Vita al Castello pt1

Gab

Il gabbiano tornò a farmi visita in sogno.

Di nuovo.

E con lui anche quello strano sentiero fatto di stelle sul quale correvo nel tentativo di raggiungere il volatile che mi volava sopra a qualche metro più avanti.

Che cosa significasse non ero ancora riuscito a capirlo, avevo ormai perso il conto delle notti in cui avevo fatto questo sogno ma stavolta c'era un cambiamento. Non appena mi trovai esattamente sotto la figura del gabbiano anziché precipitare per diversi metri in una grotta fredda con solo due uscite, cadevo ancora, sì, ma questa volta mi trovai ad atterrare in mezzo alla strada di una città completamente distrutta e annerita da quel che sembrava essere stati dei grossi incendi.

Un forte odore di cenere e bruciato invase prepotentemente le mie narici, del tutto inutile fu il tentativo di ricordare al mio cervello che si trattava solamente di un sogno. Che niente di tutto questo era reale.

Mi guardai brevemente intorno. Tutti gli edifici circostanti non erano altro che scheletri di ferro e cemento anneriti dal fuoco e dalle fiamme, qua e là si potevano riconoscere alcuni resti di macchine bruciate. La strada era cosparsa di detriti e macerie.

Tutto era avvolto in un innaturale silenzio, non si udiva sollevarsi neppure il più sottile filo di vento. La città pareva come... morta.

Un cadavere cemento e cenere.

Che cosa è successo qui?

Che razza di posto era questo? Dove sono i suoi abitanti?

«...Gab...»

Una voce femminile risuonò spettrale nell'aria ripetendosi in un eco tra gli edifici in rovina.

«...Dri?» sussurrai riconoscendola. Nell'udire la mia voce in mezzo a quel silenzio surreale mi vennero i brividi, pareva... sbagliato romperlo.

Okay... è ancora possibile cambiare sogno? Rivoglio la grotta scura in procinto di crollare, grazie.

«...Gab!...» ripeté nuovamente la sua voce. Stavolta era più decisa, quasi impaurita.

«Dri! Dove sei?» provai a chiamarla mantenendo un volume medio-basso voltandomi attorno per cercarla.

È un sogno è un sogno, ricorda che tutto questo è un sogno. Niente è reale qui.

Continuai a ripetermi queste frasi come un mantra ma la mia mente si rifiutava di ascoltarle. Sembrava tutto piuttosto vero.

Avevo un subconscio decisamente creativo. E dai gusti abbastanza discutibili.

Alla fine intravidi delle figure scure in fondo alla strada.

Incuriosito, e sospettando di trovare lì anche la Dri onirica che mi aveva chiamato, presi ad allungare il passo in quella direzione.

Man mano che mi avvicinavo un nuovo odore si aggiunse a quelli precedenti. Uno che ricordava molto quello del ferro.

Sangue.

Presto vidi i primi cadaveri sparsi sull'asfalto. Al contrario degli edifici qui attorno non parevano essere stati toccati dalle fiamme nonostante l'estrema vicinanza di molti ai palazzi invece bruciati, il che dava un'ulteriore conferma che si trattava solo di un sogno ma il mio cervello sembrava non voler ascoltare, ma si trovavano comunque in condizioni orribili.

Chi fatto a pezzi, chi dilaniato, alcuni parevano addirittura essere esplosi dall'interno.

Uno spettacolo decisamente macabro.

I loro corpi ricoprivano, per un tratto che pareva infinito, la strada che avevo di fronte assieme al loro sangue e interiora. Avevano ancora addosso i loro vestiti ormai imbrattati di rosso scuro.

Avevo trovato gli abitanti della città.

La cosa non mi rese granché felice.

Il petto cominciò di colpo a farmi male come se avessi una grossa ferita che lo percorreva in diagonale a bruciarmi.

Gemendo debolmente tornai a guardare in avanti, ora riuscivo a vedere bene le due figure.

Una era indubbiamente Dri, come avevo immaginato, portava addosso i suoi abiti da Ultra e pareva piuttosto affaticata, le sue due spade erano a terra poco distanti da lei. La seconda figura, più bassa, invece non riuscii a identificarla, anche se mi risultava per qualche motivo familiare, vedevo soltanto che vestiva completamente di nero e che portava il cappuccio calato sul viso nascondendolo.

Riconobbi però la sagoma inconfondibile della lama di un pugnale che questa teneva in mano puntandola pericolosamente verso Adriana.

Non prometteva decisamente nulla di buono.

Affrettai quindi il passo, ansioso di raggiungerlo, prestando però attenzione a dove mettevo i piedi. Anche se era soltanto un sogno non mi andava comunque di calpestare i corpi riversi a terra ma continuando a procedere in avanti diventava sempre più difficile riuscirci, oramai coprivano quasi per intero l'asfalto sottostante. Una vista che preferirei tanto riuscire a rimuovere del tutto dalla mia mente.

È un sogno è un sogno, è tutto un sogno.

Il bruciore al petto aumentò all'improvviso d'intensità costringendomi a fermarmi, un altro gemito mi sfuggii dalle labbra.

Alzai lo sguardo giusto in tempo per assistere la figura incappucciata piantare con forza il pugnale nel petto di Adriana all'altezza del cuore e rigirarlo freddamente dentro per poi toglierlo. Il corpo di Dri venne colto da uno spasimo prima di accasciarsi al suolo sotto lo sguardo del suo assassino.

«No!» non riuscii a trattenermi dal gridare. Un'altra fitta al torace mi tolse il fiato bloccandomi sul posto e facendomi piegare in avanti dal dolore. Portai istintivamente una mano al petto, nel punto dove avevo più male, e sentii il tessuto del pigiama umido nelle mie dita, aprii il palmo e lo vidi sporco di sangue. Il mio.

Quando mi ero ferito?

Perché questo orribile incubo?

Non ne potevo più, non vedevo l'ora che finisse.

Peccato però che il peggio doveva ancora arrivare.

Nel momento in cui rialzai il viso, notai come la posizione fosse improvvisamente cambiata. Esattamente davanti a me, riversa a terra senza vita, c'era il corpo di Dri.

I suoi capelli castani formavano una sorta di aureola intorno alla sua testa mentre una macchia scura andava ad allargarsi sul suo petto, gli occhi dello stesso colore delle nubi mi fissavano vitrei.

Vuoti.

Se questa visione non fosse già di per sé abbastanza raccapricciante da destabilizzarmi, sollevando l'altra mano vidi che stringevo il pugnale che l'aveva uccisa. Il suo sangue che ancora colava giù dalla lama, viscoso.

Inorridito, buttai di getto l'arma a terra e indietreggiai andando a sbattere con il tallone contro qualcosa. Mi voltai per vedere cosa fosse e trovai Nick anche lui a terra con la gola squarciata e gli occhi vuoti aperti sul nulla. Morto.

Subito lì vicino scorsi Den nelle sue medesime condizioni e poco più avanti Yen con il ventre aperto, le poteva vedere le costole bianche sporgere dal suo interno.

Vidi poi Paulo, Vivian, Andrea, Ada Cecilia, Ýrar, Mirco, Kaya, Shakoma... persino Elliot.

Tutti fatti a pezzi, dilaniati, tagliati, mutilati, sgozzati, tranciati... morti.

Erano tutti morti.

Ovunque mi voltassi non vedevo altro che i volti di tutti coloro che avevo conosciuto tra i cadaveri riversi a terra che mi circondavano.

È un incubo, è soltanto un incubo questo. Non è reale, non può esserlo, non deve esserlo.

Il rumore di un piede che si posava dolcemente su una pozzanghera, non volevo sapere di cosa fosse fatta anche se avevo lo stesso i miei sospetti, attirò la mia attenzione.

Una nuova fitta bruciante mi attraversò il torace.

Girandomi mi trovai faccia a faccia con la figura di prima, quella che aveva pugnalato Dri. Aveva il cappuccio tirato giù quindi potevo vederlo bene in volto, adesso completamente scoperto.

Arretrai di un passo sconvolto.

Ero io.

Gli stessi capelli, la stessa carnagione, le stesse lentiggini, la stessa corporatura...

Anche la posa spigliata con le mani in tasca era la stessa. Uguale per le orecchie leggermente a punta che sbucavano tra le ciocche dei capelli neri e spettinati.

Era come guardarsi allo specchio.

Solo lo sguardo era diverso. Una luce crudele brillava nelle sue iridi della mia stessa pigmentazione mentre mi sorrideva beffardo lasciando intravedere uno dei suoi canini prominenti da sotto le labbra.

Sembrava un demone.

L'altro me prese ad avvicinarsi con fare tranquillo continuando a sogghignare malevolo. Tentai di muovermi ma il mio corpo si rifiutò di obbedire, i muscoli parevano bloccati e non era per la paura. Lo sentivo.

Qualcos'altro mi stava tenendo immobilizzato.

Per quanto mi sforzassi i muscoli non mi rispondevano più, neppure le dita dei piedi riuscivo ad alzare. Avevo completamente perso il controllo del mio corpo.

Intanto l'altro me avanzava inesorabile, l'espressione sul suo volto immutata, finché non me lo trovai a pochi centimetri dal mio viso. Pure la stessa altezza avevamo.

Impossibilitato dal muovermi, cercai di governare la mia paura per non dargli la soddisfazione di mostrarmi terrorizzato e quindi malleabile.

Lui mi guardò canzonatorio. Infine, senza fretta, tirò fuori le mani dalle tasche e le sollevò fino a toccare con i polpastrelli le mie tempie.

A quel contatto immediatamente la ferita al mio petto esplose almeno dieci volte più forte rispetto a prima facendomi gridare a pieni polmoni dal dolore.

Nello stesso momento la terra intorno a noi iniziò a tremare e a creparsi in risposta alle mie urla.

La città intera cominciò presto a crollare su sé stessa come un gigantesco castello di sabbia diventando tutto polvere e cenere.

Grosse e profonde crepe laceravano il terreno facendo precipitare i cadaveri che si trovavano lì sopra, da quelle aperture prese a risalire il magma bruciando i corpi rimasti in superficie e circondandoci.

Il mondo attorno a noi continuava a crollare sempre più distruggendosi mentre io invece continuavo a gridare.

L'altro me sogghignò derisorio e avvicinò ulteriormente il proprio viso al mio.

«Ricorda» mi sussurrò all'orecchio, persino la voce era identica alla mia «Questo sei tu

E la terra sotto i nostri piedi collassò.

~~•~~

Mi svegliai urlando tirandomi su di getto a sedere sul mio letto.

Sentivo il cuore battermi forte nel petto quasi come volesse scappare fuori, avevo il respiro affannoso e gocce di sudore freddo scivolavano sulla mia pelle. La ferita mi pulsava fastidiosamente da sotto le bende che avvolgevano il mio busto.

Davanti agli occhi vedevo ancora quelle orribili immagini. Le parole dell'altro me rimbombavano ancora nella mia testa.

Ricorda. Questo sei tu.

Ci misi un po' a rendermi conto di trovarmi in realtà ancora nella mia camera al castello dei Liberatori.

Nel letto sotto al mio potevo sentire il respiro pesante di Den che dormiva beatamente.

Era stato soltanto un sogno. Solo un sogno.

Un brutto e orribile incubo.

Non era reale.

Mi portai le mani intorno al volto mentre mi riprendevo gradualmente da quel terribile incubo. Gli occhi chiusi nel tentativo di trattenere le lacrime.

Lentamente il mio respiro tornò a regolarizzarsi e smisi di sentire freddo.

Con la mente già più calma riabbassai le braccia e inspirai profondamente per poi espirare riaprendo gli occhi.

Qualunque cosa fosse quel maledetto incubo, di sicuro era in qualche modo legato alla ferita che mi era stata inflitta l'altra notte da una di quelle strane spade bianche che Shakoma aveva regalato a Dri mesi prima per il suo compleanno.

Era difficile che delle semplici armi fossero in grado di fare qualcosa di simile ma come io stesso avevo potuto constatare sulla mia pelle, letteralmente, quelle due katane erano tutto fuorché normali. Sarebbe stato interessante, e utile, poter saperne di più su di esse ma Shakoma attualmente si trovava a qualche metro sottoterra a Barbados a far da mangime ai vermi (gli Eroi si erano rifiutati di seppellirlo anche con la più povera delle casse funerarie e Andrea non aveva alzato un dito a suo favore) e della sua famiglia conoscevo soltanto il loro stemma, oltre al fatto che era stata sterminata diversi anni fa.

Avevo provato a fare qualche ricerca una volta arrivato qui ma non vi era saltato fuori nulla, neppure Bobby era riuscito a fornirmi alcuna informazione. Né su quella famiglia né sulle altre.

Mi torsi all'indietro col busto, stando attendo a non tirare con la ferita da poco ricucita, e allungai una mano verso il ripiano in legno attaccato al mio letto che usavo come comodino per appoggiarci le mie cose afferrando una piccola sfera liscia e tiepida al tatto. Facendogli una breve pressione, questa si accese diffondendo nella zona più vicina a me una calda luce dorata e cominciò a volteggiare sopra il mio palmo aperto.

Con la vista più rischiarata raccolsi dallo stesso ripiano un libro dalla copertina rosso scuro che stavo rileggendo per la seconda volta e lo aprii sfogliandolo verso la fine, esattamente come mi aspettavo trovai tra quelle pagine un foglietto di carta ruvida e ingiallita dal tempo con sopra disegnati quattro simboli. Un serpente che si morde la coda, un occhio spalancato, una "esse" arzigogolata con due katane che formavano una "X" sopra e due piume incrociate.

Rimasi a osservare in silenzio per diverso tempo i tratti dell'inchiostro nero che li raffigurava.

Li avevo visti la prima volta sull'affresco che decorava la cupola della Sala delle Cerimonie della villa al posto dei punti cardinali mentre la seconda su questo foglietto che avevo trovato incastrato tra due pagine incollate del libro che tenevo ora sulle gambe.

Mi ero chiesto fin da subito cosa significassero questi simboli e quali segreti vi si avvolgevano intorno, ma adesso più che mai necessitavo di saperne di più.

Se davvero era stata questa ferita ad avermi provocato quell'incubo spaventoso allora c'era la forte possibilità che potesse ricapitare ancora. Dovevo raccogliere maggior informazioni.

E non soltanto per quanto riguardava la questione delle spade.

Spostando l'attenzione unicamente sull'ultimo simbolo, quello con le due piume, quasi distrattamente portai una mano all'anello che portavo al collo ripercorrendo ripetutamente l'unghia del pollice su una delle incisioni fatte nel metallo appena sotto il turchese incastonato. Il disegno corrispondeva a quello sul foglio.

Secondo Shakoma questo anello è mio di diritto, se così davvero fosse allora che legame avevo io con tutto questo?

Che potesse centrare qualcosa anche con il ruolo che avrei avuto nella Profezia?

Molto probabile, non poteva essere una coincidenza.

Dovevo assolutamente scoprire qualcosa di più su questi simboli, sono sicuro che tramite questi potrei capire meglio non solo quello che potrebbe riservarmi il futuro, in particolar modo la Profezia, ma mi potrebbe anche aiutare a comprendere meglio il mio passato.

A scoprire qualcosa di più sulla mia famiglia e magari anche su me stesso. Su chi fossi davvero.

Ricorda. Questo sei tu.

Scossi il capo nel tentativo di scacciare via quelle parole dalla mia testa. Erano l'ultima cosa di cui avevo bisogno di pensare ora.

Anzi, in realtà preferivo proprio dimenticarmele e con loro anche tutto il resto dell'incubo.

Perché mai dovevo fare un sogno del genere? Non poteva essere qualcosa di più carino e molto meno traumatico?

Mi sarebbe andato bene qualsiasi altra cosa. Anche un gigantesco mostro divoratore di uomini fatto interamente di cioccolata, perlomeno avrebbe avuto un retrogusto decisamente più dolce.

Gettando fuori dalla bocca un sospiro seccato buttai una rapida occhiata all'orologio che tenevamo sopra lo stipite della porta per vedere che ore fossero. Le lancette segnavano le nove e un quarto.

La cena che era seguita alla Cerimonia d'Entrata mia e di Ezra (anche per lui la missione che avevamo appena svolto a Las Vegas fungeva da test d'ammissione) si era protratta decisamente per le lunghe terminando verso le tre di notte. Per quell'ora io ero già a un passo dal finire nel mondo dei sogni.

In parte per colpa della stanchezza dovuta dalla missione e dal jet lag (senza contare che avevamo passato la notte precedente in bianco) e dall'altra dalla dose leggermente eccessiva di anestetizzante che mi aveva somministrato Noah sull'aereo perché Ezra potesse mettermi i punti sulla ferita (alla fine l'aveva fatto), mi ero ritrovato a passare l'intera serata in un forte stato di sonnolenza rendendo così offuscato e poco reattivo il mio cervello per tutto il tempo.

A conseguenza di ciò ricordavo ben poco di quanto fosse accaduto durante i festeggiamenti, motivo per cui avevo preferito parlare con meno persone possibili. I n quello stato non ero in grado di effettuare ragionamenti rapidi come mi era solto fare e volevo evitare in maniera assoluta che qualcuno potesse approfittarne.

L'unico momento di lucidità che avevo avuto è stato quando ho sentito la punta dell'ago dello Sigmaf tatuatore solcarmi ripetutamente la carne. Per tutta la durata del tatuaggio avevo avvertito come una sorta di energia entrarmi dentro liberandomi temporaneamente dal torpore prodotto dall'anestestico e riattivando la mia mente.

Tutt'ora riuscivo a sentire sulla pelle della mia schiena, nella zona che ricopriva dalle spalle ad appena sotto la base del collo, il disegno in stile tribale di un'aquila con le ali spalancate che mi era stata tatuata. Il simbolo dei Liberatori.

Volsi un breve sguardo alla sottile linea nera che percorreva il polso come se fosse un piccolo braccialetto. Quello invece rappresentava la mia prima missione portata a termine con successo.

Adesso ero un Liberatore a tutti gli effetti.

Ammetto che tale consapevolezza mi era ancora un po' strana, d'altronde adesso davvero non si poteva tornare più indietro e presto il dovere di entrare in guerra sarebbe toccato anche a me. Non che l'idea mi facesse granché impazzire, anzi.

Con questi allegri pensieri per la testa, aprii la bocca in un grosso sbadiglio mentre richiudevo con un leggero tonfo il libro che tenevo sulle gambe riponendolo poi sullo stesso ripiano da dove l'avevo preso prima. essendo quello il mio preferito (assieme al quinto e settimo di una saga che semplicemente amavo) era l'unico che tenevo sempre su quella specie di comodino senza mai aggiungerlo alla nostra piccola libreria, composta per lo più da alcuni libri di chimica e fisica quantistica che avevo rubato dalla biblioteca del castello e dai giornalini di Den, in modo che potessi dargli una letta ogni volta che ne avevo voglia senza essere costretto a usare la sedia. Questa volta non rimisi dentro le pagine del volume il foglietto con disegnati sopra i simboli delle quattro famiglie misteriose e invece lo presi con me tenendolo per mano mentre scendevo le scalette del letto a castello, attento a non far rumore.

La tenue luce di Polly, il piccolo globo luminoso costruito in modo da seguire colui che precedentemente l'avesse accesa fino a quando non sarà lo stesso a decidere di spegnerla, illuminò di poco il corpo tutto scomposto di Den intento ancora a ronfare profondamente coperto solo per metà dalle coperte blu elettrico. Ogni mattina il suo letto pareva un campo di battaglia, dormirgli accanto e sopravvivere allo stesso lo si poteva già considerare un'impresa di suo.

Emisi un sottile vero di scherno nel vederlo con il braccio che sporgeva oltre il materasso e una parte della sua coperta per terra, dopodiché cominciai a vestirmi in silenzio per non svegliarlo. Per più di cinque sere consecutive avevamo fatto le ore piccole svegliandoci comunque presto il giorno dopo assieme agli altri per mettere bene a punto le varie parti del piano e possibili modifiche. L'ultima notte poi non avevamo proprio chiuso occhio, meritava un po' di riposo.

Decisi anche di non accendere Bobby per questa volta e di metterlo invece in carica, in questi giorni l'avevo tenuto quasi sempre attivo e quando eravamo finalmente arrivati al castello aveva la batteria che era praticamente al minimo. Per una sola mattina potevo anche lasciarlo in camera, tanto non ci avrebbe impiegato molto a caricarsi del tutto.

Una volta finito di vestirmi nascosi il foglietto con i simboli piegato a metà nella tasca dietro dei miei jeans scuri e con le scarpette da ginnastica in una mano uscii silenziosamente dalla camera. Dopo ovviamente aver spento Polly.

Nel momento in cui misi il viso fuori dalla stanza venni accolto dalla fredda luce di una giornata nuvolosa che entrava dalle gigantesche finestre eleganti che costeggiavano tutto il lato est del corridoio dove si trovavano alcune delle camere da letto del castello. Chiudendomi la porta in legno alle mie spalle mi diressi verso la finestra più vicina e ammirai il cortile interno del maniero completamente ricoperto di neve ancora fresca. Fuori almeno quattro Liberatori erano impegnati a scaricare della merce da un camioncino verde che veniva qui su da Bisigen ogni due settimane a portarci gli alimenti essenziali come la farina, sale e zucchero, più la posta se c'era.

Spostai lo sguardo verso il cielo e vidi come fosse quasi interamente bianco. Era meglio che si sbrigassero, fra non molto avrebbe ricominciato a nevicare e la strada che portava giù dal monte dove ci trovavamo non era proprio una delle migliori da percorrere con questo tempo.

Un leggero ma ben udibile brontolio partì dal mio stomaco mandandomi un chiaro messaggio.

«Okay, forse è meglio che mi dia una mossa anch'io» mormorai tra me scostandomi un poco dalla finestra, ignorai la breve stretta che si era formata nell'udire la stessa voce dell'altro me. La mia voce.

Era stato solo un sogno, soltanto un sogno.

Infilandomi svelto le scarpe mi avviai quindi a passo rapido in direzione della cucina prima che la chiudessero, se non sbaglio colazione di oggi sarebbe stata a base tedesca e sapendo chi era stavolta di turno a prepararla non mi conveniva proprio fare troppo tardi se volevo mangiare. Purtroppo non potevo aumentare di troppo la velocità o mettermi a correre perché altrimenti avrebbe ricominciato a bruciarmi la ferita al petto.

Sfortunatamente la cucina si trovava nell'ala opposta a dove era situata la mia camera e perciò ci impiegai un po' per raggiungerla ma quando arrivai potei constatare che vi erano ancora molti Liberatori seduti al tavolo in piccoli gruppetti intenti a mangiare e a chiacchera comodamente tra loro. A quanto pare non ero l'unico a essersi svegliato tardi questa mattina.

Notai che anche il posto dove vi sedevano Bulhuui e gli Strateghi erano vuoti. Beh, per gli ultimi due ovvio che fossero vuoti visto che i loro occupanti uno era un tipo piuttosto mattiniero mentre l'altro era ancora via in missione, dovrebbe tornare uno di questi giorni se non ricordavo male.

Giunto al tavolo dove veniva servito il cibo presi un piatto di ceramica bianca con decorazioni blu da una pila quasi finita di suoi simili e lo porsi alla giovane donna di fronte a me con il grembiule rosa a quadratini azzurri legato in vita.

I capelli mossi rosso fuoco erano raccolti in uno chignon disordinato in cima alla nuca e il viso delicato dalla carnagione rosea era accuratamente truccato senza però eccedere. Non era molto alta ma a detta di Den compensava il tutto con curve al punto giusto. Un grazioso anello d'oro con un piccolo rubino incastonato brillava dal suo anulare sinistro.

«Buongiorno Hilda» la salutai sorridendole vispo.

Le sue iridi color nocciola si soffermarono brevemente su di me e poi sul mio mignolo sinistro, come se su di esso ci fosse qualcosa che solo lei poteva vedere. Infine storse la bocca colorata di un rosso scuro in una smorfia infastidita. «Sei riuscito ad arrivare in tempo alla fine» commentò tenendo i suoi occhi fissi nei miei mentre prendeva il piatto vuoto che le porgevo, non le andavo molto a genio. «Che fine ha fatto quel tuo robottino?»

«In camera a caricarsi» risposi spigliato e allungai lo sguardo sulle cibarie ancora esposte sul tavolo «Che c'è per colazione?»

«Pane nero con burro, miele o marmellata, uova e wurst.» elencò quasi meccanicamente intanto che mi riempiva il piatto con due fette di pane effettivamente nero con la crosta ricoperta da semi più chiari, un uovo all'occhio di bue e due strane grosse salsicce bianche che non avevo mai visto. «Se non ti piace in alternativa puoi anche non mangiare niente» terminò allungandomi il piatto adesso colmo di cibo.

«Nah, non mi piace saltare la colazione» ribattei riprendendomelo. Feci per allontanarmi per andare a gustare il mio pasto ma Hilda sembrò pensarla diversamente e anziché lasciare il mio piatto aumentò la sua presa su di esso.

Le rivolsi un'occhiata inarcando di poco il sopracciglio.

«Incontrato qualcuno d'interessante durante la tua missione?» sebbene la domanda potesse apparire beffarda, avvertii una sfumatura dura e sospettosa nella sua voce. Di nuovo i suoi occhi si spostarono brevemente sul mio mignolo sinistro prima di ritornare sui miei.

Beccato.

Stando a quanto aveva raccontato Simon durante il nostro soggiorno a Las Vegas, nel gruppo era l'unico a conoscerla da più tempo, l'abilità di Hilda le permetteva di vedere i legami di qualunque natura che univa le persone tra loro. Su come questa funzionasse non era stato molto chiaro nella sua spiegazione ma osservando come la donna si muoveva cominciavo ad avere i miei sospetti.

Arcuai le labbra in un sorriso sagace. «Solo il mio vecchio Blocco» risposi con fare leggero «Mi hanno proposto di tornare da loro ma ho preferito rifiutare» piegai appena la testa da un lato mantenendo un'espressione scaltra «alla villa non fanno mica i biscotti buoni come i vostri, sai?»

Lei restò a fissarmi sbigottita, come se non riuscisse a credere a quanto avesse sentito. «Hai... rifiutato?...» di nuovo il suo sguardo si spostò per pochi attimi sullo stesso medesimo posto, poi aggrottò le sopracciglia pensierosa «Tu sei uno strano ragazzino.»

Alzai brevemente le spalle. «Me lo dicono in tanti» affermai con superficialità. Approfittando della sua presa divenuta più lenta, allontanai il mio piatto da lei e presi un bicchiere di vetro di media grandezza dalla sua pila posta vicina al vassoio di ceramica con le salsicce rimaste. «Ah comunque...» aggiunsi poi «carino il tuo nuovo anellino. A quando le nozze?» davanti alla faccia sconcertata di Hilda alla mia frase sorrisi beffardo. «Se non vuoi farlo scoprire forse è meglio che lo nascondi meglio, non credi? Salutami Shaun e digli che gli faccio le mie congratulazioni.» sollevai la mano che stringeva il bicchiere in uno spigliato saluto mentre mi dirigevo verso il tavolo dove vi erano seduti altri Liberatori a mangiare. Lei continuò a fissarmi tra l'incredulità e l'irritazione per il fatto che fossi riuscito a scoprire la proposta di matrimonio che il suo fidanzato le aveva fatto la sera precedente.

Mi lasciai andare una breve risatina sommessa intanto che mi andavo a sedere al mio solito posto.

Diversamente dalla villa, qui al castello non si mangiava divisi per tanti piccoli tavoli ma attorno a uno solo di grandi dimensioni dalla forma un anello, con una spaccatura rivolta verso il portone da cui si entrava in mensa, in modo che le persone si potessero sedere sia sul lato esterno che in quello interno risparmiando così spazio. Io preferivo stare su quello esterno in un posto abbastanza vicino all'apertura perché mi consentiva un punto di osservazione migliore.

Appoggiai il piatto sul tavolo e mi versai quello che sembrava succo di mela nel bicchiere da una delle caraffe disseminate lungo l'anello. Lo stesso anche per gli alimenti come la marmellata, del formaggio morbido, burro e miele da spalmare sopra le fette di pane nero.

Diedi un morso a una delle mie fette di pane sui cui avevo spalmato del burro, aveva un sapore decisamente insolito ma non era male anche se credo che ci sarebbe stato meglio qualcosa di più dolce.

Quella della colazione salata era una cosa a cui mi dovevo ancora abituare dato che non era un uso solo tedesco ma anche di altri stati. Anche quando ero alla villa avevo notato parecchi piatti salati come primo pasto sopra i tavoli di parecchi Ultra provenienti da paesi diversi ma essendo io un amante di dolci avevo sempre preferito mangiare una buona fetta di torta o dei biscotti, ancora meglio se al cioccolato.

Probabilmente non erano molti altri gli stati oltre all'Italia che avevano la colazione dolce come abitudine, non mi dispiaceva però conoscere nuovi sapori e cibi tipici di altri posti.

Intanto che mi gustavo la colazione ammirai ancora una volta la sala che fungeva da refettorio del castello. Se quella della villa era un enorme parallelepipedo con alte pareti dipinte di un chiaro color crema e le finestre disseminate in lungo i lati rivolti a est e sud, questa invece era già molto più piccola (numericamente i Liberatori non arrivavano neppure a metà degli Eroi) coi muri rivestiti da pennelli di legno di abete lucidato e arredata in stile bavarese mentre un lampadario costituito da una larga ruota in ebano a cui sopra la circonferenza erano state fissate delle lampadine elettriche, adesso spente, che illuminavano la stanza durante le giornate buie sovrastava le nostre teste. Mi piaceva come sala, aveva un non so ché di confortevole.

No, forse accogliente era il termine giusto per descriverla.

Mah, magari poteva anche essere un misto di entrambi. Fatto sta che questo era uno dei miei cinque posti preferiti del castello.

Dei colpetti al dorso della mia mano attirarono la mia attenzione. Spostando di poco lo sguardo a sinistra vidi in piedi di fianco a me un giovane abbastanza alto e magro dalla carnagione estremamente chiara vestito sportivo, i corti capelli fulvi avvolgevano la sua testa come un casco con la frangia pettinata a destra. Notai che non portava il suo cerchietto azzurro, ciò significava che quindi stamattina era un maschio.

Den mi aveva spiegato che era ghenderflu-qualcosa e che perciò c'erano dei momenti in cui si definiva più una ragazza e altri invece un ragazzo, il cerchietto aiutava il resto dei Liberatori a orientarsi meglio su come rivolgersi all'Ultra a seconda del momento. Sinceramente a me questo passaggio di sessi mi generava ancora un po' di confusione e faticavo a capire come funzionasse ma quando gli avevo chiesto quale fosse quello suo biologico mi aveva guardato come se stesse per tirarmi un pugno in faccia.

Finii di masticare la salsiccia bianca che stavo masticando e la buttai giù in gola. «Ciao Mattie» lo salutai «se cerchi Den è ancora a letto a dormire.»

Lui storse appena la bocca scontento, i due erano stati per un breve periodo compagni di Blocco e inoltre avevo notato un certo interessamento del primo nei confronti dell'altro seppur molto celato (senza poi contare che Den era l'unico a conoscere il vero nome di Mattie). «Fa lo stesso» rispose con una breve scrollata di spalle «ero venuto per parlare con te.»

«Oh, sul serio? Solo con me?» lo stuzzicai io apposta beffardo portandomi il bicchiere con ancora metà succo alle labbra. Era molto buono, dal sapore vagamente più zuccherato e dolce rispetto a uno normale.

Le gote di Mattie si tinsero di una tenue sfumatura rosata ma si rifiutò di rispondere alla mia provocazione mantenendo invece deciso il suo sguardo verde acqua su di me. «Kaya mi ha chiesto di dirti che ti aspetta sul tetto per la lezione e di ricordarti cosa accadrà se farai tardi pure stavolta.»

Per poco non rischiai di sputare nel bicchiere il succo che avevo in quel momento in bocca.

Accidenti la lezione! Me ne ero completamente dimenticato.

Certo che però anche Kaya che me lo ha detto quando ero poco reattivo a causa dell'anestetico in eccesso, era già stato un miracolo che fossi riuscito a sentirla mezzo addormentato com'ero stato per tutta la cerimonia. Ecco perché avevo voluto evitare qualsiasi tipo di dialogo o discussione ieri.

Cavolo, se Bobby fosse stato qui adesso ci avrebbe pensato lui a ricordarmelo.

Girandomi verso l'orologio, che si trovava sul lato opposto a dove stavano le finestre, vidi che erano già le nove e cinquanta. La lezione era per le dieci in punto.

In poche parole ero già in ritardo.

Buttai giù in un sorso unico il succo rimasto e ingollai in un solo boccone quel che restava della mia colazione, dopodiché appoggiai il mio piatto ora vuoto sopra quello che teneva in mano Mattie con tanto di coltello e forchetta che avevo usato per mangiare. «Labafo tu pef fagiofe, fafie.» feci con la bocca piena di cibo (traduzione: lavalo tu per favore, grazie) e scattai via tenendo in mano la seconda fetta di pane nero, su cui avevo precedentemente spalmato un'abbondante dose di miele, che non ero ancora riuscito a mangiare lasciandomi alle spalle un Mattie piuttosto spaesato confuso.

«Cosa? Ehi ma-ASPETTA!»

Sollevai la mano libera in segno di saluto nella sua direzione e uscii rapido dal refettorio. Mi dispiaceva lasciarlo così ma Kaya era stata piuttosto eloquente ieri: niente ritardo o altrimenti niente brownie per stasera a cena.

Visto quanto scarseggiava il cacao qui in Germania per via della guerra (da parte degli stati del sud America il commercio era già chiuso da diversi anni per la loro posizione filo-Eroe mentre in Africa le cose si stavano facendo più complicate rendendo difficoltoso il passaggio delle merci tra gli stati alleati a noi) non mi andava di saltare una delle poche occasioni dove potevo gustarmi del buon cioccolato o di qualche dolce cucinato con esso. Si trattava di una questione di vitale importanza.

Almeno lo era per me.

Sfortunatamente non potevo procedere alla mia solita velocità poiché altrimenti la ferita che avevo al petto avrebbe ripreso a bruciarmi nuovamente e già con quella a cui andavo adesso, molto più lento di quella che avrei usato normalmente, aveva ricominciato a protestare fastidiosamente costringendomi a stringere i denti. Iniziavo già a non sopportarla più questa maledetta ferita.

Il suono dei dieci rintocchi delle campane, proveniente dal punto dove secoli prima c'era la chiesetta del castello, mi comunicarono che ero ufficialmente in ritardo.

Mi lasciai andare un breve sbuffo seccato intanto che svoltavo in un cunicolo a sinistra e presi a salire le scale a chiocciola che conducevano una zona precisa del tetto.

Quando finalmente lo raggiunsi mi trovai in cima a una delle poche torrette piane del maniero in cui ci si poteva muovere liberamente con il minimo rischio di precipitare, tutte le altre terminava con l'alto tetto a punta. Una spessa coperta di neve rivestiva per intero la superficie camminabile mentre grossi fiocchi candidi avevano ripreso a cedere numerosi in una delicata e silenziosa danza.

Da qui sopra la vista era semplicemente fantastica, si poteva ammirare gran parte del castello e il paesaggio sottostante con da una parte le casette del paesino a noi confinante assieme ai suoi campi ora innevati e dell'altra l'infinita distesa di alberi della foresta che ci circondava. Tutto avvolto in un bianco quieto.

A rompere il silenzio, che altrimenti sarebbe stato quasi totale, erano le voci di un ragazzo e di una ragazza impegnati a discutere animatamente tra loro.

Entrambi oltre la ventina avevano la carnagione bronzea e i capelli corvini solo che quelli di lei erano molto lunghi e lisci legati in due trecce poste ai lati mentre lui li aveva ricci e tagliati corti.

Sopra il maglione bordeaux di lana che la ragazza portava, risaltava una collana indiana piena di fili di perline bianche e turchesi che scendevano verso il basso formando un arco semi-triangolare coprendole buona parte del petto mentre ai lobi indossava due orecchini con due sottili dischetti di metallo come pendenti che dondolavano ogni volta che lei muoveva la testa contrariata. Il ragazzo invece l'unico accessorio che aveva visibile era un ciondolo di legno a forma di spirale legato a un lungo laccio di cuoio che portava al collo.

«Te l'ho ripetuto un sacco di volte; tieni quelle tue maledette bestiacce lontane dalle mie piante!» scandì parola per parola Timoti con tono fortemente irritato.

Uhm... pessima scelta di parola per definire gli animali con i quali Kaya aveva stretto amicizia e a cui era solita girare.

«Primo, non ti azzardare mai più a chiamare così i miei amici o qualche piantine mangiucchiata sarà l'ultimo dei tuoi problemi» lo minacciò infatti prevedibilmente Kaya, la mia Responsabile «e secondo; se lascie le tue stupide piante in giro poi non ti lamentare che qualcuna di queste finisca rovinata!»

«Si trattava di una pianta molto rara su cui mi stavo occupando da almeno due mesi e si trovava in camera mia!»

«Se era davvero così rara allora perché invece non si trovava nella serra? Dopotutto eravamo entrambi d'accordo che sarebbe stata zona off-limits per i miei amici.»

Stringendo tra i denti la mia fetta di pane, mi diressi verso l'alto cornicione della torre che faceva da sponda e vi salì agilmente sopra sedendomi con le gambe incrociate ignorando gli svariati metri che mi separavano da terra nel caso mi fossi inclinato troppo con la schiena all'indietro. Strappai un morso alla fetta riprendendola in mano e rivolsi una breve occhiata alla gatta dal pelo scuro, quasi nero, che se ne stava tranquillamente raggomitolata vicino a me fissando i due Ultra litigiosi con i suoi occhi color ocra.

Non appena mi vide, questa si alzò in piedi inarcando la schiena e aprì la bocca in uno sbadiglio dando così mostra delle sue piccole zanne.

«Hai di nuovo mordicchiato una delle piante di Timoti, eh Kiki?» domandai retorico alla gatta abbozzando un leggero sorriso divertito mentre masticavo il pezzo di pane che avevo morso, con il miele era decisamente più buono.

«Wrrrao» mi rispose a suo modo Kiki spostandosi sopra le mie gambe e rannicchiandosi esattamente in mezzo a esse, da vicino era possibile intravedere sul dorso e sulla testa sfumature marrone screziate di grigio scuro che si confondevano con il nero del resto della sua pelliccia. Le grattai dolcemente la testa e lei prese a farmi le fusa, socchiudendo gli occhi in un'espressione beata.

Mi piacciono i gatti, sono tendenzialmente intelligenti (anche se a volte si comportavano in maniera bizzarra) e inoltre erano gli unici animali, tra quelli domestici, a non aver alcun timore ad avvicinarsi a me mentre gli si mostravano invece molto più diffidenti nei miei confronti. Al contrario Dri pareva andare d'accordo con tutti, specialmente i cani coi quali invece io avevo più difficoltà. Non ho assolutamente idea del perché.

Sfortunatamente Kiki non fu l'unica a essersi accorta del mio arrivo. Non appena mi sentì parlare Naila, una lupa europea dal pelo bruno con la punta del muso e le orecchie screziate di bianco, sollevò la testa da sopra le sue zampe rimanendo pur sempre sdraiata sul pavimento innevato e piantò i suoi occhi gialli sui miei fissandomi con severità.

Ahia, ecco che faceva la spia.

Come se qualcuno l'avesse chiamata, Kaya interruppe all'improvviso la sua futile discussione con Timoti e si voltò quindi nella mia direzione. Era più alta del ragazzo e tutto in lei, dagli zigomi alti, occhi a mandorla e il portamento fiero, gridava a gran voce la sua appartenenza al popolo dei nativi americani. In particolare i Cheyenne, se non ricordo male. «Sei in ritardo.» mi fece notare austera «Dov'è il tuo robottino?»

«L'ho lasciato in camera a caricarsi.» risposi sbrigativo all'ultima domanda prima di spostarmi sulla frase precedente «Magari sei tu a essere troppo in anticipo» provai quindi a ribattere.

«Le campane hanno suonato tre minuti fa, non ci provare.»

«Il tempo e le sue misure sono solo delle illusioni create dall'uomo perché potesse controllarlo meglio e cronometrare il suo continuo scorrere all'infinito. Quindi il fatto che io sia in ritardo è soltanto un'illusione.»

Kaya rimase per qualche secondo a fissarmi a bocca aperta e un dito alzato senza trovare nulla con cui replicare. A fianco a lei invece Timoti ridacchiò ilare.

«Mi piace come risposta.» esordì con una luce divertita nelle sue iridi scure «Specialmente perché sei riuscito a zittire la "Grande Amica degli Animali".»

«Stai zitto Ti.» lo riprese immediatamente Kaya stizzita arrossendo lievemente in viso. «Uguale anche per te Kiki» aggiunse poi rivolgendo un'occhiataccia alla gatta comodamente raggomitolata sulle mie gambe, questa si limitò ad aumentare il volume delle sue fusa, dopodiché spostò lo sguardo su di me sorridendomi abile «Complimenti per la risposta indubbiamente sagace ma stavolta non la scamperai così facilmente. Ero stata chiara ieri e perciò niente brownie per te stasera.» dichiarò infine con tono risoluto che non ammetteva ulteriori repliche.

Sospirai rassegnato «Ci ho provato.» mormorai riconoscendo la mia sconfitta e diedi un altro morso alla mia fetta di pane.

«Cerca di diventare più puntuale per le prossime volte» mi ammonì Kaya addolcendo un poco il suo sguardo. Appena dietro Timoti mi parlò in una lingua dei segni un po' stentata (vedendo Denis che me la insegnava a insistito parecchio affinché potesse impararla anche lui) senza che la ragazza lo notasse.

"Più tardi ti do un po' di fave di cacao."

Mi trattenni dal sorridere esultante.

In previsione di periodi come quello attuale erano stati piantati anni fa nella serra del castello alcuni alberi da frutto o ortaggi originari di altri paesi in modo da permettere ai Liberatori di potersi autosostenere anche quando le cose si fossero fatte più difficili e le piante di cacao erano tra queste, anche se di un numero piuttosto ridotto rispetto alle altre. La sola ragione per la quale fossero riuscite a crescere notante l'estrema differenza di clima che si trovava qui in Germania in confronto a quello di cui necessitavano era unicamente dovuta a Timoti e alla sua abilità, prima so che era risultato invece alquanto complesso.

«Comunque, congratulazioni» proseguì Kaya guardandomi con orgoglio, completamente ignara del piccolo scambio di messaggio avvenuto fra me e Timoti. «Ora sei un Liberatore.»

«Embé ci credo!» commentai mostrandomi disinvolto «Ho passato pure la prova del tatuaggio, ora dovreste essere anche certi della mia lealtà a voi.»

Il silenzio che seguì da parte dei due Ultra fu per me la conferma delle mie supposizioni riguardanti il tatuaggio che avevo sulla schiena.

«Co-Come hai...» balbettò Kaya sbalordita «Si tratta di un'informazione riservata a quelli del Terzo Livello in su, tu come...»

«Quello non si trattava di un tatuaggio normale, l'ho sentito» affermai tranquillo «E così anche il tatuatore che me l'ha fatto, non è stato un Normale a farmelo ma un Sigmaf.» morsi un altro pezzo di pane col miele, oramai ero già oltre la metà della fetta. «Una volta ottenuta quest'informazione tirare le somme da solo è stato semplicissimo, non mi pare ci potesse essere qualche altra spiegazione logica se non quella di testare l'effettiva lealtà di un nuovo membro dei Liberatori o sbaglio?»

Erano principalmente due i motivi per cui tutti coloro che lavoravano e vivevano al castello portavano sulla pelle il marchio dei Liberatori; il primo era per impedire che si creassero divisioni tra Ultra, Normali e Sigmaf mentre il secondo impediva la presenza di possibili traditori o spie che potessero mettere in pericolo le vite all'interno del maniero.

Una piccola nube di vapore acqueo uscì dalla bocca di Timoti mentre un sorriso divertito si allargava sul viso. «Beh, credo che non ci saremmo potuti aspettare nulla di diverso dal famoso ragazzino che è riuscito a battere Magnus con un paio di scarpe.» commentò ritirando fuori quel vecchio episodio di quando ancora vivevo con gli Eroi e mi ero trovato a combattere contro uno dei Liberatori più pericolosi durante il loro assalto alla villa. «Anche quel tuo scherzetto che ci avete raccontato ieri è stato fenomenale!» continuò tirandosi maggiormente su il colletto alto del suo maglione verde foresta che indossava per coprirsi meglio dal freddo «Spostare tutti i soldi rubati direttamente nel nostro conto bancario prima del vostro scontro con i piccoli Eroi lasciando così la card completamente vuota, semplicemente geniale!»

Sorrisi beffardo immaginando le facce dei miei ex compagni e di Supreme Dragon non appena avessero scoperto il mio scherzetto.

Kaya invece continuò a scrutarmi stringendo gli occhi a due fessure «Scusa, ma in che senso "l'hai sentito"?»

Ottima domanda.

Abbassai di poco la manica della mia felpa verde mare e della maglia nera che portavo sotto in modo da mostrare il sottile braccialetto d'inchiostro nero che circondava il mio polso sinistro. «Quando mi è stato fatto questo non ho sentito nulla di particolare a parte il tipico fastidio dell'ago che penetrava la mia carne» riabbassai entrambe le maniche coprendo nuovamente il tatuaggio «invece per quello dell'aquila è stato come...» ripensai all'ondata di energia che avevo provato nel momento esatto in cui il Sigmaf aveva iniziato a tatuarmi il rapace sulla schiena fino al termine del suo lavoro «come se avessi bevuto una dozzina di tazze di cioccolata tutte in un'unica volta.»

Riportando lo sguardo sui due Ultra beccai Kaya e Timoti scambiarsi un'occhiata. «Okay, questa è una cosa decisamente inusuale» disse infine la mia Responsabile «ma che tu possa essere riuscito a sentire qualcosa o meno hai ragione; la prova della tua lealtà verso di noi è ormai inconfutabile e nessuno qui può negarlo. Anche perché in caso contrario a quest'ora saresti già freddo dentro la cassa da morto.» mi strizzò poi l'occhio «Non preoccuparti, anche se tu fossi stato in realtà una spia ci saremo lo stesso premurati di darti una degna sepoltura. Bulhuui ci tiene a queste cose.»

«Ma che gentile» risposi ironico abbozzando un leggero sorriso che però spensi pochi secondi dopo. «È mai successo prima?» domandai quindi curioso «Nel senso, è mai capitato che un tatuaggio entrasse in azione quando voi due eravate già dei Liberatori?»

Timoti scosse la testa «No, mai.»

«L'ultima volta so che è accaduto circa una trentina di anni fa, credo» precisò Kaya per poi aggrottare le sopracciglia pensierosa «o forse era una quarantina?»

«Kaa, non credo che sia così fondamentale ricordarsi esattamente quando è successo» fece Timoti richiamando l'amica e riportò quindi l'attenzione su di me «quel che importa è che fa un male cane, Hen-» sdraiata ancora vicina ai piedi di Kaya, Naila emise un basso ringhio di avviso. «Scusa Naila. Fa soffrire davvero tantissimo» si corresse subito il ragazzo. «Henke-»

«Chi è Henke?» chiese Kaya interrompendolo.

Giusto lievemente scocciato per essere stato interrotto per la seconda volta, Timoti soffiò stizzito. «È il capo giardiniere, lavorava già qui quando durante una Cerimonia dell'Entrata il tatuaggio della novizia di quell'anno si era attivato.» spiegò paziente «Stando a quello che mi ha raccontato lui, le urla della ragazza si sentivano fino alla serra prima che finalmente tirasse le cuoia.»

Senza smettere di accarezzare Kiki e di mangiare la mia fetta di pane, aggrottai appena la fronte. D'accordo che la serra si trovava esattamente sotto la zona del castello dove era situata la stanza dove si ricevevano i Tatuaggi ma come distanza non era poi così poca, anzi.

«Decisamente non un'esperienza particolarmente piacevole...» commentai sarcastico.

«Decisamente» mi confermò Timoti annuendo mestamente col capo.

Lanciando un sono sospiro, Kaya si passò una mano sulla testa per togliersi i vari fiocchi di neve che andavano ad accumularsi sempre più su di essa. «Okay, direi che possiamo fare anche basta con questi discorsi deprimenti e passare a cose un po' più serie. E a proposito della Cerimonia dell'Entrata...» dalla tasca dietro dei suoi pantaloni aderenti in jeans tirò fuori un oggetto che mi lanciò compiendo un'alta parabola in aria.

Staccando la mano destra dal soffice pelo di Kiki riuscii ad afferrarlo al volo prima che potesse cadere oltre le mura della torre e presi a osservare di cosa si trattasse. Era una scatolina di legno finemente intagliata con disegni di foglie d'acero con tanto di gancino e cerniera d'ottone che la teneva sigillata, aprendola vi trovai dentro un paio di orecchini d'argento a forma di piccoli dischetti da mettere nei lobi con il disegno di un esagramma all'interno di un cerchio inciso sopra.

«Vi è tradizione che il Responsabile faccia un piccolo regalo, qualcosa di significativo, al proprio Protetto quando questo diventa ufficialmente un Liberatore.» spiegò Kaya con un tono che era tra il divertito e l'affettuoso «Prima che tu partissi per Las Vegas ti avevo visto con quegli orecchini e ho pensato che non ti stavano affatto male perciò te ne ho voluto regalare un paio che, a mio parere, ti sarebbero donati di più. Allora? Che ne pensi? Ti piacciono?» chiese quindi con una sottile sfumatura d'ansia nella voce.

«Secondo me sono carini» affermò Timoti.

«Zitto, non lo stavo chiedendo a te contadinuncolo da quattro soldi.»

«Sono un giardiniere io, non un contadino.»

«Stessa cosa, vi occupate sempre di piante.»

«Non sono un contadino!»

Eccoli che riprendevano a litigare. Di nuovo.

Non c'era giorno che i due non si mettevano a bisticciare per i motivi più disparati, spesso stupidi, incuranti del luogo in cui si trovavano al momento. Sulle scale, in cortile, in cucina, nei corridoi, in palestra... Simon mi aveva raccontato che circa sei mesi fa erano stati beccati a battibeccare persino nel bel mezzo di una battaglia.

I Liberatori parevano averci fatto l'abitudine da tempo e sinceramente ormai lo stesso valeva anche per me.

Intanto i due continuavano imperterriti a litigare, probabilmente dimenticandosi della mia presenza, mi pulii le dita dagli ultimi residui di miele e mi tolsi gli orecchini per mettermi quelli che mi aveva regalato Kaya. Rispetto agli anellini dorati questi avevano una chiusura un pelino più complessa che mi richiese un po' più di tempo per chiuderli però poi me li sentii più leggeri e comodi una volta che li ebbi indossati.

Riposi quelli vecchi dentro la scatolina dove si trovavano prima gli altri e la infilai dentro l'astuccio più grande tra quelli che portavo legati alla cintura mentre riportavo l'attenzione sui due Ultra di fronte a me.

Questi ovviamente non avevano ancora finito di battibeccare. In questo momento si stavano insultando a vicenda con aggettivi a dir poco buffi e comici come "una gallina è molto più acuta di te" oppure "puzzi come un elloboro" (no, non ho idea di come sia fatto un elloboro anche se ho il sospetto che si tratti di una pianta).

«Chissà se smetteranno mai di litigare quei due...» sbuffai appoggiando il viso sul palmo sinistro e puntando il gomito contro la coscia.

«Maaoo...» miagolò Kiki sollevando il muso nella mia direzione e guardandomi con i suoi occhi dorati, le pupille scure ridotte a due sottili fessure.

Piegai le labbra in un lieve sorriso «Neanche per te accadrà mai, eh?» feci riprendendo ad accarezzarla, stavolta sotto il muso. La gatta alzò maggiormente la sua testolina socchiudendo appena gli occhi e ricominciando a fare le fusa. Adoravo quel rumorino, lo trovavo parecchio rasserenante.

Probabilmente stanca di sentire i due Ultra anche bisticciare, con un fluido movimento Naila si alzò in piedi scrollandosi via la neve rimasta attaccata alla pelliccia e richiamò l'attenzione di Kaya tirandole coi denti la manica del suo maglione.

«A sì? E tu inve-Uh? Sì che c'è Naila?» le chiese voltandosi verso la lupa e cambiando tono in maniera repentina, il lungo e inutile dibattito con Timoti improvvisamente dimenticato come se non ci fosse mai stato. Naila dovette dirle qualcosa di rimprovero nel suo linguaggio lupesco perché la ragazza si inumidì appena le labbra con espressione imbarazzata. «Oh sì, giusto. Hai ragione» concordò con lei, di qualunque cosa si trattasse.

Forse le aveva chiesto di farla finita con quella loro inutile discussione.

«Che ha detto?» le domandò Timoti sporgendosi un poco in avanti col busto.

«Oh! Te li sei già messi!» esclamò Kaya vedendo che avevo già cambiato i vecchi orecchini con quelli che mi aveva appena regalato. «Come pensavo, ti stanno benissimo.» affermò poi annuendo soddisfatta.

Completamente ignorato, Timoti storse la bocca seccato. «Grazie...» bofonchiò tra sé a bassa voce.

Mi passai il polpastrello dell'indice sull'orecchino destro. «Mi piacciono» decretai «sono semplici e mi rappresentano perfettamente.» certo, la chiusura era un po' più complicata ma tanto pensavo di non togliermeli spesso.

«Ottimo, ne sono felice» esordì Kaya sorridendo sollevata.

«E a proposito di questo...» aggiunsi piegando un angolo della bocca in un sorrisetto perspicace «dove l'hai preso il disegno?» L'esagramma all'interno di un cerchio era un simbolo che avevo adottato come una sorta di mia forma criptica disegnandola sulla copertina di tutti i miei quadernini, i miei libri preferiti che avevo rubato dalla biblioteca della villa (e la maggior parte rimasti lì), tutti i miei progetti, sulle mie creazioni come Bobby e Konny e persino all'interno della mia scacchiera.

Anche se lo avevo disegnato su parecchi oggetti di mia proprietà, tuttavia nella maggiorparte di essi era stato applicato in punti abbastanza nascosti oppure era davvero raro che gli oggetti in questione uscissero dalla mia camera (fatta eccezione ovviamente di Bobby e dei miei quadernini).

Scommetto che ha usato il corvo.

Kaya alzò brevemente le spalle «Volevo regalarti qualcosa di significativo perciò ho semplicemente chiesto a Yuginn se potesse aiutarmi dando un'occhiata in camera tua alla ricerca di qualcosa di particolare che potesse andare bene e mi ha detto di aver trovato quel disegno su molti tuoi quadernini.» dichiarò con tono tranquillo «Ti posso assicurare che non ha rubato nulla.»

Ci avevo preso; Yuginn era il corvo con manie cleptomani che faceva parte del gruppetto di amici animali che girava spesso con Kaya.

«Quel tuo dannato corvaccio deve ancora riportarmi le cesoie che mi ha rubato la settimana scorsa» brontolò Timoti.

E a me le mie due viti e un bullone con dado che mi aveva rubato un mese fa.

«Bene, se abbiamo finito con le chiacchiere direi che è anche il momento di metterci a lavorare» prorompee Kaya ignorando ancora una volta il ragazzo, cosa che lo infastidì abbastanza. «Gabri, potresti scendere e venire qui?»

«Non posso» ribattei «ho Kiki.» Questa, come a confermare le mie parole, emise un flebile miagolio rilassato.

Kaya abbassò lo sguardo sulla gatta «Dai Kiki spostati, fallo scendere.» in risposta lei aumentò il volume delle fusa. «Kiki...» la richiamò allora la mia Responsabile.

Kiki mosse nervosamente la coda e appiattì le orecchie visibilmente seccata, ma alla fine si alzò lo stesso e scese dalle mie gambe permettendo così a me di muovermi senza il timore di recarle fastidio.

Un poco mi dispiacque. La sua presenza calda sulle mie cosce e quel suo rumore perpetuo che emetteva, pareva quasi un motorino, mi avevano aiutato a dissipare gran parte di quel sottile velo d'inquietudine che mi era ancora rimasto da quell'orribile incubo di stamattina.

Balzai giù dal cornicione e mi spolverai i pantaloni dalla neve che mi era rimasta attaccata.

Un sonoro sbuffo provenne dalla direzione di Timoti. «Perché con me invece non si fa mai toccare così?» mormorò afflitto guardando la gatta che si era seduta poco distante, sempre sul cornicione, ora intenta a lavarsi il pelo morbido e scuro con l'utilizzo della sua ruvida lingua rosata. «L'ultima volta che ho provato anche solo a metterla sulle mie gambe per poco non rischiavo di trovarmi senza un occhio.»

«Questo perché Kiki detesta essere presa in braccio. Se vorrà salirti sopra sarà lei stessa a venirti incontro, non certo tu.» gli fece notare brusca Kaya «Credevo che dopo tredici anni l'avresti ormai dovuto capire.»

«Sei tu quella che parla con gli animali, non io.»

«Non centra! Per capirli, gli animali vanno guardati, osservati, compre-»

«Ehm, scusa se ti interrompo ma... la lezione?» la bloccai tempestivamente prima che i due potessero dare inizio a un'altra inutile lite. Non avevo voglia di passare delle ore al freddo solo per vederli battibeccare tra loro. «D'altronde avevi insistito molto per iniziare puntuali oggi, infatti stasera mi toccherà saltare il dolce per essere arrivato in ritardo, non è così?»

Incrociando le braccia davanti al suo petto magro, Timoti arcuò le labbra in un sorriso affabile. «Giusta osservazione» fece lanciando quindi un'occhiata beffarda all'amica «Kaa, se tu la sua Responsabile no? Dovresti dare il buon esempio.»

«Taci.» rispose lei secca al ragazzo, quando però si rivolse a me si mostrò più ammorbidita e si poteva leggere tra le pieghe delle sue labbra una sfumatura divertita. «Hai ragione» concordò «abbiamo sprecato anche fin troppo tempo. È ora d'iniziare.»

Oh bene, finalmente.

«Come ti avevo già avvisato, da adesso in poi le lezioni saranno un tantino diverse rispetto a quelle poche che siamo riusciti a fare prima...» proseguì Kaya.

Me le ricordavo, ne avevamo fatte solo due effettive mentre le altre si erano limitate più a dei semplici incontri di pochi minuti e tutte incentrate sul comprendere meglio la struttura organizzativa dei Liberatori oppure sul testare la mia abilità. Non vedo l'ora di scoprire come saranno invece da qui in avanti, ho come l'impressione che si riveleranno particolarmente interessanti.

«...perciò direi di partire con farti questa piccola e semplicissima domanda: cos'è Dio per te?»

Ritrassi appena la testa aggrottando un poco le sopracciglia perplesso. Tra tutte le domande che poteva pormi, questa era quella che mi aspettavo. «Dio è un'illusione creata dall'uomo a cui pregare quando si è in difficoltà o dare la colpa quando qualcosa va storto» risposi schietto. Osservando il modo di comportarsi e di pensare di diverse persone credenti che mi era capitato d'incrciare sua alla villa che durante delle mie missioni, avevo già avuto modo di fare i miei ragionamenti sull'argomento per conto mio ma finora non mi ero mai azzardato a esprimerli ad alta voce, avevo notato come la questione fosse particolarmente delicata per certe persone, specie adesso che ci trovavamo in pieno periodo di guerra. «In pratica viene spesso usato, se non sempre, come capro espiatorio dove rovesciare tutte le nostre responsabilità per sentirci più in pace con noi stessi. Hai ucciso qualcuno? È Dio che ha guidato la tua mano non tu, perciò va bene. Vuoi iniziare una guerra e non sai come giustificarla? Di che stai seguendo il volere divino. Il problema è che tutto può essere trasformato in religione e quindi "divinizzato"» pronunciai l'ultima parola facendo le virgolette con le dita prima di rimettere le mani dentro le tasche «anche ciò che normalmente può essere ritenuto il suo opposto se lo si porta agli estremi.» Tutto se portato a suoi estremi diventa sbagliato.

Le labbra di Timoti si piegarono in un sorriso incerto. «Sei... inaspettatamente molto preparato sull'argomento...»

«Alla villa il mio Tutore preferiva che io e i miei compagni di Blocco proseguissimo con gli studi in modo da non restare ignoranti» spiegai. Nonostante l'ultimo periodo trascorso alla villa, quella era decisamente una cosa di cui gli sarei stato sempre grato. Poi ovviamente io avevo fatto quello che mi veniva meglio, andare più a fondo.

«Un Tutore molto saggio...» proferì Kaya con tono più serio e distaccato rispetto a poco prima mentre mi guardava attenta. «La conoscenza può diventare una lama molto affilata se usata adeguatamente.»

«Già...» concordai spostando lo sguardo altrove. «Tuttavia...» proseguii stavolta con tono più pensieroso «qualcosa c'è.» dichiarai «Altrimenti perché siamo qui? Perché siamo vivi? Molti dei nostri organi e muscoli involontari sono quelli che ci mantengono in vita, ma allora cos'è che fa sì che questi funzionino? Cos'è che ci permette di vivere? Che cos'è la vita?» studiando in maniera approfondita su molti testi di fisica e chimica (più altre branche scientifiche) questa era una domanda che mi ero posto sempre più spesso senza però mai trovarne risposta. La scienza mi permette di capire come funziona la natura e le sue regole per convivere con essa, ma non quale fosse la motrice che teneva in piedi questo meraviglioso meccanismo. So che molti tendono a fermarsi al punto che ritengono essere più che sufficiente o plausibile per loro ma a me non bastava, c'era dell'altro lo sentivo.

Qualcosa di più profondo, molto più di quel che si poteva trovare tra le pagine di un libro.

Qualcosa che non poteva essere spiegato con un semplice algoritmo o una formula scientifica.

Tornai a guardare la mia Responsabile dritta negli occhi, deciso. «C'è di più, molto di più in questo mondo di quel che normalmente una persona potrebbe pensare e che la sola scienza non basta a spiegare. Lo so, lo sento, e io sono intenzionato a scoprire cos'è.» conclusi quindi assumendo inconsapevolmente una postura più dritta e risoluta.

Ci fu un attimo, un singolo secondo della durata di un battito di farfalla, in cui ebbi l'impressione di "sentire" in maniera più amplificata, non solo la "vibrazione" che avvertivo provenire da Kaya, Timoti, Kiki e Naila, ma tutto quello mi era attorno, anche delle cose o gli esseri più piccoli. Una precisa e sconvolgente consapevolezza di ciò che mi circondava.

Tale sensazione però durò solo un'istante. Neanche il tempo di rendermene davvero conto che era già svanita, scomparsa, esattamente come era apparsa ma di una potenza tale da mozzarmi il respiro.

Che cos'era stato?

Riportai lo sguardo su Kaya e Timoti ma loro parevano non aver sentito nulla di strano, continuavano invece a fissarmi con espressioni pensose. Le uniche reazioni che ricontrai su quanto mi era appena successo furono quelle di Kiki e Naila, dalla loro postura rilassata e tranquilla di prima entrambe ora tenevano su il muso e con le orecchie dritte sull'attenti mi guardavano con grande intensità.

Dai due Ultra, al contrario, niente. Davvero non avevano sentito nulla?

Un acuto fischio, leggermente melodico ruppe la cappa di silenzio che si era appena creata attorno a noi. «Decisamente interessante. Davvero non posso averlo io come Protetto?» fece Timoti sorridendo esaltato.

«No Ti, ne abbiamo già parlato. Gabriele è il mio Protetto.» ribatté Kaya enfatizzando particolarmente sulla parola "mio". «Trovatene un altro se proprio vuoi.»

Lui corrugò la fronte sbuffando corrucciato «Uff, che antipatica che sei.»

«Io antipatica? Io sarei antipat-» provò a replicare la ragazza ma di colpo si bloccò come se interrotta da qualcuno e si voltò verso la lupa che la guardava con aria di rimprovero. «Sì hai ragione» sospirò «è meglio ignorare gli idioti che si divertono a provocare gli altri.»

«Io sarei cosa? EHI!»

«Sei decisamente molto più avanti di quanto mi aspettassi» disse poi volgendosi nella mia direzione con uno sguardo soddisfatto, quando voleva sapeva mostrare un certo talento nell'ignorare Timoti. Quando voleva. «Ottimo, ora so di poter farti affrontare questa lezione con più tranquillità» dichiarò sollevata. «Vieni qui» mi fece segno di avvicinarmi a lei e si girò quindi verso l'amerlatura della torre. Con un dito disegnò un triangolo un po' storto sullo strato di neve che era caduta sopra il bordo delle mura. «Questa è la visione del mondo secondo il pensiero dei popoli occidentali. Qui c'è l'uomo» con lo stesso dito di prima fece un puntino sulla cima della figura pur restando dentro i suoi contorni «qui c'è la donna» e segnò un altro puntino sotto quello che rappresentava l'uomo, di fianco e in basso al secondo ne seguirono degli altri «poi ci sono gli animali, le piante, i molluschi, gli insetti...» completò riempiendo il triangolo di puntini. «Come puoi vedere, secondo questo pensiero l'uomo sta sopra ogni cosa. È dominatore e padrone di tutto.»

Storsi la bocca in disaccordo. È vero, l'uomo si è sempre considerato dominatore del mondo, indifferente se a farglielo pensare fosse la religione o la scienza, ma c'era una grande differenza tra il credere di esserlo e l'esserlo effettivamente.

Grazie a una missione che avevo fatto circa più di un anno fa, in un laboratorio, avevo potuto vedere come parecchi scienziati cercassero tuttora nuovi metodi per riuscire ad addomesticare e piegare la natura a proprio favore finendo però spesso con risultati più che disastrosi, in alternativa si mostravano estremamente difettosi e pieni di problemi.

La verità è che la natura non poteva essere dominata, men che meno dall'uomo.

«Questa invece è la visione del mondo secondo il mio popolo» continuò Kaya, alludendo alle sue origini native americane, risvegliandomi dai miei pensieri. A fianco del triangolo aveva disegnato un cerchio dalla forma un po' ovoidale e prese a riempire anche questo di puntini come nella prima figura ma questa volta senza dare a essi un ordine preciso. «Uomini, donne, animali, piante, insetti, rocce, fiumi, montagne... non esiste nessuno che sta al di sopra di qualcun altro come non esiste nessuno che sta sotto. Siamo tutti parte dello stesso mondo.» volse un poco lo sguardo verso di me accennando un breve sorriso «Okay, questo si tratta di un parere mio personale ma ritengo che sia questo pensiero» con la nocca dell'indice sinistro batté un leggero colpo sul puntino situato sulla cima del triangolo «a essere la causa di molto dei problemi degli esseri umani e che li porterà lentamente alla rovina poiché il loro credersi superiori agli altri e ogni cosa li porta a essere separati non solo da ciò che li circonda ma anche dal loro stesso essere. A causa di questo distacco sono solo delle anime terribilmente sole che vagano su questa terra nella disperata ricerca di dare un senso, un significato, alla propria vita senza rendersi conto che hanno già tutto quello di cui hanno davvero bisogno qui dentro» e picchiò debolmente con un dito contro il mio petto all'altezza del cuore.

Seguii il suo movimento con gli occhi senza perdermi una singola frase che la mia Responsabile pronunciava.

Davanti alle sue parole mi sentivo un bambino che pendeva dalle labbra del suo genitore.

Così terribilmente spaesato e piccolo.

Capivo la profondità di quelle parole ma non il loro preciso significato, come se qualcuno mi avesse lanciato contro un sasso ma che toccasse poi a me capire da dove proveniva.

«Noi siamo il mondo e il mondo è noi.» esordì Timoti appoggiandosi, appena dietro a dove si trovava Kaya, con la schiena contro l'amerlatura della torre e con le braccia incrociate davanti al petto in una posa rilassata, un sorriso affabile giocava con le sue labbra. «Molto probabilmente non starai capendo quasi nulla di quello che io e Kaya ti stiamo dicendo ma è normale, dovrai essere tu stesso a scoprirlo da solo. Queste nostre parole adesso sono come semi che noi abbiamo appena piantato nella tua coscienza, se il terriccio è buono a loro tempo questi cresceranno e germoglieranno in te ma rimarrà sempre una tua scelta se farlo avvenire.»

Kaya assentì col capo senza commentare o fare una battuta contro il ragazzo per la prima volta in questa mattina. Kiki e Naila rimanevano nelle loro stesse posizioni di prima tenendo lo sguardo attento su di me.

«Tu possiedi un'abilità meravigliosa» riprese a parlare poi la mia Responsabile senza preavviso «e non intendo perché è indubbiamente molto potente o per altro. Quando trasformi il tuo corpo o una parte di esso in qualsiasi elemento è come se tu stesso diventassi natura. In più c'è anche un'altra cosa» con un gesto repentino premette la sua mano destra, quella più lontana dalle mura, sul mio petto col palmo aperto cogliendomi di sorpresa. Nelle sue iridi scure si poteva leggere un tipo di affetto difficile da descrivere ma che mi provocò una morsa allo stomaco come se qualcosa di doloroso e dimenticato stesse cercando di riaffiorire in superficie. «Secondo Kiki tu possiedi una forte connessione con la natura e per quanto le spesso possa mostrarsi terribilmente opportunista o sfuggente sono davvero rare le volte in cui le è capitato di sbagliare su questioni simili perciò credo che, in quanto tua Responsabile, sarà su questo su cui lavoreremo principalmente durante le nostre lezioni.»

Mantenendo il contatto visivo con Kaya, aprii e richiusi la bocca senza riuscire a pronunciare nulla, dalla mia gola non provenne alcun suono perciò mi limitai ad annuire.

Tutte quelle informazioni avevano mandato per la prima volta in vita mia in pappa il cervello. Non mi era mai capitato prima, era una sensazione decisamente spiacevole ma allo stesso tempo esaltante.

Quando ci si sente ignorante su qualche cosa l'unica che rimane da fare era conoscerla e comprenderla.

Avvertivo le mie mani fremere assieme al mio essere dal poter capire meglio su quanto aveva appena ascoltato.

Staccando il palmo dal mio petto, Kaya volse il viso in alto guardando il cielo bianco. «Ci avevo sperato proprio che nevicasse anche stamattina.» disse sorridendo serena, tornò quindi a riportare la sua attenzione su di me. «Ho un esercizio da farti fare» annunciò e con un gesto della mano indicò la neve che ancora adesso scendeva delicata «Li vedi questi fiocchi di neve? Ecco, vorrei che tu bloccassi a mezzaria tutti quelli che si trovano dentro il perimetro della torre.»

Inarcai un sopracciglio. Bloccare tutti i fiocchi di neve che cadevano all'interno del perimetro della torre? Perché allora non farmi ordinare di far smettere di nevicare su tutta la città e il castello già che ceravamo.

Dominare particelle d'acqua presenti nell'aria o un fiumiciattolo che scorreva sottoterra era un conto (così come manipolare gli elementi presenti all'interno degli esseri viventi) ma controllare qualcosa di così dispersivo e frammentario che scendeva senza sosta dal cielo era tutta un'altra storia. Il livello di concentrazione che avrebbe richiesto era decisamente alto e guardando il numero di fiocchi che persistevano a scendere non sarebbe stato per nulla semplice. Tuttavia...

Alzai il viso verso l'alto e osservai la neve cadere lieve dal cielo. Sarebbe stato necessario un indubbio sforzo e concentrazione da parte mia e anche così non sarà comunque facile, ma non era impossibile. Forse un modo per riuscirci lo si poteva trovare.

«Ah, e devi farlo da bendato.» aggiunse poco dopo Timoti, Kaya annuì d'accordo.

Oh ottimo, ora sì che era tutto più semplice.

«Altro?» domandai sarcastico.

«Ti consiglio di farlo da seduto, così sarai più stabile e comodo.» rispose la mia Responsabile con un sorriso vivace.

Sospirando mi allontanai dall'amerlatura mentre scioglievo la bandana verde scuro che tenevo legata alla mia cintura. Con solo i polpastrelli della mano sinistra trasformati in acqua mi creai uno piccolo spiazzo per terra pulito dalla neve e completamente asciutto sul quale mi sedetti a gambe incrociate, una volta che mi fui bendato gli occhi espirai forte dal naso cercando quindi di concentrarmi.

Non sarebbe stato poi davvero così difficile, giusto?

~~•~~

Mi sbagliavo. Lo fu molto più di quello che mi aspettavo.

Dopo quella che mi parve ben più di una mezzora, non ero ancora riuscito a bloccare neppure un singolo fiocco di neve.

Il motivo però per cui mi risultava così difficile come esercizio era principalmente dovuto alla mia totale mancanza di concentrazione che avevo in quel momento.

Piena di tante nuove informazioni e di altrettanti interrogativi, la mia mente girava vorticosamente nell'intento di riuscire a dare un senso a quanto stavo ancora cercando di assimilare. I pensieri scorrevano con la velocità di un fiume in piena impossibile da arginare.

Che cos'era stata quell'incredibile sensazione che avevo provato prima?

Perché ero stato l'unico ad averla sentita?

Che cosa avevo io di particolare?

Okay no, domanda stupida. Riformuliamo: perché io?

Fin da quando ho memoria sono sempre stato in grado di percepire una sorta di "vibrazione" provenire dagli esseri viventi ma all'interno di quella bolla protettiva che era sto il mio orfanotrofio, senza quasi mai uscire da quelle mura, la cosa mi era parsa così naturale e normale da commettere l'imperdonabile errore di non averci mai fatto caso. Almeno fino a quando non era arrivato Andrea alla struttura, anche se inizialmente sotto mentite spoglie, e Dri diventata un'Ultra.

Dopo anni a sentire la stessa e incessante melodia, tanto da assuefarmi, ecco che ne compariva all'improvviso una nuova. Diversificava di una sola nota soltanto ma è bastata per mettere in discussione tutto.

Io sentivo qualcosa.

Non gli stati d'animo, l'emozioni, i sentimenti, le intenzioni o le anime delle persone vicine come accadeva a Dri, ma qualcosa di ugualmente profondo e invisibile a occhio nudo.

Il punto era: che cosa io sentivo veramente e, soprattutto, perché?

Sulla prima domanda avevo cominciato già da tempo a formularmi qualche teoria ma per quanto riguardava la seconda... restava un punto interrogativo che alleggiava nel vuoto.

Secondo Kiki tu possiedi una forte connessione con la natura.

Serrai i denti, frustrato.

Questa mia percezione, il mistero che circondava quella che poteva essere la mia famiglia d'origine, il mio coinvolgimento nella Profezia, era tutto così incasinato.

Sapevo che questo non poteva essere una coincidenza, era impossibile, ma se solo riuscissi a scoprire in che modo tutto ciò combaciasse ogni cosa sarebbe diventata più chiara. Ne ero certo.

Peccato però che riuscirci era tutto fuorché facile. Avevo così troppe domande e così poche informazioni e tutto era avvolto da un profondo alone di mistero che non voleva saperne di sparire.

Che significato aveva tutto quanto?

Chi ero io davvero?

Ricorda. Questo sei tu.

Perfetto, ci mancava pure questo. Come se non avessi già fin troppi pensieri per la testa.

In più, nel ricordare quell'orribile incubo, la ferita al petto riprese a pulsare fastidiosamente.

Ripensai a quelle due strane spade che me l'avevano provocata e a Dri.

Se il mio coinvolgimento nella Profezia non era casuale, possibile che lo stesso valesse per lei? Per come stavano le cose era fortemente probabile, ma allora Dri in che modo centrava?

Che ruolo giocavamo entrambi all'interno della Profezia?

Aaahh... era davvero tutto così incasinato! Se dovessi associare tale questione a un puzzle, sarebbe di gran lunga il più complesso che io mi sia mai trovato da completare.

«Okay no fermati, lo stai rifacendo di nuovo.» mi richiamò la voce di Kaya, abbastanza vicina a dove mi trovavo io, riportandomi al presente. «Devi bloccare i fiocchi di neve, non congelare la torre con noi sopra.»

«...Scusa» riuscii a dirle soltanto chinando il capo. Avevo la testa che cominciava a scoppiarmi a causa della velocità alla quale stavano andando i miei pensieri e la mia abilità stava gridando a gran voce dentro di me di essere liberata. Non ce la facevo più, avevo disperatamente bisogno di distrarmi un attimo.

Passarono alcuni secondi di puro silenzio prima di udire il leggero suono di un sospiro provenire dalla mia sinistra, dove si trovava Kaya. «Credo che per oggi possa bastare» la sentii parlare con tono stanco «togliti pure la benda.»

Cercai di non tradirmi evitando di mostrare il mio sollievo per la fine dell'esercizio, Kaya avrebbe potuto sempre cambiare idea o prendersela, e mi tolsi la bandana sciogliendovi il nodo che avevo apportato dietro la nuca.

Dovetti sbattere le palpebre un paio di volte prima di riuscire a riabituare le mie pupille alla luce del giorno e presi quindi a guardarmi intorno. Kaya e Timoti si trovavano nella stessa posizione dove li avevo visti prima di bendarmi solo con un'aria più annoiata e infreddolita (più che altro era Timoti quello che pareva soffrire abbastanza il freddo tra i due) mentre per quanto riguardava Naila e Kiki entrambe si erano spostate accanto all'ingresso che avevo oltrepassato precedentemente per usvire sul tetto della torre al riparo dalla neve, la seconda sonnecchiando sopra le zampe della lupa che invece se ne stava seduta a osservarmi attenta.

Il rumore soffice di passi sulla neve mi avvisò di Kaya che si avvicinava a me, voltandomi nella sua direzione la vidi chinarsi a terra e guardarmi severa. Con un movimento repentino sollevò una mano e mi diede un piccolo ma doloroso ciccotto sulla fronte. «Si può sapere che hai oggi?» mi rimproverò austera, intanto io mi portavo una mano nel punto colpito soffiando dolorante. «Sei decisamente fuori, non è da te.»

Finendo di massaggiarmi la fronte abbassai di poco lo sguardo stringendo le labbra inquieto. «È che... che ho troppe cose per la testa...»

Lei storse la bocca aggrottando allo stesso tempo le sopracciglia «Si vede...» commentò senza preoccuparsi di nascondere lo scontento nella sua voce «Devi andare di cuore, non di mente.» puntò col dito la mia fronte toccandomi nel punto dove mi aveva colpito prima «Tu stai pensando troppo.»

Col dorso della mano destra scostai via il suo dito. «Ma è proprio il mio saper pensare a essere la mia arma più potente.» replicai sollevando un angolo della bocca in un sorriso tra il provocatorio e il sagace. Era proprio grazie a esso se io ora mi trovavo qui, senza probabilmente sarei tutta un'altra persona.

Kaya abbassò il braccio senza distogliere lo sguardo dal mio piegando maggiormente le sopracciglia verso il basso. «Sì su questo non c'è dubbio» incrociò le braccia al petto «ma credo che però si tratti di un'arma a doppio taglio.»

Aprii e richiusi la bocca senza trovare nulla con cui ribattere a quella sua ultima frase e serrai le labbra voltandomi dall'altra parte.

Colpito e affondato.

Anche se forse non nel senso che intendeva Kaya.

«Suvvia Kaa, sii più buona» si aggiunse Timoti riprendendo l'amica al suo posto con la schiena appoggiata sul bordo delle mura, aveva la punta del naso e le gote leggermente arrossate dal freddo. «Secondo me l'hai fatto partire troppo presto. L'abbiamo imbottito giusto poco fa di nozioni piuttosto particolari, dagli un po' di tempo per assimilare tutto quanto.» sorrise poi beffardamente «Con Yi, te ci avrai messo sì e no sei mesi prima di riuscirci e inoltre eri già almeno di un paio d'anni più grande, ricordi?»

«Io ricordo che invece te ce ne hai impiegati ben otto, o sbaglio?» lo ribeccò Kaya rispondendo alla provocazione del ragazzo con tono canzonatorio e rialzandosi da terra.

«Touché!»

«Ii?» feci invece io non avendo capito bene il nome pronunciato da Timoti.

«Yi» mi corresse lui sorridendomi pacato «era il Responsabile mio e di Kaa.»

Inclinai di poco la testa aggrottando le sopracciglia perplesso «Tu e Kaya avevate lo stesso Responsabile?» Non era poi in realtà da tanto che vivevo con i Liberatori ma diverse cose le avevo ormai capite, come ad esempio i requisiti necessari per essere nominato Responsabile di una nuova recluta e tra questi vi era anche la regola che si potesse avere solo un Protetto di cui occuparsi fino alla fine del suo percorso (che ufficialmente terminava con il compimento della maggiore età di questo) in modo da poterlo seguire in maniera più efficiente.

Così almeno normalmente era a meno che...

«Aveva richiesto un'Eccezione» mi rispose Kaya al posto dell'amico.

Ah ecco. Nella questione che riguardava il fattore Responsabile-Protetto, se la situazione lo permetteva, i primi potevano richiedere un'eccezione a una regola in particolare sull'argomento. Tuttavia tali casi erano piuttosto rari anche perché queste potevano essere concesse solo una volta nella propria vita da Liberatore.

So che l'ultima volta è stato giusto un paio di anni prima con Irawa.

«Era un maestro molto bravo, lo ammiravo tantissimo» aggiunse poi la ragazza.

«Idem» concordò Timoti volgendosi poi per alcuni secondi lo sguardo verso il panorama innevato che si stagliava ben oltre le mura del castello. Intravidi una sfumatura nostalgica nelle sue iridi.

«Che gli è successo?» chiesi. Da come si rivolgevano a lui parlando al passato mi era evidente che fosse morto, forse persino da parecchi anni.

A quella mia domanda vidi la mano della mia Responsabile contrarsi in maniera quasi impercettibile. Come se avesse percepito l'umore della ragazza, Naila si spostò dal suo posto riparato dalla neve, svegliando bruscamente Kiki la quale non mi sembrò molto felice, e andò a strusciare la testa contro la sua gamba.

Questa, notandola, si chinò quanto bastava per grattarle affettuosamente la testa sorridendole dolce, il suo viso però tradiva la medesima malinconia che aveva Timoti. «Tumore al cervello, se ne è andato qualche settimana dopo che io e Ti siamo stati promossi al Secondo Livello» riuscì poi a dire dopo qualche secondo.

«Un... tumore al cervello? E quando gli era stato diagnosticato?» non era la prima volta che sentivo parlare di tumori, ma comunque non ne sapevo su di essi se non che si trattasse di cellule impazzite nel nostro corpo.

«Credo che gliel'avessero diagnosticato poco prima che io e Kaa arrivassimo qui al castello.» riportando lo sguardo davanti a sé, Timoti reclinò il capo lasciandosi andare un sonoro sbuffo «Ciò però non gli hai mai impedito di punirci quando facevamo troppo casino» ricordò con tono un po' meno rattristato «nonostante il corpo malato possedeva una forza e un'agilità da fare invidia anche al miglior combattente tra i Liberatori, era un assassino a dir poco incredibile!»

Una smorfia imbarazzata prese il posto di quella più triste sul viso. «Dieci giri attorno al castello per ogni litigio insulso, me li ricordo ancora...»

«Oh?» inclinai la testa da un lato sorridendo beffardo «Immagino che quindi correvate praticamente sempre.»

«Ah ah ah... parla proprio quello che stasera andrà a nanna senza dolce» replicò Kaya alla mia provocazione.

Sorrisi sottilmente «Sei scorrett-»

L'improvviso e inaspettato suono delle campane che rieccheggiavano per tutto il castello mi interruppe.

Erano già le undici e mezza? No, avevano suonato gli undici rintocchi solo poco tempo fa e in più la melodia con la quale stavano suonando era differente, più ritmata e veloce. Come se stessero chiamando qualcuno.

«È un'Adunata» fece Timoti staccandosi da bordo dell'armelatura e dirigendosi verso la porta che dava all'interno della torre, la postura serena e giocosa improvvisamente scomparso.

Un'Adunata?

«Vieni Gabri» mi chiamò Kaya muovendosi anche lei per rientrare «ora che sei un Liberatore devi partecipare pure tu.»

Alzandomi da terra volsi una fugace occhiata in direzione della chiesetta da dove suonavano le campane e seguii quindi i due ragazzi dentro la torre. Scendemmo gli scalini che portavano verso il basso con passo tranquillo ma al tempo stesso spedito e deciso, con noi ci seguivano anche Kiki e Naila. Il forte e acuto gracchiare che risuonò nelle scale a chiocciola ci avvisò invece dell'imminente arrivo di Yuginn, infatti qualche secondo più tardi un corvo ci raggiunse in volo sistemandosi con un frullio di ali scure sulla spalla destra di Kaya, tra gli artigli notai che stringeva un piccolo braccialetto fatto perline d'ametista che avevo già visto al polso di una donna che lavorava nel laboratorio.

Vedendolo appollaiato lì sopra mi fece tornare in mente Bobby. Molto probabilmente a quest'ora doveva essersi già caricato del tutto, più tardi sarei passato in camera mia ad accenderlo.

Giunti nel corridoio del castello collegato alla torre beccammo un piccolo gruppetto di Liberatori, dai loro camici bianchi dovevano essere quelli che si occupavano dell'infermeria, che si misero quasi immediatamente a chiacchierare serenamente con Kaya e Timoti mentre io osservavo il tragitto che stavamo percorrendo tutti insieme indovinando la destinazione finale.

Come avevo pensato; l'Adunata si teneva all'interno della chiesetta. Dopotutto era lì che si era svolto il consiglio tra i Liberatori per decidere se accettarmi o meno. Immaginai quindi che uno dei ruoli che svolgeva un'Adunata riguardasse anche l'accettazione di qualche nuovo possibile membro.

Chissà quale era la ragione per era stata chiamata stavolta.

Dai bisbigli che udivo provenire dai Liberatori vicini, man mano che ci avvicinavamo alla chiesetta se ne erano aggiunti degli altri, seppi che si stavano chiedendo tutti la medesima cosa. Appresi però da alcuni che Magnus, uno dei due Strateghi, era appena tornato dalla sua missione di ricognizione in Giappone.

Che il suo arrivo potesse in qualche modo centrare con l'inaspettata chiamata dell'Adunata? Molto possibile secondo me.

Restava soltanto da scoprire il perché l'avessero chiamata ma suppongo che lo capirò non appena avrò messo piede nella chiesetta.

Un paio di colpetti leggeri sulla mia spalla sinistra richiamarono la mia attenzione. «Giusto perché tu lo sappia» mi parlò Kaya affiancandomi «all'Adunata possono partecipare soltanto i Liberatori ma nel caso in cui ci debba essere una votazione i minorenni non possono votare, sono stata chiara?»

Continuando a camminare arcua la bocca in un sottile sorriso «Dal modo in cui me lo dici sembra quasi che tu tema che io possa combinare qualcosa.»

«Non sembra, lo temo.» mi corresse lei «Vogliamo ricordarci di quando sei stato beccato a guardarti un film nella Sala del Consiglio di Guerra?»

«Ah sì quello, era un bel film te lo consiglio» risposi con fare spigliato. Giusto una settimana prima di partire per Las Vegas io e Den ci eravamo intrufolati di nascosto durante la notte nella Sala del Consiglio di Guerra (il cui accesso era riservato solo a Bulhuui, gli Strateghi, i capi di stato alleati a noi e generali dell'esercito) per guardarci insieme un vecchio film del ventesimo secolo sfruttando il gigantesco schermo predisposto dentro la stanza.

«Gabriele...» mi richiamò la mia Responsabile.

«Sì sì, ho capito. Farò il bravo, promesso.» garantii usando lo stesso tono di prima infilandomi le mani nella tasca della felpa.

Lei rimase a scrutarmi sospettosa per un po', infine scosse la testa sospirando debolmente. «Certe volte non so chi tra te e Kiki sia peggio...»

Eh? Quindi io e Kiki avevamo un carattere simile? Beh questo era... curioso.

«Chissà...» mormorai e spostai lo sguardo sulla mia Responsabile sorridendole abile «Che ne dici di scoprirlo?»

«Non ci penso neanche, preferisco rimanere col dubbio.» dichiarò Kaya risoluta, sollevò poi una mano sulla mia testa scompigliandomi i capelli già perennemente disordinati e mi sorrise con affetto «Cerca solo di tenere a freno quella linguaccia.»

Ridacchiando appena, mi scostai leggermente sfuggendo dalla sua mano. Sollevai poi l'angolo della bocca in un sorrisetto affabile «Mi impegnerò» promisi.

Lei ricambiò il mio sguardo. «Sarà meglio altrimenti niente dolce neanche domani.» fece con tono vivace, poi tornò a guardare in avanti «Siamo arrivati comunque.»

Feci lo stesso anch'io e vidi le porte, non molto gradi e semplici, della chiesetta aperte di fronte a noi permettendoci di accedere all'edificio. Dentro parecchi Liberatori avevano già trovato posto sulle panche di legno scuro e lucido disposte su file orizzontali lasciando lo spazio in mezzo per formare una specie di corridoio centrale dove passare senza problemi. A causa della buona risonanza che vi era all'interno il chiacchiericcio vivace dei presenti riempivano con maggior intensità la stanza.

Mentre avanzavamo ancora sollevai il viso per poter osservare meglio la chiesa dentro cui ci trovavamo. Non era molto grande, composta solamente da una singola navata, ma dall'aspetto decisamente elegante dipinta con tra principali colori: bianco per le pareti e le colonne di marmo che aiutavano a sostenere il tetto, l'oro per le rifiniture degli archi e il blu scuro per il soffitto, con l'aggiunta di qualche stellina dorata.

Ignoravo il significato che rivestivano questi colori nelle culture antiche, specialmente per quella cristiana, ma siccome ci trovavamo tra le mura di un castello piuttosto antico e sfarzoso dedussi che almeno gli ultimi due fossero soprattutto legati allo status sociale e alla ricchezza di chi l'aveva fatto costruire parecchi secoli fa.

Spostando invece lo sguardo più avanti, vidi Bulhuui e i due Strateghi impegnati a confabulare tra loro nella zona dell'abside. Magnes vestiva ancora degli abiti da battaglia, segno che era tornato davvero di recente, fatta eccezione per il suo casco di metallo poggiato sul tavolo di mogano, situato dove una volta era solito trovarsi l'altare, mentre il capo dei Liberatori aveva l'aspetto in tutto e per tutto di uno che si era svegliato da poco, i suoi capelli corvini normalmente pettinati di lato erano completamente in disordine e inoltre lo beccai più volte sbadigliare. Uzhas, l'altro Stratega dall'aspetto a dir poco inquietante indipendente dall'ora della giornata o dal posto in cui era al momento, lanciava di tanto in tanto delle occhiate beffarde all'Ultra immortale quando questo si faceva scappare l'ennesimo sbadiglio.

Non molto distante da loro tre, nei gradini più in basso fuori dall'abside, stava una ragazzina dalla pelle chiara con addosso uno strano abito lungo nero che sfumava in basso sul rosso più delle piccole macchie bianche che parevano fiori ricamati e una grossa fascia rosa che la fasciava appena sotto al petto legato con un enorme fiocco dietro la schiena, i capelli neri erano legati in una complessa acconciatura tenuta su da credo un cordino rosso. Da quella distanza non riuscivo vederla bene in viso ma immaginai che fosse di origine orientale, precisamente giapponese supposi.

D'altronde era da poi da lì che Magnes era appena tornato dalla sua missione e poi quella ragazzina non l'avevo mai vista prima al castello, perciò doveva essere certamente lei la ragione per la quale era stata chiamata l'Adunata.

Però... a occhio e croce doveva avere all'incirca la mia età o poco più piccola eppure non l'avevo mai vista neanche alla villa e sapevo che tutti i Blocchi successivi al mio fossero completi.

Nonostante la distanza riuscivo comunque a percepire con chiarezza che era un'Ultra, possibile che potesse essere...

Se così fosse, come aveva fatto Magnes a trovarla?

«Oh, Gabri. Ehi Gabriele!»

Mi voltai dove avevo sentito chiamarmi e vidi Simon già seduto su una panca posta tra le ultime quattro file di quelle occupate che agitava una mano nella mia direzione invitandomi a raggiungerlo. Accanto a lui c'erano anche Irawa, Noah e Mattie, quest'ultima stavolta portava sulla testa un semplice cerchietto azzurro che spiccava tra i suoi capelli fulvi.

Non c'era però traccia sia di Den che di Ýrar ancora.

«Ci vediamo più tardi» salutai la mia Responsabile dirigendomi verso il gruppetto.

«Okay a dopo» ricambiò lei rivolgendomi un breve gesto di saluto e proseguendo ancora per po' verso le prime file assieme a Timoti e ai loro amici.

Rimasi per alcuni secondi a guardarla allontanarsi indeciso se dirle una cosa o meno riguardante a Las Vegas. Durante la mia permanenza in città, in particolare quando io e Den ci recavamo al Casinò Millennium, mi era capitato di vedere qualche nativo americano in condizioni di vita non propriamente agiate o felici ma ricordandomi di quanto Kaya ci soffrisse per come il suo popolo era costretto a vivere al giorno d'oggi nella loro stessa terra d'origine, anche se tendeva a non mostrarlo mai apertamente, decisi infine di non aggiungere nulla. Tanto già sapeva come la pensavo sull'argomento; ciò che il suo popolo che aveva subito in antichità, ma anche tuttora, per conto degli invasori era semplicemente una vergogna.

Perciò mi girai e raggiunsi il gruppetto di Liberatori con i quali avevo avuto modo di legare di più in questi miei primi mesi di soggiorno al castello.

«Den non è ancora arrivato» mormorai lanciando una veloce occhiata alla porta ancora aperta della chiesetta dove sempre meno persone oltrepassavano essendo già quasi tutti dentro. Persino le campane avevano finito di suonare giusto pochi secondi fa, segno che presto l'Adunata avrebbe avuto inizio.

Dal fondo della nostra fila, Mattie scosse la testa. Indossava ancora gli stessi abiti di stamattina solo che ora aveva l'aspetto più affaticato e sudato, doveva essersi esercitata con Irawa poiché pure lei pareva reduce da un allenamento. «Credevamo che fosse con te» disse. Notai un certo nervosismo nella sua voce.

«Credevate tutto o solo te?» la provocai sorridendole beffardo. Le sue guance assunsero di colpo una tonalità di rosa più intenso.

Emisi un sottile verso di scherno intanto che mi sedevo sulla panca accanto a Simon, il quale era abbastanza confuso dalla mia ultima frase. «Comunque non credo che tarderà ancora per molto. Sarà pure un dormiglione di prima categoria ma sospetto che queste campane le abbia sentite più che bene.» oltre all'aver suonato in maniera piuttosto insistente da risultare fastidiosa, i rintocchi di questa volta erano stati molto più forti e assordanti rispetto a quelli che segnavano le ore. Mi piegai un poco in avanti volgendo lo sguardo oltre Simon. «Ýrar?»

«Credo si trovi in cucina» mi rispose Noah seduto tra Irawa e Mattie «oggi toccava a lui per il pranzo.» poi spostò i suoi occhi azzurri sui miei fissandomi storcendo appena la bocca come se fosse indeciso su qualcosa. «La ferita?» domandò infine.

Istintivamente mi portai una mano al petto stringendo appena il tessuto della felpa, sotto sentivo le bende fasciare il mio busto. «Diciamo che potrebbe andare meglio» cercai di sorridere spigliato.

Noah tenne il suo sguardo su di me aggrottando appena le sopracciglia ma poi tornò a riportare l'attenzione davanti a sé, o meglio sul plettro di metallo che si stava rigirando tra le dita. Pareva essere piuttosto irrequieto e dalle fugaci occhiate che di tanto intanto lanciava di nascosto alle due persone sedute alla sua sinistra, intente a scambiarsi qualche battuta divertente, era facile intuirne la causa.

Per quanto io solitamente trovassi piuttosto dilettevole punzecchiarlo questa volta preferii invece rimanere in silenzio e non dire nulla, non sarebbe stato divertente ma solo crudele.

«Ehi ma dov'è il tuo cosino robottino che ti porti sempre sulla spalla?» saltò su improvvisamente Irawa, causa n°1 dello stato d'animo di Noah.

«Si chiama Bobby» ci tenni a precisare «e comunque l'avevo lasciato in camera perché si caricasse visto che era ormai giunto al limite.» sollevando il piede sinistro e incastrandolo sotto la coscia destra (siccome lo spazio alla mia sinistra era ancora libero ne avevo voluto approfittare) emisi un sottile sospiro «A quest'ora immagino che sia carico già da un bel pezzo.»

La causa n°2 dello stato d'animo di Noah, altrimenti conosciuta come Simon, si sporse un poco col busto in avanti voltandosi nella mia direzione con espressione allegra. «Ehi Gabriele, dopo pranzo pensavamo di andare tutti quanti al poligono. Vieni anche tu?» mi chiese con fare spensierato, poi come se si fosse ricordato di colpo qualcosa si irrigidì e abbassò gli occhi sul mio petto abbozzando un sorriso a disagio. «Sempre se puoi ovviamente...»

Siccome tutti quelli seduti sopra questa panca (più Den e Ýrar non ancora presenti e così pure Ezra e Aivars situati in qualche fila più avanti) erano gli unici Liberatori ancora minorenni, Simon ci teneva molto nell'organizzare attività di qualsiasi genere, ricreativa o allenamenti, che coinvolgesse per intero il nostro gruppetto dei "più piccoli". Credo che ciò sia dovuto ciò sia dovuto al fatto che abbia passato alcuni anni come il membro più piccolo dei Liberatori con uno stacco di almeno cinque anni da quello che a quel tempo era il secondo più giovane.

Sollevando anche l'altra gamba portandomi il ginocchio al torace e cingendomi la caviglia con entrambe le mani, gli sorrisi tranquillo. «Dopo mangiato avevo in mente di fare un salto al laboratorio. E anche in infermeria...» pronunciai l'ultima frase con ben poco entusiasmo ricordandomi delle continue pressioni che mi aveva fatto la capo medico riguardo alla mia ferita mentre venivamo qui «Brylska ha insistito perché le facessi controllare più tardi la ferita. Dopo però vi raggiungo» promisi.

Sentendomi menzionare la parola "ferita" l'imbarazzo di Simon parve aumentare piegando le labbra in un sorriso incerto. «No no, tranquillo tu vieni pure quand-» di colpo si interruppe a causa del silenzio che improvvisamente era sceso dentro la chiesetta.

Infatti le voci e le chiacchiere dei Liberatori presenti nell'edificio erano drasticamente cessate lasciando cadere un silenzio rotto solo dai respiri delle persone che si trovavano all'interno.

Cercando di allungare il collo, questa era una delle tante occasioni dove essere bassi era decisamente seccante, intravidi Bulhuui di fronte al corridoio centrale con la mano destra sollevata e solo l'indice alzato. La postura del suo corpo trasmetteva una particolare sicurezza e forza che colpiva i presenti ricordando a loro che, nonostante le apparenze e i suoi modi di fare tranquilli, era lui il capo dei Liberatori.

Posti ai lati del tavolo, i due Strateghi scrutavano la folla con placida attenzione senza lasciar trapelare alcuna tensione nello sguardo e nella loro postura mentre la ragazzina di prima era indietreggiata di qualche passo verso sinistra cercando di evitare il punto dove era rivolta l'attenzione di tutti i Liberatori.

Una volta che il silenzio attuale fu giudicato sufficiente, abbassando la mano Bulhuui prese a parlare con tono calmo ma deciso. «Prima di da-»

Il rumore di passi veloci sul pavimento duro e liscio di marmo, resi ancor più sonori dal silenzio presente nella chiesetta e dalla sua risonanza, interruppero l'inizio del discorso, o quello che era, di Bulhuui.

Voltandomi verso l'entrata dell'edificio vidi due ragazzi che si guardavano attorno a disagio sentendosi lo sguardo di tutti su di loro, poiché in ritardo, cercando allo stesso tempo un posto dove sedersi.

Riconobbi immediatamente la figura atletica di Den e la chioma candida di Ýrar, quest'ultimo sopra i propri vestiti normali indossava un grembiule blu a strisce viola con alcune macchie di bagnato sparse sulla superficie del tessuto.

Alzai una mano per farmi notare da loro e non appena mi videro, il primo facendo segno all'altro, ci raggiunsero veloci senza osar spostare lo sguardo sugli altri Liberatori per l'imbarazzo.

«Allora, ricominciamo.» riprese Bulhuui con lo stesso tono di prima solo leggermente più vivace «Prima di dare inizio all'Adunata cominciamo con la classica e tradizionale domanda che ormai tutti voi conoscete: tra quelli che sono presenti al castello, chi al momento non c'è qui e perché?»

Il primo ad alzarsi in piedi e rispondere alla sua domanda fu Ezra a giusto qualche fila più avanti alla nostra. «Ilja in questo momento sta finendo di lavorare sul Tatuaggio di Vladimir, non appena avrà terminato ci raggiungeranno entrambi.»

«Ottimo, quando arriveranno darai a loro un breve e chiaro resoconto di quello che si discuterà fino a quel momento. Grazie Ezra.» decretò Bulhuui parlandogli con voce gentile. Ezra tornò a sedersi e fu il turno di qualcun altro di alzarsi e informare le motivazioni della temporanea assenza di un membro attualmente impegnato.

«Buongiorno principessa, dormito bene?» sussurrai canzonatorio a Den che mi si era appena seduto vicino, riportai il piede sinistro a terra per lasciare lo spazio sia a lui che a Ýrar. Osservando il suo aspetto era più che evidente che si era svegliato solo pochi minuti fa; aveva il maglione grigio tutto bucherellato che di solito preferiva indossare solo in camera messo al contrario e i capelli castani a cui normalmente prestava fin troppa cura parevano sparati in tutte le direzioni in un unico ammasso disordinato. «Sembri un riccio.»

«'njour...» sbadigliò Den stropicciandosi gli occhi «Campane a parte ho dormito fantasticamente, stavo poi facendo un sogno bellissimo...» mormorò sbadigliando ancora e indossò i suoi occhiali da vista dalla sottile montatura in ottone, in origine erano da sole del modello che andava di moda in questo periodo a cui poi erano state cambiate le lenti in modo che lui potesse vederci senza problemi. Mi aveva detto che erano stati il suo regalo da parte di Thiago, il suo Responsabile, quando era diventato ufficialmente un Liberatore circa cinque mesi fa.

«Beato te...» sospirai arcuando le labbra in un sorriso all'apparenza sereno e poggiando il mento sul ginocchio tirato su.

«Ho sognato una fila di ragazze stupende che facevano a gara per venire a letto con me. Avevano dei corpi così... dreist, fantastici. E delle te-»

«Non ti ho chiesto di raccontarmelo.» lo fermai immediatamente, non mi andava di sentire il seguito del suo sogno. Mi era già bastata la sua spiegazione fin troppo dettagliata dell'atto di riproduzione in sé, ancora mi chiedevo se fossimo noi umani a essere strano oppure se fosse semplicemente il nostro corpo a esserlo.

Lui si limitò ad aprire la bocca in un altro grosso sbadiglio portandosi una mano davanti a essa coprendola appena. «-aoww... Era stato davvero un bel sogno...» biascicò richiudendola.

«Per te senza dubbio» commentai arcuando un angolo delle labbra in un sorriso affabile.

«Chi è quella ragazzina?» domandò con un bisbiglio Ýrar seduto accanto a Den tenendo lo sguardo fisso sulla nuova arrivata.

Ritornai a scrutare la nuova ragazzina sollevando il capo e raddrizzando la schiena e vidi che non si era spostata di un millimetro dal punto in cui l'avevo osservata l'ultima volta. Da come si sfregava le mani sul tessuto del suo bizzarro vestito era decisamente in ansia.

«Non lo so, ma un'Ultra» comunicai.

«Ne sei sicuro?» mormorò Noah diffidente.

Guardandolo brevemente gli sorrisi acuto «Proviamo a scommettere?»

Lui storse la bocca stizzito assottigliando un poco gli occhi ma tenne l'attenzione su Bulhuui senza dire più nulla.

Avvertivo gli sguardi curiosi e titubanti di alcuni componenti del gruppetto su di me. Era già capitato diverse volte, specie durante la missione, che io me ne uscissi con frasi del genere e prendendoci anche, anche se inizialmente la cosa veniva presa quasi per scherzo adesso notavo come alcuni di loro cominciassero a prestarci maggiore attenzione.

«Non è possibile.» decretò Ýrar con voce tesa mantenendo il volume di un sussurro.

Drizzando il capo spostai lo sguardo su di lui e sorrisi accorto. Sapevo che avrebbe detto qualcosa di simile e sinceramente trovavo la cosa più che naturale.

Essendo io e lui gli Ultra che avevano lasciato la villa degli Eroi solo meno di due mesi fa, qui al castello eravamo gli unici che sapevano alla perfezione se i Blocchi più recenti fossero completi o meno e inoltre entrambi avevamo stretto un minimo di rapporti con alcuni componenti del C23 (quello immediatamente successivo al mio). Per quanto riguardava invece quest'anno, l'Ultra originario dell'Asia era stato già trovato settimane prima dagli Eroi in una zona sperduta della Mongolia perciò, secondo il ragionamento che solo un bambino per continente all'anno sviluppasse un'abilità, quella ragazzina sarebbe potuta essere un'Ultra.

Questa era almeno la conclusione che una persona normale poteva fare senza essere a conoscenza di certe informazioni particolari.

«Questo è quello che credi tu.» risposi apposta con fare enigmatico a Ýrar alla sua risposta sorridendogli sagace.

Lui, sentendomi, si voltò di scatto nella mia direzione guardandomi confuso. Per sua sfortuna non ebbe il tempo di chiedermi nulla poiché "l'appello al contrario" era ormai finito e Bulhuui aveva ripreso a parlare.

«Bene, direi che possiamo partire spiegandovi il motivo per cui abbiamo chiamato l'Adunata.» dichiarò infatti con voce rilassata, dalla distanza da cui mi trovavo intravidi quello che sembrava un sorriso ilare prendere forma sul suo viso. «Anche se credo che ormai tutti voi l'abbiate già capito.» A quest'ultima sua frase, sottili mormorii e risatine risuonarono leggere all'interno della chiesetta.

Persino io mi scoprii piegare un angolo della bocca in un sorrisetto previdente.

Bulhuui era così.

Se Supreme Dragon si ostinava a mantenere un certo distacco tra lui e il resto degli Eroi, quasi come volesse evitare si avvicinarsi troppo a loro, Bulhuui sembrava invece preferire passare il suo tempo in mezzo a quelli che lui stesso definiva suoi compagni. Fatta eccezione dei momenti in cui si chiudeva in camera a guardarsi le serie animate nipponiche e sul fatto che lo si vedeva spesso girare per il castello assieme ai due Strateghi, non erano però affatto rari i momenti in cui lo si beccava allenarsi o svagarsi in compagnia di altri Liberatori parlando e scherzando con loro alla pari.

Nei suoi confronti non esisteva adorazione, ma solo stima e una solida fiducia.

Erano due modi di essere leader completamente diversi. Uno puntava soprattutto al rispetto e l'altro più sulla lealtà.

«Come ben saprete non amo molto tergiversare perciò andrò dritto al punto.» proseguì parlando con una leggera sfumatura giocosa nella voce (un'altra differenza tra lui e Supreme, molto più bravo coi discorsi alla gente), poi si volse verso la ragazzina asiatica alla sua destra «Chika, presentati» si rivolse quindi a lei usando un tono gentile.

Nel sentirsi chiamata, la ragazzina ebbe un leggero sobbalzo e si raddrizzò immediatamente. Avanzando con passo in apparenza sicuro si avvicinò a Bulhuui, notai allora che non era di statura molto alta. «Mi-Mi...» provò a dire tentennando un paio di volte e poi bloccandosi a causa della forte agitazione che doveva provare, prese quindi un grosso respiro e risollevò lo sguardo sulla folla di Liberatori che la guardava in attesa. «Mi chiamo Ohayashi Chika, ho tredici anni e voglio unirmi a voi Liberatori.» annunciò infine con più decisione e completò il tutto con un repentino inchino col busto.

Inarcai un poco un sopracciglio, perché si era inchinata? Era per caso un'usanza del suo paese d'origine?

Bulhuui fece qualche passo a sinistra mettendosi le mani dentro le tasche dei suoi jeans neri e lasciando fuori solo i pollici senza distogliere l'attenzione dalla nuova arrivata. «E per quale motivo desideri unirti a noi? Qual è il tuo obiettivo?» le domandò con un misto di tranquillità e fermezza.

Parlando sinceramente trovo incredibile quel suo modo di porsi in determinate situazioni dove lasciava trapelare la sua posizione tra i Liberatori e non pur mantenendo un atteggiamento rilassato e pacifico ma non l'avrei mai confessato ad alta voce, specie davanti a lui.

La ragazzina volse lo sguardo prima a Magnes e in seguito su Bulhuui mostrando un leggero tentennamento per poi tornare infine a guardare verso i Liberatori. «Il mondo così com'è con la sua società è un completo schifo e... credo che distruggere gli Eroi possa essere il primo passo per cambiarlo.» dichiarò.

Drizzai leggermente il capo abbozzando un lieve sorriso ironico nell'udire quelle parole. Le aveva pronunciato con tono più determinato e risoluto rispetto a poco prima, ma non era stato quello a sorprendermi.

«Ho come un senso di dejavu» mi canzonò Den con un sussurrò piegandosi appena verso di me, mi rivolse un'occhiata divertita «non è praticamente la stessa frase che hai detto anche tu?»

«Con tono molto meno ironico e qualche parolina differente ma sì, nella sostanza è quella.» confermai inclinando appena il mento verso il basso e assottigliando un poco gli occhi in un'espressione scaltra. Quelle parole però io le avevo pronunciato per una ragione ben precisa, che lo stesso potesse valere anche per lei? Ora ero davvero curioso.

«Hai la stessa faccia che fai quando stai per battere Noah o Aivars a scacchi.» commentò Den fissandomi di sottecchi e quindi arcuò la bocca in un ghigno derisorio «Per caso t'interessa?» tentò di provocarmi beffardamente «Da qui in effetti sembra essere molto carina con quel visino candido e delicato, magari un po' piatta ma credo che col temp-»

«Al momento l'unica cosa che mi interessa di lei sono i suoi segreti, fine.» lo interruppi parlando schietto con tono spigliato.

Den piegò appena il capo spaesato «Non ho capito cosa vuoi dire ma la frase suona decisamente ambigua.»

«Questo perché circa la metà dei tuoi pensieri vanno al sesso, un terzo alle moto e il restante ai tuoi capelli.»

«Ti sei dimenticato le giacche i gli stivaletti di pelle.»

«Erano già compresi entrambi nella sezione moto dei tuoi pensieri. Ora ti prego di fare silenzio e lasciarmi ascoltare.»

«Ricevuto!» fece Den sottovoce mettendosi ben dritto con la schiena fingendosi scherzosamente un soldato. Ýrar ci rivolse una fugace occhiata curiosa prima di riportare l'attenzione davanti a sé.

Io mi limitai ad abbozzare un lieve sorriso ilare mentre mi rimettevo all'ascolto su quello che stava dicendo la ragazzina nuova in questo momento.

«Perché sono loro che detengono in maniera ufficiale l'ordine pubblico e mondiale e inoltre sono corrotti fino al midollo.» dichiarò questa rispondendo alla domanda postale da Bulhuui, mentre Den mi stava parlando, del perché vorrebbe annientare gli Eroi.

Ecco, qui invece avevo risposto diversamente.

Bulhuui rimase a scrutarla con aria pensosa, come se stesse ragionando sulle sue parole. «Anche se per ragioni un po' diverse l'obiettivo coincide con quello di tutti qui dentro.» fu il suo commento finale, poi abbandonando la sua postura rilassata ne assunse invece una più autoritaria e le si avvicinò di qualche passo. «Bene, Ohayashi Chika, devi sapere che tutti qui hanno una propria utilità. Anche nel proprio, ciascuno qui è importante per far funzionare quest'organismo che tiene su noi Liberatori» si fermò quindi a pochi passi dalla nuova arrivata «Tu in che modo puoi esserci utile? Che tipo di aiuto puoi offrirci?»

A quelle sue ultime parole, la ragazzina ebbe un leggero tentennamento. Nonostante la sua indubbia agitazione, da qui riuscivo vedere le sue dita stringere con forza il lembo del tessuto della sua larga manica, continuò però a sostenere lo sguardo di Bulhuui. «Io... so combattere.» disse infine con una leggera tensione nella voce anche se cercava disperatamente di mostrarsi sicura «Mia nonna, Ohayashi Haruko-sama, ha iniziato ad allenarmi quando avevo dieci anni. So usare diverse arti marziali, sono piuttosto abile coi coltelli, kunai e shuriken e riesco a destreggiarmi discretamente con la spada.»

«Sa fare un sacco di cose» mi bisbigliò Den nell'orecchio «chissà se sa fare anche-»

«Zitto» lo bloccai subito bruscamente indovinando la fine della sua frase mentre ragionavo su quanto aveva appena detto la nuova arrivata.

Esisteva la forte probabilità che la nonna della ragazzina avesse avuto, o li ha tuttora, dei legami con i Liberatori, altrimenti perché mai aveva ritenuto necessario citarla dicendo persino nome e cognome? Se così non fosse stato si sarebbe semplicemente limitata a dire che aveva iniziato ad allenarsi in giovane età con la sua nonnina e basta.

E poi il fatto che sappia destreggiarsi non solo con la spada ma pure coi coltelli (più le altre armi nominate di cui ignoravo l'esistenza fino a pochi secondi prima) fanno pensare a un tipo di addestramento con uno scopo ben preciso.

Più quella ragazzina parlava, più si mostrava decisamente interessante accrescendo così anche la mia curiosità.

«Hai ancora quella faccia.»

«Ssshh!»

In quel momento Bulhuui si era girato verso Magnes, ancora adagiato al lato corto del tavolo. «L'hai portata tu qui Magnes, hai qualcosa da dire a suo favore?»

Sentendosi chiamato in causa, Magnes si staccò dal bordo del tavolo e avanzò verso i Liberatori che aveva di fronte fermandosi alla stessa lunghezza della ragazzina. «Durante il mio soggiorno alla tenuta Ohayashi a Yokohama l'ho vista allenarsi un paio di volte, ha delle buone capacità e si muove bene anche se ha ancora molte lacune da colmare e inoltre possiede un'abilità che, se lavorata in un certa maniera, potrebbe rivelarsi molto utile anche molto utile come futuro membro dei Liberatori.»

Alla parola "abilità" percepii su di me gli sguardi fugaci e sorpresi di Ýrar e Noah.

«In più» proseguì il polacco «sua nonna Haruko Ohayashi è stata a suo tempo una Liberatrice molto importante e, anche se adesso sarebbe a riposo, continua tuttora a sostenerci fornendoci infomazioni preziose e fino a due anni fa il figlio maggiore Kazuo Ohayashi è stato una nostra efficiente spia prima di essere stato ucciso in Siria da Supreme Dragon in persona.»

Bingo, ci avevo preso. Era un ex Liberatrice.

Notai poi nel momento in cui Magnes aveva pronunciato il nome di quella spia tra i presenti, Simon compreso, avevano cominciato a sollevarsi diversi mormorii e ne beccai alcuni scambiarsi occhiate, quel Kazuo doveva essere stato parecchio conosciuto qui quando era in vita. Restava da capire se nel bene o nel male ma dalle molte teste chine o voltate appena dall'altra parte intuii che si trattasse più della prima. Per quanto riguardava invece la nonnetta avevo notato delle reazioni solamente dai membri più anziani dei Liberatori, nell'istante esatto in cui era stata nominata la prima volta, tra cui anche Bulhuui e Uzhas, seppur quest'ultimo si è trattato soltanto di un ghigno ambiguo.

«La vecchia Haruko ha proprio la fissa di voler far arruolare tutti i suoi discendenti» commentò beffardamente Uzhas senza muoversi dal suo posto di prima «ricordo che ha provato a fare lo stesso anche col secondo figlio ma non è finita bene.» spostò quindi lo sguardo sulla nuova arrivata con quello stesso sogghigno che faceva venire i brividi quasi a tutti. Percependo i suoi occhi inquietanti fissi su di lei, questa ebbe un lieve fremito. «Magnes ha detto che possiedi un'abilità ragazzina, potresti farci gentilmente il favore di dirci quale sarebbe?»

La ragazzina tenne il suo sguardo davanti a sé rivolto verso i Liberatori presenti nella chiesetta, non osando incrociarlo con quello dello Stratega russo. «Posso far fuoriuscire delle spine dal mio corpo e spararle anche se lo desidero.» rispose parlando voce più piatta rispetto a poco fa, era evidente il suo tentativo di non voler lasciar trapelare la sua tensione che provava nei confronti di Uzhas.

Fatica inutile, scommetto che lui era già riuscito a sentirla. Lo si poteva capire da quel suo odioso sorrisetto divertito.

«Uhm... come abilità potrebbe in effetti rivelarsi interessante...» fu il suo unico giudizio in merito a essa e, a essere sincero, mi trovavo d'accordo con lui. Anche se la cosa non mi faceva esattamente piacere.

Dal fondo della chiesa si udirono lo scalpiccio di due persone che stavano entrando senza fretta, la maggior parte dei Liberatori si voltarono per vedere chi fossero. Immaginai che si trattassero di Ilja e Vladimir.

Oltre a Ezra al castello era presente solo un altro Sigmaf perciò appena percepii la loro tipica "vibrazione" seppi che era lui e siccome all'inizio dell'Adunata il ragazzo aveva dichiarato che l'uomo avrebbe tardato per ultimare un Tatuaggio a Vladimir, la seconda persona ad averci raggiunti non poteva che essere il giardiniere ucraino famoso per la sua enorme stazza da gigante che lo obbligava ad abbassarsi ogni volta che doveva passare attraverso una porta.

«Scusateci il ritardo» parlò una voce profonda e ruvida che riconobbi appartenere al Tatuatore Ilja, avevo indovinato. «il Tatuaggio ha richiesto un pelino di tempo in più del previsto, siamo venuti non appena abbiamo potuto.»

«Non preoccuparti Ilja» si rivolse a lui Bulhuui parlandogli con tono gentile e comprensivo «Ezra ci aveva già avvisato, vi farà un breve resoconto di quanto è stato detto finora.»

«Grazie» rispose invece stavolta la voce incredibilmente bassa e cavernosa di Vladimir, l'accento della sua lingua madre si udiva in maniera molto pronunciata.

Trovandoci in Germania la lingua più parlata tra i Normali qui al castello era ovviamente il tedesco, secondi invece il francese e il polacco alias i paesi d'origine da cui provenivano un'altra grossa fetta dei Liberatori.

Se dovessi parlare in percentuali, e togliendo gli Ultra, in sostanza eravamo composti più o meno il cinquanta per cento da tedeschi e austriaci, all'incirca il trenta di polacchi e francesi e il restante diciannove di Normali originari dai paesi baltici e quelli dell'est. Dall'Asia e dall'Africa invece ce n'erano davvero pochissimi, tre o quattro in totale. Di Normali ovviamente.

Mentre i due uomini andavano a sedersi nei posti vuoti tenuti da parte da Ezra e Aivars, Bulhuui tornò a rivolgersi alla ragazzina. «In attesa che Ilja e Vladimir vengano aggiornati su questa Adunata avrei un'ultima domanda da farti» le disse estremamente serio in viso «Chika, stando a quanto ci hai detto, se diventerai una Liberatrice è molto probabile che il tuo ruolo qui sarà combattere sul campo di battaglia. Dovrai uccidere persone, altri esseri umani come te, e altrettanti ne vedrai morire davanti ai tuoi occhi. Ti si apriranno le porte dell'inferno da cui non sarà più possibile tornare indietro, la tua sarà una strada piena di sangue e dolore. Se ti unirai a noi sarà questo il tuo destino perciò quello che ti voglio chiedere è questo: sei davvero pronta a quello che ti aspetterà?»

Sospetto che sono davvero pochi, se non rari, gli Ultra a cui Bulhuui a posto questa domanda, a me per esempio non me l'ha fatta ma sinceramente ne capivo le motivazioni.

Quasi la totalità degli Ultra presenti tra i Liberatori avevano passato almeno un minimo di tempo tra le mura della villa degli Eroi e molti di essi hanno la propria famiglia in territori nemici o comunque tenuto sotto controllo da questi, tornare a casa per loro significava essere costretti a condurre un'esistenza nascosta e nell'anonimato, oppure vivere sotto falsa identità per il resto della propria vita, per evitare di finire rintracciati. Non esistevano molte possibilità di scelta e, sfortunatamente, io ero uno di quelli. Almeno in parte.

Per quella ragazzina invece, quella Chika, la situazione era completamente diversa. Lei non era un'Ultra ufficialmente riconosciuta e registrata. A parte i suoi famigliari, magari alcuni dei suoi amici e ora noi, nessun'altro sapeva che lei era un'Ultra.

Niente la costringeva a rinunciare alla sua vita di prima. Poteva ancora condurre un'esistenza da persona normale.

Poteva scegliere.

Forse, ma probabilmente neanche così tanto, l'unica a limitare questa sua libertà decisionale era la cara nonnina e da come Bulhuui le aveva posto quella domanda era fortemente probabile che non gli fosse venuta in mente quell'eventualità.

Osservando le espressioni dei due Strateghi che rivolgevano al nostro capo era evidente che invece loro ci avevano pensato.

Tornai a guardare in direzione della ragazzina chiedendomi che cosa avrebbe risposto, anche se in realtà un'ide già ce l'avevo.

Lei risollevò la testa fissando risoluta l'Ultra immortale in faccia. «Sono pronta.»

Dieci punti a me. Avevo indovinato.

Inoltre non mi era sfuggito quel leggero tremolio che aveva percorso la sua voce nel pronunciare quelle due singole parole.

«Se è così» riprese Bulhuui dopo qualche secondo, mi era difficile decifrare il tono da lui usato «allora possiamo procedere pure con la votazione.» voltandosi completamente verso di noi ci parlò con tono deciso e autoritario «Chi è favorevole ad accogliere Chika Ohayashi qui al castello?»

Mentre una componente decisamente numerosa tra i presenti alzava la mano, Uzhas compreso, sentii qualcuno cercare di richiamare la mia attenzione picchiettandomi leggermente il braccio destro.

Voltandomi in quella direzione visi Simon farmi gesto col pollice indicandomi Noah, il quale si era sporto in avanti e aveva tutta l'aria di dirmi qualcosa di urgente.

«Per tua informazione, prima che ti metti a fare di testa tua, noi-»

«Minorenni non abbiamo il permesso di votare, sì lo so già.» completai io con tono leggero indovinando il seguito della sua frase, gli rivolsi quindi un'occhiata beffarda «Mi spiace, sei arrivato tardi.»

Lui mi indirizzò uno sguardo truce ma alla fine lasciò andare solo un breve sbuffo infastidito ritornando a guardare davanti a sé.

«Chi è invece contrario?» fu la successiva domanda di Bulhuui in merito alla votazione. Stavolta furono pochissime le mani ad alzarsi, ne contai circa solo sette.

Naturale.

Durante la prima alzata di mani avevo notato molte teste voltarsi a guardare in una delle prime file a sinistra dove supposi si trovasse Hilda.

Immaginavo questo perché era accaduta la medesima cosa anche con me quando avevano dovuto votare per lo stesso motivo di adesso, credo che ciò sia dovuto alla sua abilità di vedere i legami che le permetterebbe anche quindi di poter capire dove va realmente la lealtà di una persona, solo che nel mio caso Hilda mi aveva votato contro influenzando di parecchio la decisione di molti Liberatori.

Se ero riuscito a passare, con solo il cinquantuno per cento dei voti a favore, lo dovevo unicamente al fatto ero stato proposto da Bulhuui stesso di cui i Liberatori nutrivano una grande fiducia in lui.

La cosa non aveva reso granché felice, non mi piace ottenere qualcosa soltanto grazie al mio legame con qualcuno di importante o perché questo si trova solo dalla mia parte.

«Magnes, il conteggio della votazione.» richiese Bulhuui voltandosi appena verso lo Stratega posto alla sua sinistra, l'unico oltre a lui e a noi minorenni a essersi astenuto al voto.

Questo inarcò un sopracciglio in un'espressione piuttosto eloquente a quella richiesta, e lo capivo benissimo visto che era evidente quale fosse il risultato della votazione, ma alla fino lo assecondò: «Di cinquanta Liberatori presenti qui all'Adunata; trentadue hanno votato a favore, solo sette contro e il restante sono i minorenni che ancora non hanno il permesso di votare.» elencò con praticità «Responso: positivo. Ohayashi può restare.»

Non appena Magnes ebbe finito di pronunciare il verdetto, Bulhuui si girò in direzione della ragazzina e le posò una mano sulla sua spalla sinistra. «Chika Ohayashi» dal suo tono di voce immaginai che le stesse sorridendo con soddisfazione «benvenuta al castello di Hohenzollern.»

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