mancava il contatto del pavimento, o di qualsiasi altro suolo, direttamente sulla pianta del piede.

Quando per uscire doveva passare vicino a Dri, Gab le rivolse un sorriso semplice «Stai meglio con i capelli così» disse senza alcun preavviso con schiettezza per poi andare fuori in corridoio dove si trovava Nguyen.

Questa prese ad esaminare con una lunga occhiata i vestiti scelti dall'orfano «Quella felpa ti sta enorme» dichiarò formando un sorriso ironico «Sembri un ragazzino smilzo con addosso i vestiti sformati del fratello maggiore»

«Anche quel tuo maglioncino strano è di qualche più taglia in più della tua.» le fece notare con tranquillità Gabriele.

«Si chiama golfino» ribatté la vietnamita sbuffando.

«Andiamo?» intervenne Nick fermandosi non troppo distante dalle scale «Ho una fame enorme e finalmente potremo mangiare un vero pasto decente»

«Con "pasto decente" mi hai convinto, Nanetto» fece Paulo raggiungendo l'amico.

Nguyen lo imitò subito dopo trascinandosi dietro Fahed. «Finalmente potrò assaggiare il cibo italiano!» esclamava entusiasta.

Gabri lanciò un'occhiata dietro di sé, dove Adri se ne stava ancora ferma davanti alla porta della loro camera giocherellando nervosamente con il ciondolo della sua collana.

«Dri? Tutto bene?» le domandò sinceramente preoccupato.

Lei sollevò il viso come se fosse stata colta di sorpresa, aveva le guance leggermente arrossate. «Eh? Sì sì, va tutto bene» rispose sorridendo imbarazzata. «Te vai pure, io avviso i due Alfa.»

L'orfano la osservò attentamente, a parte quel comportamento bizzarro, l'amica non sembrava triste o preoccupata per qualcosa. «Allora rimango con te!» dichiarò sorridendole con naturalezza «Così se Lagna-Umana ne dirà una delle sue io sarò già qui pronto a rispondergli per le rime.» affermò posizionandosi davanti alla porta della camera ventuno mettendosi poi a ridacchiare «È troppo divertente infastidirlo.»

Adriana scosse la testa mentre il viso tornava del suo colorito normale. «Sei incredibile»

«Nah. Sono semplicemente Gabriele» ribatté il ragazzino facendole la linguaccia intanto che alzava la mano per bussare sulla porta.

~~•~~

Gabri si annotò mentalmente di non proporre mai più di mangiare degli spaghetti assieme delle persone non italiane o completamente incapaci di usare la forchetta.

Sia lui che Dri fissavano i loro compagni di Blocco con un'espressione scioccata.

E non solo loro.

«Voi... sapete che non si fa così. Vero?» domandò incerta l'italiana.

Nick, che in quel momento era impegnato a portarsi alla bocca una manciata di spaghetti raccolti utilizzando la forchetta e il cucchiaio come se fossero le pinze da cucina, si bloccò guardando confuso l'amica. «Perché? Come si dovrebbero mangiare questi vermicelli?»

«Non così» rispose Gabri sconcertato. «E si chiamano spaghetti.»

«Quello che è» ribatté l'australiano ricominciando a mangiare la pasta in quel modo blasfemo.

Neppure gli altri non se la stavano cavando granché bene, ma per lo meno i loro metodi "innovativi" di mangiare gli spaghetti non erano disgustosi quanto quello di Nick.

Paulo e Yen si erano arresi ormai da un pezzo dall'usare la forchetta per mangiare. Il primo aveva deciso di usare il cucchiaio (pessima scelta) mentre l'altra usava la parte di inferiore di entrambe le posate per tirare su la pasta.

L'unico che ancora si impegnava a cercare di raccogliere gli spaghetti, come Dri e Gab aveva inizialmente mostrato a tutti loro, era Fahed.

Man mano che ci provava, al marocchino cominciava ad ingranare il movimento rotatorio da far compiere alla forchetta tramite le dita. Ora, anziché due spaghetti alla volta, riusciva a raccoglierne almeno quattro tutti insieme.

«Ah-ah! Ce l'ho fatta! Ci sono riuscito!» esclamò mostrando ai compagni la forchetta con quei quattro spaghetti avvolti un po' goffamente.

Gli Ultra che non erano italiani strabuzzarono gli occhi fissando meravigliati la posata dell'amico.

«Wow... come ci sei riuscito?» chiese Nick allungando il collo per poter ammirare meglio tale magnificenza, manco si trattasse del modello di una nuova macchina fotografia.

«Ci ha provato e riprovato» disse Adri facendo girare la forchetta su sé stessa in mezzo agli spaghetti. «Nient'altro»

Giovanna, cha passava lì vicino al loro tavolo, guardò il Blocco con una faccia costernata. «Forse era meglio se non vi portavo gli spaghetti...» mormorò titubante. In quel momento la donna aiutava la nipote Rosa, una ragazza alta sui vent'anni con i capelli tinti di rosso scuro legati con un ciappo sulla nuca, a servire in sala.

«Mi sa anche per me» disse Gabri infilandosi in bocca una bella forchettata di spaghetti al sugo di pomodoro e tonno.

Qualcuno gli picchiettò sul braccio per attirare la sua attenzione.

«Cfhfe sfghtanno dicfffendo qufffelli?» fece Nick con la bocca piena di spaghetti indicando una giovane coppia del tavolo a fianco parlottare tra loro lanciando occhiate disgustate in direzione del gruppetto.

«Eh?» chiese Gabriele non capendo cosa avesse detto il suo amico.

«Ti prego, non parlare con la bocca piena.» lo rimproverò Adri spazientita «Fa schifo e non si capisce quello che dici»

Nick buttò giù il boccone e parlò «Che stanno dicendo quei tizi?»

Il trucchetto di poter comprendere qualsiasi lingua parlata al mondo, che gli Ultra acquisivano assieme alle loro abilità dopo la loro mutazione, non funzionava con i dialetti di qualsiasi nazione.

Se l'idioma ufficiale, o anche nativo, di un determinato paese si poteva considerare come una di lingua "pulita" del posto, invece il dialetto era una sorta di "distorsione" del linguaggio dove la comprensione risultava complicata persino per gli Ultra.

Perciò sia Nick che il resto dei loro amici non erano in grado di capire che cosa quella coppietta, e buona parte dei clienti della locanda, stessero dicendo poiché parlavano quasi tutti in veneto.

Gabri si protese con la sedia all'indietro per poter ascoltare i dialoghi della coppia per poi riferirli al gruppo «Stanno solo commentando il vostro modo di mangiare gli spaghetti» rispose l'orfano tenendosi in equilibrio solo con le due gambe posteriori della seggiola. «E devo dire che hanno ragione. Molto ragione.»

«Tu capisci quello che dicono?» chiese Nick incredulo finendo gli ultimi spaghetti presenti sul piatto. Anche Gio sembrava particolarmente stupita.

L'orfano guardò confuso l'amico «Te avevi chiesto che cosa stavano dicendo quelle persone e io ti ho risposto.»

«È dialetto veneto» rispose Adriana afferrando lo schienale di Gab tirandola in avanti facendo riappoggiare anche le altre due gambe con un leggero tonfo. «Ce l'ha insegnata un Educatore in seconda elementare»

«Ma dai, davvero. Voi siete veneti?» fece la signora Giovanna afferrando la caraffa vuota dell'acqua che si trovava sul loro tavolo. «Questa non me l'aspettavo.» commentò divertita, poi lanciò un'occhiata incerta a Gabri «Anche se però tu hai una pronuncia strana. Fai alcune "ci" un po' troppo aspirate per essere un veneto.»

«Jo-Jo!» si sentì gridare da dentro la cucina con un tono preoccupato. La proprietaria quando lo udì scosse la testa sospirando rassegnata.

«Arrivo Mario!» rispose al marito allontanandosi dal tavolo dei ragazzini «Speriamo che non abbia rotto il frullatore. Di nuovo»

Quando la donna fu abbastanza lontana, Nick si voltò verso i due amici italiani chiedendo «Veneto?»

«È una regione italiana dove si trova Venezia» gli spiegò Fahed impegnato ad arrotolare gli spaghetti attorno alla forchetta, notevoli miglioramenti cominciavano a farsi notare. Adesso la sua matassa aveva forma decisamente migliore. «Perciò, noi ora, ci troviamo in veneto»

Paulo fissò il marocchino dubbioso «Finiscila di fare il saputello» lo avvisò agitandogli cucchiaio davanti alla faccia ghignando malizioso. «Ti ho visto leggerlo poco fa su quel libro su Venezia che ti ha prestato Adri.»

«Beh almeno io mi sono informato, al contrario tuo» ribatté indispettito Fahed.

Gabriele li guardò entrambi infastidito «Questa vostra discussione è inutile già alla sua partenza, perciò io direi di finirla qui» ordinò deciso raddrizzandosi e incrociando le gambe, con ancora i piedi scalzi, sulla sedia. «Penso che sia meglio cominciare ad organizzarsi. Almeno per quanto riguarda oggi.»

Adriana annuì portandosi il bicchiere mezzo pieno sulle labbra. «Anche secondo me» affermò bevendo un sorso d'acqua. «Come ci dividiamo?»

«Io pensavo in tre gruppi» rispose l'orfano facendo il segno del numero tre con la mano sinistra.

«Fammi indovinare...» si inserì Paulo sorridendo con espressione accorta «Raccolta informazioni, perlustrazione e protezione. Giusto?»

Il ragazzino assentì. «Esatto!»

«Io e Yen ci occuperemo della raccolta informazioni» si propose Adri poggiando le posate sul piatto vuoto. «Ci rivolgeremo alla proprietaria della locanda, sono certa che sarà un'ottima fonte.»

La vietnamita parve scuotersi dai suoi pensieri, qualunque essi fossero. «Eh cosa? Perché io?»

«Perché quando vuoi sai essere parecchio insistente e riesci abbastanza facilmente a trovare degli intersechi di qualunque natura.» le rispose schietto Gabri senza guardarla, questa arrossì leggermente cominciando a torcersi nervosamente una ciocca dei suoi capelli.

«Oh beh... se si tratta di cose come il gossip allora...» mormorò impacciata.

«Io e Nick invece andremo in perlustrazione della città» proseguì Gab cercando di mettere in equilibrio la forchetta sul bordo del piatto fondo. L'australiano parve soddisfatto da quella decisione.

«E perciò il compito di badare a Lagna-Umana spetta a me e Fahed» completò Paulo con una smorfia infastidita lanciando un'occhiata al tavolo che si trovava più vicino al loro dove i due Alfa erano impegnati a mangiare.

Kozlov aveva insistito, con la stessa maturità di un bambino di cinque anni, di non poter stare a pranzare assieme ai giovani Ultra Blocco sostenendo che "Sarebbe uno scandalo che il padrone condivida la stessa tavola dei servitori" mentre Roman pareva un po' troppo stanco e affamato per poter riprendere il nipote.

In questo modo i due Alfa non avevano avuto alcun modo per poter comprendere quanto c'era scritto sul menù, poiché non vi era presente alcuna lettera o parola in cirillico, e perciò avevano ordinato il primo piatto che era stato a loro proposto.

Il piatto in questione si trattava di una normalissima pasta e fagioli di cui però entrambi gli uomini non furono particolarmente entusiasti, poiché era da quasi una settimana che si sfamavano di tali legumi.

L'argentino fece un verso di scherno mentre osservava di sottecchi Lagna-Umana ghignando divertito. «Non so voi ma io mi sto divertendo da matti» disse ridacchiando a sotto voce «Guardatelo che smorfie fa mentre mangia i fagioli! Da sbellicarsi dalle risate! Che idiota.»

Fahed rivolse al compagno un'occhiata di disapprovazione. «Che comportamento immaturo!»

«È perché non ti sei mai visto da fuori» replicò Paulo senza smettere di ridacchiare beccandosi un'occhiataccia dal marocchino.

Yen invece li guardava seccatamente «Sembrate due bambini» borbottò tra sé e sé.

«Bene. Ora che abbiamo deciso come suddividerci i compiti per oggi, direi che è arrivato il momento di scegliere il dolce!» dichiarò allegramente Nick afferrando una copia del menù che Giovanna aveva lasciato sul loro tavolo «Prima ho qui ho letto che fanno della crostata all'albicocca e cannella. Sono proprio curioso di assaggiarla!»

Nguyen si voltò verso l'australiano inarcando le sopracciglia. «Ma tu hai sempre fame?»

«Certo!» ribatté questo senza perdere il suo entusiasmo. «Altrimenti come farei a mantenermi così in forma? Dopo tutti questi giorni passati a digiunare ho bisogno di parecchio carburante per recuperare!»

Circa un paio d'ore più tardi Gab e Nick cercavano di orientarsi dentro quel labirinto di case e stradine per poter raggiungere la Laguna.

A quanto pareva questa doveva essere una caratteristica tipica della città anche quando ancora si trovava prevalentemente sull'acqua ma che però le donava un fascino tutto particolare, anche se i due ragazzini dovettero chiedere informazioni diverse volte e perdersi altrettante. Alla fine però riuscirono a giungere alla banchina che si affacciava direttamente sulla Laguna, quella che divideva quasi esattamente in due Venezia.

«Uao!» mormorò Nick affascinato prendendo in mano la sua macchina fotografica che si portava al collo «Quindi è questa la famosa Laguna? È bellissima!»

Davanti a loro si estendeva una grande distesa d'acqua verde-azzurro a cui vi si mischiava il grigio delle nuvole che vi si riflettevano sopra.

Alcune barche erano ancorate a dei pontili in lego che si collegavano a molo, il tintinnio di alcune vecchie campane fissate sulle imbarcazioni accompagnavano il rumore lieve delle onde che si accasciavano lungo la banchina.

Una lieve e frizzante brezza marina portava ai due Ultra un forte odore di salsedine accompagnato al garrito dei gabbiani.

Di tanto in tanto se ne poteva ammirarne qualcuno di essi volare sopra le loro teste o tuffarsi in mare alla ricerca di cibo.

Dal punto dove si trovavano, Gabri poteva vedere l'altra metà di Venezia che abitava sull'acqua. Diverse chiatte con sopra almeno due o tre persone si muovevano tra gli edifici più antichi di quella che una volta veniva chiamata "La Serenissima" o "La Dominante", adesso sommersi di qualche metro.

Tale spettacolo aveva un che di surreale.

Chissà quanto avevano lavorato le persone di quel tempo quando cominciarono a costruire i primi edifici della città, per poi essere quasi totalmente allagata dalla Laguna.

Era a dir poco incredibile e stranamente affascinante come, nonostante gli sforzi dell'uomo nel costruire abitazioni sempre più resistenti e imponenti, alla fine sarebbe per sempre stata la natura a dominare su tutto.

Per quanto gli uomini, da secoli, cercassero di sottometterla, questa riusciva costantemente a ribellarsi al loro dominio. Magari non subito, ma l'avrebbe certamente fatto.

Vi era una particolare e stramba bellezza in questa impossibilità di essere controllati che il giovane italiano non poteva fare a meno di restarne ammaliato da essa.

Gabri chiuse gli occhi spalancando le braccia come se fossero un paio d'ali e inspirò profondamente quella brezza marina che gli arrivava alle narici. Il viso leggermente inclinato verso l'alto.

In quella posizione pareva che stesse per spiccare il volo da un momento all'altro.

Poi, quando espirò, riabbassò il capo risollevando le palpebre. Le labbra piegate in un sorriso mite.

«Già» fece infilandosi le mani nelle tasche della felpa «È davvero bellissima» confermò sedendosi sul limitare della banchina.

Vicino a lui, Nick sorrise con aria soddisfatta mentre impostava la sua Sally e si sedette anche lui accanto al suo compagno. «Amico lasciatelo dire. Tu sei il modello perfetto per le mie foto artistiche.» commentò scattando qualche foto alla Laguna e agli edifici che si vedevano in lontananza.

«Come scusa? Modello?» fece Gabri perplesso «Mi-Mi hai fatto delle foto?»

«Abbastanza ma non troppe, non ce n'era bisogno di farne una quantità industriale. Eri già perfetto così» gli rispose disinvoltamente l'australiano controllando a che punto fosse la memoria di Sally. «E il bello è che io non ti ho dovuto dire nulla, hai fatto tutto da solo! Con Yen, per esempio, è più difficile. Anche se non gli dispiace affatto farsi fotografare è un gran lavoraccio dirle esattamente come posizionarsi, dove guardare e tutto il resto. Con te invece è molto più semplice!»

«Se lo dici tu» borbottò non curante l'orfano. Gli piacevano tantissimo le foto che Nick era in grado di scattare ed era veramente convinto che l'amico avesse un gran talento in quell'ambito, però si mostrava molto poco disponibile quando questo gli chiedeva di mettersi in posa per una sua qualche istantanea, per Gabri le fotografie erano più belle quando i soggetti raffigurati si comportavano con naturalezza.

Perciò non sapeva bene se prendere tale affermazione come una notizia positiva o negativa, poiché poteva anche significare che l'australiano avrebbe cercato di fotografarlo molto più spesso e quando meno se lo sarebbe aspettato.

«Ma parliamo di cose più serie ora» fece Nick cambiando bruscamente discorso.

Gab gli rivolse di sottecchi un'occhiata curiosa senza però mai distogliere lo sguardo dall'orizzonte. «Uhm?»

L'australiano si volse verso l'amico sorridendo perspicace «Allora...» iniziò con un bizzarro e preoccupante entusiasmo «Che mi dici di Adri?»

L'orfano lo guardò visibilmente confuso. «Che centra Dri ora?»

Adesso toccò a Nick a rivolgere uno sguardo perplesso all'amico. «Non hai voluto che io venissi con te per parlarne in privato?»

«No, affatto» rispose con sincerità Gab «Ho scelto te perché entrambi avevamo bisogno di uscire un po' e tenerci in movimento» gli spiegò tranquillo trasformando il palmo della sua mano sinistra in acqua, con dei piccoli e ripetuti movimenti rotatori creò un vortice grande quanto uno spillo nella Laguna «Sai che nessuno di noi riesce a resistere a stare fermo per più di mezz'ora. Te anche meno poi.»

Nick scosse un poco il capo in un cenno affermativo non molto convinto «Sì...» mugugnò esitante «In effetti ha senso» ammise infine, ma il suo entusiasmo non parve minimamente indebolito «Ma visto che siamo qui tanto vale approfittarne!» esclamò infatti allegramente voltandosi verso l'italiano fissandolo come se fosse in attesa di qualcosa. «Perché non parliamo di Adri?»

Gabriele inarcò un sopracciglio confuso «Perché vuoi per forza parlare di Dri?»

«Perché mi sembra abbastanza ovvio che tu provi qualcosa per lei ma che ancora non l'hai capito!» rispose Nick con un'espressione compiaciuta per essere riuscito a comprendere qualcosa prima di tutti gli altri.

L'orfano ritornò a portare lo sguardo sul vortice, la cui velocità aumentava leggermente, restando nel più completo silenzio.

Aveva capito a cosa l'australiano si stesse riferendo.

Era quello che tutti pensavano ogni volta che lui e Dri parlavano tra loro, Paulo spesso ci faceva persino delle battutine ridicole.

Spesso Gabri le ignorava semplicemente ma alla lunga tendevano ad infastidirlo.

Non capiva perché se un ragazzo era amico con una ragazza allora questo significava che i due dovessero stare insieme.

Con quale logica poi?!

Per lui Adriana era sempre stata la sua migliore amica. Una persona sulla quale poteva sempre contare.

Non c'era mai stato nulla di ambiguo o strano tra loro.

Si volevano solamente un gran bene a vicenda, niente di particolare.

Tuttavia però, qualcosa stava cambiando in lui e non poteva ignorarlo.

Ad essere diverso non era tanto il modo con il quale si rapportava con lei ma il livello di affetto che provava nei suoi confronti che diventava ogni giorno sempre più intenso e piacevole. Solo che non sapeva se questo poteva definirsi come possibile "attrazione" verso Adriana, dato che a livello fisico Gab non provava nulla.

Secondo Ghaith quando qualcuno cominciava a provare sentimenti molto forti di tipo romantico nei confronti di una persona del genere opposto di conseguenza si iniziava a provare una sorta di attrazione dal punto di vista fisico, perciò, in mancanza di tale interesse, questo non faceva che confondere maggiormente il ragazzino.

Senza contare poi che, cominciare a nutrire dei sentimenti romantici verso qualcuno in un periodo come quello che lui stava vivendo, era da veri idioti.

Sarebbe stato come farsi del male da soli.

«Allora?» insistette Nick con una nota preoccupata nella voce. «È così?»

Gab alzò lo sguardo puntandolo contro l'orizzonte, dove le nuvole grigie si fondevano con la Laguna. «Io non so più esattamente cosa provo per Dri» ammise con una luce tormentata degli occhi, il mini vortice diventava sempre più veloce e aveva cominciato anche ad aumentare di grandezza. Adesso era grande quanto una mano. «E comunque non posso farmi coinvolgere romanticamente con nessuno, specialmente in questo momento»

«E perché scusa?» domandò l'australiano perplesso, non si aspettava di certo che la discussione prendesse una piega simile.

L'italiano continuò a fissare i movimenti calmi e rilassanti delle onde, un gabbiano volò molto vicino a dove si trovavano i due ragazzini. «Non posso dirtelo» gli rispose amareggiato. «Non adesso»

«E quando allora?» il tono usato da Nick non sembrava stizzito o amareggiato, ma sinceramente preoccupato e interessato per il suo amico.

Gabri scrollò le spalle «Boh, non lo so. Dipende...» fece pensieroso, poi si voltò verso il compagno fissandolo negli occhi «Ma ti prometto che te lo dirò un giorno.»

Nick rimase per qualche istante in silenzio, riuscendo a sostenere lo sguardo determinato dell'italiano. Infine sul suo volto si formò un sorriso soddisfatto e fiducioso. «Mi basta soltanto questo!» affermò rimettendosi in piedi «Tu sei uno di quelle persone che dicono spesso ciò che pensano agli altri senza farsi troppi problemi. Perciò, se dici che un giorno mi spiegherai che cosa ti tormenta così tanto, io mi fido di te.»

L'orfano guardò l'amico con un'espressione colpita per poi sorridergli riconoscente, con un movimento chiuse la mano con la quale stava controllando il piccolo vortice, spegnendolo in questo modo, e fece tornare normale il palmo.

Si rimise in piedi anche lui tirandosi su le maniche della felpa fino al gomito e lanciò un'occhiata vivace all'amico «Proseguiamo con la nostra perlustrazione della città?»

L'australiano sorrise divertito. «E me lo chiedi anche?» esclamò facendogli l'occhiolino per poi dirigersi con passo allegro lontano dal molo. «Forza andiamo! Ho una montagna di foto da fare prima di tornare alla locanda!» strepitò facendo ridacchiare l'italiano.

Gabriele diede un ultimo sguardo inqueto alla Laguna, poi si voltò e seguì l'amico all'interno della via che questo aveva appena preso.

Non aveva idea di cosa sarebbe potuto accadere in futuro, ma avrebbe comunque mantenuto la parola data.

Almeno quella.

~~•~~

I due ragazzini passarono le ore che seguirono da quella particolare discussione, in quel cinereo pomeriggio di inizio febbraio, a percorrere le diverse vie della città esaminandone la loro configurazione tra una battuta e l'altra.

Ebbero così modo di visitare alcune piazze importanti di Venezia, molto più recenti rispetto a quelle originarie, passando attraverso alcune strade larghe e trafficate e altre invece acciottolate dove poteva passare soltanto una macchina a fatica, costeggiate da case con tanto di balconi a cui vi erano appesi dei fili pieni di vestiti e bar dove persone di età differente si riunivano per chiacchierare tra loro mentre bevevano dentro dei calici di vetro un liquido rosso scuro o per giocare insieme a biliardino.

In uno di essi Gab e Nick si fermarono per prendersi qualche dolciume utilizzando alcune delle [lire] che erano rimaste dall'escursione a Trieste.

Proprio intanto che entrambi erano assorti a gustarsi ognuno il suo chupa-chups, Gabri adocchiò qualcosa in mezzo ad un mucchio di oggetti vecchi e rotti addossati contro un muro ricoperto da dei graffiti.

Senza pensarci un secondo di troppo, l'orfano si diresse verso quel cumulo con passo deciso.

«Che cosa hai visto?» gli domandò Nick seguendolo tenendosi in bocca il suo chupa-cups al mirtillo, il compagno però non gli rispose muovendosi in un punto ben preciso di quell'ammasso di oggetti buttati via.

Da sotto un materasso a cui erano fuoriuscite le molle ed un paio di sacchi neri da cui straripavano dei vestiti tutti rattoppati, vi tirò fuori una tavola in legno dalla forma simile a quelle per fare snowboard solo che questa era provvista di quattro ruote rosse in poliuretano. Uno strato nero antisdrucciolevole rivestiva la superficie della tavola mentre invece in quella inferiore vi era stato disegnato un'onda blu-azzurra in stile stampa giapponese che si infrangeva contro il mare, ora purtroppo molto danneggiato.

Gabriele sapeva perfettamente che cosa fosse l'oggetto che teneva in mano, dal cancello dell'orfanotrofio gli era capitato di vedere diverse volte gruppi di ragazzi sfrecciargli davanti sopra quei cosi e persino qualche orfano sopra i dodici anni ne possedeva uno.

A lui però gli era stato vietato in maniera categorica, da parte degli Educatori, sia di poter utilizzarlo, anche soltanto in prestito, sia addirittura di potersene costruire uno per sé.

Il perché di tale divieto restava un mistero.

Erano stati proprio quelli ad ispirargli l'idea base di come far funzionare la sua prima [Freccia], mischiandola poi ad una comune slitta.

«Oh! Uno skate» fece Nick ammirato quando lo vide togliendosi il chupa-chups dalla bocca, aggrottò leggermente la fronte osservandolo attentamente. «Non sembra molto rovinato»

«Per niente» confermò Gabri continuando a contemplare lo skateboard che teneva ancora in mano. Aveva solamente un paio di ruote allentate e la tavola leggermente scheggiata, niente che non si potesse tranquillamente riparare in pochi minuti. Buttarlo via era stato un vero spreco.

L'orfano si voltò verso l'amico lanciandogli un'occhiata di sfida sorridendogli scaltro. «Proviamo a farci un giro?»

L'australiano guardò prima lo skate e poi il compagno. «Sai andarci?»

«No, ma ho osservato alcuni ragazzi dell'orfanotrofio usarlo» ripose Gab senza perdere il suo brio. «È tutta una questione di equilibrio.»

Nick si rimise in bocca il chupa-cups sorridendo divertito «Uhm... mi hai convinto» dichiarò infine «Ci sto!»

Gabri ridacchiò lasciando cadere lo skateboard sull'asfalto poggiandoci poi sopra un piede e rivolse all'australiano un'espressione sagace. «Sapevo che avresti accettato»

Andare sullo skate si rivelò un po' più complesso di quanto i due ragazzini avessero inizialmente pensato. Riuscire a rimanere anche soltanto stabili dopo esserci saliti con entrambi i piedi non era poi così semplici, bastava una minima pendenza da un lato col busto che la tavola si muoveva dalla parte opposta facendoti perdere l'equilibrio.

Più di una volta caddero a terra col sedere, persino Gab che tra i due era quello che possedeva un maggior equilibrio rovinò diverse volte sull'asfalto. Aveva ormai perso il conto di tutte le volte che lo skateboard gli era scivolato da sotto i piedi mandandolo a terra.

Man mano che però continuavano a provarci, cominciarono a capire come dovevano muoversi su di esso. Nonostante facessero ancora pena come skater, furono in grado di poter fare almeno qualche metro in maniera autonoma prima di cadere di nuovo e passare lo skate al compagno. In questo modo erano comunque riusciti a proseguire con il loro incarico di perlustrazione mentre percorrevano una delle vie principali di Venezia a bordo dello skate.

Gabriele imparò abbastanza velocemente su come darsi la spinta giusta col piede per avanzare ed a come inclinare il busto per prendere la direzione desiderata, acquistando così maggior sicurezza sulla tavola, anche se continuava a fare ancora certi errori.

Il divertimento però raggiunse il suo termine quando, passando accanto ad un gruppo di ragazzini intenti a giocare a calcio in mezzo alla strada, uno di essi tirò per sbaglio il pallone contro la faccia del l'orfano durante il suo turno di usare lo skateboard.

Gab riuscì a schivare in tempo la palla ma, a causa del movimento brusco che era stato costretto a fare per evitarla, perse l'equilibrio e cadde malamente per terra strisciando il gomito sull'asfalto.

Quella fu decisamente la caduta più brutta di quel pomeriggio. E anche più dolorosa.

«Accidenti...» mugugnò tra sé e sé rimettendosi seduto dolorante, il braccio destro gli bruciava fastidiosamente e quando se lo controllò vide una striscia che andava ad allargarsi dal gomito a metà del suo avambraccio. Intanto lo skate proseguiva per la sua strada ancora per qualche metro, incurante del fatto di aver perso il suo "cavaliere".

«Ci sei Gabri?» domandò Nick raggiungendolo immediatamente, quando vide il gomito sbucciato dell'amico fischiò preoccupato «Questa è la volta buona che Adri ti ammazza.»

Gabri si voltò verso l'australiano sollevando un sopracciglio rialzandosi in piedi «Mi ammazza?» rispose indispettito. «Ti ricordo che hai usato anche tu lo skate.»

«Sì, ma sei tu quello che si è fatto male» gli fece notare il ragazzino.

«È solo una sbucciatura» ribatté seccatamente l'orfano andandosi a riprendere lo skateboard, questo si era finalmente fermato contro la porta di un negozio di alimentari. «Non è la prima volta che mi succede» rivolse poi un'occhiata all'amico. «Anche tu dovresti esserne pratico»

Questo scrollò le spalle con aria divertita «Sì, abbastanza.»

«Ehi bambino!» gridò un ragazzino proveniente da quel gruppetto che giocava a calcio, uno biondo e smilzo con le scarpe mezze rattoppate. «Tutto bene? Ti sei fatto male?»

Gabri si irrigidì momentaneamente mentre a Nick sfuggì un verso di scherno.

Bambino?

Sul serio?

D'accordo che non era molto alto per essere un ragazzino di dodici anni, ma addirittura confonderlo per un bambino gli sembrava esagerato.

«Zitto tu che sei più basso di Yen» bisbigliò infastidito Gabri in direzione dell'australiano che sghignazzava per come il compagno era stato chiamato, l'orfano poi si rivolse al gruppo di ragazzini «Sì, tutto bene!» lanciò un'occhiata al gomito sbucciato. «Più o meno...»

«Scusaci per la pallonata. Non ti avevamo visto arrivare.» stavolta a parlare era stato il più alto della combriccola, riccioli castani gli ricoprivano la testa e aveva il viso tutto butterato. Non appena finì di scusarsi con Gabri, questo si voltò verso un suo amico posto lì accanto parlandogli in dialetto con tono irritato. «Aldo! Te l'abbiamo detto un sacco di volte di non tirare così forte! Spaccherai la faccia a qualcuno prima o poi!»

Il ragazzino di nome Aldo sbuffò scocciato, non era molto alto ma possedeva un fisico più atletico rispetto ai suoi amici. «Sì ho capito...» borbottò in maniera non molto convincente «Che scatole! Non era neppure tanto forte se quel bimbo è riuscito a schivarlo!» protestò infilandosi le mani nelle tasche dei jeans sgualciti e sporchi di terra.

Mentre questi parlavano tra loro, Gabri prese ad osservarli con la coda dell'occhio.

In base alla loro altezza e dalla loro struttura fisica, con molti tratti ancora infantili, quei ragazzini dovevano avere all'incirca la stessa età che avevano lui e Nick.

Per una qualche inspiegabile ragione, trovarsi di fronte a dei suoi coetanei che non fossero né Ultra e né compagni all'orfanotrofio gli fece uno strano effetto. Come se per la prima volta gli era stata data la possibilità di poter assistere a qualcosa che gli era stato fino a quel momento negato.

La sensazione che provava era terribilmente simile a quella che sentiva ogni volta che si recava al cancello dell'orfanotrofio per poter osservare da quelle sbarre la vita che scorreva indisturbata al di fuori delle mura.

Stavolta però non c'erano le sbarre di metallo del cancello a separarlo dal resto del mondo, ma gli sembrava comunque come se quella di quel gruppo di ragazzini fosse una realtà distante dalla sua.

Una realtà che non gli sarebbe mai appartenuta.

Ma questo non significava di certo che non avrebbe potuto lo stesso assaggiarla. Almeno per qualche ora.

Che male c'è cercare di essere normale solo per una volta?

Con questo pensiero, Gabriele si voltò completamente verso il gruppetto, desideroso di poter unirsi a loro.

Nick gli lanciò un'occhiata incerta. «Gab?»

«Speriamo che il vecchio non abbia visto nulla...» si udì borbottare a bassa voce un ragazzino un po' paffuto e qualche lentiggine sulle guance.

«Non stare a preoccuparti troppo Bruno» disse qualcuno con un accento molto particolare alla loro destra. «Ero qui vicino al bar, ho visto perfettamente che cosa è successo!»

Di colpo tutti i piani dell'orfano di poter giocare assieme a quei ragazzini Normali sfumò completamente nell'udire la voce del nuovo arrivato. L'aveva ascoltata raccontare delle storie fin troppe volte per non riuscire a riconoscerla immediatamente. Possedeva quello stesso timbro ruvido e quella cadenza singolare rimastagli dalla sua lingua madre che lo rendeva inconfondibile.

Non poteva assolutamente sbagliarsi.

Doveva essere proprio lui.

Solo che la sua presenza lì a Venezia non aveva alcun senso.

Appoggiandosi ad un bastone in noce, Shakoma comparì in tutta la sua decadente magnificenza.

Parecchio decadente.

Sembrava molto invecchiato dall'ultima volta in cui Gab l'aveva visto, la sera prima della sua partenza. La barba candida si era fatta ancora più lunga e il corpo ancor più minuto.

Ma lo sguardo di rimprovero che il vecchio rivolse al gruppetto di ragazzini era lo stesso che Gabri riceveva ogni volta che combinava qualche pasticcio, praticamente quasi tutti i giorni.

«Ve l'ho detto un sacco di volte!» li sgridò l'anziano battendo più volta il suo bastone contro l'asfalto, quella era una novità per l'orfano. «Se volete continuare a giocare a calcio per strada dovete prestare più attenzione a quello che vi circonda. Non potrò continuare a difendervi ogni volta davanti alla polizia perché avete rotto la finestra di una casa o travolto un passante in bicicletta!»

«Ci scusi signor Takeshi!» esclamò Ricci Selvaggi passandosi nervosamente una mano tra i capelli «Staremo più attenti. Promesso!» aggiunse lanciando un'occhiataccia al ragazzino che si chiamava Aldo, questo alzò gli occhi al cielo ma non disse nulla.

«Speriamo» commentò Shakoma picchiettando con il dito sul bastone, da sotto la barba però si poteva intravedere uno dei suoi soliti sorrisi affettuosi.

Doveva essere diventato una sorta di tutore per quei ragazzini.

Chissà da quanto li conosceva.

Tremando dall'emozione, Gabriele si avvicinò di qualche passo in direzione di quello che una volta era stato il suo Educatore preferito.

Infine il vecchio sembrò accorgersi della sua presenza voltandosi verso di lui, senza sospettare nulla, ma una volta che fu in grado di riconoscere la persona che aveva davanti a sé lasciò cadere a terra il bastone dallo stupore. «Oh santi numi...» borbottò barcollando avanti e indietro sulle gambe malferme portandosi una mano sulla fronte, sia il gruppetto che Nick lo guardarono senza capire cosa stesse succedendo «No-Non può essere... non è possibile... io...» infine sollevò di nuovo lo sguardo sull'orfano, gli occhi color nocciola dal taglio a mandorla erano lucidi e incapaci di trattenere le lacrime ancora a lungo. «Gabriele-chan? Se-Sei davvero tu?»

Gabriele gli sorrise senza nascondere la genuina felicità che provava nel rivederlo. «Ciao Shakoma»

~~•~~

«Potreste dirmi finalmente come fate voi due a conoscervi?» domandò seccato Nick stravaccandosi su di una sedia di plastica dura dipinta di nero.

Dopo qualche secondo dove era rimasto a bocca aperta dallo stupore, Shakoma aveva voluto portare i due Ultra dentro in un bar che si trovava poco distante con la scusa di offrire a loro un bicchiere di succo per poter scambiare due chiacchere.

«Era uno degli Educatori all'orfanotrofio dove vivevamo io e Dri. È quello che mi ha regalato il cubo di Rubik» gli rispose Gabri sorridendo con naturalezza, Shakoma li raggiunse al tavolo che avevano scelto con in mano due bicchieri di vetro colmi di succo e delle cannucce dentro. Una bianca e rossa, l'altra bianca azzurra.

«Ecco qua» fece distribuendoli ai due ragazzini «Il succo alla pera per Gabriele-chan e quello all'albicocca per il suo amico» disse sorridendo gentile a Nick. «A proposito, qual è il tuo nome?»

L'australiano si scambiò un'occhiata con Gab, il quale annuì tranquillo.

Gli Eroi non possono rivelare il loro vero nome ai Normali mentre sono in servizio, era una delle regole più ferree, però Gabri si fidava di Shakoma.

Era certo che non vi fosse alcun problema nel dirglieli.

Cioè insomma... lui era Shakoma!

Il suo Educatore preferito!

Quello che gli aveva regalato il cubo di Rubik, quello che gli proponeva un sacco d'indovinelli e sfide da risolvere per non annoiarlo.

Era quello che raccontava ogni sera prima di andare a letto, a lui ed ai suoi amici, un sacco di belle storie.

Addirittura era stato una sorta d'insegnante di arti marziali del loro Tutore Andrea.

Come poteva non fidarsi di lui?

E poi loro ancora non erano degli Eroi.

Vista la risposta dell'amico, l'australiano sorrise allegramente prendendo in mano il suo bicchiere. «Nicholas Kidman all'anagrafe. Per tutti solo Nick» rispose cominciando a sorseggiare dalla cannuccia il suo succo.

«Piacere di fare la tua conoscenza, Nick» disse Shakoma chinando appena il capo in segno di rispetto. «Immagino che pure tu sia un'Ultra»

«Oh sì! Immagini bene!» esclamò Nick con aria compiaciuta, si staccò per qualche secondo dalla cannuccia soltanto per dichiarare strabiliato «Cavoletti! Questo succo è fantastico!» per poi tornare a berlo voracemente.

Gabriele, intanto, osservava attentamente ogni singolo movimento di Shakoma.

Aveva un'aria strana, lanciava spesso delle occhiate nervose fuori dal bar come se temesse l'arrivo di qualcuno ben poco gradito.

«Che ci fai qui Shakoma?» gli domandò direttamente dando un sorso veloce al suo succo ma senza perdere di vista il suo ex Educatore.

Il vecchio cercò di sorridergli affettuosamente, ma era evidente che c'era qualcosa che lo affliggeva. «Beh ecco, per offrire del succo al mio ex bambino ed al suo amico Nick. No?»

L'orfano lo fissò impassibile. «Qui a Venezia» precisò allora.

Shakoma prese a ridacchiare nervosamente. «Potrei dire lo stesso di te» ribatté, il suo sorriso assunse una sfumatura più acuta ma restando ancora parecchio teso. Gab notò solo ora che gli mancava un dente. «Che ci fanno due Ultra in giro per una città piena di storia e fascino come Venezia confondendosi con dei ragazzini Normali?»

«Dobbiamo fare da scorta ad un Alfa di trent'anni con l'età mentale di un bambino di cinque che si crede il principe di Russia.» fu la risposta secca e immediata del ragazzino bevendo un altro sorso di succo. «Io e Nick siamo in esplorazione. Più o meno» spiegò facendo girare tra le dita la sua cannuccia con le strisce bianche e blu, lanciò poi uno sguardo interessato a Shakoma. «Te invece? Io ti pensavo ancora all'orfanotrofio a Verona. Perché sei qui a Venezia?» gli chiese infine «È successo qualcosa? Per caso centra quel bastone? Non ne avevi bisogno l'ultima volta che ti ho visto.»

L'anziano si accasciò sulla sua sedia con un'aria remissiva e terribilmente stanca, sul suo viso andò a formarsi un amaro sorriso «Hai fatto centro, Gabriele-chan...» mormorò infiacchito, tenendo la testa china sospirò amareggiato. «Mi hanno mandato in pensione in una casa di riposo per anziani qui vicino dicendomi che ero ormai troppo vecchio per fare qualsiasi tipo di lavoro e che ora dovevo riposarmi. Un modo carino per comunicarmi che non ho più alcuna utilità alla società, spedendomi da un'altra parte assieme ad altri rottami come me. E i reumatismi non hanno affatto aiutato.» spiegò lanciando un'occhiata sprezzante al bastone che teneva in mano. Poi, come se si fosse appena reso conto di quello che aveva appena detto, si voltò di nuovo verso i due ragazzini tornando a sorridere a loro gioviale «Ma tutto sommati qui si sta bene. L'ospizio si trova in un quartiere abbastanza tranquillo ed io posso finalmente riposarmi senza dover badare che certi bambini un po' troppo vivaci si mettano nei guai ogni giorno.» affermò scompigliando la chioma corvina e selvaggia di Gabriele, l'orfano però non ricambiò il sorriso.

Ormai sapeva che stava solamente fingendo.

Tutto di Shakoma gli comunicava frustrazione, angoscia e nervosismo.

Scostando la testa dalla mano dell'Educatore, l'Ultra sollevò lo sguardo incrociandolo con quello del vecchio. «Shakoma, non c'è bisogno di essere Dri per capire che tu non sei felice qui» gli comunicò schiettamente fissandolo negli occhi. «Perciò smettila di mentire, non ce n'è bisogno.»

L'anziano lo guardò con un'espressione indecifrabile. «Anche da piccolo sei sempre stato estremamente curioso e così ossessionato dal trovare la verità» borbottò pensieroso «Ma dovresti cominciare a fidarti quando le persone ti dicono che esistono verità di cui è meglio non scoprire.» aggiunse con un tono più grave.

Non appena finì di pronunciare quella frase, dalla porta del bar vi entrò uno strano signore vestito con un paio di pantaloni verde acqua abbastanza larghi e una maglietta dello stesso colore. Ai piedi portava una specie di mocassini bianchi che ricordavano molto delle ciabatte.

«Signor Takeshi! Finalmente l'ho trovata, la stavo cercando ovunque! Credevo che fosse insieme a quella banda di bricconcelli.» esclamò con una voce nasale andando incontro al gruppetto seduto al tavolo e porgendo una mano per aiutare Shakoma ad alzarsi. Era un uomo sulla trentina piuttosto alto con i capelli castani tagliati corti, sul dorso della mano destra portava tatuata la lettera greca Lambda, associata alla Classe della Salute.

«Magari fossi scappato via...» borbottò aspramente ma sottovoce il vecchio scansando via malamente la mano offerta dall'infermiere. «Non sono ancora così vecchio da non riuscire neppure ad alzarmi da solo!» rimbrottò rimettendosi in piedi senza troppi problemi.

L'uomo sorrise debolmente con un accenno d'imbarazzo. «Come vuole lei, signor Takeshi» poi lanciò un'occhiata ai due ragazzini seduti al tavolo assieme a Shakoma. «Mi spiace portarvelo via bimbi, ma fra poco è ora di cena e per il signor Takeshi è tempo di rientrare ormai»

Gab aggrottò la fronte lanciando una rapida occhiata all'orologio posto sopra il bancone del bar «Ma sono solo le cinque e cinquanta!» ribatté una volta riuscito a leggere l'ora dalle lancette.

«I vecchi mangiano sempre così presto?» domandò Nick finendo il suo succo.

«Così riescono a digerire in tempo prima di andare a dormire» rispose con tono cordiale l'infermiere aprendo la porta del bar.

Shakoma piegò l'angolo della bocca in una smorfia ironica. «Fa parte del pacchetto completo di quando diventi vecchio» mormorò sarcastico rimanendo appena dietro all'assistente sanitario.

Prima che però l'anziano varcasse l'uscita del bar, l'orfano lo chiamò «Shakoma» questo si fermò voltandosi nella sua direzione guardandolo con un'espressione interrogativa. «Domani volevo presentarti una mia amica, è molto importante per me.» gli disse «Ci sarai ancora?»

Il vecchio abbassò il capo si massaggiandosi la barba inquieto, doveva avere capito quale amica intendesse Gabri. L'infermiere aspettava paziente poco più avanti tenendo la porta aperta.

«Uhm... sì, suppongo che non ci siano problemi» fece pensieroso annuendo lentamente, poi si rivolse al ragazzino guardandolo con serietà «Portala pure qui domani mattina. Sono davvero curioso di conoscerla» dichiarò accennando un lieve sorriso, finora il più sincero che Gab gli avesse visto fare in quel pomeriggio. «Ci vediamo domani allora, Gabriele-chan.» lo salutò con un cenno del capo, infine oltrepassò la porta del bar lasciando che questa si chiudesse alle sue spalle.

«Wow» fece Nick, una volta che Shakoma fu uscito, giocherellando distrattamente con la cannuccia dentro il suo bicchiere vuoto. «Erano per caso tutti così i vostri Educatori?»

«No» rispose Gabri distogliendo lo sguardo dall'ingresso. Nonostante fosse stato il suo Educatore preferito e un punto di riferimento quando ancora viveva all'orfanotrofio, l'orfano l'aveva sempre trovato un individuo un po' misterioso e pieno di segreti nel suo comportamento costantemente placido e sorridente nei confronti dei suoi colleghi e degli altri orfani. Era considerato da tutti come una sorta di grande saggio e i bambini lo apprezzavano molto.

Perciò era strano quel suo atteggiamento così nervoso e agitato che aveva avuto per quasi tutto il tempo con cui erano stati con lui.

Per questo motivo Gab voleva che anche Dri potesse avere l'occasione di rivedere il loro vecchio Educatore, un po' era perché sapeva quanto alla sua migliore amica avrebbe fatto piacere rincontrarlo e un po' perché così avrebbe potuto scoprire la causa di tale comportamento.

Diede un rapido sguardo dalla finestra del bar e vide il cielo che si era fatto molto più scuro con alcune stelle che erano già comparse da tempo.

«Credo che sia meglio tornare alla locanda prima che faccia troppo buio.» decretò Gabriele alzandosi e portando il bicchiere vuoto al bancone.

Nick lo imitò gettando una veloce occhiata anche lui alla finestra «Già, mi sa proprio che ci conviene muoverci» vide poi l'amico raccogliere accanto al loro tavolo lo skateboard che avevano trovato quel pomeriggio. «Hai deciso di portartelo dietro?»

Gabri gli sorrise sagace «Certo! Mi sono divertito ad usarlo oggi, tu no?»

«Ovvio!» ribatté l'australiano sorridendo divertito. «Specialmente quella tua ultima caduta»

«Disse quello che è andato sbattere contro un palo perché non era riuscito a far sterzare in tempo lo skate» rispose per le rime Gabri uscendo dal bar, fuori il vociare del gruppetto di ragazzini che giocava a calcio era scomparso lasciando al suo posto i rumori delle chiacchere degli uomini e vecchi che si ritrovavano nei pub a bere in compagnia. «Come vedi siamo pari. Tu hai i tuoi lividi ed io la mia sbucciatura, non ha senso continuare questa stupida discussione.»

Si udì Nick sbuffare mentre chiudeva la porta dopo il suo passaggio. «Sì d'accordo, va bene» borbottò remissivo «Ma ad Adri cosa diremo?»

L'orfano si infilò l'unica mano libera all'interno della tasca della felpa e sollevò il viso verso il cielo per ammirarne le stelle ma le luci provenienti dai lampioni che costeggiavano la strada ne offuscavano la vista. «Boh, la verità. Penso»

L'australiano lo scrutò per qualche secondo e poi scrollò indifferente le spalle. «Come vuoi tu» proferì con non curanza «Ma se ci ammazza è colpa tua.»

«Nah. Non ci ammazzerà» dichiarò Gabri fiducioso cominciando ad incamminarsi verso la locanda assieme al compagno di Blocco.

«Bah, se ne sei convinto tu...» commentò Nick scettico.

Stranamente, Adriana non li ammazzò.

Anzi, non si arrabbiò neppure. Cosa che lasciò parecchio interdetto l'australiano, il quale si aspettava una sonora lavata di capo.

Invece la ragazzina era rimasta perfettamente tranquilla mentre ascoltava Gabriele gli spiegava brevemente come si fossero procurati tali ferite e così anche quando iniziò a medicarle.

«Ma come?» fece Nick incredulo «Non sei arrabbiata?»

«E perché mai?» rispose Adri intanto che disinfettava la sbucciatura di Gabri. «Perché vi siete riempiti di lividi nel cercare di andare su uno skateboard? Ma fammi il piacere!» esclamò ridacchiando canzonatoria «Non dopo che vi siete lanciati a tutta velocità su quello stupido trabiccolo elettrico per il giardino della Villa terrorizzando tutti!»

«[Freccia IV] era un veicolo perfettamente funzionante e stabile» ribatté Gabriele stizzito con una smorfia di dolore per ogni volta che il bambagio imbevuto di disinfettante gli sfiorava la carne scoperta dalla ferita. «Non correvamo nessun rischio io e Nick.»

«Intendi prima che ti obbligassero a smontarlo?» gli fece ricordare Paulo ghignando beffardo sdraiato sul suo letto.

Fahed e Yen si trovavano invece sul letto del primo, intenti ad osservare lo skate che i loro compagni si erano portati in camera.

«Taci» gli ordinò Gab risentito. Non gli piaceva per nulla ricordare come Navaìnica e Vipére lo avessero costretto a smontare, pezzo per pezzo sotto la loro austera supervisione, il piccolo bolide sul quale ci aveva lavorato sopra per almeno due mesi.

La loro scusa era perché altrimenti avrebbe potuto far del male a qualcuno a bordo di quella Freccia, cosa che poi non poi era del tutto errata, ma a quel punto avrebbero anche potuto semplicemente confiscarglielo. L'avevano già fatto con molti altri Eroi in precedenza, perciò perché non farlo anche con lui?

L'orfano però aveva capito il vero motivo di quella loro reazione così severa. Non appena i due Eroi avevano chiesto spiegazioni di quel bizzarro veicolo, Nick si era lasciato scappare inconsciamente il fatto che fosse stato Gabriele a costruirlo e questo aveva fatto imbestialire entrambi i sottotenenti di Suprem.

Gabri li aveva detestati per ogni singola vite e bullone che era stato obbligato a togliere fino a quando la sua Freccia IV non rimase altro che qualche pezzo sparso sull'erba.

Il bambagio toccò la ferita e a Gabri gli sfuggì un altro gemito di dolore socchiudendo gli occhi.

«Smettila di fare il bambino» lo ammonì con un tono tranquillo Adri finendo di disinfettare la sbucciatura. «Dovresti esserci abituato ormai.»

«Abituato o no, brucia lo stesso.» rispose l'orfano mordicchiandosi il labbro, aprì poi un occhio rivolgendo l'iride dorata in direzione di quella argentata di Dri. «Trovato qualche informazione interessante?»

«Qualcuna» rispose la ragazzina chiudendo ermeticamente il tappo del barattolo che conteneva il disinfettante, poi sorrise enigmatica. «Yen inizia pure tu»

La vietnamita lasciò perdere lo skate voltandosi verso Adri guardandola con sorpresa. «Eh? Oh! Okey» rispose sedendosi in maniera più composta sul letto, la sua espressione cambiò in una più pensierosa. «Per farla breve beh, da come la signora Giovanna e suo marito ci hanno raccontato mi vien da dire che la situazione politica in Italia è parecchio confusa. Non si capisce bene chi è il Governatore in carica attualmente» cercò di spiegare ai propri compagni «In realtà penso che neppure gli italiani stessi riescano a capirci tanto di com'è la situazione.» aggiunse con un tono perplesso e imbarazzato, ma tornò subito dopo ad usarne uno più sicuro «Ma su di una cosa però di confusione ce n'è ben poca; da quanto ho capito, è da un pezzo che il partito maggiormente legato all'America cerca di spingere lo stato italiano ad entrare in guerra a favore degli Eroi. Però il popolo, e non solo, non sembrano molto d'accordo con questa idea poiché altrimenti significherebbe perdere l'appoggio economico da parte della Germania e di altri paesi nordici, che invece sembrerebbero molto importanti per il sostentamento dello stato.» terminò di spiegare Nguyen. «Se le informazioni che io e Adri abbiamo avuto sono corrette, l'Italia attuale non è in grado di supportare economicamente una guerra di questa portata. In futuro, chissà...»

Gabri ascoltò tutto quanto giocherellando con il ciondolo della sua collana con aria assorta. «E per quanto riguarda gli Oscuri?» chiese girandosi in direzione di Yen «Anche loro vogliono portare l'Italia in guerra oppure...»

«Preferiscono che l'Italia rimanga completamente neutrale.» rispose diretta Adriana con un'espressione estremamente seria.

Paulo annuì gravemente, come se si aspettava una risposta simile. «In questo modo avranno un territorio in meno da difendere ma rimane comunque assicurato il loro punto di passaggio da un fronte all'altro» espose ragionando tra sé e sé. «La cosa ha senso.»

«Esatto» confermò Gab sdraiandosi a pancia in su sul pavimento. «E noi stiamo scortando un'Alfa di origini russe che gode del sostegno degli Eroi in territorio italiano.»

Dopo quelle parole nella stanza scese il silenzio, ben coscienti del fatto che quella non poteva trattarsi di una coincidenza.

C'erano tanti pezzi che combaciano tra loro per poter essere soltanto un caso.

Persino Fahed, che di norma non sospettava mai nulla contro gli Eroi, sembrava ammetterlo.

«Quali sono le intenzioni di Lagna-Umana, una volta che sarà arrivato a Roma?» domandò Gab dopo qualche secondo in cui nessuno aveva osato proferire parola.

Dri sollevò il viso puntandolo in direzione dell'amico. «Quello che sospettavi fin dall'inizio» gli rispose. «Che sono anche lo stesso motivo per il quale Kozlov è stato esiliato dalla Russia»

Non ebbe bisogno di aggiungere nient'altro.

Era ormai già tutto fin troppo chiaro.

Il vero scopo della loro missione era scortare Kozlov in Italia affinché l'Alfa riuscisse a convincerla ad entrare in guerra.

Che essa fosse pronta o meno ad affrontarla era irrilevante, dato che l'unico obbiettivo di tutto questo puntava unicamente ad indebolire il fronte Oscuro.

Un obiettivo che avrebbe portato morte e distruzione inutilmente.

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