Vita al Castello pt2
A differenza di quanto accadeva a colazione, durante gli altri due pasti della giornata la mensa diventava molto più viva e rumorosa. Questo perché, se alla mattina ci si poteva recare a mangiare in un momento preferibile all'interno di un determinato periodo di circa tre ore, per il pranzo e la cena si mangiava invece tutti assieme.
Secondo Bulhuui aiutava a consolidare maggiormente i legami tra i Liberatori.
Mah,non potevo confermare con esattezza se fosse davvero così o meno ma indubbiamentec'era molto più affiatamento tra i vari componenti rispetto agli Eroi, quindiforse poteva anche avere un poco ragione.
Raggiunto il mio solito posto mi ci sedetti poggiando sul tavolo con delicatezza la ciotola di ceramica smaltata blu notte, attento che non mi fuoriuscisse accidentalmente la zuppa di carne ancora molto calda che conteneva. Alla mia sinistra mi raggiunse Den reggendo anche lui una ciotola simile solo che colorata di giallo ocra mentre a destra avevo Ezra intento a scambiarsi qualche chiacchiera con Ilja seduto sull'ultimo posto dove stava l'apertura dell'anello.
«Nuovo piercing?» gli feci indicando con un cenno del capo la pallina d'argento che aveva sulla narice sinistra.
«Regalo di Noëlie» rispose lui rivolgendomi un sorriso allegro, lo vidi quindi spostare la sua attenzione alle mie orecchie. «Nuovi orecchini?» replicò allora alludendo al nuovo paio che portavo.
«Regalo di Kaya.»
Ezra annuì appena come se avesse avuto conferma di un suo pensiero. «Ti stanno bene.»
«Ti ringrazio» risposi.
Accanto a me vidi con la coda dell'occhio Den puntare anche lui lo sguardo al mio orecchio più vicino. «Oh. È vero!» esclamò «Hai cambiato orecchini!»
Soffiai sul cucchiaio colmo di zuppa bollente. «Te ne sei accorto solo ora? Eppure mi sembrava che tu fossi seduto vicino a me durante l'Adunata.» lo punzecchiai scherzoso.
«Ero ancora un po' mezzo addormentato! Mi ero svegliato da pochissimo!» cercò di difendersi lui «E poi sei tu quello che fa più caso ai dettagli del duo, non io.»
«In realtà, come io faccio caso a certi dettagli, tu però ne noti degli altri. Solo di natura diversa.» gli rivolsi un'occhiata scaltra «Anche perché se fossi stato davvero ancora mezzo addormentato non avresti notato certi dettagli della nuova arrivata, no?»
Lui scrollò un poco le spalle con espressione innocente «Sono un semplice ragazzo di quindici anni, è normale che io noti certe cose.»
Alla sua risposta, alzai la mano che non teneva il cucchiaio in segno di resa sorridendo leggero. «Su questo argomento preferisco non espormi.»
«Che dettagli?» domandò Mattie seduta vicino a Den, sulla testa portava ancora il suo cerchietto.
Questo si voltò nella sua direzione sorridendole esaltato. «Vero che la nuova arrivata ha un viso carinissimo? E pure il fisico non sembra male, certo deve ancora un po' matu-»
«Vedi di dare una calmata ai tuoi ormoni impazziti o presto finirai col beccarti un calcio in mezzo alle gambe.» lo avvisai piegando le labbra in un debole sorriso mentre mescolavo con fare annoiato la mia zuppa. Con la coda dell'occhio scrutavo attentamente la ragazzina giapponese seduta vicino a Timoti che ora era il suo Responsabile (sceglierne uno aveva richiesto abbastanza tempo poiché erano stati in parecchi a offrirsi), sembrava essere in piena ammirazione della stanza e osservava le persone sedute attorno al gigantesco tavolo con aria affascinata e nervosa allo stesso tempo. «Irawa ha minacciato di dartelo già diverse volte o sbaglio?» ricordai al mio compagno di stanza.
Una leggera piega incerta prese forma sulle sue labbra e tornò a voltarsi verso Mattie in cerca di sostegno o qualcuno che partecipasse a quelle tipo di chiacchiere ma la ragazza riportò invece l'attenzione sulla sua ciottola smaltata di azzurro chiaro. «Non mi piacciono le ragazze.» stroncò nell'immediato ogni sua speranza.
Den non parve molto soddisfatto di quella risposta. «Uff... parlare con voi due di queste cose è una vera noia...» si lamentò sbuffando.
«Puoi sempre parlarne con me.» si offrì Ezra sporgendosi appena sul tavolo per poter guardare il bretone.
Nell'udirgli pronunciare quelle cinque semplici parole gli occhi di Den si illuminarono. «Oh magnifique! Fortuna che esisti tu Ezra!» esclamò felice «Briel è un'ottima compagnia ma per quanto riguarda il sesso e le donne è completamente allo sbaraglio!»
L'acqua che stavo bevendo in questo momento dal bicchiere mi andò di colpo di traverso costringendomi a tossire.
«Ripudi il sesso?» domandò di getto Ezra interessato.
«Io-cough... non lo ripudio» protestai riprendendomi lentamente «è solo che lo trovo... strano.»
«Strano in che senso?»
«Dice che non riesce a capire come-»
«Non mi sembra un argomento da parlare a tavola questo.» li interruppe Mattie parlando duramente versando l'acqua nel suo bicchiere. Sollevò poi lo sguardo di fronte a sé esentando un'espressione vagamente sorpresa.
Nel posto che mi stava davanti infatti si era appena seduto Ýrar attirando anche l'attenzione degli altri due. Non portava più il grembiule e teneva tirate su le maniche della felpa azzurro pastello, con la scritta SK e il disegno di un otto orizzontale a fianco ricamati in rosso sul davanti, lasciando scoperti gli avambracci magri del colore della neve, sul polso sinistro spiccava la stessa striscia nera che avevo anch'io nel medesimo posto.
«Ehi ciao Ýrar» lo salutò vivacemente Den «Come mai ti siedi qui oggi? Di solito sei vicino a Noah e gli altri.»
A quella sua domanda beccai Ýrar rivolgermi un'occhiata fugace.
Sorrisi perspicace socchiudendo a metà le palpebre in un'espressione astuta.
Sapevo perfettamente perché aveva deciso di sedersi qui, proprio di fronte a me. Peccato però che non gli sarebbe servito a nulla.
«Mi hanno fregato il posto» rispose spostando lo sguardo sulla zuppa che aveva cucinato lui stesso.
Gli occhi color nocciola di Ezra si spostarono verso il punto dove erano soliti a sedersi il resto del nostro gruppetto. «In effetti... sembra proprio che oggi sia toccato a te dover lasciare il tuo posto a Somsak.»
Diedi un'occhiata anch'io e vidi effettivamente che il posto vicino a Noah era occupato da un uomo dalla carnagione olivastra con un lieve accenno di barba scura sul mento di origini thailandesi che discorreva allegramente con Jeannine, una donna bionda che lavorava al laboratorio del castello.
Più che fregato credo che invece glielo abbia ceduto di sua volontà.
Qui in mensa in realtà non esistevano dei posti prestabiliti su cui sedersi attorno all'enorme tavolo perciò ognuno potrebbe mettersi dove gli pare solo che gli umani sono animali abitudinari di natura, oppure lo sono diventati, perciò nel momento in cui scelgono un posto anche se questo non gli appartiene veramente lo considereranno comunque loro. Tuttavia Somsak era uno tra i pochi che riusciva a estraniarsi a questo modo di pensare e agire ed era solito a cambiare posto a tavola praticamente ogni giorno, offrendo così a Ýrar la scusa perfetta per giustificare la sua decisione di sedersi davanti a me.
L'acuto tintinnio del metallo della forchetta che si scontrava sulla superficie di vesto del bicchiere risuonò due volte all'interno della grande stanza richiamando l'attenzione dei presenti e interrompendo qualsiasi chiacchiera era in atto in quel momento.
Nella mensa ora vigeva il silenzio totale.
Seduto sul lato più vicino al tavolo dove venivano serviti i pasti, quindi dalla parte opposta all'apertura dell'anello, Bulhuui girò il capo in direzione della nuova arrivata parlando cordiale. «Nel rispetto di qualunque credo professino le persone qui dentro, prima dei pasti facciamo sempre un minuto di silenzio perché chi chiunque voglia possa avere la possibilità di poter fare liberamente la sua preghiera senza venire disturbato.» le spiegò. Mentre parlava diversi Liberatori tenevano il capo chino o gli occhi socchiusi, le mani giunte sopra al tavolo oppure tutti questi segni assieme impegnati in un evidente gesto di preghiera, intravidi le bocche di molti di questi muoversi senza emettere alcun suono. Fra di essi vi erano anche Simon e Den, anche se quest'ultimo so che non lo faceva per motivi davvero religiosi.
Io mi litai a giocherellare con il cucchiaio cercando di metterlo in equilibrio sul bordo della mia ciotola in attesa che si potesse iniziare a mangiare.
La mia mente tornò a quella discussione sulla religione che avevo avuto questa mattina con la mia Responsabile. Avevo davvero ancora tante cose da scoprire.
Quando il minuto di silenzio fu passato e le chiacchiere tornarono a riempire la mensa, potei finalmente assaporare la zuppa di carne che nel frattempo si era raffreddata un poco a una temperatura già più accettabile per la mia povera lingua.
«Ehi! Questa zuppa è davvero squisita!» esclamò Den entusiasta.
Ezra annuì mostrandosi d'accordo. «Mm-mh, i miei complimenti allo chef» fece bevendosi un altro sorso di zuppa dal cucchiaio.
«È molto buona» concordò Mattie con tono pacato.
Ýrar abbozzò un leggero sorriso imbarazzato. «In realtà mi ha aiutato il mio Responsabile a prepararla, non sono davvero così bravo ai fornelli.» tentò di eludersi dai complimenti appena ricevuti «E poi quella di mia madre è molto più buona.»
«Però sei stato comunque tu a cucinarla questa, no?» mi intromisi portandomi il cucchiaio colmo di zuppa alle labbra, prima di metterlo in bocca dovetti soffiare ancora una volta. Vedendo le iridi dalla curiosa pigmentazione rossa tendente al rosato, non così insolite però per gli albini, di Ýrar fisse su di me sorrisi sagace. «In più Maciej non conosce i piatti tipici islandesi perciò può anche averti dato una mano a cucinare ma sei stato tu a dover dare le giuste istruzioni per preparare questa zuppa, dico bene?» inclinai appena il capo da un lato con espressione affabile «Accettare i complimenti che ti vengono fatti, specie se sinceri, non è sinonimo di superbia sai.»
Preso in contropiede da quello che gli avevo detto, Ýrar parve irrigidirsi appena serrando le labbra mentre le gote diafane assumevano una sfumatura più rosata e posando altrove lo sguardo tradendo segni di un leggero nervosismo. Poi di colpo socchiuse gli occhi scuotendo un poco la testa come a riprendersi e tornò a guardarmi in faccia.
Piegai le labbra in un sorriso previdente.
Eccolo.
«Senti Gabri, que-»
«Quella felpa te l'ha data Bulhuui vero?» lo interruppi apposta per non lasciarlo terminare la frase. C'è in tempo e un luogo per ogni cosa e questo, per quello che voleva chiedermi lui ora, non era né l'uno e né l'altro.
Non aspettandosi una simile interruzione da parte mia, sbatté le palpebre un paio di volte spaesato. Anche gli altri tre notai che mi osservavano curiosi intanto che continuavano a mangiare la loro zuppe.
«Sì...» rispose Ýrar con tono incerto. «Come-»
«La settimana in cui sono arrivato qui al castello ne indossava una identica solo giallo limone e con la scritta nera.» esposi bevendo un sorso di zuppa dal cucchiaio. Da quel poco che ho potuto conoscere del capo dei Liberatori, anche se ora dovrei considerarlo pure il mio di capo, c'era l'alta possibilità che quella scritta fosse legata a un qualche tipo di anime, forse sullo skate visto che l'aveva regalata a Ýrar.
«Oh? Ah è vero.» fece Ezra ricordandosi «Quando gli ho chiesto perché avesse preso quella felpa dal colore così orribile mi ha detto che sarebbe di un anime sullo skateboard o simile.»
«Esistono anime anche sugli skate?» domandò Den sorpreso.
Mattie giocherellò con un pezzo di carne che galleggiava dentro la zuppa prima di raccoglierlo col cucchiaio e metterselo in bocca. «A quanto pare... so che ne esiste uno addirittura sul nuoto e un altro sulla cucina.»
«Sul serio?»
«Il giallo limone non è un colore così orribile» replicò invece Ýrar sull'affermazione precedente di Ezra.
«È un pugno in un occhio» ribatté questo risoluto portandosi il bicchiere di vetro alle labbra sorseggiando l'acqua al suo interno. «Con un colore così acceso sarebbe stato meglio l'ocra o il crema oppure in alternativa il miele, ma non limone.» sbuffò con fare seccato asciugandosi la bocca con il tovagliolo di tessuto bianco che aveva vicino alla ciotola. «Bulhuui dovrebbe decisamente migliorare i suoi gusti in fatto di colori.»
«Disse quello che indossa la maglietta rosa fluo.» lo ribeccai scherzoso buttando giù un pezzetto di carne che stavo masticando. «A proposito di skate» aggiunsi poi rivolgendomi stavolta verso il ragazzo di fronte a me «che ne dici Ýrar se uno di questi giorni ci andiamo a esercitare un po' sullo skate?» gli proposi «A Las Vegas ho visto un tizio che ha fatto un trick davvero interessante e mi piacerebbe provarlo.»
Lui sollevò il viso dalla sua ciotola guardandomi titubante «Per lo skate io ci sono sempre, lo sai, ma ecco... e la ferita? Non rischi che ti si riapra?»
«Tecnicamente non è neppure chiusa ma solo cucita.» puntualizzò Ezra soffiando un paio di volte sul cucchiaio contenente un pezzo di carne ancora ustionante e se lo infilò poi in bocca. «She ti shaltano i punti scordati che io te la ricuci, shappilo.»
Feci una breve alzata di spalle lanciando un debole sospiro. «Vivo nella speranza che fra un paio di giorni abbia già smesso di essere così fastidiosa. Non mi va di passare quasi dieci giorni o più a girarmi i pollici in attesa che si cicatrizzi.» Sebbene il laboratorio rappresentava una distrazione più che sufficiente per la mia mente, non credo che sarei riuscito a resistere a stare fermo per così tanto tempo senza fare nulla.
«Gliel'hai cucita tu?» chiese Ýrar a Ezra sgranando gli occhi impressionato.
Nel ricordarsi di quella operazione, il corpo del ragazzo venne percorso da un leggero brivido. «Mai più...» mormorò inorridito «Mai più farò una cosa simile...»
«Ma come? Eppure eri stato così bravo!» lo punzecchiai sorridendogli canzonatorio, cosa che mi fece beccare un'occhiataccia da parte sua. «Brylska si è persino complimentata - anche se però a modo suo - per com'era stata cucita bene.»
«Non lo rifarò mai più, punto.» ribadì il concetto con decisione.
Io mi limitai a scrollare di nuovo le spalle «Come vuoi tu.» Alla mia sinistra avvertii Den darmi una leggera gomitata al mio braccio.
«Ehi, Briel» mi chiamò, riconobbi nella sua voce una sfumatura divertita «lo stanno rifacendo.» con un cenno del capo indicò il lato quasi opposto del tavolo dove ci trovavamo noi.
Seguendo il suo sguardo scorsi Irawa e Simon impegnati a scherzare spensierati come se fossero una coppietta con, seduto vicino alla ragazza, un Noah dalla faccia scura che sembrava stesse progettando un omicidio e credo di sapere anche nei confronti di chi.
Una delle prima cose che avevo notato non appena entrato nel gruppo dei "più piccoli" era questa specie di triangolo amoroso che collegava Noah a Irawa per la quale provava un'evidente cotta di cui soltanto l'interessata era all'oscuro, solo che questa non aveva occhi che per Simon e da come si comportava in presenza di lei risultava ovvio a tutti che ricambiasse tranne che a lui stesso. il punto era che se quest'ultimo addirittura ignorava la natura dei propri sentimenti, l'altro invece era perfettamente consapevole della situazione, cosa che lo faceva penare non poco. Specialmente perché Simon non si accorgeva proprio di nulla, nonostante io sappia che Aivars ci abbia provato già diverse volte a farglielo intuire.
L'amore pareva essere davvero in gamba nel rendere le cose più complicate.
«Scommetto dieci marchi che ci vorranno ancora due anni prima che lo capisca.» esordì Ezra notandoli anche lui.
«Tredici marchi che ci metterà tre anni» rilanciò Den alzando di poco la posta.
Un sorriso ironico fece capolino sulle labbra di Ezra. «Sembra che finalmente hai capito come funzionano le scommesse.» commentò beffardo «Andata.»
Soddisfatto dalle parole del più grande, Den rivolse quindi la sua attenzione su di me. «Te Briel? Non scommetti nulla?»
«Scommettere sui sentimenti umani è come scommettere se morirai oggi o domani oppure fra un paio d'anni, l'esito è troppo incerto e le variabili semplicemente infinite.» risposi schietto girando pigramente il cucchiaio nella zuppa «Esiste la possibilità che già domani comincino a odiarsi oppure che uno dei due muoia e a quel punto la scommessa perderebbe la sua validità cadendo nel vuoto. Scommettere invece sulle reazioni di un determinato individuo a una determinata situazione ha già più senso ed è anche più divertente.» terminai lasciandomi sfuggire un sorrisetto accorto.
«Perciò è un... no?» tentennò Den.
«Affermativo.»
«Quindi in sostanza tu scommetti solo dove l'esito è più facile da prevedere.» ragionò Ezra prendendo a scrutarmi attentamente.
Sollevai il cucchiaio contenente del brodo portandolo all'altezza della bocca «Preferirei più dire dove so per certo che ci sarà almeno un esito sicuro.»
Ýrar piegò appena la testa da un lato guardandomi perplesso. «Ma non sarebbe truffare?» chiese «Scommettere sapendo già l'esito intendo.»
«Io non conosco già l'esito» precisai.
«Però riesci a intuire qual è quello più probabile e punti su quello» insistette Ezra.
Muovendo solo le iridi gli rivolsi un'occhiata astuta. «Non è quello che fanno tutti?» lo provocai «Puntare sull'esito che si ritiene sia più probabile il suo realizzamento?»
Non trovando nulla con cui ribattere, lui storse la bocca stizzito ma infine alzò le spalle sospirando remissivo. «Hai vinto» dichiarò succhiando rumorosamente la zuppa dal suo cucchiaio.
«In effetti...» fece Ýrar portandosi una nocca dell'indice sulle labbra in un'espressione pensierosa.
Den invece corrugò la fronte confuso. «Sul serio? Io invece vado un po' a caso» ammise «scelgo quello che mi ispira di più.»
«Notato...» borbottò Ezra a bassa voce, era evidente che l'all in di due sere fa non gli era ancora andato giù.
Sorrisi amichevole al mio compagno di stanza «Tu sei un caso a parte, Den.»
Lui annuì con aria compiaciuta «Eh già, io sono un individuo più unico che raro in questo mondo!»
Non era esattamente quello il senso della mia frase ma non aveva tutti i torti.
Passarono giusto una manciata di secondi dove nessuno di noi cinque parlò prima che Ezra riprendesse nuovamente parola. «Comunque, altri cinque marchi che Simon se ne accorgerà solo quando sarà troppo tardi o sarà accaduto qualcosa di sconvolgente in grado di svegliarlo una volta per tutte.»
«Ci sto!» accettò Den senza pensarci troppo.
«Ragazzi, finitela.» ci rimproverò Mattie parlandoci severamente «Non è bello scommettere su queste cose.»
Ezra le rivolse una fugace per poi adagiarsi completamente contro lo schienale della sedia. «Bah...» sbuffò «se quell'idiota ci mette così tanto a capirlo non è mica colpa nostra, almeno cerco di mettere un po' di pepe sulla faccenda divertendomi un pochino.»
«Scommettere ti diverte?» sbottò Mattie aspra.
«Abbastanza, sì» confessò lui sorridendo con vivacità. Notando poi come la ragazza lo stesse ancora guardando austera, sporgendosi un poco all'indietro con la sedia, sospirò riprendendo a parlare «Ehi, guarda che quel tuo bel vestitino di raso blu che ti piace tanto e che hai indossato ieri sera l'ho realizzato con uno dei tessuti che ho comprato grazie ai giri di scommesse e giochi d'azzardo che c'erano alla mia accademia.»
Spiazzata da quella risposta, Mattie riportò lo sguardo sulla sua zuppa riprendendo a mangiarla in silenzio. Le guance leggermente arrossite dall'irritazione e dall'imbarazzo.
Da parte lascia andare una breve e sottile risatina. «Chissà...» iniziai «se ti avessimo fatto venire con noi al casinò a giocare magari sarebbe venuta fuori la tua vera natura.»
Gli occhi di Ezra divennero due fessure mentre mi rivolgeva un'occhiata sottile. «Beh, almeno ho potuto vedere alcuni stralci della tua» ribatté usando un tono leggero e disinvolto.
Alzai le spalle sorridendo spontaneo. «Tutto è destinato a venire a galla prima o poi, per quanto noi possiamo impegnarci a nasconderlo.» dissi parlando con naturalezza, decisi infine di spostare leggermente il discorso da un'altra parte «Parlando di scommesse però... qualcuno non mi deve delle palette di cioccolato?»
Accanto a me intravidi Den irrigidirsi appena. «Speravo che te ne fossi dimenticato...»
«Se riguarda la cioccolata io non dimentico mai nulla» replicai sorridendogli vivace.
Il resto del pranzo procedette con uno stato d'animo allegro e tranquillo. Ben presto anche Mattie tornò a chiacchierare con noi, una volta passato l'imbarazzo di prima.
Il seguito dei nostri discorsi volsero per la maggior parte su quanto accaduto nelle ultime settimane, al castello da parte di Mattie e Ýrar mentre io, Den ed Ezra raccontammo dei fatti più divertenti che erano successi durante la nostra permanenza a Las Vegas, all in compreso. Mentre continuavamo a parlare beccai diverse volte Ýrar lanciarmi delle occhiate di soppiatto cercando di non farsi notare dagli altri.
Cercando di far finta di nulla, mi limitai ad abbozzare un sorrisetto sagace intanto che Ezra finiva di narrare a Mattie di quando Den era rimasto accidentalmente chiuso in bagno durante un blackout provocato da un forte temporale, la ragazza scoppiò a ridere nel venire a conoscenza di tutte le frasi e imprecazioni che aveva urlato il povero sventurato in quel quarto d'ora che era rimasto intrappolato prima che riuscissimo a liberarlo.
Sapevo che strepitava dal volermi chiedere quella cosa, tuttavia doveva pazientare ancora un poco se davvero ci teneva avere delle risposte. Sempre se era pronto a sentirle.
Quando ebbimo tutti e cinque finito di mangiare, ci alzammo dai nostri posti e facemmo per dirigerci verso la cucina con in mano le nostre ciotole, più i bicchieri e posate utilizzate, da lavare.
Tutti meno Mattie.
«Siamo pari ora.» dichiarò poggiando la sua ciotola assieme a tutto il resto sopra la mia per poi andarsene con passo tranquillo. Io non protestai e mi limitai invece a sorridere remissivo.
Me l'ero aspettato.
Ezra e Den la guardarono allontanarsi con espressioni confuse, Ýrar invece ci aveva già preceduti in cucina qualche minuto prima. «Perché ha scaricato a te tutta la sua roba?» mi domandò il secondo, perplesso, riportando l'attenzione su di me.
«Perché io ho fatto lo stesso con lei oggi a colazione perché ero in ritardo per la lezione con Kaya» spiegai.
«Capisco...» mormorò Ezra riprendendo a camminare «Almeno sei riuscito ad arrivare in orario?»
«No.»
«Ahia... penitenza?»
«Già...»
«Quale?»
Gli scoccai una veloce occhiata e sospirai debolmente, tanto l'avrebbe scoperto comunque a cena. «Niente dolce per stasera.»
«Uuuh ci è andata giù pesante allora!» mi schernì piegando un angolo della bocca in un sorriso scherzoso.
«Abbastanza.»
Entrati in cucina, nella zona lavatura piatti, vidi già alcuni Liberatori chini sui lavelli di acciaio inossidabile intenti a pulire le proprie ciotole su cui avevano mangiato scambiandosi qualche battuta tra di loro, coperte per buona parte dal continuo scroscio dell'acqua che usciva dai rubinetti.
«Non lavi con noi?» fece Den vendendomi proseguire ancora mentre lui ed Ezra si erano fermati accanto al lavello dove c'era già Noah a lavare il suo piatto con espressione torva.
Scossi la testa «Vado a dare una mano a Ýrar a pulire.» risposi dichiarando solo una parte della verità.
Mi spiace Den, ma glielo devo.
«Ah okay.» mi sorrise lui vivace «Allora a più tardi!»
Sollevai una mano in gesto di saluto, ricambiando così il suo, e mi diressi quindi verso la zona dove stava Ýrar.
Lo trovai poco più in là impegnato a passare con forza la spugna insaponata dentro un'enorme pentola in acciaio con la quale immaginavo ci avesse cucinato la zuppa. Non appena mi ebbe notato, sollevò il capo dal recipiente guardandomi confuso e interrompendo quanto stava facendo. «Come mai sei qui?»
«Per darti una mano.» poggiai le ciotole sporche nel ripiano accanto al lavello e mi tirai su le maniche prendendo un'altra spugna. «Tu fai il dentro e io faccio il fuori?»
«O-Okay...» tentennò lui ancora un po' sorpreso, le sue gote quasi incolori parvero assumere una sfumatura più marcata di rosa.
Presi a sfregare la superficie di metallo esterna della pentola. «E anche per parlare» aggiunsi senza guardarlo «il rumore dell'acqua coprirà le nostre parole perciò non ci sarà pericolo che qualcuno origli ciò che diremo senza che ce ne accorgiamo.»
Con la coda dell'occhio scorsi Ýrar rivolgermi un rapido sguardo attento prima si tornare a lavare.
«Che cosa sai dell'ultima missione che ho fatto quando ero ancora alla villa?» gli chiesi scrutandolo sottile.
«Intendi quella in Canada?»
«Quella.»
Lui parve doverci pensare un po' su, nel tentativo di ricordare. «Non molto» confidò «la sera in cui siete tornati, Nguyen è venuta in camera di Deka dove c'eravamo già anche io e José per salutarlo. Alle domande che lui le faceva sulla missione lei rispondeva solo in maniera piuttosto evasiva senza fornire ulteriori dettagli perciò alla fine non ne so molto. L'unica cosa che sono riuscito a capire è che centrava con dei furti in banca e basta.»
Un debole verso di scherno fuoriuscì dalle mie labbra. «Naturale» affermai infatti «Dopotutto sono stato io stesso a raccomandare ai miei compagni di non dire a nessuno quanto fosse accaduto realmente.» allungai una mano verso il rubinetto, aprendolo, e aiutai Ýrar a tirare su la pentola in modo che l'acqua sciacquasse via la schiuma di cui era coperta. «Che cosa vi ha detto Yen, esattamente?» domandai parlando stavolta con tono più serio.
«Dici riguardo alla questione delle rapine?»
«Esatto.»
«Beh, che eravate riusciti a trovare i veri colpevoli e che si trattavano di due hacker che avevano manomesso le registrazioni delle telecamere di sicurezza in modo da far ricadere la colpa sui dipendenti innocenti.» espose Ýrar facendo girare le pareti esterne della pentola sotto il getto d'acqua. Insieme la capovolgemmo perché anche il fondo venisse pulito e a quel punto la sollevammo appoggiandola sul ripiano dove era stato messo il mestolo già lavato per farli scolare.
«Quella è la bugia ufficiale che abbiamo deciso di scrivere nel rapporto» dichiarai tornando a sorridere abilmente, intanto presi a pulire la prima delle tante caraffe che si trovavano sul piano dei piatti sporchi, assieme alle ciotole mie e di Mattie. «Ovviamente la realtà è un'altra;» spostai lo sguardo su Ýrar osservandolo acuto «la nuova arrivata, quella Chika, non è certo l'unica del suo genere.»
Bloccandosi dal lavare una caraffa che teneva in mano, si girò nella mia direzione con le sopracciglia aggrottate, incredulo. «Non dirmi che...»
«I veri autori di tutti quei furti erano due ragazzini, precisamente due gemelli, della mia età che possedevano entrambi un'abilità.» dissi con fare spigliato mettendo la caraffa lavata sopra la pentola «Perciò in sostanza sì, sono anche loro degli Ultra. La loro abilità consiste nel catturare il riflesso delle persone su una qualsiasi superficie riflettente e manovrarlo a proprio piacimento, è così che sono riusciti a rapinare più volte la stessa banca senza farsi mai scoprire» almeno fino a quando non li aveva beccati il sottoscritto scoprendo il loro trucchetto. «Giunti a questo punto il vero quesito sarebbe: perché mentire riguardo alla loro esistenza? Beh, la risposta è semplice; quei due non si erano messi a rubare in banca per divertimento, avevano bisogno di soldi per poter fuggire via. Quindi perché scappavano, o meglio da chi scappavano, sarebbe ora la domanda» piegando appena la testa da una parte rivolsi a Ýrar un'occhiata astuta «lascerò a te la risposta a questa domanda una volta che io avrò finito di parlarti.»
Lui aveva ripreso a lavare la sua caraffa finendo di sciacquarla e, passandomela affinché la mettessi assieme alle altre, ne afferrò una seconda. Il suo viso tradiva una particolare agitazione che cercava di nascondere senza successo.
«Quando poi sono tornato dalla missione ho deciso d'iniziare una piccola indagine personale, che sto mandando avanti tuttora» proseguii mantenendo un tono disinvolto «Non è stato molto semplice, le informazioni che mi servivano maggiormente erano quasi tutte nascoste e perciò mi sono visto costretto a utilizzare vie non molto legali ma alla fine qualcosina d'interessante sono riuscito a trovarla. E senti un po' qua!» feci vivace «Diciannove febbraio duemilaseicentosettantanove, Nyhaun, Danimarca; un ragazzo di quindici anni è stato torturato fino alla sua morte davanti a una scuola primaria per mano di un ragazzino poco più piccolo, diversi giovani spettatori hanno testimoniato come il ragazzino in questione non avesse però minimamente sfiorato la sua vittima ma che l'avesse semplicemente guardata senza dire una parola fino al suo decesso. Otto luglio dello stesso anno, in una zona periferica di Ciudad de Allende, Messico, è stata registrata una forte esplosione che ha devastato completamente diversi edifici del quartiere tra cui una fabbrica abbandonata e ormai prossima alla demolizione da dove si è riconosciuto essere il punto da dove è partita la detonazione. Non sono state però ancora rinvenute tracce di alcun esplosivo e né si comprende tuttora quale possa essere stata la causa o la bomba in grado di generare un'esplosione di tale livello.» sistemai la quarta caraffa pulita vicino alle altre, certo che ce ne erano davvero tante! Mah, dopotutto oggi eravamo stati circa una sessantina a pranzo, ci stava che ce ne fossero parecchie. «Da marzo dell'anno successivo, il quartiere di Ugglan a Stoccolma, Svezia, è diventato famoso come il "Quartiere delle statue" da quando inspiegabilmente molti dei suoi abitanti si sono trasformati in pietra. Sempre in quel mese, Real de Catorce, c'è stato il panico più totale perché pare, secondo le testimonianze di parecchi cittadini, che i morti delle catacombe abbiano deciso di uscire dalle loro tombe e invadere le strade della città. A inizio gennaio dell'anno scorso a Chennai, in India, un'intera struttura famosa per la sua produzione tessile - in particolar modo dei tappeti e per il suo sfruttamento dei minore - è crollata improvvisamente su sé stessa con tutti gli schiavi bambini e i loro padroni all'interno, in seguito a questo incidente sembra che tutti i poliziotti e i soccorsi che si erano recati sul luogo si siano inspiegabilmente tolti la vita da soli a pochi secondi di distanza gli uni dagli altri. Sei mesi fa, invece, in un quartiere a sud di Curabà, Brasile, sembra che dopo una strana esplosione di natura elettrica avvenuta all'interno di una casa, metà città sia finita in blackout totale di diverse ore.»
Man mano che elencavo solo alcuni degli episodi di natura bizzarra che ero riuscito a trovare con tanta fatica (nonostante molti di essi avessero avuto un impatto piuttosto importante con le persone che si trovavano in quelle zone o impossibili da ignorare, erano presto caduti nel dimenticatoio minimizzandoli a dei semplici incidenti o visioni provocate dalla poca lucidità dei presenti o altre assurde scuse), osservai di sottecchi gli avambracci e le mani di Ýrar divenire più rigidi mostrando chiari segni di nervosismo e rallentando gradualmente il suo ritmo nel lavaggio.
Abbozzai un sorriso arguto. Una reazione più che naturale la sua, ma la parte "migliore" doveva ancora venire. «Ora ti chiederai, qual è il filo conduttore che accomuna tutti questi eventi particolarmente bizzarri e apparentemente separati tra loro?» mi girai un poco verso Ýrar guardandolo con espressone immutata «Il fatto che, tempo qualche giorno o settimana, almeno un ragazzino di quella zona, dagli undici a quindici anni, risulta misteriosamente scomparso.»
Le mani di Ýrar fecero passare con lentezza l'ultima caraffa di vetro sotto l'acqua lavando via il sapone e la sistemo quindi assieme alle altre già lavate, poi si appoggiarono sul bordo del lavello stringendolo con forza. Vidi i suoi avambracci tremare leggermente e gli occhi puntati nel buco di scolo, spalancati. «Stai scherzando...» mormorò con voce tesa.
Avendo finito le caraffe, afferrai un grosso coltello, che immaginavo fosse stato usato per tagliare la carne, e iniziai a lavarlo sorridendo placido. «Credi davvero che potrei scherzare su una cosa simile?»
La sua presa al lavello aumentò d'intensità facendo sbiancare maggiormente le sue nocche già pallide di loro. «Que-Quello che stai dicendo, se è vero, è veramente...»
«Inquietante? Sì, abbastanza.» concordai completando la sua frase «Ma la cosa che è davvero più inquietante è che i giornali e i media di questo non ne parlando affatto.» osservai l'acqua scivolare sulla lama che muovevo sotto il suo getto formando un largo ventaglio trasparente. «Di norma quando cominciano ad accadere sparizioni di persone a un ritmo così frequente come sta accadendo in questi ultimi due anni la cosa verrebbe fuori o quanto meno se ne sentirebbe parlare, specialmente se è a livello mondiale come in questo caso, e invece il fatto che nessuno nei giornali o in televisione ne faccia parola lascia presagire che c'è qualcosa di ben più oscuro dietro a tutto questo. D'altronde non è il rumore a essere il segnale di pericolo, ma il silenzio.» sospirai amaro «Ciò che la televisione non dice non esiste, giusto?»
Mentre mi allungavo verso il piano dei piatti sporchi per prendere una brocca dentro la quale era stavo versato del vino, spostai la mia attenzione sulle mani di Ýrar e le vidi tuttora ancorate al bordo del lavello. «Ehi, guarda che io mi sono proposto a darti una mano, mica per far tutto al posto tuo.» lo schernii con fare leggero apposta per scuoterlo un po'.
Parve funzionare poiché effettivamente si riscosse come se appena svegliato da un sogno, o da un incubo, e prese un'altra caraffa di vino cominciando a lavarla. L'agitazione non se ne era ancora andata dal suo animo, la si poteva notare dai muscoli del suo corpo e dai suoi movimenti.
«...Perché?» lo sentii mormorare dopo un po' «Perché mi stai dicendo tutto questo?»
«Semplice; perché lo volevi sapere.» risposi schietto con semplicità rimirando distrattamente il mio riflesso sulla lama del secondo coltello identico al primo, che avevo appena lavato. «Altrimenti perché oggi ti saresti seduto di fronte a me e mi hai rivolto tutte quelle occhiate durante il pranzo? Se davvero tutto questo non t'interessava avresti lasciato perdere fin dal primo istante, non credi? In più, oltre a me, sei l'unico a sapere con assoluta certezza che tutti i Blocchi successivi ai nostri sono completi, è naturale che tua sia rimasto turbato dalla comparsa di Chika e che ora cerchi delle risposte.» anzi, ci sarei rimasto più male se fosse accaduto il contrario. Specie nell'ultimo periodo, tendevo ad apprezzare sempre meno chi accettava tutto, anche le cose più incoerenti (e purtroppo la maggior parte lo erano), senza porsi neppure una singola domanda o un minuscolo dubbio.
«Però...» parlò di nuovo Ýrar restando a fissare la brocca che stava lavando riempirsi sempre più sotto il getto d'acqua senza però guardarla veramente «tu non eri affatto dovuto a rispondermi, potevi pure mentire...»
«A parte il fatto che a me non piace mentire» ci tenni a voler precisare mentre passavo le dita della sinistra sotto il getto del rubinetto «anche se l'avessi fatto, qualsiasi bugia io ti avessi detto tu non ci avresti mai creduto per una cosa così evidente e avresti passato i giorni a tormentarti su questo.» sollevando quindi la mano bagnata gli schizzai un po' d'acqua in faccia «O sbaglio?»
Colpito dagli schizzi, lui ritrasse appena di riflesso il capo e si asciugò il volto strofinandoselo contro il tessuto della felpa alzando di poco le spalle. Quando riportò nuovamente il suo sguardo su di me, notai con piacere che un sorriso già un po' più rilassato faceva capolino tra le sue labbra. «José diceva spesso di come tu non fossi affatto uno da prendere sottogamba» commentò piano lasciando andare un leggero sospiro.
«José è un tipo sveglio» concordai iniziando a lavare la mia ciotola dove avevo mangiato la zuppa, adesso che avevamo finito di pulire il resto potevo pure occuparmi delle cose mi e di Mattie. Intanto la cucina si era svuotata da un bel pezzo, rendendo me e Ýrar gli unici ancora qui dentro.
«Sì...» confermò lui quasi sovrappensiero passandomi la caraffa che aveva appena terminato di sciacquare da mettere vicino alle altre. «Ma perché sta accadendo tutto questo?» chiese infine.
«Ti riferisci alla comparsa di nuovi Ultra o alle sparizioni di ragazzi?» feci mantenendo un tono leggero e il sorrisetto astuto.
«Entrambe, suppongo...» rispose Ýrar, incerto, cominciando a lavare la propria ciotola.
Aprii nuovamente il rubinetto facendo fuoriuscire l'acqua fredda per sciacquare la scodella dalla schiuma. «Per quanto riguarda la seconda mi spiace ma non posso ancora risponderti, non sei pronto, mentre per la prima ci sto ancora lavorando ma per riuscire a scoprire le cause di questo fenomeno dovrò indagare partendo dal principio.»
Con la coda dell'occhio beccai Ýrar rivolgermi una fugace occhiata di sottecchi. «Con il "partire dal principio" intendi...»
«Dall'origine della Peste Rossa, sì.» confermai poggiando la mia ciotola lavata in equilibrio sopra una caraffa di vetro messa a testa in giù a scolare. «D'altronde è da lì che è partito tutto, no? Per comprendere perché improvvisamente altri ragazzini cominciano a manifestare dei poteri oltre ai cinque del loro anno bisogna prima capire cos'è che permette a questi, a noi, di sviluppare le nostre abilità e di conseguenza è importante conoscere la formula con la quale è stata creata la Cura e scoprire l'origine della famosa Peste Rossa, perché sia apparsa e come agisce realmente.» sollevai un cucchiaio che avevo appena pulito fin sopra la mia testa osservandone il riflesso sfocato e sottosopra del mio viso, girandolo appena comparve anche quello di Ýrar che mi guardava attento. «È così che funziona un'indagine» conclusi infine.
Dopotutto per poter capire meglio presente, bisognava prima di tutto comprendere il passato. La chiave sta lì.
Un sottile sorriso arguto piegava un angolo delle mie labbra. Sapevo che il solo andare a ritroso non sarebbe bastato a dare una risposta a tutte le mie domande, avevo notato come tutte le apparizioni di nuovi Ultra fossero avvenute soltanto negli ultimi tre anni e l'ultima che avevo registrato risaliva all'ultima settimana di gennaio del duemilaseicentosettantanove.
Lo stesso periodo in cui io e Dri abbiamo manifestato per la prima volta le nostre abilità.
Ho controllato e ricontrollato più volte, tutti quei ragazzini che risultano misteriosamente scomparsi in seguito a eventi strani e nessuna indagine avviata avevano come altro tratto in comune quello di essersi ammalati con sintomi piuttosto pesanti solo poco tempo prima (spesso circa una settimana o quasi un mese) dalla loro sparizione e tutti, anche qui, sempre successivi a quando io e Dri siamo diventati Ultra.
Non poteva essere un caso.
La questione delle possibili famiglie, la mia strana percezione e ora anche questo. Niente di tutto ciò poteva essere una coincidenza, era troppo assurdo, tuttavia però faticavo a comprendere che significato potesse avere tutto quanto. Ancora, per la terza volta in questa giornata, mi ritrovai a chiedermi quali ruolo avessimo noi due in tutta questa storia.
"...E a una nuova Era, inizio darà."
Era questo l'ultimo verso che recitava quella maledetta Profezia. So che molti riterrebbero una follia cercare di decifrarla, molti ci hanno provato fallendo, ma ritengo che con la chiave giusta si possa essere in grado di farcela e che possa rivelarsi essenziale per capire meglio quello che sta accadendo attualmente, sia anche per la questione Ultra che anche per la guerra.
Il punto stava nel riuscire a trovare la chiave che mi avrebbe permesso di decifrarla.
Se solo ci riuscissi magari...
«Come ci riesci?» mi domandò Ýrar a bruciapelo distogliendomi improvvisamente dai miei pensieri.
«Mh?»
«Coma fai a... sorridere così mentre parli di queste cose? Sembra quasi che ti diverta...»
Ah, intende quello. «Mi diverte il cercare di venire a capo di un mistero, scoprire i segreti che si celano dietro.» chiarii «È come risolvere un enorme e complesso rompicapo, esaltante, ma non è che io apprezzi molto la situazione che sta venendo fuori, però penso che sorriderci sopra possa essere un buon modo per non perdervi la testa.» spiegai poggiando i cucchiai, mio e di Mattie, sopra il fondo di un bicchiere di vetro messo a rovescio disponendoli a "X". «Almeno mi permette di reagire.»
Avvertii lo sguardo di Ýrar continuare a scrutarmi in silenzio intanto che io finivo di lavare l'ultima stoviglia usata per il pranzo e mettendola insieme alle altre già pulite, esattamente sopra la piccola piramide che avevo creato con le caraffe di vetro. «Gabri, per caso...»
«Stop!» lo bloccai immediatamente sollevando la mano sinistra, ancora bagnata, col palmo rivolto verso di lui. «Ne sai già abbastanza da tormentarti per diversi giorni, meglio fermarci qui se vuoi dormire ancora la notte.» piegai un poco la testa da una parte sollevando un angolo della bocca in un accenno di sorriso «Non fare come me, basto già io.»
Ýrar rimase a guardarmi arcuando leggermente le sopracciglia in un'espressione titubante, spostò poi lo sguardo oltre le mie spalle puntandolo sulla mia costruzione di stoviglie in equilibrio che avevo dietro aggrottando la fronte confuso. «Gabriele...»
«Sì?»
«Cos'è quello?»
«Una mini torretta di controllo.»
«...Potresti smontarla, per favore?»
«Eeh? Ma ci ho messo tanto impegno!»
«Se cade e si rompe qualcosa la responsabilità è mia...»
«Okay, la smonto...»
Mentre, sbuffando, smontavo la mia fantastica torretta risistemando le stoviglie in maniera più stabile, udii un leggero soffio ilare provenire alla mia sinistra che sfociò ben presto in una vera e propria risata. Mi voltai in direzione di Ýrar guardandolo interrogativo.
«Scusami» fece lui tra una risata e l'altra «è che quando ti metti a fare certi discorsi come quello di prima ci si dimentica di come in realtà tu sia quasi un mio coetaneo.»
Percependo le mie guance arrossire lievemente terminai il mio lavoro. Non avevo certo scelto io di essere... così.
«Però sai, sono sollevato.» continuò Ýrar smettendo gradualmente di ridere.
Gli rivolsi una furtiva occhiata sospettosa. «Per cosa?» gli domandai cercando di mantenere un tono piatto.
«Le volte in cui infrangi le regole o divieti per un tuo puro capriccio o quando ti metti a costruire con fierezza quelle bizzarre costruzioni in equilibrio» elencò Ýrar sorridendomi con affetto «sono dei tratti tipici di un comune adolescente come tanti. Ciò significa che sei umani esattamente come tutti.»
Mantenni lo sguardo fisso sulle stoviglie, disposte ora in maniera più ordinata a scolare, per non tradire la mia vera espressione infilandomi le mani, appena asciugate, dentro la tasca della felpa. «Se lo dici tu» bofonchiai alzando brevemente le spalle.
Sentii un debole sospiro uscire dalle labbra di Ýrar «Deka aveva ragione; sei piuttosto tenero.» dichiarò.
Mi girai appena quanto bastava per rifilargli un'occhiataccia. Lui scoppiò nuovamente a ridere, ilare.
Questa volta, però, la sua risata si spense più rapidamente della prima. Sul suo viso era ancora comparso quello sguardo di compassione misto a dispiacere nei miei confronti che mi infastidiva abbastanza. «Ho sentito che in missione hai dovuto affrontare il tuo vecchio Blocco...» disse parlando incerto e avanzò di qualche passo nella mia direzione fino a essermi a fianco.
«Sì, è così» risposi con fare incurante mettendomi a giocherellare con la lunga catenella della mia collana, attento però a non incrociare il suo sguardo.
Manifestando solo una leggera esitazione, lui posò una mano sulla mia spalla più vicina dopodiché, con un movimento repentino, allungò anche l'altro braccio cingendomi in un morbido abbraccio che mi colse completamente alla sprovvista. Questa davvero non me l'aspettavo. «So com'eravate» mormorò a voce molto bassa ma udibile per me che gli ero vicinissimo «non dev'essere stato facile...»
Di colpo, tutto il dolore che l'altra sera avevo rinchiuso in un angolino nel tentativo di ignorarlo, tornò a travolgermi con la forza di un artiglio affilato stringendomi il petto e affiorandomi agli occhi nel ricordarmi gli sguardi feriti e pieni di risentimento che i miei compagni di Blocco mi avevano rivolto quando mi avevano visto, ben conscio del fatto di esserne io la causa di questo.
Magari era una mia soggezione, ma mi pareva che quella mia stramaledetta ferita avesse ripreso ancora a bruciare pulsando fastidiosamente.
«No...» ammisi cercando di controllare il tremore della mia voce «per nulla...»
Sentendo diventarmi sempre più difficile trattenere le lacrime, svincolai via agile dal suo abbraccio mettendo tra noi una breve distanza e dandogli le spalle.
«Oh, aehm... mi-mi dispiace, scusami, non... non volevo darti fastidio» balbettò Ýrar mostrando apertamente il proprio imbarazzo «io-io credevo avessi bisogno di-»
«Fa lo stesso» mi tirai su il cappuccio in modo da coprire la mia testa e celare la mia espressione «va bene così.» passai i polsi sui miei occhi sfruttando il tessuto della maglia per asciugarmeli. «Andiamo?» riuscii soltanto a pronunciare poi.
Dalla mia posizione non potei vedere la sua risposta, sempre che ne abbia effettivamente data una, ma presto udii il suono dei suoi passi dietro ai miei non appena ebbi iniziato a muovermi in direzione dell'uscita della cucina.
Mentre camminavo non potei fare a meno di sentirmi in colpa per come mi ero appena comportato. Dopotutto Ýrar aveva soltanto voluto essere gentile è solo che... non mi piaceva piangere davanti a qualcuno. Mi metteva a disagio, mi faceva sentire esposto.
Fino a qualche tempo fa Dri era stata l'unica a cui ero riuscito a mostrare le mie lacrime, ma poi anche con lei era iniziato a diventarmi difficile poiché altrimenti avrei dovuto darle delle spiegazioni che però non potevo condividere. Per il momento.
Sorridere era diventata davvero la mia unica difesa per contrastare i momenti di dolore e sensi di colpa che mi capitava ancora talvolta di provare, però...
Poggiai una mano sopra il pomello di ottone della porta di legno bianca che collegava la cucina alla mensa. «Ýrar...» mormorai fermandomi «Grazie, per prima...»
Passarono una manciata di secondi avvolti nel silenzio, dentro la cucina c'era solo suono dell'acqua che sgocciolava dai rubinetti che erano stati chiusi male. Girai appena il pomello facendo scattare la serratura della porta, aprendola solo di una fessura.
«Non c'è di ché.»
Siccome ero girato di spalle non potevo vedere la sua espressione, ma riconobbi il tono morbido nella sua voce.
Gli angoli della mia bocca si incurvarono involontariamente in un leggero sorriso.
«Riguardo a quello che ti ho detto oggi, posso chiederti un piccolo favore?» gli chiesi riprendendo a parlare in maniera più spigliata e voltai il capo un poco verso di lui in modo da guardarlo bene in viso, la porta aperta ancora di uno spiraglio. «Consideralo come un piccolo pagamento per tutte le informazioni che ti ho dato.»
Ýrar inclinò appena il viso fissandomi perplesso. «...Pagamento?...»
«Certo! Niente in questo mondo è gratis! Ma non preoccuparti, si tratta solo di una piccola cosuccia.» esclamai con vivacità. Sorridendo poi abile mi portai l'indice dell'altra mano davanti alle labbra. «Di quanto ti ho rivelato oggi non dovrai farne parola con nessuno, specialmente con Magnes e Uzhas.» feci parlandogli sagace, riportai la mano dentro la tasca «Ci penserò io a parlargliene a loro quando lo riterrò il momento oppure quando avrò raccolto maggior informazioni. Ovviamente nel caso qualcuno ti chieda in maniera diretta e pressante qualcosa a riguardo, tu dì soltanto la verità; cioè che io ti ho fatto promettere di non rivelare nulla e che se davvero ci tiene così tanto a saperne qualcosa che venga allora a chiedere direttamente a me, intesi?»
Vedendo le sopracciglia di Ýrar incurvarsi in un'espressione tra il titubante e il preoccupato mi affrettai ad aggiungere «Tranquillo non sto complottando nulla, è solo che ancora non mi va di parlarne con Magnes e Uzhas ma quei due hanno orecchie ovunque nel castello e se non stai attento quello che dici e come lo dici sono in grado di carpire ogni tuo piccolo segreto.» mentre cercavo di rassicurarlo, aprii del tutto la porta della cucina. Non appena la ebbi spalancata notai all'istante tre figure poste vicino al tavolo e poco distanti da noi.
Riconoscerle fu semplicissimo: si trattavano di Bulhuui, Uzhas e la nuova arrivata, Chika.
Dalla loro postura era chiaro che stavano attendendo qualcuno, o me o Ýrar non essendoci altre persone qui dentro, e dal ghigno acceso che si era formato sul volto grigio di Uzhas nel momento in cui avevamo messo piede nella mensa non era difficile indovinare di chi si trattasse tra noi due.
«Ti sei ripreso subito vedo.» fu il commento di Ýrar allungando di poco il passo affiancandomi.
Gli rivolsi uno sguardo scaltro. «Le emozioni forti come la paura, la rabbia, la tristezza o il dolore e lo shock tendono a rallentare o a rendere esagerate le reazioni di una persona impedendo a questa di ragionare in maniera lucida e facendole così compiere delle azioni quasi sempre sciocche diventando facilmente manipolabile. Se non vuoi essere dominato da queste devi essere tu stesso a controllarle.»
Ýrar sollevò un poco il viso storcendo la bocca non molto convinto. «Quindi vorresti dire che bisognerebbe vivere senza emozioni? Ma ciò non ci renderebbe... inumani?» contestò «Dopotutto sono le nostre emozioni e sentimenti che ci rendono umani, no?»
«Io non ho detto questo» ribattei un pochino stizzito «dico solo che non si dovrebbe lasciare che esse impediscano di pensare lucidamente.» precisai «Una volta che permetti a loro di controllarti diventi una marionetta in mano di altri e allora sei finito.»
«Ma il troppo pensare non rischia alla fine di diventare limitativo? Cioè se stai lì e pensi e pensi e pensi sempre poi non ti godi il momento che stai vivendo.»
«Dipendeda come lo usi. Le emozioni sono importanti d'accordo ma, ripeto, se vivilasciandoti travolgere costantemente da essi smetti di essere padrone di testesso. Bisogna avere il giusto equilibrio.»
«Accidenti che argomento interessante, non vi facevo così filosofici.» si intromise Bulhuui all'interno senza essere invitato alla discussione, venendoci incontro con un sorriso gioviale sulle labbra. Arcuò poi il sopracciglio in un'espressione più pensierosa. «Anche se però, in effetti, ci si poteva arrivare...»
Spostando la propria attenzione al capo dei Liberatori, Ýrar gli volse un breve cenno di saluto chinando appena il viso educato. «Salve Bulhuui.» lo stesso fece anche per lo Stratega posto accanto all'Ultra immortale «Uzhas.»
«Ciao.» mi limitai invece io senza di vista i movimenti e l'espressione dello Stratega.
Mezza nascosta tra i due uomini, Chika rivolse sia a me che a Ýrar uno sguardo nervoso ma anche visibilmente interessata.
La bocca di Uzhas si deformò maggiormente in un ghigno divertito. «Ciao anche a voi» fece «vi stavamo aspettando.»
«Lo so» affermai sicuro, tenendo il viso rivolto verso Bulhuui spostai soltanto lo sguardo su Uzhas abbozzando un sorriso perspicace. «Oltre a voi tre, io e Ýrar siamo gli unici presenti qui dentro, non era difficile capirlo.»
L'espressione esaltata e al tempo stesso interessata di Uzhas divenne ancor più marcata a quella mia frase.
Tra tutti i Liberatori presenti e non, lui era quello che meno sopportavo.
Tutto di quell'uomo mi gridava di non abbassare mai la guardia in sua presenza, specialmente quella sua odiosa espressione canzonatoria che ostentava quasi sempre e il suo sguardo a cui nulla pareva sfuggirgli. Con lui ogni volta era un continuo "sapevo che lui sapeva che io sapevo" che si prolungava all'infinito.
Come in questo caso: con la presenza di Chika sapevo perfettamente perché erano qui e lui sapeva che io sapevo. Ogni parola doveva essere ben calcolata e pensata con lui.
Per certi versi mi ricordava molto Supreme Dragon, solo più... inquietante. E subdolo.
Probabilmente notando lo sguardo famelico e beffardo dello Stratega, Bulhuui gli diede di nascosto una leggera gomitata al fianco per rimetterlo in riga prima di volgere la sua attenzione su di me. «Avremmo un piccolo favore da chiederti, Gabriele.»
Ecco infatti, l'avevo immaginato.
Al limitare del mio sguardo del mio sguardo vidi Ýrar alternare una rapida occhiata sia a me che a Bulhuui, a disagio. «Ecco... quindi allora io-io vado, d'accordo?» farfugliò. Era decisamente uno facile all'imbarazzo.
Annuii «Dì a Simon che più tardi farò un salto da loro.»
Lui assentì appena col capo «Okay... a dopo quindi» e prese ad allontanarsi in direzione del portone della mensa.
Tenendo i miei occhi puntati sui due adulti, attesi solo qualche secondo prima di riprendere a parlare «Volete che io faccia fare il giro del castello alla nuova arrivata, non è così?» terminai la frase sollevando un angolo della bocca in un sorrisetto scaltro e a col tempo previdente.
Bulhuui assentì col capo «Sì è così.» confermò, di colpo poi iniziò a grattarsi nervosamente la nuca spostando le sue iridi evitando accuratamente le mie. «Siccome tu sei l'ultimo arrivato prima di Chika abbiamo immaginato che tu possa essere l'unico a comprendere il suo stato d'animo attuale e quindi la persona più adatta per farlo sentire a suo agio con noi Liberatori...» osservai i suoi movimenti col sorriso immutato mentre parlava tutto d'un fiato.
Un altro evidente dettaglio che sottolineava la differenza tra Bulhuui e Supreme: Bulhuui era davvero pessimo a mentire.
Anche perché so che di regola spetterebbe al Responsabile tale compito in modo che lui e il suo nuovo protetto possano conoscersi meglio, ma so anche che possono esistere delle eccezioni; a me per esempio era toccato dovermi fare il giro del castello da solo. Dietro a questo c'era stato un motivo più o meno valido quindi il vero mistero era perché, tra tutti, dovevo essere proprio io ad accompagnare la nuova arrivata. Supposi potesse centrare la sua cara nonnina.
Mah, poco male. Avevo comunque intenzione di parlare con lei entro la fine della giornata, in questo modo mi avevano semplificato la cosa. E dalla faccia di Uzhas mi era più che evidente che l'avesse capito anche lui.
«E va bene!» feci quindi, vivace, interrompendo quanto stava dicendo Bulhuui. «D'altronde chi meglio di me può farle conoscere questo posto e i suoi segreti?» rivolsi quindi un'occhiata arguta a Uzhas il quale riuscì a intuire il significato completo della mia frase, come speravo.
Avevo modo di sospettare che ci fosse stato lo zampino suo e dell'altro Stratega, Magnes, nella decisione del non avermi voluto affiancare nessuno perché mi avesse potuto aiutare a orientarmi meglio all'interno del castello dopo che ero stato accettato come recluta tra i Liberatori. In questo modo, grazie a loro, avevo potuto trovare diversi passaggi segreti (e non solo) che, probabilmente, mi sarebbero stati più difficili da scoprire se fossi stato accompagnato da qualcuno e questo Uzhas sembrò capirlo molto bene, cosa che gli fece perdere parte di quel suo odioso sorrisetto e divertire me.
Infine però poi scoppiò all'improvviso in una risata fragorosa che fece sollevare un poco il mento. «Parlare con te ogni volta è uno spasso, mi rendi le giornate molto meno noiose!» riabbassò quindi il viso piegando la bocca in un orribile ghigno accorto, le palpebre abbassate solo per metà. «Peccato che tu sia ancora un giovane cucciolo immaturo, sarebbe stato ancora più divertente...»
Un brivido freddo percorse per intero la mia schiena ma non osai distogliere gli occhi dai suoi, neri con la sclera rossa e la pupilla bianca. Inquietanti.
Non lo sopportavo proprio.
«D'accordo Uzhas, puoi fare anche basta adesso.» il tono usato da Bulhuui non era per nulla alterato o quanto meno irritato, anzi pareva essere piuttosto tranquillo e pacato, tuttavia Uzhas si mostrò darsi una calmata al richiamo del suo capo. A quanto sembrava doveva essere l'unico in grado di tenere al guinzaglio quella sorta di lupo dannatamente spaventoso.
Intanto Chika restava a osservare tutta la scena e il recente scambio in silenzio con espressione abbastanza confusa.
Dopodiché Bulhuui tornò a guardarmi sorridendo lieto. «Ottimo quindi, allora vi lascio fare conoscenza.» voltandosi dandoci così le spalle fece segno allo Stratega di seguirlo «Su Uzhas, abbiamo degli impegni urgenti che ci aspettano.»
Infilandosi le mani, fatta eccezione dei pollici, dentro le tasche degli stretti pantaloni di jeans che indossava, Uzhas lo seguì. «Non ti starai riferendo ancora a quella serie...» chiese con un sospiro.
«Che significa quel tono? Ti ricordo che hai riso un sacco l'ultima volta.»
«Perché era divertente vedere quanto fossero facilmente manipolabili quei personaggi, se solo tra essi vi fosse qualcuno abbastanza acuto per riuscirci...»
«Stai dicendo che sono stupidi?»
«Quasi la totalità di essi sì, assolutamente.»
Le loro voci presero a farsi sempre più fiebili e le loro parole sempre più difficili da distinguere man mano che si allontanavano da noi finché non vennero coperte del tutto quando il portone di legno venne chiuso alle loro spalle, lasciando me e la nuova arrivata soli nella mensa.
Lei mi guardò con una sfumatura curiosa nel viso chiaro e delicato, vidi un leggero trucco rosso che formava una sottile linea nella zona delle palpebre più vicina alle ciglia finendo oltre l'occhio con la punta tendente verso l'alto. Aprì poi la bocca con l'intenzione di dire qualcosa, molto sicuramente un saluto o il suo nome.
«Prima di cominciare...» parlai all'improvviso bloccandola «durante il pranzo ho notato che lanciavi diverse occhiate fugaci a Magnes, ti sei per caso sentita ferita perché non ha votato a tuo favore?» dalla sua reazione dello stringere le labbra, distogliere lo sguardo e il lieve arrossamento delle guance, successive all'iniziale sorpresa, intuii che era proprio così. «Non stare a prendertela, nei Liberatori colui che porta al castello una possibile nuova recluta deve astenersi dalla votazione poiché è già di parte.»
A quelle mie parole, lei riportò le sue iridi marrone scuro, quasi nero, sulle mie fissandomi con attenzione. «Ah...» fu la sua risposta «perciò...»
«Avendoti portata lui qui al castello si è dovuto, per regola, astenersi al voto. Non ti ha voltato le spalle.» completai.
La ragazzina rimase per qualche secondo ancora a fissarmi senza dire una parola, come inebetita, ma immaginai che stesse semplicemente elaborando quanto le avevo appena detto. Infatti giusto poco dopo vidi i muscoli del suo viso rilassarsi mentre liberava un sottile sospiro di sollevato, allora tornò a guardarmi con un'espressione sinceramente impressionata ben leggibile nei suoi occhi scuri. «Sei un tipo acuto tu» commentò sorridendomi con un leggero accenno divertito.
Scrollai indifferente le spalle «Mi piace osservare.» Dopotutto l'osservazione è la base del metodo scientifico e le fondamenta della scienza stessa. Lo step successivo è il porsi le domande, mettere in dubbio tutto.
Annuendo come a volersi dichiarare d'accordo con le mie parole, allungò la mano sinistra tenendola nella mia direzione. «Mi chiamo-»
«Chika Ohayashi.» la interruppi ancora una volta, piegai un angolo delle labbra in un sorriso perspicace «All'Adunata hanno pronunciato abbastanza volte il tuo nome che è diventato un po' difficile non ricordarselo.»
Le sue guance tornarono ad assumere una leggera sfumatura di un rosa più intenso. «Sì ehm... beh immagino...» farfugliò imbarazzata.
Allungando anche la mia mano strinsi la sua che ancora mi porgeva «Gabriele.» le dissi, sorridendole affabile, presentandomi.
Lei ricambiò la stretta. «È il tuo cognome?» mi chiese poi abbassando il braccio.
Inarcai un sopracciglio perplesso «No, è il mio nome.» risposi abbozzando un debole sorriso incerto «Perché mai dovrei farmi chiamare con il mio cognome?» forse doveva trattarsi di un'usanza tipica giapponese quella di farsi chiamare per cognome e da come mi stava guardando stranita a quella mia frase direi proprio che era così. Scossi appena la testa come a dirle di lasciar perdere e le feci segno di seguirmi. «Dai vieni» le parlai tornando al mio solito tono spigliato.
La condussi verso la parete della mensa, rivestita di sottili assi di legno chiaro, opposta a dove erano state situate le finestre fermandoci di fronte al punto in cui era stata fissata una grande bacheca ricoperta quasi del tutto da una miriade di foglietti colorati. Tutti scritti a penna con una grafia semplice e chiara in modo che chiunque potesse leggerli con facilità.
«Visto che, fortunatamente, ci troviamo già in mensa, direi di partire da questa.» annunciai indicandole col capo la bacheca davanti a noi, anche se non ce n'era davvero bisogno visto da quanto era grande.
Chika alzò il viso per guardarla meglio aggrottando appena la fronte nel tentativo di leggere le scritte di alcuni foglietti fissati piuttosto in alto. «...Cos'è?» domandò.
Abbozzai un sorriso vispo. «Questa possiamo definirla, in un certo senso, una sorta di "Tabella delle regole temporanee del castello".»
Lei ribassò lo sguardo rivolgendomi un'occhiata confusa «Temporanee?»
«Già.» annuii vivace «In pratica tutte le tue bravate originali e degne di nota che commetterai qui al castello - se le commetterai - verranno trascritte qui sopra sotto forma di divieto o regola in maniera che non venga commessa un'altra volta, in special modo da chi l'ha fatta la prima volta. Almeno questo finché il diretto interessato sarà in vita, sempre che si ricordino di toglierla.» cercai di spiegarle in poche parole «Attualmente io sono arrivato a farne scrivere ben cinque.» sorrisi con un misto di orgoglio e divertimento mentre leggevo le due regole scritte su un foglietto color ocra appeso vicino bordo sinistro. Queste citavano: "Lo schermo e il computer presenti nella Sala del Consiglio di Guerra non sono adibiti per la visione di film o per giocare a dei videogiochi" e più sotto "Ricordiamo che le posate e soprattutto i bicchieri di vetro hanno come utilizzo solo e unicamente per bere e mangiare e non per costruire torrette di dubbia stabilità o riproduzioni abbozzate del castello in cui viviamo".
Da qualche parte poi, nascosto sotto a qualche foglietto colorato, c'era quella riguardante Etu, sempre un altro degli amici animali di Kaya, che comunicava il fatto che i gufi non sono adibiti a portare la posta. Un vero peccato a mio dire.
«Cinque? E da quanto tempo è che sei qui?»
«Un mese e mezzo, circa.»
Con la coda dell'occhio la vidi spostare le sue iridi scure su di me e fissarmi per una manciata di istanti in silenzio. «...Credo che tu non sia uno di quelli che gli altri definiscono come "ragazzo modello", vero?»
Sorrisi arguto «Diciamo che sono più il tipo che non gli piace essere legato al guinzaglio.»
Lei fece le spallucce. «Meglio così. Non mi sono mai andati a genio i cosiddetti "bravi ragazzi", troppo noiosi.» corrugò poi le sopracciglia in un'espressione confusa mentre leggeva delle righe scritte su un foglietto azzurro che aveva davanti «"Lista dei luoghi dove è non è consentito fermarsi a battibeccare", ma che razza di regola è questa?»
«Lo scoprirai fin troppo presto...» mi limitai a risponderle. Per sua sfortuna, probabilmente l'avrebbe capito già alla sua prima lezione con il suo Responsabile.
Lei aggrottò maggiormente la fronte tornando ad alzare il viso nel tentativo di leggere i foglietti posti più in alto. «Ma sono tantissime! Come si fa a saperle tutte?»
«Non puoi.» replicai con vivacità «Te memorizza solo quelle scritte nei foglietti bianchi, sono quelle considerate più importanti» le consigliai. In totale i foglietti bianchi presenti su quella bacheca multicolore erano soltanto quattro, ingialliti dal tempo. Le uniche regole non temporanee.
Diedi del tempo a Chika perché le potesse leggere senza fretta, dopodiché ci spostammo a sinistra dove era stata attaccata alla parete, mediante dei piccoli chiodi, una tabella molto più piccola e ben ordinata con i giorni della settimana scritti nella fascia verticale a sinistra e i tre pasti della giornata invece in quella in alto orizzontale. In ciascuna casella era stata applicata una sottile membrana di plastica trasparente che fungeva una specie di tasca in cui all'interno di ciascuna era stata infilata una piccola targhetta di rame con sopra incisi i nomi dei Liberatori che per questa settimana o la prossima sarebbero stati di turno in cucina.
A fianco alla tabella, posta sopra un alto sgabello di legno a quattro gambe, vi era una boccia di vetro grande quanto un pallone da calcio contenente tutti i nomi degli altri Liberatori incisi sempre su delle piccole targhette di rame.
Nella terzultima colonna orizzontale, legata al venerdì, le tre targhette segnavano i nomi di Hilda per la colazione, Ýrar per il pranzo e Kaya per la cena. Notai, con un certo disappunto, la targhetta con sopra il mio nome nella casella immediatamente superiore per il pranzo, avrebbero potuto avvertirmi.
«Un'altra cosa fondamentale da sapere per sopravvivere al castello è che qui non esistono servitori; i lavori di pulizia li si fanno tutti insieme, uguale per il cibo. Più o meno.» le indicai una casella presa a caso poggiandovi un dito sopra «Come puoi vedere si cucina a turni, alla fine di ogni cena Bulhuui, o uno Stratega, sorteggia tre nomi da quella boccia e li sistema nelle apposite caselle per la settimana seguente al posto di quelli precedenti.» spiegai «I Liberatori di turno per quella giornata devono cucinare per tutti i loro compagni un piatto tipico del suo paese.»
«E se qualcuno non sa cucinare oppure non ne è proprio capace?» domandò giustamente Chika.
Le rivolsi un'occhiata perspicace «Frana coi fornelli?»
«Abbastanza...» confermò lei abbozzando un lieve sorriso imbarazzato «L'unica cosa che so cucinare è il riso.»
Sorrisi vivace «Puoi farti aiutare da qualcuno se sei in difficoltà. Responsabile, compagno di stanza, amico... sei liberissima di scegliere chi vuoi, pure Bulhuui se non è troppo impegnato.» la rassicurai «Anche chi normalmente se la cava meglio in cucina spesso si fa dare una mano se la ricetta risulta un pelino complessa e poi se hai qualche problema a ricordarti il procedimento di un piatto» cosa molto probabile stando a quanto aveva detto «in biblioteca c'è una sezione apposta dove puoi trovare un sacco di ricette provenienti da tutto il mondo. Più tardi ti ci faccio fare un salto e te la mostro.»
La proposta però non sembrò entusiasmarla poi molto. «Passa pure» sospirò infatti «detesto i libri, preferisco mille volte i manga.»
Andrà allora molto d'accordo con Bulhuui. «Invece ti conviene andarci» insistetti io riprendendomi a muovermi stavolta in direzione della cucina, visto che eravamo già qui tanto valeva che gliela mostrassi già. «Se quello che mi hai detto sulle tue abilità culinarie è vero quelle ricette ti saranno estremamente utili.»
«E non c'è nessun altro giapponese tra voi Liberatori?» domandò speranzosa.
Ridacchiai ilare capendo subito quello che aveva in mente. «Nessuno, solo tu» cantilenai scherzoso. Lei sbuffò contrariata. «Su su non hai nulla di cui preoccuparti, non ti mordono mica i libri sai?» la schernii divertito.
«No, sono solo terribilmente noiosi da farti addormentare.» borbottò lamentandosi.
«Dipende, alcuni sì sono peggio di una ninna nanna, altri invece sono già molto più interessanti.»
«Bah, ci credo ben poco.»
Arrivando alla porta che dava accesso alla cucina la aprii facendoci entrare al suo interno e cominciai a mostrarle le varie zone più importanti di essa e delle sue tecnologie. Purtroppo, come avevo sospettato, Chika non riusciva molto del forno e della friggitrice, più un buon numero di altri elettrodomestici, perciò mi limitai a darle una spiegazione più superficiale e a indicarle dove si trovasse la dispensa.
Magari per la prossima settimana, profittando del fatto che sarei che sarei stato di turno per il pranzo, potrebbe essere saggio farla cucinare assieme a me (e magari anche Den, possiede delle buone conoscenze in ambito culinario) per farle vedere meglio il funzionamento di alcuni oggetti.
«Adesso dove andiamo, mia guida?» mi chiese Chika una volta che fummo usciti dalla cucina.
Sollevai appena un sopracciglio al quel "mia guida". «A fare un salto in camera mia, devo recuperare una... cosa.» non mi piaceva definire Bobby come un semplice oggetto ma dall'altra parte non era neppure considerabile come un essere umano o vivente e sapevo che per certe persone lui era solo un robottino dall'aspetto piuttosto adorabile (era quello che ripetevano Irawa e Livija, una fisica che lavorava al laboratorio, ogni volta che lo vedevano).
«A proposito di camere» feci passando a un altro discorso «immagino che Bulhuui o Magnes ti abbiano dato una chiave, giusto?»
Lei annuì «Sì» e tirò fuori da sotto il colletto del suo strano vestito un lungo cordino di cuoio scuro a cui era stata infilata una chiave. La tenne sollevata in modo che io potessi vederla bene.
Come quasi la totalità di quelle che giravano per il castello, era finemente decorata con motivi di piume e stelle. Il motivo utilizzato indicava a quale tipo di stanza dava accesso a una determinata chiave, in questo caso si trattava di una camera da letto. Nella zona dove la impugnava vi lessi il numero diciannove, lo stesso corridoio dove c'ero anche la mia.
«Stai attenta a quella chiave, non devi perderla mai.» l'avvisai «Chiavi e serrature sono state costruite da un Fabbro decenni fa in modo che ciascuna serratura potesse essere aperta unicamente dalla sua apposita chiave, scassinarle è impossibile. Credimi, le ho già testate.»
«Proprio un bravo ragazzo sei.» commentò Chika con un sorrisetto beffardo che giocava con le sue labbra.
«Il più bravo di tutti» scherzai sorridendo ilare «a infrangere le regole.»
Lei ridacchiò di gusto, divertita dalla mia battuta. Aveva una risata piuttosto simile a quella di Dri, solo un poco più acuta.
«Ad ogni modo vedi di starci davvero attenta alla tua chiave. Quelle riservate alle camere da letto, diversamente da tutti gli altri posti come il laboratorio e la serra, hanno un numero limitato di copie, se perdi la tua rischi di passare parecchie notti a dormire in mezzo al corridoio.» Per quanto riguardava l'infermeria, al contrario, il discorso era differente. Essendo priva di qualsiasi serratura, nel caso la porta frase chiusa poteva essere aperta solo dal tocco di un Liberatore. Questo per garantire un minimo di sicurezza ai pazienti che vi alloggiavano momentaneamente nel caso qualcuno volesse tentare a loro la vita.
«Cosa che immagino non si il massimo della comodità...» fece Chika rimettendosi immediatamente il laccio con la chiave nascosto sotto lo scollo del suo abito.
Le sorrisi beffardo «Puoi sempre provare.»
«No, non ci tengo grazie. Starò attenta alla mia chiave.»
Ridacchiai «Saggia scelta.» aprii la porta della mensa lasciando passare prima lei per poi richiudermela alle spalle non appena la ebbi sorpassata. «Sempre parlando di stanze» ripresi «ci sono dei posti qui nel castello dove è vietato entrare se non su permesso o invito di chi invece può accedervi.»
Una grossa e inaspettata parolaccia fuoriuscì di getto dalle labbra color ciliegia di Chika. «non ci posso credere, zone proibite anche qui? Ma che-» e continuò a imprecare pesantemente.
Durante il pranzo Den si era divertito a ipotizzare che la nuova arrivata dal viso, secondo lui, così carino e dagli abiti così eleganti fosse una ragazza piuttosto raffinata e dai modi molto gentili.
Ero davvero curioso di vedere la sua faccia in questo momento.
«Tranquilla» risi «non sono poi tante e la maggior parte hanno dei motivi abbastanza sensati del perché solo alcuni possono entrarvi.»
Lei interruppe il fiume d'imprecazioni che continuava ancora a rigettare fuori. «Davvero?» mi guardò dubbiosa.
Annuii «In totale sono quattro; le due torri più alte e una sala abbastanza grande che t'indicherò quando ci passeremo davanti.» elencai mostrando però il numero tre con le dita «La sala è riservata al Consiglio di Guerra dove possono entrare solo Bulhuui, gli Strateghi e alcuni rappresentati politici alleati con i generali dei loro rispettivi eserciti mentre per quanto riguarda le torri; in quella più distante da gran parte della struttura del castello è stato situato il laboratorio. Lì persino Bulhuui e Uzhas non poss-»
«Uzh-aaah... tu intendi Yōkai!» esclamò Chika all'improvviso interrompendomi.
Piegai appena il capo aggrottando le sopracciglia curioso. «Yōkai?...»
«Spiriti o creature solitamente spaventose della nostra mitologia. Così che abbiamo preso a chiamarlo in Giappone.» spiegò lei con scioltezza «Il tipo grigio e inquietante di prima intendo.»
«Un nome decisamente appropriato allora.»
Chika sorrise annuendo orgogliosamente «È quello che pensiamo anche noi giapponesi.»
Non rimasi sorpreso nel scoprire che Uzhas venisse chiamato in Giappone in un altro modo, talvolta capitava ad alcuni Ultra che il loro nome di battaglia venisse successivamente modificato da altre persone (spesso Normali) e che ci fossero dei posti o stati dove venivano chiamati con nomi diversi dal loro ufficiale che essi avevano scelto. Per esempio so che in alcuni stati del sud Africa e alcune zone dell'estremo oriente in Asia, Bulhuui veniva chiamato soltanto "Immortale".
Tuttavia questa era una cosa che accadeva davvero raramente.
«Dicevo comunque, nel laboratorio persino Bulhuui e Uzhas possono entrare solo con il permesso di chi ne possiede le chiavi» ripresi il discorso di prima «questo perché, per via di alcuni esperimenti e ricerche che sono presenti lì dentro, possono risultare un po' pericolosi per chi non possiede adeguate conoscenze in ambito scientifico. In quella più alta è semplicemente perché si trova la camera di Bulhuui.» Infine ci sarebbe poi il quarto luogo che avevo volutamente omesso dall'elenco; una piccola zona situata nei sotterranei, vicino a dove si trovavano le palestre, riservate alle sole spie.
Accanto a me sentii Chika emettere un breve risolino. «Nella torre più alta del castello, eh? Non è il posto dove di solito vivono i cattivi delle vostre fiabe?» commentò canzonatoria.
Piegai la bocca in un abbozzo di un sorriso acuto. «Di norma...» in alternativa vi rinchiudevano qualcosa o, molto più spesso, qualcuno. «Nel caso di Bulhuui è perché semplicemente in quel punto ha una una connessione più veloce con la rete.»
«Connessione? E per far che?»
«Guardare gli anime.»
Chika mi guardò aggrottando appena la fronte. «Ah...» mormorò «sta già cominciando a piacermi il vostro capo.»
«L'avevo già immaginato nel momento in cui mi avevi detto che preferisci i fumetti.»
«Eeeh... tra otaku ci si intende!» dichiarò lei esibendo un sorrisetto sagace.
Otaku? Tenendo conto del contesto in cui l'aveva utilizzata, forse si trattava di una parola giapponese che indicava coloro appassionati di fumetti e anime.
Certo che però quella cel Giappone è una cultura davvero bizzarra. I -chan e i -san che mettevano alla fine dei nomi, il fatto di farsi chiamare per cognome, gli inchini a caso... veramente bizzarra. Però pareva anche essere abbastanza interessante.
Notai comunque, soddisfatto, che non aveva fatto per niente caso che le avevo elencato solo tre dei quattro luoghi proibiti elencati.
La stanza riservata alle spie era l'unica zona priva di passaggi segreti per accedervi.
Anzi, mi correggo: qualcuno ce ne era, due per di preciso, ma entrambi ostruiti con grande cura. Io ero riuscito a scoprirla solo per merito del mio spirito di osservazione e alle conversazioni origliate con l'ausilio di Konny e del mio auricolare, più naturalmente un immancabile pizzico di logica.
«Posso chiederti una cosa?» domandò infine Chika cambiando discorso.
«In questo momento io ti sto facendo da guida per il castello, se non rispondessi alle tue domande sarei davvero inutile in questo compito.»
«Oh aehm... sì giusto» concordò Chika muovendo nervosamente le labbra, doveva essere quello il suo segno rivelatore quando si sentiva in imbarazzo o a disagio. «Hai ragione...»
«Ovviamente però dipende anche dal tipo di domande che mi farai.» preferii avvertirla in anticipo.
A quella mia frase lei mi guardò per qualche istante, titubante, prima pormi la sua domanda «Che cosa sono gli Strateghi?»
Muovendo solo le iridi le rivolsi un'occhiata attenta, davvero non sapeva nulla degli Strateghi? Chiunque fosse stato un Liberatore o avesse avuto legami con essi sapeva esattamente chi erano. «Che cosa ti ha raccontato tua nonna?» le chiesi quindi osservandola.
Chika sollevò il capo portandosi pigramente le mani dietro la testa e sospirò «Solo di alcune sue avventure in quanto Liberatrice quando era ancora giovane e qualche storiella interessante, ma nient'altro di più.» strinse poi le labbra abbassando di poco le gli occhi «Lei non... non è esattamente una che ama parlare molto...»
Assottigliai lo sguardo sempre continuando a scrutarla. "Qualche storiella interessante"? Mi chiesi di quale genere di storiella si trattasse, anche se in realtà cominciavo ad avere i miei sospetti, compreso il perché fossi stato scelto proprio io a farle da guida per il castello.
Mah, in ogni caso era meglio procedere per gradi e scoprire di più sulla sua amata nonnina.
Nel frattempo pensai che fosse più sensato far iniziare la spiegazione riguardante gli Strateghi fin dalle basi. «Allora credo sia meglio partire spiegandoti la questione dei Livelli.»
«Livelli?» fece Chika attenta.
«Ciascuna persona che vive in queste mura appartiene a un determinato Livello, te compresa.» presi a spiegarle «Quello in cui ti trovi ora potremmo definirlo una sorta di Livello Zero; non sei ancora una Liberatrice, l'Adunata e quel voto di prima servivano solo per accoglierti come nuova recluta o novizia - scegli tu il termine che più ti aggrada - non come membro effettivo e finché rimarrai a questo Livello sarai un po' limitata su alcune faccende come la partecipazione alle Adunate o l'accesso di alcune palestre e zone senza l'accompagnamento di qualcuno di più superiore.» passando vicino al corridoio che dava sul cortile interno rivolsi un'occhiata alle finestre e vidi che stava ancora nevicando fitto, i segni dei pneumatici del camioncino di stamattina erano già scomparse da diverse ore come non ci fosse mai stato. «Per salire al Primo Livello, e diventare quindi un Liberatore, è necessario passare un test.»
«Un test? Che genere di test?» domandò Chika con una leggera e mal celata, ma comunque ben udibile, agitazione nella voce. Sapendo del suo pensiero verso i libri e osservando questa sua reazione, non doveva essere stata una gran cima nello studio.
Tornando a volgere un breve sguardo su di lei le sorrisi vispo «Sai combattere, giusto? Allora è praticamente certo che nel tuo caso si tratterà di portare a termine una determinata missione con successo.» le risposi parlandole spigliato. Immaginando quale sarebbe stata la sua domanda successiva proseguii «Il tipo di missione affidata varia da persona a persona e, soprattutto, in cosa gli Bulhuui e gli Strateghi ritengono possa essere utile ai Liberatori.» nella mia, per esempio, a parte l'obbiettivo finale mi era stata data completamente carta bianca. Avevo potuto scegliere in totale libertà come muovermi e chi portare con me, l'importante era che alleggerissi la Wells Fargo di qualche milione di dollari e li trasferissi sul conto dei Liberatori. «Invece il modo per accedere al Secondo Livello cambia in base all'età del Liberatore in questione, anche se c'è comunque sempre di messo il tempo.»
Intanto che seguivo a spiegarle il modo in cui erano organizzati i Livelli, giungemmo in un'ampia sala dipinta di un delicato color crema rendendola sufficientemente luminosa ed era molto più alta rispetto al corridoio da dove eravamo appena usciti. Alcuni quadri che ritraevano gli antichi padroni del castello, con addosso i loro buffi e scomodi abiti della loro epoca, abbellivano le pareti assieme alle vecchie fotografie di Liberatori che avevano vissuto nell'edificio negli anni precedenti. Di questi ultimi quasi nessuno pareva essere stato fotografato in pose solitamente definite come normali (qualcuno di essi era stato immortalato mentre si abbuffava di cibo).
Un'enorme ed elegante scala di marmo si alzava maestosa alla nostra sinistra, rivolta però verso il grande portone di ebano scuro e ferro che fungeva da ingresso principale del maniero, andando poi a dividersi in altre due più strette le quali portavano entrambe al piano immediatamente superiore a quello terra, in cui trovavamo attualmente noi. Un grande lampadario di cristallo, che sovrastava sulle teste di chiunque mettesse piede nel salone d'ingresso, assicurava la luminosità interna della sala nelle ore successive a quando il sole spariva dietro le montagne, e visto il periodo dell'anno in cui eravamo non mancava poi moltissimo.
Un gruppetto di tre uomini stavano in quel scendendo gli ultimi gradini con passo tranquillo chiacchierando spensierati tra loro.
Portavano tutti e tre un paio di pantaloni e giacca molto pesanti con tanto di sciarpa per coprirsi il collo, un paio di grossi scarponi avrebbero tenuto al caldo i loro piedi per un po' più di tempo diversamente dalle scarpe normali. Il secondo per stazza e altezza del gruppo, i suoi lungi capelli castano-biondi legati in un'unica treccia che lasciava dondolare dietro la schiena, si divertiva a farsi girare attorno all'indice destro un anello a cui era legata una chiave che riconobbi essere quella del garage con il grosso giardiniere Vladimir a fianco a lui che reggeva sulla spalla due accette. Fin troppo semplice fu intuire dove stessero andando e a fare che cosa.
Non appena i tre videro me e Chika ci rivolsero un caldo saluto. Quando ci passarono accanto quello più vicino a noi, un uomo sui trent'anni e di bell'aspetto dalla carnagione olivastra con i capelli neri tagliati corti e le iridi scure, allungò una mano sulla mia testa scompigliandomi, con mio disappunto, i capelli in un gesto affettuoso prima di seguire i suoi amici. Nulla valsero le mie proteste per ogni volta che me lo faceva.
«Chi sono loro?» mi chiese, una volta che si furono allontanati, Chika curiosa guardandoli aprire con facilità le pesanti porte di legno. Come per l'infermeria, essendo anche queste prive di serratura, si aprivano soltanto se toccate da un Liberatore. In questo modo si evitava che persone non autorizzate o con loschi intenti potessero penetrare all'interno del castello, geniale no?
«Quello grosso che portava le due accette è Vladimir, un simpatico giardiniere, mentre quello con la treccia si chiama Shaun e l'altro è Thiago. Sono tipi a posto.» passandomi una mano sulla testa me la sfregai un poco nel punto dove Thiago mi aveva scompigliato i capelli. Fuori si udirono nuovamente il suono dei rintocchi delle campane che annunciavano l'ora, ne contai circa quattordici. «Gli ultimi due sicuramente li conosci più coi nomi di Warrior e Voluntad. Di qua.» aggiunsi poi facendole cenno verso la scala mentre mi avviavi verso di essa cominciando quindi a salirla.
Lei, lanciando un'ultima occhiata nel punto dove il terzetto era scomparso oltre la porta, tornò infine a spostare la sua attenzione verso le scale raggiungendomi con le iridi che brillavano eccitate. «Davvero il tizio con la treccia era Warrior?»
«Così ho detto.» confermai appoggiandomi con la schiena sul corrimano di marmo delle scale e le mani in tasca, una decina di gradini mi separavano dal lucido pavimento bianco.
Da quella mia posizione vidi l'espressione sul viso di Chika esaltarsi ancora di più. «Non ci credo...» sussurrò al settimo cielo «Lui è una vera star in Giappone, tutti lo adorano! Lui e il suo incrollabile senso dell'onore!»
Ooh, capisco. Era piuttosto naturale allora che fosse tanto popolare in Giappone, una volta Shakoma, nei suoi rari momenti in cui accennava qualcosa del suo passato o del suo paese natio, mi aveva detto che, anche se i temi erano un po' cambiati, la questione dell'onore era sentita ancora molto forte da loro rispetto che qui da noi in occidente. «Posso ben immaginarlo» abbozzai un leggero sorriso perspicace «dopotutto so che Shaun ha lasciato gli Eroi proprio perché, dopo aver scoperto certi loro affari sporchi, non poteva sopportare di far parte di qualcosa che macchiasse così tanto il suo onore e i suoi principi.» forse era stato proprio grazie questi che era riuscito a fare colpo su una con il carattere di Hilda.
«Sul serio?» strepitò Chika entusiasta.
«Me l'ha raccontato lui stesso.» assicurai continuando a sorridere tranquillo e mi staccai poi dal corrimano riprendendo a salire i gradini. «Dai, proseguiamo il giro?»
Chika parve riprendersi dal suo momento di adorazione verso Warrior e assentì. «Oh sì, certo.» affrettando il passo mi fu subito al mio fianco «Cosa stavi dicendo prima sul Secondo Livello?»
«Nulla di troppo complesso.» affermai con tono rilassato «In sostanza per i Liberatori che hanno già superato già superato la maggior età accederanno al Secondo Livello dopo che saranno passati tre o quattro anni dalla sua entrata ufficiale nei Liberatori invece per chi sarebbe ancora un minore questo accadrà solamente quando saranno diventati maggiorenni. L'anno scorso, tuttavia, è stato deciso di abbassare l'età di passaggio ai diciott'anni.»
«Sul serio? E come mai?» chiese lei cercando di starmi al passo, con quei buffi sandali di legno che aveva ai piedi non doveva essere tanto facile. «Intendo la parte dei diciott'anni.»
«Per gli Ultra i Livelli assumono un'importanza equivalente ai gradi militari dell'esercito. Più il Livello è basso, meno autorità questi possiedono sul campo di battaglia e nei Liberatori quasi la totalità dei minorenni sono Ultra.» Ezra infatti rappresentava l'unica eccezione del nostro gruppo «In un certo senso si potrebbe praticamente associare il Secondo Livello all'esperienza, solo che adesso con la guerra gli Ultra tendono ad accumularne una quantità già sufficiente molto più in fretta rispetto a prima la limitata autorità imposta dal Primo Livello è risultata essere un tantino stretta.»
«Uhm... sì, la cosa ha effettivamente senso.» concordò Chika pensosa «E ci sono altri Livelli oltre a questi?»
«Sì uno, il Terzo.» risposi semplice.
Chika soffiò sollevata «Oh bene, temevo che ce ne fossero troppi...»
«Troppi Livelli generano confusione, ne bastano pochi ma giusti.»
«E questo Terzo Livello come sarebbe? Come si fa a raggiungerlo?»
«Se il Primo Livello lo si ottiene con un test mentre il Secondo con il tempo, per il Terzo il discorso è completamente diverso.» volgendole un'occhiata vivace le sorrisi abile «Prima ho detto che, per certi ersi, il Secondo Livello lo si potrebbe associare all'esperienza, giusto?»
«Sì...» fece lei lanciandomi uno sguardo torvo «giusto pochi minuti fa...»
Ridacchiai ilare, me l'ero aspettata una reazione simile «Vero.» arrivato al corto pianerottolo, anch'esso in marmo, che univa la prima e larga scala con le seconde più strette che conducevano nelle due parti opposte, punta dritto in quella che avevo di fronte. «Comunque il Terzo lo si potrebbe invece collegare alla maturità.» con la coda dell'occhio osservai Chika guardarmi attenta mentre mi seguiva per gli scalini accompagnata dal suono acuto dei suoi sandali duri che poggiavano sul marmo. «Un Liberatore di Terzo Livello possiede una particolare maturità mentale e intelligenza che gli consente di essere da guida del gruppo di sottoposti o compagni a cui è stato messo a capo. È così che lo si ottiene, per merito. Inoltre quelli del Terzo Livello sono poi anche gli unici ad avere l'autorizzazione di poter avere un Protetto sotto la propria ala.»
«Quindi il mio... Responsabile giusto? Ecco lui allora appartiene al Terzo Livello, è corretto?» domandò Chika tentando di comprendere tutto quanto le stavo rivelando riguardante i Livelli.
«È corretto» annuii confermando le sue parole.
Anche lei assentì meccanicamente col capo come se avesse immaginato la mia risposta (che poi non c'era molto da indovinare avendoglielo spiegato io stesso meno di mezzo minuto fa). «E tu invece a quale Livello appartieni?» mi domandò poi, curiosa «Sei anche tu di Livello Zero come me?»
Scossi la testa «No, Primo Livello.» da ieri sera.
Lei mi fissò sorpresa «Davvero?» mormorò sinceramente impressionata «Wow... così piccolo e sei già un Liberatore? Accidenti, devi essere in gamba!»
Sbattei un paio di volte le palpebre confuso «Così picc-» mi bloccai a metà della seconda scalinata con un piede appoggiato sullo scalino successivo e guardai Chika assottigliando un poco gli occhi stizzito. «Quanti anni credi che io abbia?»
In circa due o tre gradini più in basso, lei piegò la testa da una parte aggrottando la fronte pensierosa «Uhm... undici?» tentò «Dodici? Di certo sei più piccolo di m-»
«Tredici» la interruppi bruscamente correggendola «Quattordici tra qualche mese.»
Rimanendo immobile nella sua posizione, come congelata, vidi le sue guance assumere una tonalità più intensa e calda di rosa per l'imbarazzo.
«Li porti bene.»
«Non sono mica un vecchio.»
Passarono una manciata di secondi di silenzio dove nessuno di noi due mosse un muscolo.
«Scusa, ma quanto sei alto?» provò a domandarmi lei con interesse.
«Proseguiamo col giro.» evitai invece io volutamente la domanda riprendendo a salire.
Terminammo di percorrere l'altra metà dei gradini che ci dividevano dalla fine delle scale e ci addentrammo in uno dei tanti corridoi che ci avrebbe condotti all'ala ovest dove erano situate le camere da letto del castello.
«Comunque...» parlò Chika ritornando a camminarmi a fianco «come faccio io a capire a quale Livello appartiene un Liberatore?»
«Non puoi» risposi semplice «Almeno fino a quando sei qui al castello» superato un breve passaggio privo di finestre ricoperto da una carta da parati una volta vermiglia, ora piuttosto scolorita, ci ritrovammo subito in altro corridoio però più lungo e molto più illuminato grazie alle grandi vetrate che costeggiavano a tratti il lato rivolto a est, affacciato sul cortile interno. «I Livelli dal Primo al Terzo acquisiscono la loro effettiva importanza soltanto sul campo di lavoro del Liberatore in questione. Se sei un medico il tuo Livello, qualunque esso sia, avrà valore solo quando stai lavorando in infermeria così anche per chi lavora nella serra, nel laboratorio, nell'atelier e sul campo di battaglia per noi Ultra. In quei casi vedrai il numero del Livello di appartenenza cucito in un punto abbastanza visibile nei vestiti.»
«Capisco.» disse soltanto Chika annuendo «Perciò quindi al di fuori del proprio lavoro si è tutti allo stesso livello e importanza.»
Mossi il capo assentendo «Da quel che ho potuto apprendere sul... nostro capo» mi faceva ancora un po' strano chiamarlo così «Bulhuui non apprezza molto chi approfitta della propria posizione a danni di altri e perciò tiene molto a evitare che possa accadere qualcosa di simile ai suoi amati Liberatori. È uno stracavolo di sognatore utopico in poche parole.» parlai con tono leggero. Le rivolsi quindi un'occhiata sagace sogghignando appena «Lo stesso discorso non vale però per gli Strateghi.»
Le sopracciglia di Chika si incurvarono perplesse «Cioè?»
Riportai lo sguardo davanti a me soffiando, quasi impercettibilmente, perspicace. «A differenza di tutti gli altri Liberatori, gli Strateghi portano tutata su una parte del corpo a loro scelta il simbolo del loro grado, in questo caso una "esse"» spiegai. Passando vicino alla camera di Kaya udii la voce della mia responsabile impegnata a litigare con qualcuno, dagli insulti utilizzati capii che si trattava di Timoti. «Rispondendo ora alla tua domanda iniziale sugli Strateghi; in poche parole, se Bulhuui rappresenta la spina dorsale che sostiene e lega i Liberatori, gli Strateghi ne sono invece la mente.»
Oppure, se dovessi invece paragonare i Liberatori agli scacchi Bulhuui sarebbe indubbiamente il re mentre gli Strateghi la regina.
«Oh... immagino quindi che devono essere piuttosto importanti» mormorò Chika.
«Abbastanza» confermai «Loro sono gli unici, Bulhuui a parte, a mantenere l'importanza del loro grado anche al di fuori del loro campo di lavoro.»
«E come si fa a diventare Stratega?»
«Desideri diventarlo?» la provocai sottile abbozzando un sorriso scaltro.
Lei prese subito ad agitarsi, tentennando. «Ehm i-io? No-non lo so... cioè, sì chissà... penso che sarebbe molto figo esserlo...»
Uhm... sembra essere un argomento un tantino complesso per qualcuno questo, eh? Qui gatta ci cova.
«Solo le menti estremamente acute e con grandi capacità strategiche possono diventarlo» dissi mantenendo un tono rilassato «sono davvero in pochissimi che possiedono le carte giuste da poter essere scelti come futuri Strateghi e non pensare che per loro la vita sia poi così semplice o magari che l'abbiano voluto, so di alcuni che erano stati adocchiati come possibili candidati per i prossimi Strateghi ancora prima che questi potessero avere la possibilità di scoprire anche solo la struttura dei Livelli.» dichiarai decidendo però di rimanere sul vago per quanto riguardava l'ultima frase. Infine rallentai il passo fino a fermarmi di fronte a una porta in legno di frassino con la maniglia in ottone, una targhetta di forma ellittica del medesimo metallo era fissata in alto e vi era inciso sopra il numero ventidue. «Qui» feci indicando l'uscio alla nostra sinistra a Chika.
Lei si scostò indietreggiando di un passo per farmi passare. Io mi avvicinai alla porta e, trovandola solo socchiusa, l'aprii spingendola soltanto un poco senza avere il bisogno di tirare fuori la chiave.
Come immaginavo, trovai Den seduto a gambe sopra il morbido tappeto color ocra, che rivestiva parte del pavimento in parquet, chino su un fucile sul quale stava in momento lavorando, pulendolo, mentre mormorava il ritmo di una canzone che stava ascoltando dalle cuffie del mio walkman. La finestra con gli scuri tirati ora completamente su, situata sul lato opposto a dove si trovava la porta, illuminava le pareti color panna della camera. Notai come il letto del mio compagno fosse totalmente in disordine, pareva che ci avesse combattuto qualcuno lì sopra, con suoi vestiti buttati sparsi sulla sua coperta blu scuro assieme al maglione bucato che aveva addosso oggi a pranzo.
Vedendolo girato di schiena feci segno a Chika di non fare rumore e mi avvicinai quindi a lui in silenzio fino ad arrivargli alle spalle, allora chinandomi presi la cuffia destra scostandogliela dall'orecchio mentre con l'altra mano puntai l'indice sulla sua base del collo e sussurrai «Paw!»
Den drizzò di scatto la schiena e si girò con velocità abbastanza sorprendente. Il tocco freddo della canna di una pistola premeva ora contro la mia fronte, un debole click mi avviso che la sicura era stata tolta.
«Ma porca...» sospirò poi Den imprecando intanto che abbassava l'arma non appena mi ebbe riconosciuto, i muscoli del suo corpo si rilassarono all'unisono. «Sei tu Briel...»
Sorrisi vispo «Thiago sarebbe felice per la tua prontezza di reazione» lo salutai parlandogli con tono tranquillo come se non avessi avuto, anche solo per pochi secondi, la sua pistola puntata contro la mia destra. Piegai poi il viso da un lato guardandolo con espressione abile e rilassata «peccato che in ogni caso saresti comunque già morto.» dichiarai per facilità con la quale l'avevo sorpreso.
«Potevi esserlo tu per davvero se avessi premuto il grilletto!» strepitò Den voltandosi del tutto verso di me e abbassandosi le cuffie, senza però premurarsi di fermare l'audiocassetta che stava ascoltando in quel momento. Con un abile ed esperto movimento, fece roteare su un dito la pistola per poi rimetterla nella fondina che portava legata alla cintura da cui l'aveva estratta prima. «Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Sei quasi sempre con la guardia abbassata, sorprenderti è facile!» esclamai vivace «E poi non mi avresti mai sparato;» aggiunsi in seguito rimettendomi in piedi e infilai di nuovo le mani dentro la tasca della felpa mentre sorridevo a Den perspicace «tu non sei per niente per niente il tipo che preme il grilletto contro il primo malcapitato, anche se ti è appena comparso dietro alle spalle. Sei ben conscio del valore che possiede la vita.» Senza contare poi il fatto che ci trovavamo al castello, luogo che le nostre menti avevano registrato come sicuro inducendo quindi, a livello inconscio, al nostro fisico uno stato di relax consentendoci di conseguenza di ragionare con maggior lucidità. Al contrario, situazioni di forte stress tendono a farci agire in maniera più impulsiva a causa della tensione normalmente generata dalla rabbia o, più spesso, dalla paura.
Ecco perché è importante non lasciarsi condizionare troppo dall'emozioni e mantenere sempre invece la mente lucida.
Den si passò una mano tra i capelli raccogliendo le poche ciocche che gli erano scivolate sulla fronte e riportandosele all'indietro. «Modestamente...» disse con un sorriso che aveva ben poco di modesto alzandosi quindi in piedi. «So di essere un ragazzo molto responsabile quando voglio.»
«Appunto, quando vuoi» lo canzonai scherzoso «cioè mai.»
Lui storse la bocca con disappunto ma spostò poi lo sguardo oltre le mie spalle assumendo quindi un'espressione più interessata. Sapevo cosa, o meglio chi, avesse visto. Infatti presto increspò le labbra in un sorrisetto divertito «Vedo che sei in dolce compagnia» fece con evidente malizia guardando verso Chika che era rimasta appena oltre l'entrata della nostra camera, dopodiché tornò a volgere l'attenzione su di me, beffardo. «Non avrei detto che di lei l'unica cosa che t'interessav-»
Gli pestai rapido il piede senza alcuna esitazione.
«-AHI!» protestò dolorante.
«Bulhuui mi ha incaricato di farle da guida per il castello.» esposi in breve con tono pacato «Non farti strane idee.»
Diamine, ma che gli saltava in mente di dire proprio quella cosa? Se Chika dovesse insospettirsi sulle mie possibili intuizioni c'era il rischio che si chiudesse quindi a riccio e allora... addio informazioni.
Fortunatamente non parve dare segni di aver sentito.
Feci segno a Chika di avvicinarsi «Vieni pure, non temere» le assicurai, col pollice indicai poi il ragazzo vicino a me «sto qui sarà pure idiota ma è un'idiota degno di fiducia, a meno che tu non sia un ragno o una vespa sotto mentite spoglie dubito fortemente che possa farti del male.» preferii aggiungere immaginando che avesse visto la scena della pistola.
Come a dare conferma alle mie parole, Den rabbrividì assumendo una faccia schifata «Quelle orribili zampette...» sibilò «bleah... disgustosi!»
«All'elementari io avevo un ragno domestico» intervenne Chika raggiungendoci «era un ragno vespa, l'avevo chiamato Rui.»
Sia io che Den ci zittimmo voltandoci a guardarla. «Ragni come animali da compagnia» abbozzai un sorrisetto ironico «questa sì che mi è nuova!»
«Eeeww... che schifo!» fece invece Den squadrando la ragazzina come se ci fosse una di quelle creature che tanto detestava sulla sua testa.
Lei alzò le spalle «A quanto pare lo stesso doveva essere per mia zia, l'ha ucciso con una ciabatta non appena lo ha visto.»
Fischiai «Drastica.» fu il mio commento «Ha strillato?»
«Non ne hai idea...» sospirò «per un attimo avevo davvero temuto di diventare temuto di diventare sorda.»
«Nah credimi, ne ho un'idea eccome» affermai ricordandomi con una smorfia di certi strilli che era in grado di lanciare Yen «anche fin troppo chiara.»
Con una breve scrollata di spalle ricacciai indietro i ricordi riguardanti il mio vecchio Blocco. «Non vi ho ancora presentati;» cambiai discorso e mi volsi un poco verso il mio compagno di stanza «Deen, lei è Chika» dissi facendo cenno col capo alla ragazzina «Chika, lui è idiota Denis.»
«Ehi!» protestò lui.
«Piacere di conoscerti, Idiota Denis» lo salutò lei stando al gioco piegando un poco il busto in un lieve inchino.
Vedendo l'espressione scontenta del ragazzo emisi un sottile verso di scherno. «Piuttosto Den...» rivolsi un'occhiata sagace nella sua direzione «quelle lì non sono per caso le mie cuffie?» gli domandai retorico indicandogli con un cenno le cuffie nere che teneva ora al collo.
Non appena io ebbi pronunciato la frase "mie cuffie", Den si irrigidì appena e prese a mostrarsi improvvisamente impegnato a pulire una lente dei suoi occhiali con il tessuto della camicia a quadri gialla e grigia infilata sotti i bordi dei pantaloni di jeans a cui erano stato effettuati degli strappi all'altezza delle ginocchia. «È una tua impressione» dichiarò tentando, piuttosto inutilmente, di salvarsi con quell'insulsa bugia.
Sollevai un angolo delle labbra in un sorriso scaltro «Come lo sono anche le note di Peneatus che sento provenire dalle cuffie?» parlai sarcastico «E non pensare che prima io non abbia riconosciuto la melodia di Hole In My Life che stavi canticchiando.»
Den sbuffò scocciato «tu non me le presti mai.»
«Non è esatto» lo corressi «le cuffie sono disposto a prestartele a patto però che tu me ne chieda prima il permesso, è l'audiocassetta dei Police che non voglio che tu vada attorno.»
«Ma perché? Sono fantastici!» protestò Den mostrandosi scontento.
«Motivi miei personali» liquidai aggiungendovi una breve e incurante alzata di spalle. D'accordo potevo sembrare un po' infantile ma quell'audiocassetta era il regalo di natale che mi aveva fatto Dri quest'anno, ero piuttosto geloso di essa e ci tenevo che non si danneggiasse. «Se vuoi possiamo ascoltarla alla radio più tardi stasera,» incurvai le labbra in un sorrisetto sottile «tanto credo che neppure tu rimarrai qui in camera oggi pomeriggio.»
«Come hai fatto a capirlo?» domandò lui con esaltazione.
Il suo entusiasmo, talvolta fin troppo sincero o eccessivo, che manifestava ogni volta in queste occasioni era un qualcosa che mi sorprendeva sempre. Gli risposi facendo semplicemente col capo al fucile da cecchino appoggiato contro il bordo di legno della nostra scrivania sistemata attaccata alla parete a sinistra color panna opposta a dove stavano i nostri letti, un paio di anfibi scuri si trovavano fuori dalla nostra piccola scarpiera e accasciati l'uno sopra l'altro poco distante da dove era stata riposta l'arma. «Vai con Simon e gli altri» affermai naturale.
«Eeeeesatto!» esclamò Den allegro piegando quasi tutte le dita verso il palmo della mano meno l'indice e il pollice di entrambe le mani, che lasciò invece ben distese, e indicandomi con i primi aprendo le labbra un'espressione ammiccante, come se fossi stato davvero bravo a indovinare.
Inclinai un poco la testa da una parte accennando un leggero sorriso a quella sua reazione. Indovinare quali fossero i suoi piani per questo pomeriggio non era nulla di complesso; Simon stesso mi aveva parlato della sua idea di andare al poligono dopo pranzo con tutto il gruppo e il fucile da cecchino che Den aveva tirato fuori più le fondine con tanto di cartucce che portava legati alla cintura di pelle che indossava lasciavano adito a ben pochi dubbi. Con queste semplici informazioni in mio possesso giungere alle corrette conclusioni era più facile di bere un bicchiere d'acqua.
Un'ombra si soffermò poi sul volto di Den spegnendone il sorriso. «Aspetta, ma prima hai detto che Bulhuui ti avrebbe incaricato di fare a Viso di Bambolina-»
«Mi chiamo Oha-» fece per correggerlo Chika fermandosi per qualche istante come se avesse improvvisamente cambiato idea su qualcosa. «Chika» terminò quindi infine.
Den però ignorò bellamente la correzione della ragazzina proseguendo «-il giro del castello, come mai allora sei qui in camera?» dopodiché aprì la bocca in un ampio sorriso borioso «Uuuh, ho capito!» esclamò gioviale «Se non l'hai voluta portare qui per fare colpo tu su di lei allora l'hai portata perché io la conoscessi!» si passò quindi di nuovo una mano tra i capelli portandoseli all'indietro in un'espressione sfacciata dicendo «D'altronde io stesso ti avevo fatto intendere quanto fossi davvero curioso di conoscer-»
«Sono passato a prendere Bobby.» lo superai con passo disinvolto raggiungendo lo scaffale dove avevo messo a caricare il mio fidato aiutante. Ovviamente lo trovai chiuso a uovo, spento, già totalmente caricato.
«Chi è Bobby?» fece Chika, curiosa, dietro di me.
Afferrai delicato l'uovo di bronzo tenendolo con la punta all'ingiù e mi girai verso i due Ultra mostrandolo così a Chika. Sogghignai acuto «Buongiorno Bobby.»
Quasi come per una magia, cosi almeno pareva apparire a Chika a giudicare dalla sua espressione, a quelle mie parole le varie parti che componevano l'uovo si staccarono in due braccia, gambe e una testolina robotica sollevandosi in maniera autonoma in piedi e aprendo gli occhi composti da due piccoli fanaletti azzurri.
Appena attivato, il robottino girò la sua testolina in direzione dei due Ultra di fronte a me sbattendo un paio di volte le sue "palpebre" di metallo, due piccole lamette di bronzo sottile per ciascun occhio, pe meglio mettere a fuoco le persone che aveva davanti. «Ciao Den.» parlò voltandosi verso Denis, ignorando invece del tutto Chika «Noto che sei in ottima forma come sempre.»
«Grazie Bobby!» rispose Den sorridendogli con esuberanza «T sì che sei gentile!» commentò poi scoccandomi un'occhiata piuttosto eloquente.
Alzai brevemente le spalle «Io son solo sincero.» ribattei tranquillo.
«Buongiorno Gabri.» disse Bobby girandosi del tutto dalla mia parte.
Inarcai appena un sopracciglio guardando ironico il mio piccolo aiutante, che ancora poggiava sopra il mio palmo. «Ah, ora mi salut-»
«Da una rapida analisi del tuo viso mi è possibile riconoscere segni che mi comunicano come tu abbia dormito poco e male. Inoltre la ferita che hai al petto sembra ancora farti abbastanza male, anche adesso.» snocciolò Bobby con la stessa fluidità con cui aveva pronunciato il saluto precedente a Den.
Piegai un angolo delle labbra in un sorriso tirato. «Tranquillo... passare in infermeria era già tra i miei piani di oggi...» gli dissi cercando di rassicurarlo e alzai allora lo sguardo oltre il robottino in direzione di Chika.
Questa era ancora impegnata a fissarlo tenendo la bocca aperta in un'espressione scioccata. «Ma è davvero un robottino!» strepitò infine «Per gli dei, è carinissimo!»
Ma perché insistono tutti a definirlo solo come carino? È un robot, non è stato costruito per essere carino ma perché possa essere utile alle persone. Me principalmente in questo caso.
Anche se mi toccava ammettere che il suo aspetto non aveva nulla d'intimidatorio.
«Bobby, ti presento Chika» dissi approfittando l'occasione per cambiare discorso.
Il robottino tornò nuovamente a girarsi in direzione della ragazzina e le rivolse un educato inchino. «Piacere di conoscerti Chika, il mio nome è Bobby. Sono l'aiutante personale di Gabri, il mio principale compito è prendermi cura di lui.»
Mi trattenni dal manifestare segni di disagio e fastidio. La frase del "prendersi cura di me" non era davvero necessario che la ripetesse ogni volta che si presentava a qualcuno. «D'accordo, ora che ho preso Bobby possiamo anda-»
«Ma l'hai davvero costruito tu?» quasi gridò Chika tutta infervorata, interrompendomi, e fissando Bobby come se fosse la cosa più incredibile del mondo.
Ripresomi un attimo da quella sua repentina esplosione di entusiasmo, sorrisi sagace. «Certo» risposi «ci sono riuscito grazie alle conoscenze ottenute dai libri noiosi.»
Den corrugò la fronte perplesso non capendone il motivo di quella mia ultima frase, al contrario Chika la comprese perfettamente ghignando perspicace. «Ho capito, l'hai presa sul personale.»
Scossi appena il capo sorridendole vivace «Oh no, affatto.» replicai leggero «Se tu vuoi comunque continuare a pensarla così sono affari tuoi, io ho solo voluto mostrarti come il tuo giudizio sui libri fosse limitato e superficiale.» mentre seguivo a parlarle sollevai una mano sulla quale tenevo Bobby avvicinandola alla mia spalla sinistra in modo che il robottino potesse spostarsi lì sopra «Ma, come ho detto prima, sta poi a te decidere se cambiarla o meno.» rimettendomi le mani dentro la tasca della felpa le rivolsi uno sguardo abile e presi ad avanzare con fare disinvolto «Proseguiamo col tour?» proposi retorico passandole accanto e l'angolo della mia bocca sollevato in una piega provocatoria nella sua direzione.
Come se improvvisamente si fosse ricordata di qualcosa, Chika si rizzò appena. «Ah giusto, il giro!» fece con enfasi battendo debolmente un pugno contro il palmo aperto della mano destra, dopodiché mi raggiunse alla porta con passo baldanzoso «Andiamo!» disse una volta che mi fu a fianco.
Con una mano appoggiata alla maniglia, spinsi un poco in avanti aprendo la porta lasciata solo socchiusa.
Den parve inizialmente un po' spaesato, probabilmente tra le chiacchiere si era scordato dell'incarico che mi aveva affidato Bulhuui. Ne ebbi la conferma di questo mio sospetto quando lo vidi sollevare le sopracciglia e schiudere le labbra nella sua tipica espressione che faceva ogni volta che si ricordava all'improvviso di un un dettaglio dimenticato. «Oh, è vero» mormorò infatti «perciò è meglio che andiate giusto?»
«Eeeeh già, sai com'è» risposi lasciando trasparire una sottile sfumatura ironica e alzai brevemente le spalle «incarichi da svolgere, stanze da mostrare a Chika...» chiacchere da fare «Ci vediamo dopo al poligono.» gli promisi però infine.
Den inarcò le sopracciglia intanto che si chinava a prendere i suoi anfibi dal pavimento «Quindi poi vieni anche tu?» chiese buttandosi a sedere sul suo letto con tale grazia da far scricchiolare le assi che sostenevano il materasso.
Nel frattempo Chika era già scivolata, per poco in senso letterale, oltre la porta e mi aspettava vicino all'uscio.
«Ovvio!» affermai vispo «Dopotutto devo far fare a Chika il giro del castello, no?» dissi abbozzando un sorrisetto sghembo, allora varcai l'uscita della nostra camera rivolgendogli un veloce segno di saluto con la mano. «Ti lascio la porta aperta, tanto fra poco esci pure tu.»
«Okay, a dopo Briel!» mi salutò lui da ancora dentro la stanza.
«Briel?» mormorò Chika qualche secondo dopo fissandomi interrogativa.
«È il soprannome che Den ha voluto dare a Gabri.» rispose Bobby al posto mio da sopra la mia spalla su cui stava comodamente seduto.
«Sì lo so, sembra il nome di un formaggio.» commentai invece io, aveva insistito particolarmente nel riuscire a trovarmi un nomignolo col quale potesse solo lui così e tutti i miei "no" non sono serviti a farlo desistere. Rivolsi poi una fugace occhiata di sottecchi a Bobby prima di spostare la mia attenzione nel paesaggio che figurava oltre le finestre che costeggiavano il lato del corridoio alla nostra destra illuminandolo dei raggi già morenti del sole che riuscivano a penetrare oltre la coltre di nubi bianche che dipingevano il cielo delle sfumature di un solo colore. «Accipicchia, certo che sta nevicando davvero tanto!» dissi alludendo ai grossi fiocchi di neve che si ostinavano a scendere ancora numerosi.
Bobby voltò la testa in direzione delle finestre osservando anche lui il panorama che si profilava candido all'esterno. «Secondo le previsioni del meteo le temperature di questa sera scenderanno ben sotto lo zero.» dichiarò sicuro.
Mi concessi di sollevare un angolo delle labbra in un impercettibile sorriso acuto. Avevo prima dato un'occhiata al barometro che tenevo sullo scaffale della libreria posto proprio accanto al punto dove avevo messo Bobby a caricarsi, perciò già sapevo all'incirca le temperature che sarebbero state raggiunte una volta calato del tutto il sole e, conoscendo il mio fidato aiutante, sapevo già quello che mi avrebbe detto.
«Converrà coprirsi meglio se non vuoi ammalarti ancora come al primo dell'anno, Gabri.» aggiunse infatti, subito dopo, Bobby tornando a voltarsi verso di me.
Come avevo immaginato, adesso bisognava solo attendere che il pesce abboccasse all'amo. Abbozzai un lieve e placido sorriso «Sì, tranquillo Bobby. Starò attento» provai a rassicurarlo.
«Anche tu hai passato il capodanno con la febbre?» domandò Chika al mio fianco.
Ottimo, il pesciolino ha abboccato.
«Quasi» mi ero preso una bella influenza durante i primi giorni di gennaio in seguito alla fatica e al freddo, quest'ultimo principalmente, provati dal viaggio verso la sede dei Liberatori costringendomi a letto per qualche tempo. «Perché? Pure tu?» le chiesi allora mostrandomi interessato, sì, ma con moderazione.
Lei assentì col capo «Sì, è stata un'influenza davvero... particolare, rispetto alle altre.»
«Davvero?» mi ci volle davvero parecchio impegno per non lasciar trasparire una sfumatura ironica nella mia voce «In che senso?»
Chika arricciò le labbra, avevo notato che lo faceva ogni volta che rimuginava su qualcosa. «Non lo so...» ammise «era molto simile a quella che ho avuto dopo che ho preso la Cura solo più... pungente. Mi sentivo come se milioni di aghi si fossero conficcati nella mia carne. Ha fatto male, parecchio male...»
La osservai fugacemente con la coda dell'occhio prima di riportare l'attenzione davanti a me. «Capisco...»
Durante la malattia ha avuto la sensazione di essere perforata da milioni di aghi nel suo corpo e la sua abilità le consentiva di lanciare spine dalla sua pelle, le due parti coincidevano troppo per trattarsi solo di un semplice caso.
Non ci avevo mai pensato a un possibile collegamento tra i sintomi di quella malattia e al tipo di abilità sviluppata, ma la cosa aveva perfettamente senso.
Cioè; avevo intuito come il periodo di convalescenza fosse più lungo e doloroso per coloro che poi sono diventati Ultra, o quanto meno riconosciuti come tali, come se il nostro corpo avesse subito una mutazione più profonda rispetto a quello dei Normali, però non mi era finora mai capitato di associare i sintomi avuti dai primi come una sorta di anticipazione dell'abilità che avrebbe ben presto sviluppato una volta ripresosi. I dati legati a essi che ero riuscito a trovare erano praticamente nulli e alla villa non era argomento di cui si amava molto parlare per via della forte sofferenza fisica provata in quel breve periodo di convalescenza.
Ricordo che io mi ero sentito di morire per via del dolore.
Nel mio ragionare tra me in silenzio, scorsi sul limitare del mio sguardo la targhetta di ottone di una delle tante porte in legno delle camere che stavamo sorpassando e il suo numero inciso sopra. «Ad ogni modo...» parlai decidendo di cambiare discorso, tanto le informazioni che mi servivano le avevo già ottenute (almeno quelle che riguardavano la sua natura di Ultra) «quella lì è la tua camera.»
A quella mia affermazione un po' repentina, Chika girò di scatto il capo con un movimento tale da cogliermi un poco di sorpresa. «Eh? Dove? Quale?» fece cercando con lo sguardo tra le varie porte che avevamo superato quella che dava accesso alla sua nuova camera.
Buona reattività, ma lascia trapelare un lato decisamente impulsivo e poco propenso al pensare prima di agire. Però non idiota e pare rispondere bene alle provocazioni, come quella di prima sui libri.
Mmh... credo che possa rivelarsi una buona compagnia per scherzi e possibili avventure da compiere all'insaputa dei più grandi.
«Quella che abbiamo appena superato.» le risposi indicandole con un cenno la porta che stava cercando.
Lei mosse qualche passo indietro posizionandosi di fronte a essa e tirò fuori il laccino di cuoio dove teneva legata la sua chiave confrontandovi il numero che era inciso sia lì sopra che nella targhetta. «Oh. È vero, il numero è lo stesso.»
«Te l'avevo detto.»
Osservai le sue dita che si rigiravano la chiave mentre la guardava pensierosa. «Quindi... solo chi possiede questa chiave può aprire questa porta...»
«Esatto.» vedendola esitare davanti alla camera chiusa aggiunsi «Vuoi darle un'occhiata?»
Chika rimase a fissare ancora per qualche istante la porta, infine scosse la testa e rimise la chiave sotto lo scollo del suo vestito «Magari più tardi» con passo svelto, per quanto potessero consentirlo i suoi sandali bizzarri, tornò al punto dove mi ero fermato. «Magnes mi ha detto che le camere sono condivise con almeno un'altra persona, io-»
«Sei con Irawa.» le lanciai un'occhiata acuta piegando le labbra in un sorrisetto perspicace, riprendemmo di nuovo a camminare dirigendoci verso la parte più lontana dal nucleo centrale del castello. «Era questo che volevi chiedermi, no?» sogghignai appena nel vedere una sfumatura spaesata nella sua espressione, immaginando poi quale sarebbe stata la sua prossima domanda proseguii «Non preoccuparti, è una tipa a posto. Certo, a volte tende a essere un po' troppo irruenta ma è simpatica, potrai conoscerla meglio dopo al poligono.» Inoltre credo che sarà piuttosto felice di avere una compagna di stanza, più volte era solita a lamentarsi di come all'interno del nostro gruppo lei fosse l'unica ragazza presente (Mattie era un caso a parte).
«Oggi non è una giornata adatta per andare a esercitarsi al poligono di tiro.» espresse il suo giudizio Bobby «Fa molto freddo e sta pure nevicando.»
«Parla con Simon e gli altri due esagitati del gruppo» alias Den e Irawa «per quanto mi riguarda nel caso faccia davvero freddo posso sempre riprovare a controllare la temperatura circostante e per almeno un poco sono a posto. E poi il freddo accende i sensi, non puoi negarlo.» completai quindi sorridendo abile.
«Però ti congela e poi ti fa ammalare.» obbiettò Bobby.
«Solo se non prendi le giuste precauzioni.»
«Tu puoi controllare la temperatura?» chiese invece Chika con vivo interesse interrompendo il corto dibattito tra me e Bobby.
In risposta, mossi la mano dondolandola su e giù usando il medio come perno quasi fermo e storsi la bocca in una piega incerta. «Più o meno...» la struttura della mia abilità era molto più ampia e complessa, alterare la temperatura circostante era uno dei tanti modi in cui potevo adoperarla. «Attualmente mi sto ancora allenando a farlo, il livello di concentrazione richiesto è abbastanza alto. Però posso sempre approfittare di quest'occasione al poligono per esercitarmi un po'.» tanto non penso di poter riuscire a fare molto altro a causa della mia ferita.
«Devi esercitarti anche con la terra.» mi ricordò, sempre affidabile, Bobby.
«Wow...» sentii sospirare Chika al mio fianco «quindi... quindi sei un Ultra pure tu...»
Piegando un poco il capo da un lato, sollevai appena un angolo delle labbra guardandola perspicace. Riuscii a trattenermi dal risponderle sarcastico, d'altronde lei era diventata un'Ultra solo di recente perciò suppongo dovesse ancora abituarsi alla cosa e a giudicare dalla sua espressione da poco assunta, come se avessi nuovamente preso coscienza del posto in cui si trovava ora e cos'era adesso, intuii che doveva essere proprio così.
Andando per ipotesi, credo che il motivo di quella sua reazione possa essere dovuta al fatto che avesse subito la Mutazione (così avevo preso a chiamare il periodo di convalescenza per effetto della "malattia" che precedeva la manifestazione di abilità) soltanto in un secondo momento, anche abbastanza distante, da quando le era stata somministrata la Cura.
La maggiorparte di noi (una grossa parte) è cresciuta fin da piccoli con desiderio di diventare Ultra e sviluppare alcuni dei loro straordinari poteri, tuttavia, a causa del numero ridotto di chi riusciva a diventarlo, le probabilità perché ciò accadesse erano davvero bassissime pertanto una volta passata la fase della malattia e ci si rendeva conto di non aver sviluppato alcunché risultava per molti quasi naturale l'accettazione del proprio stato di Normali poiché erano in parecchi a condividerlo.
Dopotutto praticamente nessuno si sarebbe aspettato che, dopo ormai tre secoli, sarebbero comparsi altri Ultra oltre ai soliti cinque annuali.
Notando probabilmente la mia espressione, Chika arrossì vistosamente imbarazzata «Beh sì, ovvio che sei un Ultra» mormorò tra sé «che domanda stupida...»
«Non poi così stupida in realtà» le sorrisi vivace «considerando il fatto che all'incirca solo un terzo dei Liberatori sono Ultra.»
Lei mi guardò sorpresa «Così pochi?»
«La filosofia dei Liberatori è che chiunque sia disposto a servire la loro causa è considerato egli stesso un Liberatore, indipendentemente dalla tipologia a cui appartiene; Normale, Sigmaf o Ultra.» espose Bobby con efficienza.
Intravidi Chika roteare gli occhi e lasciarsi sfuggire un sottile sbuffo seccato nell'udire quelle parole «Sì lo so... mia nonna non faceva che ripetermelo ogni volta...» la udii borbottare, ma poi alla fine si lasciò andare un breve sospiro remissivo e drizzò il capo in una postura risoluta e un poco piccata. «Ma per quanto possa essere davvero snervante sentirsi ripetere sempre la stessa frase, ammetto che come modo di pensare non mi dispiace affatto!» la scoprii quindi poi scoccarmi un'occhiataccia «E questo è un pensiero mio e mio soltanto.» ci tenne a voler precisare.
Intuendone il vero significato che stava dietro a quella sua ultima frase, mi sfuggii un lieve risolino. «Lo penso anch'io, riguardo la cosa dei Liberatori» concordai «è uno dei motivi del perché li preferisco agli Eroi.»
Beccai Chika scrutarmi tra lo stranito e il sorpreso «Sei stato con gli Eroi?» domandò, percepii nella sua voce una sottile ma non velata sfumatura sospettosa.
Le rivolsi l'accenno di un sogghigno sagace «Come quasi la totalità degli Ultra presenti nei Liberatori» meno Hilda. Nata e cresciuta in un paesino tedesco, non ho mai capito quale, gli Eroi non sono mai riusciti ad arrivare a lei lasciandole così la possibilità di decidere per conto suo quale strada intraprendere.
«E quel ragazzo di prima che c'era in camera tua? Quello con l'aria d'addormentato, Denis giusto?» domandò Chika «Anche lui è un Ultra?»
Storsi la bocca nel tentativo di trattenere una risata. "Quello con l'aria d'addormentato", se Den l'avesse sentita descriverlo così sarebbe stato un duro colpo per il suo orgoglio di aspirante donnaiolo.
«Affermativo.» decise fortunatamente di rispondere Bobby, se io avessi provato ad aprire la bocca sarei scoppiato a ridere per la frase di prima. «La sua abilità consiste nel potersi duplicare in un enorme numero di copie a suo piacimento identiche a lui.»
In realtà... non erano esattamente identiche...
«Fooorte!» esclamò però invece Chika ammirata.
Massì, non c'era bisogno di precisare cosa differenziasse le copie dall'originale. Dubito che sarebbe riuscita a capire la mia spiegazione senza prendermi per pazzo. Non attualmente privo di prove per dimostrarlo.
«Ti rivelo un segreto» preferii quindi dirle invece esibendo un sorrisetto abile «qui tutti coloro che hanno meno di ventun anni sono Ultra.» mi ricordai poi di Ezra «Eccetto uno.»
Lei assottigliò appena gli occhi rivolgendomi uno sguardo e arricciando le labbra in un sorriso sghembo. «E fammi indovinare; questi tipi li conoscerò tutti a questo famoso poligono di tiro, giusto?»
«Ehm, ni...» le risposi a suo dispetto «magari non saranno tutti lì...» conoscendoli, due di loro dubito si trovino al poligono, o almeno per adesso. Era più possibile che vi sarebbero recati solo in un secondo momento, forse. «Però sì, credo che entro stasera li avrai già conosciuti tutti.» tanto pure se non me ne occuperò io ci penserebbe comunque Simon a presentarle il gruppo per intero, solo che lui tendeva a essere un po' troppo molesto nel farlo.
Con me aveva quasi fatto irruzione in infermeria, dove mi trovavo a causa dell'influenza presa, trascinando con sé a forza gran parte del gruppo pur di farmi fare la conoscenza di tutti loro.
E poi temevo potesse rimanerci male se io decidessi di non portare Chika da loro per presentarla, su cose simili avevo avuto modo d'intuire quanto Simon si mostrasse piuttosto sensibile e a tratti pure infantile.
«Okaay...» pronunciò leggera Chika portandosi pigramente le mani dietro la schiena e stringendosele appena, corrugò poi la fronte con aria incerta «Comunque... dov'è che stiamo andando ora?»
«Lo scoprirai» le sorrisi apposta enigmatico. Con la coda dell'occhio la beccai scrutarmi attenta e un poco sospettosa, gli angoli delle mie labbra si alzarono involontariamente in una piega tra il divertito e il beffardo.
Svoltammo quindi a sinistra seguendo il corridoio principale e attraversammo una breve galleria dalle pareti color muschio a cui erano stati appesi i dipinti raffiguranti i primi Liberatori con una rappresentazione delle loro abilità, all'epoca erano ancora composti solo da Ultra. Il tratto delle pennellate di alcune di essi ricordavano molto quelli che avevo visto dentro l'ufficio del direttore della Royal Banc a Montreal, stessa cosa per il simbolo di una "U" con sopra una "Vu" messa al contrario e a fianco due ali impresso, come se eseguito da uno stampino, con della tempera dorata nell'angolino in alto a destra in quei quadri in particolare.
Noi del gruppo la chiamavamo la "galleria dei vecchiardi" (o meglio, sapevo che Irawa aveva preso a chiamarla così e poi tutti gli altri l'avevano seguita a ruota), molto apprezzata per via della stanzetta segreta il cui accesso era celato dietro al quadro della prima Stratega passavamo alcune serate un cui l'orario andava ben oltre quello imposto dal coprifuoco, a causa della guerra. Quello che però sicuramente loro non sapevano, forse eccetto Aivaras ed Ezra, era che da quella stanzetta partiva un passaggio segreto che conduceva alla Sala del Consiglio di Guerra, nascosto dietro lo scaffale degli alcolici.
Superata la galleria percorremmo una corta rampa di gradini di marmo e puntai nuovamente a sinistra imboccando un corridoio molto più piccolo e dall'arredamento molto più semplice fino a fermarmi davanti a una porta di legno scuro chiusa a chiave, la parte sopra alzata ad arco.
Notando quindi le mie intenzioni di attraversarla, Chika sollevò lo sguardo sulla porta per poterla guardare bene ma si accigliò ben presto, confusa, non appena vide la targhetta d'ottone con sopra scritto, con una grafia semplice, "Laboratorio" e altri simboli che comunicavano il divieto di passare e pericolo fissanti nel legno.
«Questa è... l'entrata per il laboratorio?» domandò incerta.
Sorrisi vivace mentre mi portavo la mano sinistra alla cintura e alzai un gancetto che teneva attaccato un piccolo anello d'acciaio. «Esatto.»
«Ma... ma non avevi detto che non si può accedervi-»
«Se non su invito di chi ne possiede la chiave.» e le mostrai la chiave che tenevo appesa a un anello di metallo assieme a quella che apriva la mia camera. Un filo nero ed elastico legava tale anello alla mia cintura permettendomi così di allontanarla da questa quanto mi bastava senza il timore di perderlo e con esso le mie due chiavi.
Lei osservò il motivo a spirali che ne decorava la zona dell'impugnatura e la "elle" maiuscola, che stava per laboratorio, disegnata sopra con espressione sospettosa. «...L'hai rubata?»
Infilai la chiave nella toppa e la girai al suo interno. «Per quanto la cosa in effetti possa sembrare strana, no non l'ho rubata.» un sonoro clack mi comunicò che la serratura era scattata e aprii la porta spingendola in avanti «È mia.»
«Confermo.» si intromise Bobby da ancora sopra la mia spalla «Gliel'ha personalmente consegnata Bulhuui ieri sera una volta che Gabri è diventato ufficialmente un Liberatore.»
Essendo Magnes il capo scienziato (o cervellone come si divertiva a soprannominarci qualcuno) sarebbe spettato a lui quel compito ma... diciamo che lo Stratega era un tipo decisamente permaloso e ancora non gli era andato giù la cosa della scarpa, sebbene accaduta già almeno un anno e mezzo fa.
«Se non ci credi guarda pure qui» con un piede oltre l'uscio, che permetteva di accedere alle scale della torre, allungai la chiave verso Chika in modo da farle vedere l'incisione eseguita lungo il sottile fusto di ottone. «Per chiavi di questo tipo viene sempre inciso il nome del proprietario apposta per confermare che la chiave attualmente in suo possesso sia realmente sua.» spiegai «E poi anche per rendere più semplice il suo ritrovamento in caso di smarrimento.»
Lei strinse un poco gli occhi per potervi leggere la scritta incisa in piccolo. «"Gadriele"...»
Mollando la presa sul mio portachiavi, questo tornò istantaneamente con un ruvido sibilo attaccato alla mia cintura grazie al filo nero e alla rotellina a cui era legato. Un piccolo gancetto si chiuse autonomamente, per merito di un meccanismo a molla, sull'anello di metallo nel momento in cui questo tornò al suo posto. «Quello che l'ha inciso ha sbagliato, ci va la "bi".» le dissi cominciando intanto a salire i gradini che portavano ai piani di sopra della torre «Gabriele. Bri.» feci marcando bene la pronuncia corretta del mio nome.
«Posso chiamarti Bri?» sentii domandarmi Chika negli scalini di pietra subito dietro di me.
«Scordatelo.»
«Bri-chan?»
Sospirai esasperato «Ma perché siete tutti così impuntati nel volermi dare per forza un soprannome?»
«Perché è carino!»
Scossi impercettibile il capo alzando brevemente gli occhi a quella risposta. Cominciava a essere davvero scocciante sentirmi costantemente affibbiarmi il termine di "carino" o di "tenero". Cioè, si può sapere che cosa avevo io di tenero?
"Certo che però... se ti diciamo che sei tenero ti irriti mentre se fai paura ti rattristi, vedi di deciderti!"
Fu una fortuna che stessi dando in questo momento le spalle a Chika, poiché avvertii le mie guancie divenire improvvisamente calde e la ferita al petto tornò di nuovo a bruciare nel ricordarmi quella frase che aveva pronunciato Dri solo qualche mese fa, durante il nostro soggiorno a Montréal, seguita dalla sua risata leggera dal suono davvero piacevole.
Togliendo una mano dalla tasca me la portai al torace nel punto dove la lacerazione era più profonda nella mia carne e strinsi debolmente il tessuto ruvido della felpa, come a chiedergli di allentare anche solo di poco quella dolora e insistente tortura. Le mie labbra strette a formare una sola linea sottile.
Io... volevo solo che mi vedessero come Gabriele...
Ricorda. Questo sei tu.
«Senti...» parlò poi Chika richiamandomi dai miei pensieri «lo stavo pensando già da un po' ma, ecco, hai una cintura davvero... bizzarra.»
«Non è bizzarra, è funzionale.» contestò Bobby.
«Esatto!» concordai tornando a esibire un sorriso leggero sul mio viso e un atteggiamento spigliato, nonostante sentissi ancora la ferita bruciare sotto i miei vestiti e le bende.
«Ha un sacco di tasche...» fu il commento di Chika avanzando di un gradino alla volta, il suono del legno dei suoi sandali sulla superficie di pietra risuonavano per le scale a chiocciola della torre.
«Servono per contenere gli strumenti essenziali per costruire o riparare qualcosa in modo da portarseli sempre ovunque e pronti per ogni evenienza.» le spiegò meglio Bobby ruotando del tutto la sua testolina, a centottanta gradi, verso la ragazzina «Più piccole fodere per poter trasportare facilmente anche possibili soluzioni chimiche riposte nelle provette e qualche coltello.» concluse infine.
Arcuai le labbra in un sorrisetto sagace. Di recente si erano aggiunti anche dei piccoli esplosivi nella lista degli oggetti che mi portavo dietro nella mia cintura, nel caso potessero servire. Non erano pericolosi, la maggior parte di essi avevano solo la capacità di creare un gran fumo bianco oppure quella di accecare il nemico.
Girai un poco il capo gettando a Chika uno sguardo vispo «Il progetto è mio, a realizzarlo ci ha poi pensato Ezra. È molto più bravo di me coi tessuti» le spiegai.
«E chi è Ezra?»
«Probabilmente lo conoscerai tra poco.» affermai tornando a guardare in avanti.
Da che lo conosco, Ezra non ha mai voluto prendere parte in maniera attiva agli incontri organizzati, e proposti, da Simon se questi avevano di base quella di un allenamento particolare come la lotta corpo a corpo o il tiro a segno. Lui affermava di ritenerli noiosi ma io avevo invece notato più volte, anche quando assisteva soltanto mostrandosi disinteressato o impegnato a fare altro, i suoi occhi divenire più acuti e freddi dandomi l'impressione che quelli che stava guardando fossero movimenti che conosceva molto bene, specie quando Den e Aivaras si esercitavano con l'uso delle pistole.
Ero ormai decisamente certo che celasse un lato di sé e del suo passato di cui non amava affatto parlare, qualcosa di spiacevole che gli era accaduto, ma faticavo a capire nello specifico di cosa si trattasse. Intuivo che avesse a che fare con il giro di scommesse che frequentava ai tempi dell'accademia d'arte a Milano e mi ero fatto diverse teorie a riguardo, ma Ezra era sempre attento a non scendere mai nei particolari in modo da non lasciar trapelare alcuna informazione fondamentale.
Dovevo rendergliene atto, in ciò era davvero piuttosto bravo.
Ad ogni modo, i posti dove si poteva normalmente trovarlo erano nella zona atelier del castello in cui lavorava, in biblioteca a leggere o a farsi un solitario oppure in laboratorio a stressare Aivaras o qualche altro povero ricercatore.
Infatti fu essenzialmente per questo motivo per cui non rimasi affatto sorpreso di trovarlo al secondo piano del laboratorio, lo stesso dove si trovavano le postazioni mia e di Aivaras (in totale il laboratorio era suddiviso in tre piani con le pareti dipinte con colori differenti a seconda del livello di pericolosità degli esperimenti effettuati in un piano specifico, l'ultimo coincideva con il tetto della torre).
Come mi aspettavo, al primo vidi già diverse persone avvolte nei loro lunghi camici bianchi chine sui loro progetti o ricerche oppure che al momento si stavano prendendo una piccola pausa caffè (o tisana) nella postazione che era stata adibita apposta per tale funzione. Tra di loro vi erano anche alcuni che indossavano abiti normalissimi e pochi altri che invece portavano dei camici azzurri, questi ultimi si trattavano di scienziati o ricercatori esterni che non erano Liberatori ma che ospitavano temporaneamente nel castello per una qualche ricerca.
Evitai accuratamente d'incrociare Joannine, la vice responsabile troppo fissata con l'ordine, e salii quindi le scalette che portavano al secondo piano con appresso Chika che osservava tutto quanto (in particolare la gigantesca lavagna con tanto di scalette a pioli e piena di calcoli matematici e formule fisiche posta non troppo lontano dalla zona caffè) con espressione decisamente disorientata come se quello fosse per lei un modo sconosciuto e incomprensibile, cosa molto possibile.
Appena giunti al secondo piano, coi muri decorati di un caldo color ocra, beccai Ezra, non molto distante dalle scale, intento a discorrere assieme a un ragazzo seduto su una sedia nera girevole con piede poggiato mollemente sopra al ginocchio dell'altra gamba e la braccia incrociate davanti al petto. Era vestito con abiti piuttosto semplici; un maglioncino blu scuro, morbido, con dei pantaloni di jeans grigi e un paio di scarpette nere coi lacci bianchi di un modello simile alle mie, una berretta color senape gli copriva la testa nonostante si trovasse in un luogo chiuso e al caldo lasciando però intravedere come sotto fosse privo di capelli mentre il suo camice bianco buttato svogliatamente sullo schienale della sedia dove stava. Le iridi scure erano fisse su Ezra e la bocca piegata in una smorfia che era tra l'incredulo e il titubante.
«Rosa?» lo si sentì mormorare dubbioso. Aveva una voce piuttosto rauca e graffiata, come se avesse passato troppo tempo chiuso in una stanza piena di fumo.
«Perché no? L'essere eccentrici è un tratto tipico degli stilisti, anzi che dico, degli artisti in generale! Con quel colore spiccherei di più nella folla» ribatté con tono vivace il Sigmaf di fonte a lui.
«Sì, okay ma... rosa?»
Ezra scosse le spalle sorridendo placido «È un bel colore.»
Avanzai con passo leggero verso i due «Di che parlate di bello?»
Se i due furono colti di sorpresa dalla mia improvvisa comparsa non lo diedero a vedere.
Entrambi erano sempre con la guardia alzata ed erano piuttosto bravi a celare le loro vere emozioni. Per Aivaras non così insolito visto suo impiego da Liberatore come spia e perciò era allenato in questo, ma Ezra?
Aivaras sbuffò piano «Nulla di che, le solite pazzie da stilisti.» dichiarò voltandosi nella nostra direzione mostrandoci così l'orribile ustione che gli deturpava la faccia partendo dalla tempia destra fino ad arrivare alla curva del mento a sinistra salvando solo la pelle che circondava la zona dell'orecchio di quella stessa parte. Purtroppo non era solo il viso a essere ridotto in quello stato, avevo avuto modo di vedere circa qualche settimana fa come il resto della testa fosse messa ben peggio e immaginai che una cosa simile valesse anche per il resto del corpo.
Cosa gli fosse accaduto non ce l'aveva mai raccontato nei dettagli ma dai pochi suggerimenti che si era lasciato sfuggire mi ero fatto una mia idea.
Quando notò Chika dietro di me intravidi i suoi occhi brillare di una sfumatura più perspicace deformando le labbra, rovinate dall'ustione, in un ghigno beffardo. «Ooh, vedo che sei in compagnia» parlò con tono maliziato «Hai finalmente deciso anche tu d'iniziarti alla nobile arte del corteggiamento?»
Feci una breve alzata di spalle socchiudendo per poco gli occhi «Perché no? Ho pensato che potesse essere un buon soggetto con cui iniziare.» risposi sarcastico, risollevai poi le palpebre guardandolo dritto in faccia «Bulhuui mi ha incaricato di farle il giro del castello.»
Seduto sulla mia spalla, Bobby annuì «È vero.»
Lui soffiò dal naso appoggiandosi mollemente contro lo schienale della sua sedia e abbassò a metà le palpebre, deluso. «Capisco...» mormorò annoiato, peccato però che il luccichio dei suoi occhi non coincidesse con l'espressione assunta.
A differenza di Den che mi aveva posto tale domanda in maniera pressoché simile senza altri fini, in quella di Aivaras invece ne racchiudeva una seconda, quella vera, al suo interno.
Conosceva già il mio pensiero riguardante la cosa del corteggiamento e perciò immaginava che non fosse quello il motivo per il quale mi trovavo attualmente in compagnia della nuova arrivata. Ciò quindi significava che quello che voleva realmente chiedermi era: la ragione per la quale mi trovavo in quel momento assieme a lei, visto che in una situazione normale avrebbe dovuto essere col suo Responsabile perché le mostrasse il castello.
Nel frattempo Ezra ne aveva approfittato facendosi avanti e presentandosi a Chika. «Tu sei Chika Ohayashi vero? Il mio nome è Ezra, piacere di conoscerti» le parlò con voce suadente mentre le dedicava un leggero e rispettabile inchino, le labbra piegate in un sorriso affabile.
Udendolo, la testa di Aivaras scattò rapida in direzione dell'amico e tirò giù la gamba che teneva sollevata drizzando di colpo la schiena. «Ehi! Maledetto bastardo, sapevi che volevo essere io a presentarmi per primo alla nuova arrivata!» strepitò mostrandosi offeso, tuttavia si poteva lo stesso udire una sfumatura divertita nella sua voce.
«Tu eri impegnato a parlare con Gabri» gli rispose quindi Ezra per le rime «O mi sbaglio?» aggiunse poi esentando un'espressione placida.
Arcuai le labbra in un sorrisetto previdente. Era chiaro che era riuscito in parte a seguire il breve scambio avvenuto tra me e Aivaras. A causa d'informazioni mancanti gli era però difficile poter comprendere con precisione il quadro completo del nostro veloce dialogo.
Possedendo tutti e tre una mente piuttosto acuta (seppur Ezra cercasse spesso di non mostrarlo) questo modo di dialogare tra noi tramite frasi contenenti altri messaggi non era certo una novità, solo che in questo caso ero io a tirare i fili della conversazione. E a giudicare dalle loro espressioni mi era evidenti che l'avessero capito.
Proprio quello che speravo.
Intanto Chika parve non aver ascoltato alcuna delle nostre parole e aveva invece continua to a fissare, dal momento del nostro arrivo, la faccia rovinata di Aivaras.
«Che è successo alla tua faccia?» esclamò lei con ben poca delicatezza guardandolo tra l'impressionato e l'impietosito.
A quella sua domanda Aivaras arricciò le labbra in un'evidente espressione di chi si era sentito porre fin troppe volte quella domanda mentre Ezra fece schioccare debolmente la lingua sogghignando beffardo. Da parte mia mi limitai invece a sollevare un'estremità della mia bocca in un sorrisetto acuto.
Prevedibile; indovinai fosse il pensiero non solo mio ma anche di Ezra e Aivaras.
«Oh questa?» prese a rispondere Aivaras esentando una naturalezza che sapevo essere non completamente sincera «Solo un piccolo incidente.»
Chika inarcò le sopracciglia per nulla convinta «Tanto piccolo non mi sembra...»
Un sottile verso di scherno partì sia da me che da Ezra, come risposta quella di Aivaras era ovvio che non fosse per nulla soddisfacente.
Non con delle ustioni come le sue.
Troppo grandi e troppo marcate, pareva che per averle così si fosse buttato direttamente in mezzo alle fiamme.
Aivaras scoccò un'occhiataccia a entrambi prima di riprovare a rispondere nuovamente. «Diciamo che ho avuto la brillante idea di mettermi a litigare durante una missione con un mio amico dall'abilità pirocinetica e che poi questo abbia perso il controllo del suo potere.» un'ombra scura passò rapida sul suo volto nel riesumare tale ricordo «Davvero una pessima scelta...»
Davanti ai miei occhi si figurò una scena che cercavo sempre disperatamente di scacciare ogni volta che vedevo le cicatrici sul volto della spia, accaduta quasi un mese e mezzo fa in un locale di Barbados. Le urla di Elliot tornarono a risuonare ancora nelle mie orecchie, questa volta però si aggiunsero anche quelle del soldato a cui avevo mandato a fuoco l'aereo l'altra sera condannandolo.
Ricorda. Questo sei tu.
Una fitta acuta nel petto mi fece serrare i denti nel tentativo di trattenermi dal gemere.
Fantastico, mi erano mancate proprio quelle maledette parole e il dolore al petto in quella piccola manciata di minuti in cui non avevo avuto nessuno di quei due. Davvero.
«Ma si tratta pur sempre di cose passate ormai!» esclamò Aivaras con tono più sciolto e sereno. Mi voltai verso di lui e lo vidi sorridere con aria falsamente gioviale. Riconoscevo che non era vera poiché pure io facevo spesso uguale.
«Non mi sono ancora presentato» proseguì sempre lui sorridendo ammiccante a Chika «il mio nome è Aivaras, ma se vuoi puoi chiamarmi anche "l'Hacker più figo del modo".»
Ezra sorrise canzonatorio «Il più figo? Semmai saresti quello più cotto.»
Aivaras storse la bocca fingendosi offeso «Ehi! Guarda che la "cottura alla fiamma" va molto di moda quest'anno!» ribatté assumendo poi un'espressione più accorta «Credevo lo sapessi visto che ti vanti di essere un gran esperto di moda.»
Il sorriso beffardo pareva non volersene sparire dal viso di Ezra. Anzi, sembrò invece accentuarsi maggiormente. «Infatti io sono esperto di moda, non di cazzate» rispose sagace.
In risposta Aivars scrollò le spalle «Sarà anche, ma sta di fatto che nessuna delle ragazze con cui sono andato si sia mai lamentata.»
«Certo, se indossi una maschera è già molto più facile.»
«Okay va bene, però sarai d'accordo anche tu che la sola maschera non basta per rendere migliore la propria prestazione.»
Questa volta Ezra parve pensarci su. «Uhm sì, su questo punto hai completamente ragione.»
In tutto questo Chika li fissava totalmente spaesata da quel loro modo di cambiare argomento così repentinamente tale da rendere piuttosto difficile stare dietro ai loro discorsi, riuscendo così nel loro intento di distoglierla da quello più insidioso di prima.
Da canto mio avevo trovato più divertente la prima parte della discussione e un po' meno l'altra essendo, quello sessuale, un argomento a cui faticavo tuttora molto a comprendere.
Rivolgendo una fugace occhiata a Chika la vidi spostare poi lo sguardo su Ezra, precisamente al suo polso che risultava più visibile, e sgranare quindi gli occhi in un'espressione sorpresa. «Sei un Sigmaf!» esclamò allora lei trepidante.
Ciò bastò a mettere bruscamente fine all'allegro dibattito tra i due ragazzi più grandi che si girarono a guardarla tra lo scioccato e il sorpreso.
Ezra assottigliò leggermente gli occhi fissandola confuso. «Eh?»
Alzai la mano sinistra indicandogli con l'altra il polso.
Lui parve capire il mio muto messaggio.
«Ah! Ho dimenticato il mio braccialetto in camera!» gridò non appena si accorse di aver lasciato perfettamente visibile a chiunque il sottile tatuaggio che portava sul polso, posizionato appena sopra alla striscia tatuata la sera prima al termine della nostra missione, che lo contraddistingueva come Sigmaf. Nel suo caso si trattava di una linea tratteggiata che circondava il suo polso come un delicato braccialetto con l'aggiunta di una "esse" in stile, credo, medievale disegnata nella parte sopra.
Chika lo squadrò perplessa a quella reazione «Non ti piace essere un Sigmaf?» domandò aggrottando un poco le sopracciglia, come se la sola idea di una cosa simile fosse assurda.
«Non mi piace portare marchio che indicando alla gente cosa sono» precisò Ezra passandosi nervosamente il pollice destro sul tatuaggio.
Capivo perfettamente il concetto.
«Anche mia nonna diceva qualcosa di simile» sbuffò Chika portandosi le braccia davanti al petto incrociandole «qualche volta...»
Le rivolsi un'occhiata curiosa «Tua nonna è una Sigmaf?»
Lei gonfiò il petto sorridendo orgogliosamente «La migliore della sua generazione!» rispose con fierezza «Era stata pure una Liberatrice piuttosto importante» continuò sollevando il mento in un atteggiamento tronfio «mi ha raccontato che ai suoi tempi era stata uno dei due bracci destro di Bulhuui!»
Braccio destro?
Io e Aivaras ci scambiammo una fugace occhiata d'intesa; l'unico ruolo associabile a quello del "braccio destro" di Bulhuui qui al castello è quello dello Stratega.
Ora molte cose si spiegavano.
Se quello che lei ci stava dicendo corrispondeva alla verità allora avevo appena avuto la conferma che sua nonna fosse stata una Stratega e in tal caso: quanto davvero sapeva Chika?
Sorrisi debolmente nel constatare con certezza che era stato proprio per questo il motivo per cui avevano relegato a me il ruolo di mostrarle il castello. I miei sospetti avevano finalmente avuto conferma.
Ezra fischiò ammirevole «Una Stratega quindi? Dev'essere davvero in gamba la tua nonnina.» commentò parlando in tono leggero e frivolo, peccato che però il suo sguardo tradiva un particolare interesse.
Difatti subito dopo lo vidi rivolgermi una fugace occhiata di sottecchi alla quale io risposi arcuando un lembo delle labbra in un sorrisetto scaltro.
L'avevodetto a loro che Chika era una tipa piuttosto interessante.
«Ci puoi scommettere!» esclamò Chika alla frase pronunciata dal ragazzo «Mia nonna e tuttora una Tatuatrice fenomenale e molto stimata dalla nostra gente!» infine, calmandosi un poco, sollevò il capo verso Ezra guardandolo interessata «Piuttosto... tu che Sigmaf sei?»
Questa volta fu il turno di Ezra di arricciare le labbra in un'espressione fiera «Stilista.»
Di colpo, tutto l'entusiasmo manifestato solo pochi attimi prima dalla ragazzina svanì in un soffio di vento. «Ah...» fu l'unica cosa che lei riuscì a dire dopo qualche secondo.
Un angolo delle labbra di Ezra i piegò in un amaro sorriso ironico. «Tipico...» mormorò lasciando trapelare una lieve sfumatura seccata nella voce, come se quella fosse una reazione che aveva riscontrato parecchie volte nella vita e da quel che avevo potuto imparare sui Sigmaf non doveva discostarsi molto dalla realtà.
I Sigmaf essenzialmente sono individui con la capacità di immettere parte della propria energia nelle opere che realizzano dando a queste ultime caratteristiche pressoché uniche.
Sfogliando tra alcuni libri inerenti a essi vi avevo trovato descrizioni di quadri animati e statue che erano in grado di muoversi per un breve tempo da sole, ma la loro peculiarità più famosa e utilizzata anche da esterni erano i Tatuaggi: disegni sulla pelle raffiguranti simboli differenti a cui veniva legato al loro significato una piccola percentuale di energia che conferiva alle persone che li portavano facoltà semplici ma particolari come una maggiore resistenza, una respirazione più prolungata sott'acqua, immunità parziale al fuoco e simili.
Tuttavia, da quel che avevo potuto osservare, vi era una distinzione importante e ben marcata tra le varie tipologie di arte di arte che un Sigmaf poteva adoperare e se i Pittori e Tatuatori erano tendenzialmente più famosi, oltre che i più richiesti, gli Stilisti invece erano ben poco apprezzati dai loro stessi simili. Il perché di ciò non mi era molto chiaro, i libri sembravano evitare l'argomento ed Ezra non amava molto parlarne, ma qualche ipotesi me l'ero comunque formulata. Specialmente grazie a certe sottili reazioni che avevo osservato sia in Ezra che negli altri due Sigmaf presenti qui al castello.
Evidentemente Chika, essendo nipote di una Sigmaf a quanto pare molto famosa, doveva essersi fatta in parte condizionare da quel pensiero. Se le mie osservazioni erano però corrette, immaginai che non sarebbe perdurato perciò fin troppo a lungo e la cosa andava enormemente a mio vantaggio.
Spostai fugace lo sguardo su Aivaras, intento a sghignazzare flebile alla reazione di prima della ragazzina nello scoprire la tipologia di Sigmaf di Ezra, per poi riportarlo ancora su di lei.
Arcuai le labbra in un sorriso vispo.
«Non giudicare così in fretta, Chika.» l'avvisai usando un tono che era tra il vivace e il disinvolto «Te l'ho detto, Ezra è davvero un mago coi tessuti» le rivolsi quindi un'occhiata scrutandola affabile «è in grado di realizzare qualsiasi tipo di abito tu desideri indossare.»
E l'esca era lanciata. Ora bisognava solo attendere che la preda abboccasse, cosa che immaginavo non ci volesse poi molto.
Infatti...
«SUL SERIO?» quai gridò Chika tornando a guardare Ezra stavolta con gli occhi che brillavano entusiasti.
Questo mosse istintivamente un passo indietro irrigidendosi un poco, colto alla sprovvista da quella reazione repentina. «E-Eh già» tentennò appena riprendendosi poi rapido «è proprio così» e mi gettò quindi un'occhiataccia fugace, che sembrava dirmi "questa me la paghi dannato Folletto", prima di venire sommerso dalle innumerevoli domande e richieste sugli abiti occidentali da parte di Chika.
Sogghignai tra me soddisfatto e al tempo stesso divertito.
Aveva riconosciuto il mio intento di distogliere l'attenzione di lei da me sfruttando la sua presenza.
Con Chika ora distratta, mi avvicinai ad Aivaras con passo leggero e agile.
«Che mi racconti di bello?» feci affiancandolo al lato opposto a dove c'era Ezra e mi appoggiai pigramente con la schiena contro il bordo rigido della sua scrivania grigia ben ordinata con tutti i progetti sistemati con cura (al contrario la mia era piena zeppa di fogli in apparenza sparsi in cui solo io sapevo orientarmi).
Facendo girare un poco la sua sedia in senso orario, si volse verso la sua postazione buttando un rapido sguardo all'unico computer, dal modello non molto recente e dalla grossa stazza, che aveva acceso posizionato alla sua estrema sinistra sopra al tavolo. Nel punto dove avrebbero dovuto trovarsi le sue sopracciglia, purtroppo impossibilitate dal crescere a causa dell'ustione che ne aveva bruciato le radici, notai piegarsi verso il basso in un'espressione pensierosa mentre scrutava le continue scritte verdi che comparivano sullo schermo nero. «È da stamattina che continuo a ricevere avvisi di qualcuno che sta cercando di entrare forzatamente nel nostro sistema, ma da quanto vedo pare che le difese che hai proposto stiano funzionando alla grande.»
Sorrisi soddisfatto a quella notizia.
Durante la mia permanenza negli Eroi avevo avuto modo di conoscere alcuni componenti del Blocco successivo al mio, tre per la precisione, e tra queste sapevo che ce n'era una che possedeva l'abilità di infiltrarsi e manomettere qualsiasi programma o sistema informatico esistente.
In sostanza agiva esattamente come un hacker ma molto più pericolosa e insidiosa dato che, trattandosi appunto di un'abilità, risultava molto difficile da bloccare.
Ma non impossibile.
Proporre una soluzione per riuscire a contrastare la sua abilità, sfruttando le capacità dei Sigmaf mischiata alla tecnologia, era stato per me un modo per dimostrare la mia lealtà anche ai Liberatori più diffidenti nei miei confronti, un piano che però aveva funzionato solo in una minima parte.
Mah, in ogni caso la mia idea si era rivelata lo stesso efficace. Immaginavo che Cate avrebbe tentato di penetrare nel nostro sistema cercando di sfruttare la carta bancaria che Yen aveva rubato a Den (e che io avevo già precedentemente svuotato).
«Meglio così, no?» replicai spigliato.
«Oh, sicuro!» fece Aivaras adagiandosi contro lo schienale morbido della sua sedia fissando con espressione annoiata le scritte e i codici numerici che apparivano uno dietro l'altro sullo schermo, le mani portate dietro la nuca assumendo una postura pigra. Dopodiché lo vidi rivolgermi uno sguardo sagace accennando un sottile sorriso «Abile il modo in cui hai manipolato l'attenzione di quella ragazzina.» commentò perspicace.
Alzai le spalle con fare innocente «Ho solo notato il modo con cui Chika tendeva a guardare i nostri abiti occidentali, nient'altro di più.»
«Già... ma dopo lo senti tu Ezra» dichiarò avvisandomi «sai bene come non gli vada proprio a genio essere usato così.»
«Sei liberissimo di rivelargli dopo tutto quello riterrai più opportuno che sappia.»
Personalmente se Ezra avesse partecipato o meno alla conversazione che intendevo aprire non mi cambiava poi molto, il punto era Chika.
In sostanza dubitavo che sarebbe riuscita a stare al passo con quello che avremmo detto ma preferivo lo stesso non dover scoprirmi subito con lei, avevo ancora un'informazione da farmi rivelare e perciò necessitavo che rimanesse con la guardia abbassata nei miei confronti ancora per un po'.
Spostai la mano destra in uno degli astucci che avevo legati alla cintura su quel lato e tirai fuori la custodia rigida bordeaux di un paio di occhiali, presa in "prestito" da Den, porgendola quindi ad Aivaras. «Da un'occhiata a questi» gli dissi mettendogliela quasi davanti al naso.
Lui guardò prima me e poi la custodia dubbioso. «Che cosa sono?» chiese afferrandola con titubanza.
Infilando entrambe le mani nella tasca gli sorrisi scaltro «Guardali tu stesso.»
Aivaras mi rivolse un'altra occhiata incerta per poi aprire la custodia che gli avevo dato. Osservai divertito la sua espressione divenire ancor più confusa quando vide un paio di occhiali neri dalla montatura semplice al suo interno, quelli che avevo preso l'altra sera da Liam Lewis, ma non pronunciò nulla attivando invece la sua abilità.
Le sue pupille assunsero un tenue bagliore azzurrino mentre il ragazzo seguiva a dare una veloce analisi agli occhiali che teneva in mano andando a guardare ben oltre lo strato superficiale di questi. Quando riconobbe i minuscoli tubicini a raggio catodico, solitamente presenti negli schermi dei computer, che si celavano dietro, sgranò gli occhi incredulo. «Non ci credo... dove li hai presi?»
«Un souvenir» risposi sorridendo sciolto «Un piccolo ricordino del mio test d'ammissione.»
«Li ha rubati.» confessò invece con disinvoltura, e fin troppo leggero, la voce della verità che si trovava ancora sulla mia spalla.
Certe volte mi pentivo per averlo programmato così innocente e onesto.
Con la coda dell'occhio colsi Aivaras lanciarmi un'occhiata sottile tornando poi a studiare il paio di lenti che aveva in mano, le sue pupille erano tornate al loro caratteristico colore scuro. «Giusto prima che io partissi per la mia missione nel Medóc, mi era capitato di sentire Denis dichiarare quanto fosse incredibile di come giusto qualche tempo prima discutevate - tu e lui - sulle modalità che avreste adottato se avreste dovuto rapinare una banca e giusto una settimana dopo Bulhuui vi abbia assegnato come missione quella di rapinare la Fargo, alias una delle banche più sicure al mondo.» mormorò come se in realtà stesse ragionando tra sé.
Beh, ora non più così tanto sicura.
Abbozzai un lieve sorriso acuto «Bulhuui non è stupido e sembra tenere ai propri uomini.» se qualcosa permetterebbe a noi Liberatori vita più facile e col minor rischio si poteva star pur certi che lui avrebbe certamente scelto quell'opzione. Io gli ho solo dato una spintarella.
Nel momento in cui avevo riconosciuto quegli occhiali in un angolo mezzo nascosto nella foto presente in una delle riviste di Den, avevo pensato di sfruttare questa caratteristica del capo dei capo dei Liberatori per far coincidere l'obiettivo del recupero di quell'oggetto (le sue lenti computerizzate si sarebbero di certo rivelate parecchio utili per la nostra strumentazione) con quella di manipolare un incontro tra solo me e Dri per avvisarla del mandato che Bulhuui aveva emesso nei primi giorni di gennaio, successivi al mio arrivo al castello.
«E poi io non ho ancora l'autorità di proporre o autoaffidarmi delle missioni.» aggiunsi. Dopotutto, sono solo un semplice Liberatore di Primo Livello, quella di affidare le missioni e incarichi è un incarico che spetta solamente a Bulhuui e agli Strateghi.
Spostando solo le iridi, Aivaras prese a scrutarmi attento per qualche secondo. Infine scosse appena il capo schioccando la lingua ironico riportando lo sguardo davanti a sé. «Tch... sei un vero demone...» fece abbozzando un lieve sorriso arguto e appoggiò gli occhiali nella loro custodia e sistemando questa, aperta, vicino al computer più a destra.
Mi limitai a scrollare brevemente le spalle in risposta, mostrandomi indifferente.
«Ad ogni modo...» riprese a parlare poco dopo. Nel frattempo, di fianco a noi, Ezra si era visto costretto a tirare fuori il suo blocchetto degli schizzi per disegnare gli abbozzi dei vestiti richiesti da Chika. «Come hai fatto a capire che si trattavano proprio di quelle lenti?» mi domandò Aivaras tra l'incuriosito e l'impressionato «A guardarle così superficialmente sembrano un paio di lenti normalissime.»
«Quando vengono attivate non sono completamente trasparenti, vedi?» mi sporsi leggermente all'indietro torcendo un poco il busto, per quanto mi consentisse la ferita, nella sua direzione e indicandogli le lenti prendendole un attimo in mano le accesi. «Sembrano leggermente sporche e hanno e hanno un sottile riflesso azzurro» premendo nuovamente il pulsante nascosto nel simbolino dorato dove c'era raffigurata la marca le disattivai «Nei miei ultimi mesi alla Villa ho visto il vecchio Max lavorarci assiduamente al progetto, ne ho viste a centinaia di lenti del genere anche se difettose. Quando me ne sono andato era riuscito a ultimare il prototipo solo qualche settimana prima.»
«Una settimana e tre giorni.» precisò Bobby «Supreme Dragon voleva che fossero pronti quanto prima.»
Aivaras tornò a guardarmi con espressione esitante «Solo qualche settimana prima?» quasi sussurrò, poi assottigliò gli occhi facendosi più guardingo «Tu sei rimasto un mese alla villa dopo aver chiamato Bulhuui...»
Esibii un sorriso spigliato e candido «Come Ultra e apprendista Eroi era molto più facile avere accesso a certe informazioni rispetto a una normale spia.» per esempio avevo immaginato che gli informatori dei Liberatori bramassero mettere le mani su certe invenzioni del vecchio Max, considerato da molti come uno dei più grandi scienziati e inventori della sua generazione, tra cui anche proprio quelle lenti.
Con quelle la nostra strumentazione per spie e Ultra, e forse pure per i mezzi navali e caccia, avrebbero fatto sicuramente un salto enorme.
Soffiando forte dal naso, Aivaras scosse debolmente la testa sporgendosi con busto in avanti verso la scrivania e allungando la destra sul mouse posto lì vicino. «Più parlo con te e più mi è evidente perché ti hanno scelto come Candidato.» affermò sorridendo ironico mentre riduceva a metà la schermata coi codici numerici e aprendo una nuova pagina.
«Shhh... dovresti sapere bene come questo non è posto per chiacchiere simili.» lo interruppi sorridendo però divertito e forse anche un poco esaltato «Sai che io e te non dovremmo sapere nulla di queste cose.»
Candidati, era così che io e Aivaras avevamo deciso di soprannominare il nostro status, segreto però a tutti, tra i Liberatori. Intuito fin dai nostri primi giorni al castello di essere quasi costantemente osservati e messi alla prova, ci eravamo riconosciuti entrambi come futuri successori al ruolo di Strateghi decidendo così di stringere una sorta di stramba alleanza fatta di complicità e scambio informazioni.
O perlomeno anche solo un accenno, una spintarella, per quanto riguarda queste ultime.
«D'accordo allora, parliamo di altro.» fece Aivaras squadrandomi solo muovendo le iridi con espressione indagatrice. «Quella ragazzina,» proseguì alludendo indubbiamente a Chika «chi è?»
Gli angoli delle mie labbra si sollevarono abili. «La nipote di una ex Stratega e famosa Sigmaf» risposi in maniera volutamente irritante.
«Già e tu in particolare le stai facendo da guida per il castello, cosa che di norma spetterebbe al suo Responsabile.» intanto che parlava, Aivaras procedeva a lavorare su un programma di catalogazione che lo impegnava da qualche tempo «Non è solo un test questo, quella ragazzina non è una spia perciò sputa il rospo: che cosa c'è dietro? Quali segreti nasconde che interessano tanto agli Strateghi?»
Continua a sorridere placido.
Sapevo che me l'avrebbe chiesto.
Se già la frase su Bulhuui e sul compito affidatomi gli aveva fatto venire qualche sospetto, la mia prima risposta sulla parte del corteggiamento non aveva fatto che accentuarli. Questo perché avevo volutamente sottolineato il fatto che Chika celasse qualcosa di particolare, dopotutto sapevano benissimo che le parole "buon soggetto", se pronunciate da me, era sinonimo d'interessante e quindi contenente dei segreti.
E una cosa che io e Aivaras avevamo in comune era la passione per i segreti e misteri o enigmi da risolvere, ero certo che avrebbe colto l'imbeccata.
«Mi spiace, ma questo dovrai scoprirtelo da solo.» risposi perciò vispo, gli rivolsi poi uno sguardo sagace «Dopotutto sei un Candidato pure tu o sbaglio?»
Gli occhi di Aivaras si fecero più sottili fissandomi sospettosi, dopodiché lasciò andare un lieve sospiro accompagnato da una breve alzata di spalle. «E va bene, accetto la sfida» decretò quindi con tono rilassato ritornando a concentrarsi sul suo programma «Immagino che sarà piuttosto divertente risolvere quest'arcano.»
«Oh su questo puoi giurarci.» lo assicurai lasciando trapelare una sottile vena ironica nella mia voce. Alzai poi lo sguardo verso le rampe di scale in legno che spariva oltre l'ultimo piano della torre. «Magnes è di sopra giusto?»
«Sì, sta testando ancora quel suo famoso ultimo progetto» mi rispose il ragazzo senza però distogliere lo sguardo dallo schermo «quello sugli insetti-spia.»
Storsi la bocca. Circa sei settimane, durante un test di verifica, quegli stessi insettini erano andati improvvisamente fuori controllo e invaso il resto del castello attaccando qualunque cosa trovassero sul loro cammino.
Io, Aivaras e un altro fisico avevamo dovuto costruire in fretta e furia un'antenna da cui lanciare un impulso elettromagnetico in tutto il castello in modo da bloccare i moscerini meccanici che Magnes non era ancora riuscito a recuperare, col risultato però di mandare fuori uso per qualche ora tutti gli altri oggetti elettronici presenti nel maniero tra cui pure Bobby.
«Chissà se stavolta riuscirà a controllarli» commentai.
«Questa è davvero una domanda interessante.» replicò Aivaras, accennando un lieve sorriso.
Ridacchiai appena, ilare. «Vado a scoprirlo allora» e dandomi una leggera spinta col busto mi staccai da bordo della scrivania che avevo usato fino a quel momento come appoggio e mi diressi verso le scale al piano successivo, lasciando prima però Bobby sul tavolo della mia postazione (sistemata vicina a quella di Aivaras) per controllare la situazione in mia assenza.
Usai la coda dell'occhio per lanciare un fugace sguardo a Chika mentre mi allontanavo; era ancora piuttosto impegnata ad assillare il povero Ezra di domande e richieste sui vari abiti che lui le proponeva. Notai una piega della bocca del Sigmaf deformarsi in una smorfia seccata appena percettibile nel rivolgermi un'occhiata labile.
Cominciai a salire i gradini di legno, dall'aspetto piuttosto consunti, con passo agile sorridendo vispo. Ci avrei scommesso che Ezra non sarebbe stato disposto a perdersi la corta conversazione che avevamo avuto io Aivaras, tuttavia supponevo che Chika si fosse dimostrata una distrazione un po' troppo importante da poter permettergli di seguire tutto il dialogo per filo e per segno.
Mah, questione degli occhiali a parte, per quanto riguardava invece l'altro argomento, alias quello dei segreti legati alla nuova arrivata, sapevo che aveva colto la stessa frecciatina del "buon soggetto" che avevo lanciato ad Aivaras, l'aveva lasciato intendere dalle sue frasi di prima, perciò alla fin fine non si era perso granché di fondamentale.
D'altronde l'avevo detto: che lui avesse partecipato o meno alla conversazione non mi sarebbe cambiato molto.
Proseguii a salire gli scalini di legno fino a giungere di fronte all'entrata dell'ultimo piano.
A differenza degli altri due precedenti una porta di metallo scuro ne bloccava l'accesso e per aprirla occorreva nuovamente l'uso della chiave, questo perché il terzo era il piano riservato unicamente alla verifica dei propri lavori o progetti e momenti in cui questi esplodevano all'improvviso o impazzivano (un po' com'era accaduto ai moscerini di Magnes) erano molto meno rari di quanto gli altri Liberatori, quelli che non frequentavano il laboratorio, immaginassero. Le pareti dipinte di bordeux della stanza ne comunicavano appunto la pericolosità ai poveri sciocchi ai quali veniva la brillante idea di tentare a entrare senza permesso.
Ovviamente per poveri sciocchi si intende coloro con scarse con scarse o quasi nulla, se non proprio zero, conoscenze in ambito scientifico che tentavano comunque di entrare nel laboratorio senza permesso.
Una volta superata la porta, visi l'inconfondibile figura alta e atletica di Magnes con addosso il lungo camice bianco stagliata a qualche metro più avanti e voltata verso una gigantesca ma bassa scatola di vetro sintetico, a cui si era aggiunto anche del diamante per renderla più resistente, che occupava gran parte della stanza. Al suo interno vi ronzavano in maniera disordinata circa una cinquantina d'insetti di metallo controllati, o almeno così avrebbe dovuto essere, dal grosso jostick che l'Ultra teneva in mano spingendo e muovendo frenetico le varie manovelle e pulsanti che vi erano stati costruiti sopra.
Notai che non vi era nessun altro oltre a lui nella stanza, probabilmente si ricordavano ancora fin troppo bene ciò che era accaduto durante il primo test dello stesso progetto.
Meglio così.
Chiudendomi dietro la porta avanzai silenzioso di qualche passo a sinistra per poi appoggiarmi con la schiena contro il muro ruvido della stanza e volsi lo sguardo i moscerini artificiali illuminati dalla fredda luce elettrica sparata dall'unico lampadario presente nella stanza, osservando i loro movimenti e da come Magnes picchiettava col pollice sul jostick era chiaro che il test non stava andando come sperato. Solo una piccola manciata di quegli insettini volavano coordinati seguendo come delle linee invisibili ellittiche, i restanti andavano più volte a scontrarsi contro la superficie di una parete all'altra o addirittura tra loro.
Sollevando la mano in uno scatto frustrato, Magnes manipolò interni degli insetti robotici in modo da riportarli tutti delicatamente a terra per poi spegnerli. Dopodiché, sempre usando la sua sempre usando la sua abilità, fece sollevare gli scuri delle finestre disposte lungo le pareti comprese anche alcune che si trovavano sul tetto permettendo così alla luce solare, quella che riusciva a passare tra le nubi candide, di entrare nella stanza illuminandola più ampiamente rispetto a quella di prima artificiale.
Con un udibile sbuffo seccato, Magnes si portò la mano libera in tasca e prese a battere nervosamente un piede, calzato da una scarpa da uomo in pelle nera, sul pavimento di pietra.
«Credo che il problema sta nel dispositivo di controllo, non è abbastanza potente.» allungai una mano verso l'interruttore bianco posto alla mia destra e lo premetti spegnendo il lampadario «Forse con un computer o simile riusciresti meglio.»
Udendomi parlare, Magnes volse un veloce sguardo a dove mi trovavo io tornando poi a scrutare assorto i suoi moscerini a terra, una ciocca ramata scivolò fuori dalla sua crocchia, legata sulla nuca, ricadendogli sulla guancia dove cresceva un accenno di barba della stessa sfumatura. «Sei senza il tuo robottino.» fu il suo unico commento. Senza quindi muovere un muscolo ordinò alla bobina situata dalla parte opposta a dove ci trovavamo noi attorno alla quale era grossa catena di ferro, di girare su sé stessa con un sonoro cigolio facendo così sollevare la scatola di vetro sintetico e cui era legata mediante un semplice sistema di carrucola.
Piegai un poco il capo da un lato sorridendo scaltro «Te invece non perdi mai il tuo amabile buon umore.» replicai parlandogli sagace riuscendo a sovrastare il forte sferragliare della catena di ferro e della bobina che girava. Pochi minuti dopo, quest'ultima si fermò interrompendo finalmente così il rumore.
«Perché sei qui?» domandò quindi Magnes a bruciapelo, una volta che fu tornato il silenzio nella stanza. Togliendo la mano dalla tasca del camice ordinò ai suoi insetti robotici di sollevarsi in aria controllandone il metallo di cui questi erano fatti e li diresse verso la scatola di cartone lucido blu lasciato sopra la scrivania in acciaio posta a un paio di metri alla sua destra.
«Volevo chiederti se potevi metterti in contatto con il Fabbro» risposi con fare tranquillo tenendo sempre le mani in tasca mentre lo osservavo muoversi verso la scrivania «La mia arma è stata tagliata in due durante lo scontro con gli apprendisti Eroi in missione, ho già un'idea per come realizzarla senza dover ricostruirne un'altra ma per farlo ho bisogno del Fabbro.»
Il Fabbro è un Liberatore conosciuto al castello con quel nome per via del suo famoso talento come Sigmaf per i metalli, la stragrande maggioranza delle armi in possesso dei Liberatori sembravano essere state fabbricate da lui stesso e quando ero alla villa sentivo spesso parlare il vecchio Max di quanto fossero incredibilmente, e stranamente, resistenti. Tuttavia non era uno che si faceva vedere spesso in giro, so che aveva preso accordi con Bulhuui affinché potesse esercitare la sua arte anche al di fuori del castello pur sempre restando leale ai Liberatori perciò, quando gli si doveva commissionare un qualche tipo di lavoro, era necessario prima entrare in contatto con lui e sapevo (grazie a una piccola serie d'indizi e stralci di conversazioni udite qua e là) che Magnes fosse quello con cui si sentiva più spesso tramite posta.
Lo Stratega raccolse da vicino alla scatola un quadernino con copertina rigida in cuoio color caffè e, avvicinandosela a sé, l'aprii. «Se è per metterti in contatto col Fabbro non c'è nessun problema, anche se prima preferirei sapere di che idea si tratti» disse mantenendo un tono pratico cominciando a scribacchiare sopra le pagine ancora immacolate probabili appunti e osservazioni del test fallito con una penna blu precedentemente estratta dal suo taschino sinistro. «Tuttavia...» con un veloce scatto sbatté la parte in fondo della stilografica facendo ritrarre la punta con un brusco clic «tu non sei qui solo per chiedermi questo, il tuo vero obiettivo è un altro» volgendosi un poco col viso verso di me lo vidi scrutarmi coi suoi freddi e acuti occhi azzurri «altrimenti non saresti venuto qui senza il tuo caro robottino.»
Mi trattenni dal sorridere acuto. Quando uno è solito a portarsi sempre appresso qualcosa (o qualcuno), nel momento in cui quest'ultimo mancava tendeva ad attirare un'attenzione maggiore rispetto al solito. Nel caso di Magnes, vedendomi comparire senza Bobby gli rendeva evidente di come avessi in mente qualcosa e ciò gli avrebbe concesso, in apparenza, di anticipare le mie intenzioni. Di conseguenza avrebbe quindi creduto di trovarsi in una posizione di maggior vantaggio rispetto alla mia e il fatto che non mi sopportasse quasi per nulla aveva reso ancor più prevedibile e facile cadere nella mia trappola.
Infatti l'illusione di essere loro stessi padroni della situazione rendeva le persone più facili al venir manipolati poiché tendevano ad abbassare così, anche se solo di poco e in maniera involontaria, la guardia. Dopotutto il modo migliore per ingannare qualcuno è quello di mostrargli ciò che egli vuole vedere, in questo modo sarà piuttosto difficile rendersi conto di essere manipolati.
L'illusione della libertà, il più sottile e grande inganno a cui gli esseri umani sempre cadevano per non impazzire poiché incapaci di vedere e accettare ciò che è realmente la verità. La cosa più buffa e assurda era che finché non si decidevano loro stessi di svegliarsi e rompere il velo che ne distorce la realtà, rimarranno sempre marionette in mano di altri.
Assumendo un'espressione più seria, per non lasciar trapelare l'inganno, mi avvicinai a Magnes e tirai fuori dalla tasca posteriore dei miei pantaloni il fogliettino ingiallito che portavo con me da stamattina appoggiandolo, aperto, sotto il suo sguardo. «Che cosa sono questi?» domandai risoluto alludendo ai quattro simboli ai quattro simboli disegnati sopra: la "esse" con le due spade, il serpente, l'occhio e le due piume incrociate.
Magnes buttò a loro un'occhiata svogliata. «Non capisco che cosa dovrei dirti su quei buffi disegnini, sono uno scienziato io non certo un'artista. Prova a chiedere a Ilja, magari ti va meglio» e con un altro, ma più debole del primo, clic della penna riprese a scrivere con un lieve fruscio sulle pagine del quadernino.
Sorrisi leggero, lasciando però intravedere una sfumatura divertita sul mio viso. «Oh andiamo» emisi un breve risolino «questi simboli si trovano sull'affresco della cupola della villa, per un ricercatore attento come te è impossibile che ti possano essere sfuggiti o che non sia riuscito a trovare qualche informazione su di essi, giusto?» lo provocai apposta giocando sul suo orgoglio, nell'osservare la sua presa sulla stilografica farci appena più rigida sogghignai abile e perspicace. Cambiai però poi espressione riprendendo a parlare usando un tono stavolta più serio «La mia ipotesi è che si trattino di stemmi appartenuti a famiglie antiche che devono aver svolto, forse nella loro origine, un ruolo fondamentale nella storia degli Ultra e nella fondazione degli Eroi.» esposi brevemente la mia supposizione.
Magnes rimase per qualche secondo in silenzio continuando a scrivere e a cancellare parole e calcoli sul suo quadernetto senza volgermi neanche il più fugace degli sguardi, quasi come se io non avessi parlato affatto. «Perché fai domande se ne conosci già la risposta?» si decise infine di dire, con particolare ironia nella voce.
Socchiudendo a metà le palpebre in un'espressione sagace soffiai debolmente, beffardo. «Le spade appartenute all'ultimo componente di una di queste famiglie hanno improvvisamente iniziato a brillare e sono state in grado di tagliare alla perfezione la mia naginata fatta di acciaio neanche fosse stata di burro, permettimi di essere piuttosto curioso sulla questione.» piegai le labbra in un sorriso scaltro «In più sono abbastanza sicuro che tu ne sappia qualcosina in più, non è così?»
Notai con particolare soddisfazione l'angolo della sua bocca, rivolto nella mia direzione, serrarsi infastidito.
Conversazioni di questo genere funzionavano in maniera molto simile alle partite a scacchi e, molto probabilmente, ai campi di battaglia. Un piano esageratamente complesso e fin troppo dettagliato o preciso poteva, in seguito anche della più minima e stupida variazione della situazione, condurre al fallimento più totale. Quando si trattava di esseri umani, perciò, era quasi sempre fondamentale essere elastici e tenersi pronti a più opzioni. In questo momento, per esempio, stavo tirando apposta i fili in modo che capisse che era inutile tenermi nascoste quelle informazioni.
E poi se avessi continuato a mostrarmi in svantaggio si sarebbe di certo insospettito, meglio fargli credere che mi stessi impegnando anch'io in questo semplice e breve duello di menti.
Magnes era sempre molto reticente a voler condividere informazioni di qualunque tipo con me, perciò mi ero visto costretto a dover ricorrere a stratagemmi simili per riuscire a farlo parlare.
Però alla fine sembrarono servire al loro scopo visto che lo Stratega si decise finalmente a rispondere; «L'occhio spalancato sono i Silver,» disse indicando con la punta della penna il simbolo nominato per poi fare lo stesso con quello subito accanto «le due spade con la "esse" dietro sono i Kanri-sha, le piume gli Apawi mentre il cerchio con il serpente che si mangia la coda-»
«Uroboro.» lo interruppi pronunciando il vero nome dell'ultimo disegno di cui stava parlando.
Percepii su di me lo sguardo seccato di Magnes per averlo interrotto ma con la coda dell'occhio intravidi anche un bagliore d'interesse brillare nella sua iride azzurra nell'udire un termine finora a lui sconosciuto.
«È un simbolo alchemico.» presi a spiegargli. Allungai un dito verso il disegnino e ne seguii il percorso segnato dall'inchiostro nero che lo formava a ripetizione «Rappresenta l'eternità, il circolo continuo, la metafora espressiva di un processo ciclico, come la vita la morte e quindi associato alla rinascita oppure di un qualcosa che si ripete per lungo tempo seppur diverso. L'eterna mutazione» in un certo senso poteva essere tranquillamente associato al concetto del "tutto si trasforma" espresso parecchi secoli fa da Lavoiser. Interruppi bruscamente il moto perpetuo del mio dito sul disegno allontanandolo quindi dal foglio. «In questo però suppongo che abbia un duplice significato legato alla simbologia del serpente. O almeno solo una sua parte» affermai «mutazione, cambiamento o... mutaforma.» volsi a Magnes uno sguardo vispo sorridendogli sagace «Mille Volti appartiene a questa famiglia, non è vero?»
Dal suo posto, lo Stratega sbuffò scocciato. «Sei decisamente sveglio, ragazzino.» confermò lui.
Era così che mi chiamava ogni volta. Mai Gabriele o Elementa, il mio nome da Ultra, ma sempre e solo ragazzino.
Lo stesso faceva pure Uzhas. Più o meno.
Lui preferiva più "pivello".
Che entrambi quasi si rifiutassero a chiamarmi per nome sinceramente non era una cosa che mi infastidiva poi tanto, ma questo soltanto nel loro caso. Non sopportandoli molto nessuno dei due non mi faceva molto piacere udire pronunciare il mio nome da loro.
Anche se però... potevano lo stesso usare quello di battaglia.
«Credevo che questo l'avessi già intuito» gli risposi schernendolo. Cercando però di non tirare troppo la corda, per evitare che potesse chiudersi proprio ora che ero riuscito a crearmi una breccia, sfumai il sorriso che avevo sulle labbra in uno più innocuo «Dimmi di più su queste famiglie» chiesi lasciando trasparire il mio sincero interesse per l'argomento «per favore.» aggiunsi infine nel tentativo di ammorbidirlo maggiormente.
Guardai Magnes scrutarmi con la coda dell'occhio manifestando un'evidente diffidenza nei mei confronti a cui io risposi sorridendo innocente. Doveva esserci in atto un qualche tipo di dibattito nella sua testa perché ci mise po' prima di, accompagnato da un lungo sospiro, decidersi a rispondermi.
Forse il "per favore" finale era servito.
Forse.
«I testi dove citano le Quattro Famiglie non sono molti e pure frammentari, perciò dovrai accontentarti ragazzino.» riprese quindi a parlare e indicò il disegnino nell'angolino a sinistra più vicino a lui, l'uroboro «I Mutaformasi tramandano il loro potere, appunto mutaforma, a un'erede per generazione una volta che quello precedente è deceduto e pare che, oltre a questo, si passino pure una maledizione piuttosto spiacevole.»
Mi appoggiai maggiormente col busto al bordo del tavolo ascoltando con attenzione Magnes senza più nemmeno l'ombra di un sorriso, completamente serio.
Maledizione? Quale maledizione?
La famiglia di Andrea era maledetta?
Ma soprattutto: cose come le maledizioni, e probabilmente anche benedizioni per contrapposizione, potevano esistere davvero?
Certo, stiamo vivendo da già un paio di secoli in un mondo dove certi individui manifestavano poteri incredibili e appunto per questo ero deciso a indagare a ritroso sulla loro origine però... maledizioni e benedizioni mi erano sempre parse cose più da mondo fantasy oppure da credenze religiose o superstiziose anziché a un qualcosa di realmente esistente.
Ma anche nei mondi fantasy vi erano delle regole, o almeno in quelli nei romanzi scritti bene e con coerenza. E poi se persino uno come Magnes, uno degli individui più logici e razionali che io abbia mai incontrato, pronunciava la parola "maledizione" come a un qualcosa di concreto, scartare tale possibilità solo perché considerata solitamente una cosa irrealistica sarebbe stato un errore madornale.
Non sarei stato poi tanto diverso da coloro che preferivano vivere nella loro bella gabbia dorata poiché incapaci di accettare un pensiero che fosse diverso dalla realtà che credevano di vivere, e che ritenere essere più sicura.
Come diceva il vecchio Max: metti in dubbio sempre e tutto.
"Non avere paura di ampliare le tue vedute perché saranno quelle che ti renderanno libero."
Mi lasciai andare un debole sorriso nostalgico. Era un tipo un po' eccentrico, e talvolta piuttosto svampito, ma sapeva decisamente il fatto suo e inoltre si era rivelato davvero un ottimo insegnante.
La punta della penna che stringeva lo Stratega si soffermò poco più sopra sul simbolo dell'occhio aperto «Anche i Silver seguono una... logica, se così si può dire, simile senza però nessuna maledizione e non è neppure necessaria la morte dell'erede precedente per lo sviluppo dell'abilità del successivo, ma ho notato che in questo caso il successore è più facile da individuare all'interno della famiglia per la pigmentazione grigia delle iridi e si tratta sempre di un'abilità psichica.»
Silver...
Pigmentazione grigia delle iridi, abilità psichiche... e guarda caso Dri ha gli occhi grigi e possiede l'abilità di vedere le anime. Una delle più psichiche per eccellenza.
Coincidenze? Ne dubitavo fortemente, oramai potevo scriverci pure un libro di tutte queste strane "coincidenze" che mi trovavo costantemente davanti.
In ogni caso anche qui urge fare qualche ricerca.
«Rispetto alle prima due, dei Kanri-sha si hanno invece ancora meno informazioni a riguardo» continuò Magnes puntando la penna sopra le due spade con dietro la "esse" arzigogolata, ricatturando la mia attenzione. Finalmente, le informazioni riguardante questa famiglia e la prossima, soprattutto, era quelle che anelavo più sapere, peccato che le premesse non erano delle più promettenti. «Le uniche cose che si sanno di loro è che discendono da uno dei primi Sigmaf riconosciuti e che siano custodi di due letali e potenti spade forgiate secoli prima da questo.»
Aggrottai un poco la fronte insoddisfatto «Nient'altro sulle spade? Che particolarità hanno? I modi per attivarle?» mi permisi di domandare. d'altronde ero giustificato a chiedere per via di quanto successo alla mia naginata. E non solo quello.
Magnes si protese adagiandosi sullo schienale rigido della sedia di ferro su cui si trovava seduto «Solo che chi ne viene tagliato spetta un destino ben più orribile da chi invece ne rimane subito ucciso.»
Mi imposi di non portarmi una mano sulla ferita nell'udire quelle parole. Quella che mi aveva provocato proprio una di quelle spade e che non mi dava pace da stamattina.
Oh, ma fantastico...
Ci voleva proprio una buona notizia.
Spostai lo sguardo sull'ultimo disegno a destra, le due piume incrociate. «E loro invece?» feci senza tradire alcuna emozione in particolare «Gli Arapaui... Apaui...Arawi...»
«Apawi» mi corresse freddo lo Stratega «di loro le uniche fonti che si riescono a trovare affermano che avevano la capacità di svelare qualsiasi inganno. Nient'altro.»
Questa volta non potei trattenermi dallo storcere la bocca in una smorfia. Come informazione questa era piuttosto scarna e più che risolverli non fece altro che sollevare altri interrogativi.
Che cosa intendeva con la capacità di "svelare qualsiasi inganno"? che cosa significava?
Possibile che potesse centrare con la mia particolarità di percepire quelle che io avevo soprannominato "vibrazioni" negli esseri viventi? Non ne ero certo, troppi pochi indizi per giungere a sicure conclusioni.
In più c'era un'altra questione, un dubbio atroce, che non mi era sfuggita dalle sue parole.
«"Avevano"?» mormorai incerto.
Infatti si era riferito a loro parlando al passato come se... non esistessero più.
«Quasi un secolo fa risulta essere inspiegabilmente scomparsa del tutto all'improvviso nel giro di una sola notte, alcune voci affermano che si sia trattato di uno sterminio calcolato e perpetrato da qualche loro nemico non riconosciuto in maniera ufficiale.» espose Magnes usando la stessa leggerezza che avrebbe avuto nel spiegare un qualche concetto di fisica quantistica o di meccanica. Il suo sguardo slittò su di me ritornando poi sul foglietto coi simboli con tale rapidità da darmi l'impressione di essermelo solo immaginato. «Qualche decennio dopo sembra essere accaduto lo stesso ai Kanri-sha» proseguì spedito «per questo non riuscirai a trovare altre informazioni su di loro più di quel che ti ho già confidato io.»
In poche parole: qualsiasi altra ricerca a quelle ultime due famiglie sarebbe stata inutile.
Un vero buco nell'acqua insomma.
Dopotutto essendo state entrambe sterminate, con loro erano morti anche i segreti che celavano, no?
O almeno questo era ciò che voleva indurmi a far credere Magnes.
L'ultima frase pronunciata mi suonava un po' forzata, dava quasi l'impressione che volesse cercare di convincermi a non voler proseguire le ricerche su proprio quelle due famiglie. Ciò significava che non mi aveva detto tutto su di esse, specialmente su quanto riguardava l'ultima. Quella che più mi interessava.
Anche se le informazioni riguardante gli Apawi fossero davvero pochissime, per quell'unica che Magnes aveva deciso di rivelarmi l'aveva fatto in maniera abbastanza fredda e frettolosa. Il tutto lasciava intendere che ci fossero dei dati. Su di essi ce non voleva farmi scoprire.
La domanda era: perché?
..."Ti spettava di diritto."
Accennai a un sorrisetto abile.
Il sigillo con le due spade e la "esse" nel biglietto che mi aveva lasciato Shakoma e, soprattutto, le piume incise ai lati dell'anello che mi aveva regalato...
Era chiaro che come sterminio non doveva essere stato davvero così totale, a quanto pare qualcuno era riuscito a fuggire.
Decisi però di non esporre questa mia ipotesi ad alta voce. Se Magnes non aveva intenzione di rivelarmi nient'altro. Perché sarei dovuto essere io a sbilanciarmi comunicandogli i miei ragionamenti?
Avevo infatti riconosciuto il suo secondo fine, presente in quell'ultima frase: oltre a cercare di scoraggiarmi dal proseguire le mie indagini sulla famiglia Apawi in particolare, voleva anche testare quanto io realmente sapessi su di essi e sulla loro sopravvivenza.
In sostanza si trattava di una provocazione. Di una trappola.
Magnes non era affatto uno stupido, sapeva bene della mia fame per qualunque informazione trovassi interessante e dalla mia insaziabile curiosità. Da bravo Stratega, aveva giocato proprio su questa cosa punzecchiandomi in quel modo: se avessi avuto qualche ipotesi sull'eventuale sopravvivenza di qualche Apawi (cosa che in effetti avevo) avrei potuto rimarcare tale possibilità mostrando però quindi una certa insistenza, apparentemente "ingiustificata", sul voler scoprire maggior informazioni sul loro conto portandomi così allo scoperto con Magnes rivelandogli le mie vere intenzioni e bisogni, cosa che gli avrebbe dato perciò un certo potere, superiorità, su di me.
In uno scontro tra menti questo equivaleva alla sconfitta perché avrebbe voluto dire offrire su di un piatto d'argento al proprio al proprio avversario l'occasione di manipolarti a suo piacimento e io non avevo la minima intenzione di permetterlo.
Perciò reclinai il capo da una parte emettendo solo un sottile sbuffo annoiato. «Ah beh...» mormorai raddrizzando la testa e alzai brevemente le spalle «allora mi sa che dovrò accontentarmi.» e dopo aver raccolto il foglietto con i quattro simboli, presi a incamminarmi verso la porta da dove ero entrato prima e che fungeva da unico ingresso del terzo pieno, se non si contavano le finestre.
Non potei vedere l'espressione di Magnes (con che avrei potuto vedere granché comunque siccome si ostinava a mantenere lo sguardo davanti a sé ed evitando invece il mio) ma immaginai che non dovesse essere molto contento.
Con quella mia risposta, infatti, non solo rimanevano incerte le mie reali intenzioni e conoscenze riguardanti l'argomento, in più affermavo anche di come l'aiuto di Magnes su questo non fosse più necessario negandogli così di poter avere influenza su di me. Sapendo quanto poco mi sopportava, non doveva avergli fatto un gran piacere e la cosa mi divertiva assai.
Una volta giunto a un passo dalla porta di metallo, decisi di prendermi un'ulteriore rivincita. «Ah e un'altra cosa» iniziai arcuando le labbra in un sorriso arguto «immagino che tu voglia effettuare dei piccoli test su Chika per via di quella sua "piccola stranezza".» di certo doveva sapere che Chika non era esattamente un'Ultra regolare avendo sviluppato la sua abilità solo circa due anni più tardi dalla somministrazione delle Cura e, curioso com'era pure lui, era impossibile che non decidesse di avviare qualche ricerca per capirne meglio sulla questione.
Peccato che lo stesso avevo in mente di fare anch'io. «Chiedo di poter essere io a occuparmi di lei su questo caso.» mi feci avanti parlando col tono tra il cordiale e l'affabile.
Con la coda dell'occhio osservai le spalle dello Stratega irrigidirsi appena. «Che ragazzino sfacciato e impertinente.» fu il suo commento emettendo un sonoro sbuffo indispettito «E perché mai credi di poter essere meglio tu anziché qualcuno di più qualificato per questo compito?» obiettò lasciando trasparire la sua irritazione.
"Qualcuno tipo tu?" mi sarebbe piaciuto dirgli. Invece piegai la testa da un lato sorridendo abile «Perché io possiedo giusto qualche informazione in più di te.» detto ciò aprii la porta e la oltrepassai con passo tranquillo, chiudendola quindi una volta superata.
Chi la fa l'aspetti mio caro Magnes. Non sei certo l'unico a conoscere segreti in grado di izzare la curiosità nell'altro e di cui in quel momento questo ha bisogno.
I ruoli erano adesso invertiti, ero io ad averlo messo alle strette ora. Se voleva delle informazioni sugli Ultra tardivi le avrebbe dovute pagare care, e cioè con quello che sapeva sugli Apawi.
Cominciai a scendere le scale con un'espressione più pensierosa mentre rimuginavo sulla discussione appena avvenuta.
Non era andata esattamente come sperato e i dati ottenuti erano davvero scarni, però al tempo stesso ero riuscito a recuperare qualche indizio decisamente interessante...
Primo tra tutti la questione riguardante i Silver: la descrizione fornita da Magnes dei loro eredi ricordava molto Dri, tuttavia il colore degli occhi e il tipo di abilità sviluppata non erano sufficienti per fornire una prova davvero concreta sulla sua possibile appartenenza a quella famiglia. Ciononostante, visto il nostro coinvolgimento all'interno della Profezia e il mio presunto legame con gli Apawi, non era neppure da scartare come possibilità. Su questo decisi che ci avrei poi effettuato delle ricerche.
Invece l'altro punto molto interessante riguardava il presunto sterminio degli Apawi e dei Kanri-sha; la storia coincideva con quella che mi aveva raccontato Shakoma quasi cinque mesi fa, date comprese. Almeno per quanto riguardava la seconda famiglia.
Già qualche tempo dopo che me l'aveva raccontata sospettavo che vi fosse lo zampino degli Eroi dietro a quel massacro, le parole di Magnes poi, con quel "nemico non ufficialmente riconosciuto", me ne avevano dato quindi la conferma.
Quando accade qualcosa di grosso e molto brutto ma che sparisce nel dimenticatoio troppo in fretta (oppure vengono inventate scuse molto poco plausibili o sensate) significa che chiunque abbia ordito tale tragedia doveva trattarsi di qualcuno di molto potente, perché riuscire a inabissare dei casi del genere con facilità vuol dire che può mettere mano nella legislazione e nell'apparato giudiziario e non solo.
E chi è in grado di fare questo sono gli Alfa in primis e, in parte, pure gli Eroi.
Io ho puntato subito a questi ultimi perché Shakoma aveva deciso di diventare una spia dei Liberatori, loro acerrimi nemici, però avevo il vago sospetto che anche l'opzione politica non fosse del tutto da scartare.
Non dopo quanto avevo potuto apprendere su di loro e dei subdoli giochetti che erano soliti ad adoperare, la missione a Rabat fatta giusto un paio d'anni fa era stata molto istruttiva in questo.
Rimaneva però da capire perché avessero voluto sterminare proprio quelle due famiglie e lasciare invece stare le altre? che cosa sapevano, o facevano, che davano tanto fastidio?
Diverse possibilità presero a farsi prepotentemente spazio nella mia testa, tutte possibili ma nessuna certa.
Non restava che indagare e scoprirlo.
Assieme a tutta quella miriade di misteri e domande che vorticavano senza sosta nulla mia mente.
Accipicchia, per ogni domanda che riuscivo a trovarne la risposta (spesso neanche) ecco che ne compariva subito un'altra, ancor più grande della precedente.
Poggiando la punta del piede, seguito poi dal resto della pianta, sul pavimento in pietra del secondo piano, volsi un rapido sguardo alla mia destra dove avevo lasciato Chika in balia dei due ragazzi più grandi. La vidi parlare con loro in maniera abbastanza tranquilla, un sorrisetto sfrontato giocava con le sue labbra.
Ezra in apparenza invece sembrava essersi dimenticato di come fino a qualche minuto prima nutrisse grande interesse per i segreti che nascondeva, inconsciamente, la ragazzina parlando invece di vestiti. Però udendo quello che stava dicendo intanto che mi avvicinavo a loro, capii che in realtà si trattava soltanto di una facciata. Compresi infatti che stava cercando di avvicinarsela in maniera amichevole con la proposta d'invitarla nell'atelier del castello usando la scusa di doverle prendere le misure, perché potesse ralizzarle gli abiti che gli stava tuttora commissionando, per poterle carpire le informazioni che lo interessavano.
«Lì ho tutto quello che mi servirà» le parlava usando un tono estremamente morbido e cordiale, celando dietro a esso l'inganno che stava tessendo «metro, spilli, nastri... così potrò realizzare tutti gli abiti che vorrai.»
Ruffiano.
Anche il sorriso che stava esibendo in quel momento era un po' eccessivamente bonario. Ci avrei pure messo la mano sul fuoco che aveva in mente di usare come moneta di scambio per tutti i vestiti che le avrebbe realizzato maggior informazioni più succulente sulla cara nonnina di lei.
Ovviamente però senza chiedergliele apertamente per non scoprire appunto così le proprie intenzioni.
Difatti una volta che si conosce il valore del prezzo richiesto, si diventa più restii a pagarlo.
Seduto sempre sulla sua comoda sedia girevole, nel frattempo Aivaras teneva lo sguardo fisso sullo schermo di un suo computer con le dita che scorrevano veloci sui tasti senza però perdersi una singola parola di quel che stavano dicendo gli altri due. La piega divertita che si poteva leggere sulla sua bocca lo confermava chiaramente.
«Tutti i vestiti che vorrò? Sicuro di quanto dici?» lo provocò Chika col capo leggermente inclinato da un lato e sfoggiando un sorrisetto beffardo, spostando poi lo sguardo alla sua destra mi vide raggiungerli camminando tranquillo. «Oh! Gabrieru!» fece storpiando per sbaglio il mio nome «Dov'eri scomparso? Stavo parlando con... capelli a porcospino e poi non ti ho più visto.»
Sentendosi chiamato in quel modo, Ezra sollevò un sopracciglio biondo stizzito «"Capelli a porcospino"?» Io e Aivaras non ci facemmo affatto problemi a trattenerci dal ridacchiare ilari.
«Ero andato un attimo da Magnes per chiedergli una cosa per un mio piccolo progetto» le risposi rivelandole solo una minima parte della verità. Spostando solo le iridi guardai verso il punto della mia scrivania dove avevo lasciato Bobby, facendo un piccolo cenno con la testa invitai il robottino a tornare da me.
Immediatamente lui, vedendo il mio cenno, tirò fuori la sua piccola elica e volò sulla mia spalla. Facendo calare per pochi istanti la palpebra sinistra con un movimento che ricordava molto un occhiolino, mi comunicò che sia Ezra che Aivaras non erano ancora riusciti a estrapolare le informazioni più importanti che custodiva Chika.
Ma conoscendoli sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo, bastava trovare gli indizi giusti.
«Magnes è qui?» mormorò Chika guardandosi attorno con aria ansiosa e trepidante allo stesso tempo.
«Nella torre sì ma non in questo piano» inclinandosi un poco all'indietro col busto, Aivaras sorrise superiore alla ragazzina «e tu non puoi andarci.»
Notando la fronte di lei aggrottarsi confusa preferii aggiungere per mettere le cose in chiaro: «Se è per questo neppure Ezra può andarci.» feci sollevando un angolo della bocca in un sorrisetto abile.
«E non ci tengo neanche» ribatté Ezra «se intendete il piano qui sopra.» sollevando l'indice destro lo puntò verso il soffitto.
«E perché?» domandò allora Chika.
Tornando a girarsi verso di lei, Aivaras aprì bocca per risponderle ma venne preceduto da Bobby. «Perché il terzo piano del laboratorio è stato adibito per l'effettuazione di test ed esperimenti di nuove invenzioni e progetti.» spiegò in breve «Per i non addetti risulta molto pericoloso accedervi nel caso un test non vada a buon fine.»
Aivaras richiuse la bocca lanciando un'occhiata seccata al piccolo androide. «Quello che ha detto il robottino» bofonchiò dando conferma a quanto stato detto da quest'ultimo.
«Il mio nome è Bobby.»
Ezra si portò entrambe le mani nelle tasche davanti dei suoi aderentissimi pantaloni in jeans chiaro e storse la bocca infastidito da un ricordo. «Quei maledetti insettacci» disse infatti subito dopo «hanno distrutto tre dei miei capi si cui avevo lavorato con tante fatica due mesi, li ho dovuti buttare via tutti e rifarli da capo.»
«Se per te quello è stato tremendo allora è un bene che tu non sia stato qui circa due anni fa.» piegandosi maggiormente all'indietro e reclinando pure un poco la testa, Aivaras volse un sorriso beffardo all'amico «A causa di un piccolo incidente, una grossa partita di esplosivi pieni etilimercaptano sono scoppiati tutti insieme vicino al salone d'ingresso.»
Riconoscendo la sostanza chimica nominata storsi il naso schifato, era stata davvero una fortuna di non essere stato presente in quel periodo al castello. Al contrario, sia Chika che Ezra fissavano Aivaras abbastanza confusi non comprendendone cosa fosse quella parola strana pronunciata.
«Etilirume-che?» fece Chika aggrottando la fronte perplessa.
«Sì, sono piuttosto confuso anch'io» concordò Ezra usando però un tono più frivolo.
«Etilimercaptano.» la corresse invece Bobby pronunciando il nome della sostanza in maniera corretta, cosa in cui pure io avrei avuto difficoltà a fare.
Naturalmente però tale correzione non fu di grande aiuto ai due per capire cosa fosse quella parola.
«È una sostanza piuttosto puzzolente» spiegai a loro spigliato «ricorda un misto di cavolo in decomposizione, aglio, cipolle e gas di fogna.»
«Ouh...» Chika piegò la bocca in una smorfia arricciando il naso nauseata nel scoprire l'esistenza di una tale sostanza che potesse emanare un puzzo simile.
«Non il più fragrante dei profumi immagino...» commentò invece sarcastico Ezra.
Sorrisi beffardo alla sua frase «Immaginalo ora diffuso per tutti i corridoi del castello a una concentrazione sufficiente da far venire la nausea a chiunque l'annusi.»
«Ouh» mormorarono stavolta entrambi all'unisono. «Mi sa che sono meglio quelle maledette mosche...» mugugnò in aggiunta a sottovoce il Sigmaf.
Mi volsi quindi verso Aivaras guardandolo perspicace «Dico bene? D'altronde immagino sia all'incirca quella la quantità che Bo ha messo dentro a quegli esplosivi» affermai «perché è di Bo che stiamo parlando, non è così?»
Bo era un chimico sistemato a quattro postazioni distanti dalla mia con la fissa degli odori, tutti i chimici e ingegneri vicino a lui si lamentavano spesso dell'incredibile puzza che avevano certi suoi esperimenti. A ben pensarci era da ritenere una fortuna che io invece mi trovassi ad un adeguata distanza da dove lavorava lui.
«Supponi bene!» dichiarò Aivaras «Per quasi una settimana siamo stati costretti a girare con la maschera antigas e finestre completamente spalancate ovunque, anche se era inverno inoltrato, prima che finalmente quell'orribile puzza se ne andasse.»
«Sto cominciando seriamente a pensare di preferire le mosche meccaniche...» replicò Ezra ancora disgustato.
«E non ti ho ancora raccontato di quella volta che il generatore elettrico potenziato da Marielle ha mandato in cortocircuito l'intero sistema elettrico del castello, abbiamo brancolato nel buio per due notti prima che riuscissero ad aggiustarlo ripristinando la corrente.» narrò ancora Aivaras sogghignando ilare «Fortuna che eravamo ancora a giugno allora e c'erano più ore di luce.»
Arcuai le labbra un poco divertito. Beh, quando ero ancora alla villa, io avevo fatto piovere un sacco di volte nella camera sia di noi ragazzi che delle nostre compagne a causa di esperimenti falliti o andati letteralmente in fumo e pure qui la cosa non era tanto diversa: piccole esplosioni o scoppi "innocenti" erano all'ordine del giorno qui al secondo piano del laboratorio dove stavano tutti i chimici e gli ingegneri. Ecco perché era stato predisposto un estintore pronto all'uso in ogni postazione, compresa la mia.
Proprio in questo momento, per esempio, si udii il caratteristico suono di qualcosa di piccolo che scoppiava a singhiozzi seguito poi da quello delle sostanze repellenti contenute da quei cilindri metallici rossi che veniva spruzzante sulle piccole fiamme e da una sonora imprecazione in un dialetto sloveno. Il tutto svolto in maniera piuttosto tranquilla e naturale, quasi come se si stesse in realtà trattandosi di un semplice compito in classe.
Chika si voltò rapida nella direzione in cui aveva sentito il rumore ma si rilassò poi subito quando capì che era tutto sotto controllo, anche se notai alcuni segni di disagio dalla sua bocca e da come muoveva le dita per questo strambo modo di fare al laboratorio. «Sai, credo d'iniziare a capire perché l'accesso al laboratorio non consentito a tutti...» mormorò abbozzando un sorriso ironico.
Prima che provassi a ribattere con qualcosa di sagace e provocatorio (tipo: "arguta") quando avvertii la manina fredda e robotica stringere il padiglione del io orecchio destro e tirarlo debolmente. «Manca un quarto d'ora alle tre, Gabri.» ci tenne a informarmi premuroso Bobby «Devi finire di fare il giro del castello a Chika se poi vuoi andare al poligono prima che si faccia troppo buio. Ti ricordo che qui il sole inizia a tramontare alle quattro del pomeriggio.»
Buttai un'occhiata fuori dalla finestra più vicina e notai che in effetti le ombre si erano fatte più lunghe. Se volevo portarla al poligono prima che diventasse troppo buio dovevo sbrigarmi, anche perché dopo una cert'ora scattava l'oscuramento del castello. «Hai ragione Bobby, adesso andiamo» concordai.
«Mi sa che ti conviene, Simon sa essere davvero palloso se sapesse che eri con la nuova arrivata e non l'hai presentata al resto del gruppo» disse Aivaras con tono tediato tornando a voltarsi verso lo schermo del suo computer aperto ora su almeno quattro programmi.
«Lo so, è per questo che voglio sbrigarmi» replicai cominciando a muovermi verso le scale che conducevano verso il basso. «A più tardi!»
«Ehi Chika, ricordati di passare da me nell'atelier per quelle misure, se no altrimenti non potrò farti quei vestiti.» ci salutò (o meglio, la salutò) così invece Ezra accompagnato da un breve cenno del capo.
«Sì, me lo ricorderò!» rispose lei ricambiando il gesto mentre allungava di poco il passo rimanendomi a fianco. «Spero» aggiunse poco dopo a voce più bassa, parlando più a sé stessa, intanto che mettevamo sempre più distanza da due ragazzi.
La guardai brevemente sorridendole scaltro «Quanti abiti gli hai commissionato?»
Notai le sue guance assumere una sfumatura di rosa più intenso spostando altrove lo sguardo, imbarazzata. Arrivate alle scalette che portavano al piano inferiore iniziammo a scenderne i gradini cigolanti in legno. «Ehm... circa una quindicina» ammise infine Chika. «Forse poco più...»
Una quindicina? Accipicchia!
Okay, anch'io ne avevo richiesti almeno quasi una decina (contando pantaloni, maglie e felpe tutte assieme) ma questo perché al mio arrivo al castello ero provvisto solamente di un cambio oltre alla divisa da Ultra che indossavo.
Con Chika invece avevo intravisto almeno quattro grosse valigie accatastate in un angolo della mensa, distante dal tavolo. Era impossibile che almeno in una di esse non contenesse degli abiti? Allora perché richiederne così tanti nuovi?
Di un numero poi abbastanza sufficiente da poter fungere come inizio per poter rifarsi il proprio guardaroba.
«Così pochi?» commentai sarcastico. Dalla poca attenzione che portava al suo abito orientale e dal suo modo di camminare volutamente poco aggraziato, dando mostra di non amare molto le calzature che indossava, non mi comunicavano un grande interesse per i vestiti e la moda come invece faceva Yen, perciò a quella richiesta di un gran numero d'indumenti nuovi doveva esserci dietro una ragione particolare.
A quanto pare la questione "vestiti" era un tantino più delicata di quel che avevo dedotto all'inizio.
«Ehi! Guarda che il kimono sarà pure un abito... abbastanza bello, ma è davvero scomodissimo da girarci.» replicò Chika standomi dietro solo di poco, abboccando all'amo che avevo creato. «Per non parlare poi dei geto...» continuò usando un tono ancor più lamentoso e volse un'occhiata seccata alle sue calzature che portava ai suoi corti piedi e che la rallentavano di molto nella camminata.
«Kimono?» domandai quindi io, curioso, scendendo uno scalino per volta e mantenendo una velocità sostenuta in modo da consentirle di starmi al passo, ma senza andare troppo lenti. Per dove avevo intenzione di condurre il discorso era necessario che non ci fosse nessun altro al di fuori di noi due.
Più Bobby, ma lui non rientrava in quel particolare conteggio.
«È un abito tipico della cultura giapponese.» si aggiunse naturalmente alla conversazione Bobby rispondendo alla mia ultima curiosità «Ritornato in voga nella ricostruzione culturale del Giappone, verso la fine del ventitreesimo secolo, continua a essere tuttora utilizzato durante i festival folkloristici del paese e dalle famiglie o persone ancorate alle antiche tradizioni.»
«Come quella di mia zia» sbuffò Chika usando un tono tra il seccato e l'amareggiato. Sollevando la mano sinistra all'altezza del petto, infilò il pollice sotto il bordo del tessuto sovrapposto all'altro che componeva lo strato esterno dello strano abito e lo tirò appena in avanti aprendo leggermente lo scollo. «Il vestito che sto indossando ora è un kimono» spiegò con voce annoiata e riabbassò la mano. Nel frattempo eravamo già scesi al primo piano, con stavolta l'area caffè più vuota in confronto a prima, e oltrepassammo l'uscio che collegava l'entrata effettiva al laboratorio alle scale che avevamo percorso precedentemente per arrivarci.
«Mia zia è molto fissata con le tradizioni e ha voluto che io le seguissi fedelmente, abiti compresi» proseguì lei a parlare, stavolta con fare più seccato, intanto che scendevamo gli scalini stavolta in pietra. «Potevo indossare solo quelli come questo, le uniche eccezioni concesse erano l'uniforme scolastica delle medie e la divisa che indossavo durante gli allenamenti con mia nonna.»
«E tua nonna invece? Come la pensa a riguardo?» le domandai voltandomi un poco nella sua direzione e guardandola con espressione un po' più seria ma comunque curiosa. Non potevo fare a meno di notare che quando Chika accennava alla sua famiglia, alla quale intuivo fosse lo stesso molto legata (nonostante dalle sue parole poteva sembrare il contrario), nominava soltanto sua nonna o la zia, mai "mamma" o "babbo". O forse nel suo caso "papà".
«Che le tradizioni e la cultura fanno parte dell'identità di un popolo e perciò è importante tenerle vive.» rispose quasi come stesse recitando la battuta imparata a memoria di un copione invisibile «Almeno sulla questione abiti era mooolto più morbida» aggiunse poi con una breve scrollata di spalle.
Riportando il viso rivolto in avanti, continuai però a scrutarla di sottecchi usando la coda dell'occhio. Infine mi lasciai andare un corto sospiro reclinando un poco la testa e socchiudendo gli occhi. «Accipicchia...» mormorai facendo trasparire apposta una sfumatura delusa nella voce «e io convinto di fosse incredibile avere una nonna ex Stratega.» tolsi le mani dalle tasche e le sollevai fino all'altezza del torace alzando al tempo stesso appena le spalle, il capo solo leggermente inclinato a sinistra «Ah beh, a quanto pare mi devo ricredere su ciò» commentai leggero come tocco finale.
«Oh no, non ti sbagli poi tanto» si affrettò subito a correggermi Chika, come calcolato. «Sapessi che storie incredibili mi raccontava ogni sera prima di andare a letto!»
Un angolo delle mie labbra si arcuò in un sorriso scaltro.
«Sul serio?» feci tornando a voltarmi verso di lei, che si trovava a qualche gradino più indietro, mostrandomi vivacemente, e innocentemente, interessato «E qual è secondo te quella più interessante?» domandai «Quella che ti ha lasciato più a bocca aperta tra tutte?»
Lei abbassò un poco il capo umettandosi le labbra pensierosa. «Uhm... direi senza ombra di dubbio quella sull'origine degli Eroi.» rispose, risollevò quindi il viso guardandomi con espressione accesa e vivace «Lo sai che in realtà loro n-»
Non poté mai terminare ciò che stava per rivelarmi poiché le tappai rapido la bocca con una mano impedendole di pronunciare qualsiasi altra parola e avvicinai a col tempo il mio viso al suo.
Alzando l'altra mano i portai un dito davanti alle labbra piegate in un sorrisetto perspicace mentre tenevo le mie iridi fisse sui suoi piccoli occhi spalancati dallo stupore e dalla confusione, non capendo cosa stesse accadendo e cosa significasse questo mio cambio di comportamento così repentino.
«Seguimi.»
Liberandole perciò la bocca, certo che non avrebbe urlato o simile, le afferrai rapido la mano e presi a scendere gli ultimi gradini con passo più spedito e Chika costretta a seguirmi appresso con ancora la confusione ben leggibile sul volto.
Continuai a percorrere le scale e non la lasciai andare anche ben dopo che eravamo usciti dalla torre e messo una buona distanza tra noi e il laboratorio (i loro abituali frequentatori avevano spesso l'abitudine di ficcare il naso negli affari altrui, nessuno escluso), invece imboccai diversi corridoi scegliendo quelli che venivano meno usati o frequentati dai Liberatori.
Purtroppo non potei però andare molto veloce per via della ferita che mi tirava al petto e agli scomodi sandali che portava Chika, assieme questi due elementi creavano una combo micidiale. In senso negativo ovviamente.
Perciò ci impiegammo più tempo di quanto ci avrei messo realmente in condizioni normali per raggiungere il posto che avevo in mente. Perlomeno, in tutto il tragitto, Chika non tentò mai di tirare indietro evitando così di rallentare ulteriormente il passo, al contrario ricambiò la stretta lasciandosi guidare senza problemi per i corridoi e scale intraprese.
Decisi di mollarle finalmente la mano una volta che ci trovammo sulla cima della torre dove avevo avuto stamattina quella particolare lezione con Kaya.
A differenza di allora il sole adesso si trovava in una posizione diversa del sole cambiando così anche la direzione delle ombre e inoltre la luce stava già iniziando calare. Il livello della neve si era notevolmente alzato, naturale, arrivandomi al ginocchio mentre la temperatura esterna si era fatta più bassa.
«È freddo.» commentò Bobby, lasciando ben poco velato l'avviso di prestare attenzione a non ammalarmi. Un'altra volta.
«Tranquillo, non ci staremo per molto» gli promisi e gli feci poi segno di volare all'entrata, che dava al tetto della torre su cui ci trovavamo, a controllare nel caso arrivasse qualcuno.
Avanzai lasciando dietro di me dei profondi buchi nella neve fin troppo fresca e morbida, le scarpette che indossavo erano ben poco adatte a questo tipo di clima e ci impiegarono solo una manciata di minuti a bagnarsi del tutto e lo stesso accadde pure con la parte dei pantaloni che più era in contatto con la neve. Poco male, me li asciugherò poi usando la mia abilità una volta rientrato al caldo.
Giunto davanti all'amerlatura balzai agile atterrando senza problemi su di essa, da lì sopra la vista era imperdibile e così pure l'altezza a cui mi trovavo. Muovendomi in odo da avere quel vuoto, e anche il paesaggio innevato, alle mie spalle, mi voltai verso Chika.
A causa del suo vestito, e di quei sandali scomodi, arrancava lenta e a fatica in quei circa trenta centimetri di neve guardandosi attorno con aria di pura meraviglia. Quando però i suoi occhi scuri si soffermarono sui miei notai una luce di deciso interesse brillare in essi.
Socchiudendo solo a metà le palpebre arcuai gli angoli delle labbra in un'espressione soddisfatta e perspicace.
Qui nessuno potrà sentire quello che le dirà.
Era il momento di levare la maschera.
«Te lo dirò chiaro e tondo» iniziai a parlare rompendo il velo di silenzio tessuto dalla neve «Non è affatto un caso che abbiano scelto me per accompagnarti a fare un giro nel castello al posto del tuo Responsabile e le stronzate dette prima da Bulhuui non centrano un accidenti con ciò.»
Come unica reazione lei si accigliò rivelando una forte confusione «E quale sarebbe allora il vero motivo?» replicò cercando di mostrare un atteggiamento sicuro e sfacciato, il tremore presente però nella sua voce tradì però la sottile sfumatura di nervosismo che provava.
«Su, dimmelo.» insistette con lo stesso tono di prima. il petto le si alzava e si abbassava a una lentazza autoimposta che lasciava intuire i suoi tentativi di lasciar trapelare la sua crescente agitazione. I suoi occhi si assottigliarono fissandomi sospettosa, una netta differenza rispetto a come mi guardava solo poco prima.
Ecco perché avevo preferito non svelare tutte le mie carte, e con esse la mia natura, fin da subito. Se l'avessi fatto non sarei riuscito poi a cavare da lei alcuna informazione di quelle che mi servivano.
A quanto pare con individui come me, le persone divenivano molto restie a dare la loro fiducia. Hilda e Noah ne erano stati infatti la riprova.
Sinceramente un po' le capivo, ma non rendeva lo stesso la cosa molto piacevole.
«Purtroppo in questo mondo esistono dei segreti che, se divulgati con leggerezza, possono essere in grado di generare il caos più totale.» presi a spiegarle partendo da quello che era il punto fondamentale del discorso. Infilandomi le mani nella tasca centrale della felpa, tenermele più al caldo, iniziai a fare avanti e indietro lungo il bordo dell'amerlatura della torre, ignorando i parecchi metri d'altezza che avevo dall'altra parte «Ora, io per primo preferisco mille volte la verità alle menzogne» al massimo quello che io facevo era di rivelare solo una parte delle verità «tuttavia ritengo che esista un tempo per tutto e, attualmente, il periodo che stiamo vivendo in questo momento non è ancora abbastanza maturo per divulgare su ampia scala quel particolare segreto che te invece stavi tranquillamente per spifferare ai quattro venti.»
Chika strinse gli occhi piegando il capo da un lato, una sottile nuvola di vapore le sfuggì dalle labbra tinte di ciliegia. «Intendi quello sugli Eroi?»
«Esatto» confermai «quello lì.»
Lei continuò a guardarmi attenta senza muovere un muscolo, diversi fiocchi di neve andavano a posarsi sui suoi capelli scuri come la notte senza né luna e né stelle e sopra la sua complessa acconciatura.
Decisi quindi di proseguire «All'interno degli Liberatori a essere a conoscenza di questo segreto sono solo Bulhuui w gli Strateghi, per tutti gli altri si preferito tacere per dare a loro una parvenza che il mondo non sia davvero così marcio» almeno era questo quello che Bulhuui all'incontro che avevo avuto con lui e gli Strateghi, in segreto «e un po' anche perché c'è il rischio che qualcuno potrebbe non sopportarne il peso e decidere quindi di spifferarlo a mezzo mondo.»
D'altronde molto si erano uniti ai Liberatori perché, soprattutto per quanto riguardava gli Ultra disapprovavano il modo di agire degli Eroi che di eroico aveva ormai ben poco. Se venissero poi a conoscenza della verità, tutto quello in cui avevano creduto da piccoli, i loro sogni, si sarebbero disgregati in un solo istante.
«Tu però non sei un Stratega, eppure lo sconosci comunque» notò Chika, poi la sua fronte si aggrottò ostile «oppure mi hai mentito sul tuo Livello.»
Interruppi il mio continuo andare avanti e indietro e la guardai serio. «Io non mento mai» scandii bene ciascuna parola «E non sono neppure un privilegiato, se è quello che credi» aggiunsi subito dopo anticipando quello che stava probabilmente per dire «l'ho scoperto per i cavoli miei.»
«E ti aspetti davvero che io ti creda?» sbottò Chika pungente.
Alzai le spalle indifferente «Non crederci se ti pare» risposi «il punto rimane però lo stesso: io so.» lasciai scorrere alcuni secondi di silenzio a cui ragionai rivelarle anche l'altra cosa o meno «Come so anche il fatto che tu hai sviluppato la tua abilità solo il mese scorso.»
Nell'udire la mia ultima affermazione osservai il suo corpo irrigidirsi e gli occhi spalancarsi dalla sorpresa, la bocca si schiuse in un'espressione di sincero sbigottimento.
«Per questo è stato chiesto a me di farti da guida per il castello» andai avanti ritornando sull'argomento originale «per scoprire quanto invece sapessi tu, essendo la nipote di una ex Stratega.»
Il fatto che non mi fosse stato comunicato in maniera esplicita quello in cui consisteva realmente il mio compito e che invece ci sono dovuto arrivare per conto mio tramite deduzioni implicava che si trattasse di un ulteriore test nei miei confronti in quanto Candidato.
«Interessante» mormorò Chika ironica «perché allora non sei subito corso da Bulhuui o dai due Strateghi a rivelarlo da bravo ragazzo oppure a continuare a reggere il gioco come prima, visto che lo stavi facendo così bene?»
Okay, se l'è presa.
«Avrei potuto, sì.» confermai tranquillo «Ma ho preferito essere onesto nei tuoi confronti.»
Le ridacchiò acida «Onesto?»
Annuii «Come hai potuto ben intuire, una volta appurato quanto tu sapessi avrei quindi dovuto far rapporto a Bulhuui.» le rivelai «Cosa che farò ugualmente in ogni caso.»
«Ovviamente.» annuì ora lei lasciando trasparire un evidente sarcasmo.
Levai le mani dalle tasche sollevandole in segno d'innocenza «Ehi, guarda che qui io ho le mani legate» replicai «Se non facessi poi rapporto gli Strateghi crederanno che io stia macchinando qualcosa alle loro spalle» passandomi poi una mano tra i capelli scrollai di dosso i fiocchi che vi si erano adagiati sopra, intanto proseguii «lo stesso se scoprirebbero questa nostra conversazione che stiamo avendo adesso.»
La confusione tornò a riaffiorire sul suo viso. «E allora per quale motivo la stai portando avanti lo stesso?»
«Ora ci arrivo.» la assicurai riprendendo a camminare con naturalezza sull'amerlatura «Una volta che li avrò informati del fatto che conosci quel segreto, Bulhuui o uno dei due Strateghi ti prenderanno da parte per dirti come sia estremamente fondamentale che questo segreto non venga fatto trapelare a qualcuno» dissi parlando con tono quasi annoiato e superficiale, come se stessi elencando la lista della spesa «da questo punto si hanno due possibili scenari: o te lo comunicano stando ben attenti a non lasciar trapelare l'identità dell'informatore, dopotutto potrebbe essere sempre stata la tua cara nonnina ad avvisarli, giusto? In alternativa, beh... Bulhuui non sa mentire, Uzhas è uno stronzo e Magnes... dipende, trattandosi di me in particolare lo sarà certamente. E io non ho voglia d'inimicarmi gente a caso.» ce ne sono già molti che non mi sopportano, non mi va di aggiungere altri nomi all'elenco.
Chika mi guardò incurvando un poco le sopracciglia mentre si strofinava il tessuto della manica del vestito sull'avambraccio sinistro come a cercare di scaldarsi, le guance leggermente arrosate dal freddo. «Vedo che nutri un grande rispetto per i tuoi superiori» espresse usando un tono che non lasciava intendere se fosse sarcastica o solo pensierosa.
«Sono sincero» replicai tornando a fermarmi davanti a lei, più o meno «e realista.»
«Mmmh...» continuò a scrutarmi stringendo ancor di piùgli occhi, infine arcuò la bocca esibendo un sorrisetto beffardo «E quindi in sostanza vorresti dirmi che staresti facendo tutto questo per me? Per la mia amicizia? Che cariiiino» fece infine canzonatoria, apposta per provocarmi.
Sostenni ancora il suo sguardo senza cedere alla sua provocazione.
«Entrambi i nostri Responsabili tendono a passare abbastanza tempo assieme» a litigare «perciò esiste la possibilità che noi due ci troveremo a condividere diverse lezioni» la informai rispondendo diretto «Tenendo quindi conto di quest'eventualità proprio non mi va di rischiare di trovarmi già ai ferri corti con te solo per un errore o dispetto di altri.» piegando di poco il capo da una parte socchiusi a metà le palpebre scrutandola con attenzione «E a giudicare dalla tua reazione mi confermi che ho fatto bene a giocare d'anticipo.»
A quel punto, terminata la mia spiegazione, si poté osservare diverse espressioni passare in successione sul viso di Chika. Prima ancora piuttosto titubante che sfumò però ben presto in una pensierosa per poi divenire totalmente confusa, il tutto mentre processava assieme le informazioni ricevute. «Quindi tu... io... perciò tu...» farfugliò in maniera caotica e priva di senso. Infine, dopo un paio di minuti e frasi interrotte a metà, alzò le mani in un gesto molto simile al mio precedente solo che in questo caso aveva come significato la sua resa. «Okay, mi arrendo» dichiarò infatti subito dopo «sento che mi si sta fondendo il cervello.» riabbassando le braccia tornò a guardarmi con un cipiglio perplesso «Ma quanto stracavolo va veloce la tua mente?» esclamò.
«Abbastanza» confermai.
Lei continuò a fissarmi pensosa «Quindi, in sostanza, che cosa vuoi da me?»
«Essenzialmente che tu non cominci a odiarmi.»
«Oh» fece Chika con una faccia che pareva dire "soltanto questo?".
Okay, lo ammetto. Quello di crearle disorientamento era stata una mia intenzione, in parte lo spiegone era servito proprio a questo.
In parte.
Volevo essere davvero onesto e sincero nei suoi confronti, ma dall'altra parte però, ecco... volevo assicurarmi un minimo di non rovinare fin da subito i rapporti. Intontirla spiegando filo per segno, più o meno, i miei ragionamenti e calcoli era stato un possibile modo per ammorbidirla dal fatto che l'avessi un po' manipolata per farle estorcere le informazioni che cercavo.
Anche se pure questa si trattava sempre di manipolazione...
«Beh, credo che si possa fare» mormorò lei, piano, in risposta alla mia richiesta di prima «suppongo...»
«E anche di avvisarti di non parlare più di quel segreto e che lo stesso ti diranno Bulhuui o uno degli Strateghi» aggiunsi poi io parlando spigliato.
Per questa richiesta e mezzo avviso, stavolta lei scrollò le spalle indifferente «D'accordo, nulla di troppo impegnativo.»
«E inoltre ti chiedo di non rivelare questa nostra conversazione né ai Bulhuui né agli Strateghi» continuai ancora «specialmente a loro due.»
Chika inclinò la testa da un lato, perplessa. «Perché?»
«Tra me e gli Strateghi non scorre buon sangue, se scoprissero di questa nostra conversazione diventerebbero ancora più stressanti di quanto non lo siano già» spiegai «Magnes in particolare.» Ma neppure Uzhas era da sottovalutare in quanto rottura e, soprattutto, bastardaggine.
Chika storse la bocca non tanto convinta. «Va bene...» accordò comunque «Altro?» domandò poi ironica.
«Come te la cavi coi furti di piccoli oggetti tipo cibo o dolci?» chiesi fortemente interessato.
Lei si umettò le labbra, pensando. «Finora diciamo che non ho mai provato a cimentarmi in quelli, mia zia sa essere piuttosto severa riguardo al giusto comportamento e rispetto da adottare, però mia nonna mi ha insegnato i fondamenti dell'arte della furtività.»
«Mi basta questo.» dichiarai, con un balzo atterrai agile sul pavimento, che fungeva da tetto della torre, poco distante da lei sprofondando coi piedi nella soffice neve. Le sorrisi scaltro «Ti va di rubare qualche brownie dopo cena?»
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