Una Giocata Vincente pt1

Gab

Sarò sincero; personalmente a me Las Vegas non mi fa proprio impazzire.

Anzi, se devo dirla tutta non mi piace affatto come città.

Troppe luci, troppi rumori, troppo... finto.

Da quanto mi aveva raccontato Bobby; nel corso degli anni dalla sua ricostruzione, Las Vegas aveva deciso di recuperare il più possibile l'aspetto che aveva avuto prima dell'avvento della Terza Guerra. Anche se ne mancava ancora al raggiungimento di tal scopo (avevo visto qualche foto della Las Vegas ai tempi degli Antenati, sembrava in tutto e per tutto una città del futuro) bisogna dire che si era impegnata abbastanza. Pure troppo a mio dire.

Non c'era posto in cui voltarsi dove non si vedeva una qualche scritta o insegna luminosa che indicavano i vari negozi e sale giochi a cui appartenevano. Per non parlare poi delle pubblicità sotto forma di ologrammi in movimento o delle riproduzioni in scala ridotta di monumenti famosi sparsi per il mondo in versione virtuale come la Torre Eiffel e il Colosseo, tutti ovviamente con la stessa luminosità di due alberi di natale se non di più.

No sul serio, c'erano così tante luci in questa città che uno poteva tranquillamente girare con gli occhiali da sole senza sembrare un completo idiota (qualcuno che li portava c'era). Montréal al confronto gli fa un baffo.

Magari come cosa a qualcuno poteva anche piacere, ma questo non valeva per me.

Onestamente preferisco più posti dal paesaggio caratteristico del luogo.

L'unica cosa perlomeno interessante di questo posto era il gioco d'azzardo di cui abbondava.

Era divertente individuare i trucchetti di cui i giocatori si servivano per riuscire a vincere con facilità per poi rivoltarglieli contro. Le Loro espressioni in quei momenti erano davvero superlative.

Un poco mi dispiaceva non potermele godere con calma, ma purtroppo non eravamo qui per una semplice gita di piacere. Avevamo una missione da portare a termine.

«E questi vanno a me, ah!» esultò con fin troppo entusiasmo il mio compare raccogliendo una notevole montagna di fisher colorate che eravamo riusciti a vincere in questa partita di poker. Attualmente aveva l'aspetto di un uomo sulla trentina con i capelli castani ingellati e una corta barba curata, i vestiti eleganti che indossava ne risaltavano il fisico ben proporzionato e non esageratamente muscoloso.

Io non riuscii a trattenermi dal piegare un angolo della bocca in un sorriso divertito nell'osservare le facce dei nostri avversari intenti a rivolgere occhiate irritate a Den mentre era impegnato a intascarsi la vincita.

Era evidente come la cosa a loro non riuscisse ad andare giù.

«Signori, è stato un piacere giocare con voi.» li salutò Den alzandosi dalla sua sedia e accennando un breve inchino teatrale, poi si voltò verso di me guardandomi con trepidazione. «Andiamo Briel? Voglio provare qualche altro tavolo!»

Lasciandomi andare un leggero sospiro rassegnato, mi alzai e lo raggiunsi.

"Anche se dovresti mostrare di avere ventinove anni ne dimostri comunque quindici"; era questo quello che mi sarebbe piaciuto dirgli per stuzzicarlo.

Mah... alla fine non era colpa sua, dopotutto in realtà aveva davvero ancora quindici anni.

Infatti quello che indossava non era altro che un travestimento, barba compresa, progettato appositamente per trarre in inganno le persone del casinò in modo da farci entrare senza destare troppi sospetti.

Lo stesso valeva anche per il mio solo che, nel mio caso, consisteva nell'interpretare il ruolo della sorella minore di un sedicente uomo d'affari che, in seguito alla perdita di entrambi i genitori avvenuta qualche anno prima in concomitanza del Disastro al Pentagono (erano morti un discreto numero di componenti delle Classi più agiate in quell'attentato) e in mancanza di un altro tutore legale, era stata affidata al fratellastro già maggiorenne e che perciò lo accompagnava in quasi ogni evento in cui egli partecipava o usciva, compreso il gioco d'azzardo di cui, secondo il copione, ne era appassionato.

Roba tipica da romanzetti rosa che era solita leggere Yen.

E sì, nel mettere su tutta questa assurda storiella avevo preso da spunto proprio da uno di quelli.

E sempre sì, sorprendentemente la cosa aveva funzionato ma, ancora più importante, i documenti falsi che avevo preparato assieme a Bobby, il mio fidato aiutante robottino, erano passati.

Io e Denis eravamo rispettivamente sorella e fratello, Gabrielle e Daniel Blackwood.

Il motivo per il quale era stato necessario creare tutto questo teatrino coincideva con l'obbiettivo della missione affidataci: rapinare la Wells Fargo, alias la banca più importante degli Stati Uniti e che dava un grande contributo finanziario agli Eroi (oltre alla Royal Banc situata invece in Canada).

Non totalmente, ma quanto bastava per provocare ingenti difficoltà agli Eroi dal punto di vista economico.

Situata a Las Vegas, la sede della Wells Fargo era posizionata esattamente a fianco del Casinò Millenium, la più antica sala da gioco dopo l'inizio della ricostruzione della città, che veniva periodicamente frequentata dal direttore della banca Liam Lewis.

Stando a quanto affermavano le informazioni raccolte da Bobby, Lewis condivideva un legame parentale con il proprietario del casinò e i due spesso si incontravano lì per giocare insieme.

Il compito mio e di Den era quello di avvicinarci in maniera naturale, senza destare sospetti, a Lewis in modo da ottenere di nascosto le sue impronte digitali e una goccia del suo sangue che ci avrebbe permesso poi di accedere al caveau.

L'idea era quella di farci notare vincendo un gran numero di partite a poker e altri giochi d'azzardo presenti in questo casinò (che però avessero a che fare con l'uso delle carte) in modo da attirare la sua attenzione. Per questo avevamo passato le ultime cinque serate precedenti qui al Millenium collezionando un notevole numero di vittorie e credo che ormai siano soltanto questione di pochi attimi prima che fosse Lewis stesso a venire da noi.

Il perché invece io mi ero dovuto travestire da ragazza dipendeva principalmente dal fatto che, persino Noah con la sua abilità illusoria, era piuttosto difficile darmi l'aspetto di un uomo maturo a causa della mia corporatura esile e della mia schifosa altezza da ragazzino di tredici anni.

«Dublé, sai che questa non è un'uscita di piacere vero?» si udì la voce di Noah riprendere Den attraverso i nostri auricolari mentre camminavamo tra i tavoli da poker alla ricerca dei nostri nuovi avversari.

Ecco, parli del diavolo e spuntano le corna.

Anche se in questo caso dovremmo più parlare di noiosità.

«Sì sì tranquillo Täu» lo rassicurò Den con tono svogliato «non mi sono certo scordato il ostro compito!»

Dall'auricolare si sentì uno sbuffo frustrato. «Lasciar andare voi da soli in un posto come un casinò senza nessuno che vi tenga a bada è come lasciare dei bambini in negozio di caramelle incustodito.»

Esagerato, al massimo sarebbe come lasciarmi da solo in un laboratorio scientifico con all'interno tutti gli strumenti e materiali necessari per poter condurre qualsiasi esperimento io voglia.

«E piantala Täushung, non sei mica la loro madre!» lo riprese con tono scherzoso un'altra voce, stavolta però femminile.

Irawa.

«È solo che non mi fido lasciare due come loro da soli in un posto come questo!» ribatté Noah stizzito «Staranno certamente combinando qualche guaio o provocando persone a caso, conoscendoli.»

Il motivo per il quale si stessero rispondendo a vicenda nonostante si trovassero nello stesso luogo, seppur decisamente distante da quello dov'eravamo io e Den, restava un mistero.

Mossi l'indice e il medio della mano sinistra facendo scontrare in un ripetuto tintinnio i due grossi anelli d'oro che portavo sopra dei guanti scuri, che mi arrivavano fino al gomito, in un ritmo veloce ma ben preciso.

Den lo ascoltò in silenzio e una volta che io ebbi terminato mi sorrise perspicace «Questa gliela dico di sicuro» affermò divertito, dopodiché si portò una mano all'orecchio dove portava l'auricolare facendo finta di grattarselo. «Messaggio per Täu da parte di Briel: ammettilo Noah, in realtà stai rosicando perché vorresti essere anche tu qui solo che non puoi a causa della tua proverbiale sfortuna.»

«Cos... RAZZA DI BRUTTO PICCOLO BASTARDO DI UN TAPPO ALTO MANCO UN METRO E SESSANTA!» rischiò quasi di distruggermi il timpano Noah. Lo stesso valeva per Denis che piegò la bocca in una smorfia tra il dolorante e l'ilare. «MA IO TI FACCIO DIVENTARE Più BASSO DI QUANO TU GIÀ NON SIA!»

Feci cozzare i due anelli ancora tra loro comunicando a Den la mia risposta.

«Briel ti risponde: provaci pure se vuoi.» comunicò trattenendo a stento un risolino beffardo.

Dall'altra capo dell'auricolare si sentì Noah soffiare irritato mentre in sottofondo si potevano udire le risatine di Irawa, Simón ed Ezra.

Denis fece per aprire bocca come per aggiungere qualcos'altro, sicuramente qualcosa a danno di Noah, ma lo zittì tempestivamente dandogli una leggera gomitata al fianco destro e all'espressione perplessa che mi rivolsi a quel gesto gli risposi facendo un breve cenno col capo indicandogli due uomini ancora distanti di qualche metro ma che si stavano muovendo nella nostra direzione.

A quanto pareva l'obbiettivo aveva abboccato.

Un sottile sorriso sagace e previdente prese forma sul mio viso.

Finalmente.

Mentre i due uomini si avvicinavano notai come entrambi, fatta eccezione delle loro capigliature (uno coi capelli tagliati corti e pettinati mentre quelli dell'altro erano più lunghi e arruffati, come voleva la moda di adesso), erano terribilmente simili tra loro. I capelli della stessa sfumatura biondo cenere, gli occhi dello stesso grigio scuro, i lineamenti pressoché identici, lo stesso sorriso sornione ed entrambi di statura piuttosto alta.

Era come se qualcuno avesse fatto copia e incolla.

Altro che semplice "legame di parentela" con il proprietario del casinò, i due erano letteralmente gemelli.

Omozigoti per la precisione.

Le loro uniche differenze, capigliatura a parte, erano il piccolo neo che il gemello coi capelli lunghi aveva appena sotto l'occhio sinistro, gli occhiali neri dalla montatura spessa e severa (stranamente un po' troppo poco elegante per il posto in cui si trovavano) che portava l'altro fratello e le diverse lettere che rappresentavano le loro Classi di appartenenza disegnate sul dorso della mano destra. Il gemello con i capelli più corti era un Gamma mentre l'altro un Iota, la Classe del Benessere.

Ah sì, dimenticavo; entrambi erano anche piuttosto fisicati ma questo non era dovuto completamente dalla genetica.

«Serata vincente a quanto vedo.» ci salutò così il gemello coi capelli lunghi rivolgendosi principalmente a Den lanciando una rapida occhiata al sacchetto contenente tutte le nostre vincite di questa sera. Lui doveva essere certamente il proprietario del casinò e perciò il fratello accanto era senza ombra di dubbio Liam Lewis, il direttore della Wells Fargo aka: l'obbiettivo mio e di Den.

«Quando si ha la fortuna dalla propria parte ogni serata diventa vincente.» rispose Denis accennando un'espressione placida.

Il proprietario del casinò annuì piano ridacchiando debolmente. «Su questo devo dire che ha ragione, tuttavia...» piegò il labbro in un ghigno sottile «converrà con me sul fatto che la sola fortuna spesso non basta.»

Sorrisi sagace sollevando un angolo delle labbra.

Sono completamente d'accordo.

«William Lewis» si presentò l'uomo allungando la mano destra guantata verso Denis. «Sono il direttore di questo casinò.» aggiunse subito dopo sorridendogli con arguzia.

A quell'affermazione Den sgranò leggermente gli occhi come se non se l'aspettasse minimamente. O non aveva prestato minimamente attenzione alla spiegazione di Bobby o non aveva fatto per niente caso ai vari dettagli dei due fratelli inerenti alla loro identità e al loro status. Conoscendolo doveva essere quasi probabilmente entrambe.

Gli diedi una leggera gomitata di nascosto per risvegliarlo dalla trance e impedirgli di fare la figura del pesce lesso davanti ai nostri obbiettivi.

«Aehm... molto piacere di conoscerla!» rispose riprendendosi rapidamente e strinse la mano di William sorridendogli cordiale, fortunatamente i due dovevano aver interpretato la sua precedente reazione come una sorta d'incredula sorpresa per loro "rispettata" presentazione poiché sorrisero entrambi con superiorità mentre guardavano Den presentarsi. «Il mio nome invece è-»

«Daniel Blackwood.» completò al posto suo il fratello di William, Liam. Il labbro superiore si sollevò in un sorriso divertito «Di recente il vostro nome è sulla bocca di tutti, piuttosto difficile ignorarvi.»

A fatica riuscii a trattenere dal sorridere beffardo nell'udirgli pronunciare l'ultima frase; era stato proprio quello il nostro intento.

Porse anche lui la mano a Denis, uno spesso guanto di pelle bianca la rivestiva completamente. «Liam Lewis» disse mantenendo la stessa espressione di prima.

«Molto piacere» proferì Den stringendogliela cercando di mantenere un atteggiamento tranquillo e rilassato ma dal suo breve gesto d'inumidirsi le labbra capii che in realtà doveva essere piuttosto nervoso.

Un angolo della bocca di William si sollevò in un ghigno divertito. «Più di cinquanta partite vinte in sole cinque serate...» mormorò schioccando la lingua lasciando trapelare un particolare entusiasmo. «L'ultimo a riuscire in un'impresa simile è stata una donna circa ottant'anni fa.»

Oh? Questo spiegava il perché di quella vecchia foto appesa al muro vicino all'entrata, assieme alle altre di tutti i giocatori più famosi che avevano messo piede qui dentro, dove vi ritraeva quella donna in particolare intenta a posare accanto a un tavolo da poker insieme a colui che doveva essere il proprietario del casinò di quel tempo, circondati da una folla di persone vestiti di eleganti abiti antichi che fissavano con ammirazione i due protagonisti della scena, in special modo la giovane donna.

Interessante... mi ero giusto domandato il motivo vero della sua presenza in quella fotografia non appena l'avevo trovata.

Certo che riuscire a mantenere l'espressione da fanciulla innocente era davvero faticoso, più volte ho rischiato di tradirmi semplicemente accennando a un sorrisetto previdente o scaltro.

«Doveva essere davvero molto brava.» commentò Denis infilandosi le mani dentro le tasche dei pantaloni blu notte eleganti che indossava, abbinati alla giacca.

William continuò a sorridere sottile. «Se le storie che girano sono vere, doveva esserlo stata eccome visto che a quanto pare sarebbe stata in grado di battere nostro nonno, un giocatore eccezionale.»

Accanto a me udii Den lanciare un breve fischio d'ammirazione. «Decisamente brava.»

«Già» affermò l'uomo annuendo appena.

Dal punto in cui mi trovavo seminascosto dalla figura di Denis, resa abbastanza imponente dalle illusioni di Noah, notai l'altro fratello spostare la sua attenzione su di me. «Ehi, ma cosa abbiamo qui?» fece voltandosi completamente nella mia direzione, nelle sue iridi vidi scorgere rapida una strana luce mentre mi osservava con divertito interesse.

Presto avvertii aggiungersi anche lo sguardo dell'altro che prese a percorrere tutta la mia figura con estrema attenzione.

Mi costrinsi a tenere gli occhi rivolti verso il basso portando le mani dietro la schiena nel tentativo di tenerle ferme o almeno nasconderla.

Avevo un piano ben definito in mente e se avessero notato la mia vera espressione dai miei occhi questo rischiava fortemente di venir compromesso. Poco importava se così facendo sarei parso a loro come una fanciulla timida e innocente anzi, in questo modo l'inganno avrebbe di certo funzionato meglio.

Adesso dovevo solo sforzarmi a rimanere in silenzio e non rovinare la mia parte.

«Ah lei?» disse Den volgendomi una breve occhiata sorridente per poi riportare nuovamente l'attenzione sui due gemelli, i quali però non sembravano avere l'intenzione di distogliere completamente lo sguardo da me lanciandomi invece continuamente delle fugaci occhiate. «È mia sorella minore, sorellastra per la precisione. Mi accompagna spesso ai ricevimenti o a qualche festa di gala, in queste sere ho preferito portarla con me qui al casinò per farle assistere a qualche partita a poker approfittando della nostra breve permanenza a Las Vegas.»

Bisognava dirlo; la fluidità con la quale Den era in grado di raccontare frottole era davvero ammirevole. Lo era invece un po' meno a inventarle (questa e tutte le altre preparate per ogni evenienza le avevamo costruite io, Noah ed Ezra) ma andava benissimo così.

Se non fosse stato un Liberatore avrebbe potuto avere un possibile futuro da attore, la sua abilità gli sarebbe stata anche abbastanza utile in quell'ambito. Peccato però che non appena si diventava un Ultra, e scoperti in seguito come tali, le possibilità di scelta del proprio futuro calavano drasticamente a una o due opzioni: unirsi agli Eroi oppure ai Liberatori.

In entrambi i casi ti ritrovavi ugualmente a dover ammazzare gente nemica ma, se dovevo dirla tutta, perlomeno nei Liberatori non si viveva così male.

Liam fece un leggero senso di assenso col capo come se avesse capito appieno la storiella propinatagli dal mio compare e infine tornò a rivolgermi la sua più totale attenzione. «E posso sapere il nome di tale splendore?» il tono con il quale me lo chiese era più dolce e suadente, con la coda dell'occhio scorsi un veloce bagliore passare negli occhi dell'altro fratello sparendo poi con la stessa rapidità con la quale era comparso.

«Non può sentirvi, è sordomuta.» rispose Denis al posto mio. Un lampo di sorpresa mista a confusione attraversò rapido gli sguardi dei due gemelli. «O meglio, un po' riesce a sentirvi grazie all'apparecchio acustico ma non benissimo.» spiegò subito dopo. Era stata un'idea di Noah quella di rendere sordomuto il mio personaggio in modo da impedirgli di parlare, secondo lui sarei stato in grado di aizzarmi contro l'intero casinò soltanto aprendo bocca. Io avevo acconsentito solamente perché come bugia aveva una sua effettiva utilità, che non aveva nulla a che fare con quella portata avanti da Noah.

Non del tutto almeno.

«Si chiama Gabrielle comunque.»

Il banchiere aggrottò le sopracciglia pensieroso nel venire a conoscenza della mia presente "disabilità". «Capisco...»

Girandomi verso Den gli comunicai con il linguaggio dei segni (me lo aveva insegnato nell'ultimo mese durante i preparativi per il colpo) che aveva fatto un ottimo lavoro.

Vidi l'angolo delle sue labbra più vicine alla mia parte piegarsi in un sorrisetto soddisfatto.

«Che cosa ha detto?» domandò William incuriosito.

Riportando l'attenzione sui gemelli, Denis sorrise a loro ilare. «Uhm? No niente, mi stava solo chiedendo se avevo intenzione di giocare un'altra partita a poker.» mentre parlava, mentendo ovviamente, muoveva le mani e le dita in modo da rispondere sempre tramite il linguaggio dei segni.

"Che cosa potevi aspettarti dal migliore?"

Fui tentatissimo di replicare con qualcosa tipo; "Sinceramente, da te un disastro completo" ma conoscendolo poi avrebbe reagito in maniera un pelino troppo animata rischiando così di far saltare la nostra copertura, perciò feci il bravo e non gli risposi.

«La domanda di vostra sorella capita a fagiolo.» esordì Liam lanciandomi nuovamente una rapida occhiata mantenendo una sfumatura maliziosa nel suo sguardo. «Sa, signor Blackwood, eravamo giusto venuti da lei per invitarla a una partita a poker.»

Bingo.

Le pedine hanno cominciato a muoversi sulla scacchiera.

Cercai di far scontrare nella maniera più disinvolta possibile gli anelli d'oro comunicando la risposta a Den.

Oltre al linguaggio dei segni ci eravamo esercitati assiduamente con il codice morse arrivando addirittura al punto di comunicare tra noi solamente tramite esso per far sì che riuscissimo poi a utilizzarlo in maniera fluida senza incespicare anche durante la missione.

Soprattutto durante la missione.

Alla fine però i nostri sforzi avevano dato i loro risultati; senza battere minimamente ciglio, Denis riportò la risposta che gli aveva comunicato «Una proposta parecchio allettante, tuttavia due contro uno non mi pare una sfida molto leale.» fece esentando un'espressione sfrontata.

Un lampo di sorpresa, leggera irritazione e infine divertito baluginò rapidi negli occhi dei gemelli all'affermazione del mio amico.

Compresi che ci avevo preso in pieno con quello che sarebbe dovuto essere il loro piano: che uno dei due perdesse non importava molto a loro, l'importante era battere Den e magari anche spillargli via buona parte dei soldi.

Scommetto anche che, in quel caso, avrebbero truccato la partita in modo che sarebbe stato William a vincere in quanto proprietario del casinò mentre il fratello si sarebbe impegnato a infliggere una sonora batosta al mio compare (che poi in realtà ero io a decidere che carte giocare ma dettagli).

William assentì col capo, come a mostrarsi d'accordo con l'osservazione fatta. «D'accordo, vorrà dire che giocherà contro di me allora.» dichiarò muovendo un passo in avanti e portandosi il palmo aperto sul proprio petto poco sotto la clavicola, un ghigno affabile prese forma sul suo viso. «Dopotutto sono il direttore di questo casinò, intrattenere e divertire i propri clienti è uno dei miei compiti principali.»

Accanto al gemello, invece Liam sbuffò con aria seccata. «E quindi invece a me spetterà unicamente il compito di assistere, che barba!» si lasciò volutamente sfuggire nella sua debole lamentela rimettendosi a posto svogliatamente alcune ciocche bionde che gli erano cadute sulla fronte.

Traduzione: avrebbe lo stesso aiutato il fratello a barare e a vincere la partita.

Nessun problema, d'altronde neppure io ero quel che si diceva un innocuo spettatore.

«Ho tenuto da parte un tavolo da poker apposta per noi, così che potessimo giocare senza rischiare di venire intralciati da nessuno.» comunicò William facendoci poi cenno con la mano di seguirlo «Venite.»

Assieme al fratello, ci guidò tra i vari tavoli da blackjack, roulette americana e di un altro gioco di origine francese con l'utilizzo delle carte, parecchie persone vi erano attorniate intente a giocare o assistere alle partite in atto in quel momento, dirigendoci verso il centro del salone.

Quando passammo accanto a una delle colonne disposte per tutta la sale, rivestite di una superficie riflettente sulla quale ci si poteva specchiare tranquillamente, ne approfittai per gettare ancora una volta un'occhiata al io riflesso stando però ben attento a non farmi notare.

Rimanevo sempre piuttosto impressionato quando, al posto del mio solito aspetto, mi trovavo quello di una giovane ragazza elegantemente vestita.

Le ciocche davanti dei capelli castani della parrucca che portavo erano agghindati dietro la nuca in una complicata acconciatura e tenuti fermi da un delicato fermaglio a forma di ninfea rosa e dorata lasciati poi ricadere lungo la schiena in morbide onde mentre lo stretto busto del vestito verde mare che stavo indossando era provvisto di una leggera imbottitura per nascondere il mio petto naturalmente privo di seno. Sotto l'ampia gonna corta dell'abito, di una sfumatura leggermente più scura del corpetto, un paio di sottili calze grigio scuro mi fasciavano le gambe e ai piedi un paio di scarpe rosse col tacco mi facevano guadagnare qualche centimetro in altezza ma allo stesso tempo soffrire terribilmente ad ogni mio passo, come le donne decidessero di loro spontanea volontà di sottoporsi a una simile tortura restava per me inconcepibile.

La ragazza allo specchio ricambiò il mio sorrisetto abile, le lenti a contatto che facevano apparire i miei occhi come se fossero color nocciola celavano la vera pigmentazione delle iridi.

Non c'era molto da dire: Ezra, un giovane Sigmaf con un grande talento nell'ambito della sartoria e della moda, aveva fatto un lavoro a dir poco eccezionale.

Non sembravo quasi neppure io quello nel riflesso ma tutta un'altra persona.

Gli unici dettagli che mi permettevano di riconoscermi, oltre ai lineamenti del volto e il taglio degli occhi a mandorla, erano la carnagione olivastra e le numerose lentiggini che ricoprivano buona parte del mio viso. Anche se a quanto pare queste ultime non erano molto apprezzate dall'alta società (credo perché le ritengono come una sorta d'imperfezione della pelle o simile e quindi degli errori), Ezra aveva comunque preferito di lasciarle intatte ritenendo come queste mi avrebbero dato una nota di originalità e personalità in più e un volto difficile da ignorare, cosa tra l'altro perfetto per il mio piano.

I canini e la punta delle orecchie prominenti erano invece celati alla vista tramite un'illusione di Noah sigillata in seguito nel ciondolo dorato che portavo al collo, una delle analoghe tecniche e capacità legate ai Sigmaf.

Accelerai di poco il passo per non rischiare di rimanere troppo indietro e a quel movimento avvertii gli orecchini d'oro con il pendente in malachite dondolare vistosamente dalle orecchie. Trattenendo un sottile gemito di dolore mantenni un'andatura spedita per restare in pare con la velocità degli altri (per nulla facile coi tacchi) e nel mentre mi portai una mano al lobo sinistro massaggiandomelo. Mi ero fatto il buco apposta per il travestimento giusto un paio di settimane prima e il peso dei pendenti, nonostante li avessi cercati i più leggeri possibile, mi davano di tanto in tanto fastidio.

Superammo un altro paio di tavoli circondati da un sacco di persone, tanto che mi fu difficile capire quale tipologia di gioco si facesse in quelli, prima di giungerne di fronte a uno estremamente elaborato dalla forma però più piccola rispetto ai suoi simili presenti nel salone, il numero possibile di persone che potevano sedersi attorno non doveva essere più di quattro, ed era sistemato sopra a una pedana alta circa una decina di centimetri e completamente da un tappeto rosso di velluto.

«Solitamente questo tavolo lo utilizziamo per le occasioni speciali» ci comunicò William prendendo posto in su una sedia di legno scuro finemente decorato con i cuscini di raso rosso, alla sua destra vi si sedette invece il fratello. «Tornei di poker e Baccarat, ospiti importanti e famosi del mondo dell'azzardo oppure...»

«Giocatori emergenti inaspettatamente abili.» concluse Liam avvicinando le labbra alle dita intrecciate delle mani coi gomiti che poggiavano sulla superficie liscia e lucida del bordo del tavolo, una luce scaltra e divertita brillò nelle sue iridi grigio scuro. Lo stesso valeva per il gemello.

Avvertii l'eccitazione crescermi dentro tanto non riuscii a trattenermi dall'accennare un sottile sorrisetto accorto.

Immaginavo che sospettassero che Den avesse barato in tutte le partite precedenti, la parte inerente alla fortuna di William all'inizio della chiacchierata ne era un possibile indizio e ora ne avevo avuto chiaramente conferma.

Da quel che ho potuto comprendere in queste cinque serate, nel casinò chi viene scoperto barare viene poi disprezzato e punito severamente (se non erro spesso con l'allontanamento dal casinò) eppure tutti qui barano indiscriminatamente. Il trucco sta nel non farsi beccare.

E perdere solo sei volte a poker più due a blackjack in cinque serate (solo quattro alla prima) per i giocatori più accaniti o per chi tiene alla nomea di questo posto può risultare un tantino sospetto, oltre che un perfetto modo per attirare l'attenzione.

Il mondo del gioco dell'azzardo si stava rivelando tutto fuorché noioso e mi ci ero solamente affacciato soltanto per qualche serata.

Tuttavia non avevo alcuna intenzione di approfondire la mia esperienza, come tipo di gioco continuavo tutt'ora a preferire gli scacchi.

Bugie e fortuna lì non servivano ma solo abilità e strategia.

Un uomo sulla quarantina si avvicinò al nostro tavolo e iniziò a mescolare il mazzo con diligenza, indossava una camicia bianca a maniche lunghe con un gilet nero e rosso. «Quanto volete puntare?» domandò nel frattempo William al mio compagno in attesa che le carte venissero poi distribuite. Attorno al nostro tavolo andava crescendo sempre più un cospicuo numero di persone interessate ad assistere alla partita, dopotutto immaginavo che non era spettacolo da tutti i giorni poter vedere il direttore del casinò giocare contro qualcuno.

Chinai un poco il viso ragionando, con le dita presi ad attorcigliarmi attorno la catenella d'oro facendo dondolare il piccolo medaglione che vi era appeso. A differenza delle altre partite che abbiamo giocato nelle ultime sere, in cui giocavamo con l'obbiettivo di vincere come tutti gli altri partecipanti, in questa credo che stavolta ci convenga più perdere.

Siamo già riusciti a ottenere l'attenzione dei gemelli Lewis, a tirare maggiormente la corda c'era poi il rischio di compromettere la realizzazione del piano, e di conseguenza della missione, a causa di possibili nuove incognite dovute dall'umore dei due fratelli nel caso in cui perdessero.

In ogni caso ci conveniva comunque partire con una puntata bassa e poi man mano si vedrà a seconda di come si svilupperà la partita.

Di certo però la mossa più stupida da fare in una situazione come la nostra è quella di puntare tutto, ma era talmente idiota che non aveva neppure senso prenderla in considerazione come possibile opzione.

«Tutto!» esclamò Den con fierezza buttando il sacco con le nostre vincite di quella sera sulla superficie di velluto verde che ricopriva il tavolo.

Un improvviso silenzio cadde sul nostro tavolo e nello spazio circostante.

Le persone vicine o che stavano ascoltando si bloccarono nell'azione che stavano compiendo in quel momento, mazziere compreso. Pareva che qualcuno avesse lanciato una sorta d'incantesimo immobilizzante (in "Harry Potter" si chiamava immobilus se non ricordavo male) colpendo unicamente la zona limitante del tavolo dove ci trovavamo.

Persino dall'auricolare che avevo all'orecchio al posto del debole chiacchiericcio tra due nostri compagni si udiva solo un sottile ronzio.

Fuori dallo spazio delimitato dal nostro discreto pubblico di spettatori, le voci e le risa degli altri clienti ci giungevano forti e chiare alle nostre orecchie tale da rendere ancora più irreale l'improvvisa immobilità di cui sembrava aver colpito chiunque si trovasse accanto al nostro tavolo e che avesse sentito Den.

DEEEEEEEEEEEEEEN!

Razza d'idiota, che cosa punti tutto?

Anche se si fosse trattata di una partita come altre, puntare tutto fin dall'inizio è da veri idioti! Ma che ti dice la testa?

Ma io-io... io ti strozzo!

Appena usciamo da qui giuro che ti strozzo.

Ti metto la tinta rosa acceso al posto dello shampoo.

Trasformo le tue riviste piene di ragazze seminude in coriandoli oppure userò il tuo giubbotto di pelle come cavia per testare i miei nuovi acidi...

Okey okey... Gab, vediamo di calmarci o il piano assieme alla missione rischia di andare a monte. Okey...

DEEEEEN.

Con uno sforzo immane cercare di trattenere qualsiasi tipo di espressione sul mio viso mantenendo invece quella tranquilla ma pensierosa che avevo poco prima. Dopotutto il mio personaggio era sordomuto, non poteva di certo aver sentito la stupida esclamazione di Denis no?

Maledetto Den, questa me la paghi.

Misi momentaneamente da parte gli insulti, quasi tutti in veronese, che stavo pensando per Denis e tentando di apparire il più disinvolto possibile appoggiando con fare annoiato una guancia sul palmo sinistro, battei ritmicamente sul bordo del tavolo le dita dell'altra mano comunicando le istruzioni di quello che doveva dire esattamente per salvare la brutta situazione di cui lui stesso ne era la causa.

"Di che era uno scherzo di che era uno scherzo".

Seppur inizialmente confuso, da bravo attore Den sorrise poi con naturalezza. «Scherzavo ovviamente! Non punto mica tutto per davvero, ci siete proprio cascati!» disse accennando una lieve risata «Vero Briel?» fece subito dopo dandomi una leggera gomitata scherzosa.

Ti strozzo.

«Maledetto idiota d'un francese, ma che cosa fai all in? Non si fa mai all in a inizio partita, persino i poppanti lo sanno! Al massimo punti il quindici per cento, non tutto! Ma io ti tatuo la parola "idiota" in fronte, razza d'imbecille!» si udii sibilare nel nostro orecchio una voce tesa e vibrante, diversa dalle precedenti, nel chiaro tentativo di trattenersi dall'urlare.

Ezra, grazie di esistere e di aver dato voce ai miei pensieri. Davvero.

Con l'espressione ancora basita i due gemelli si scambiarono un'occhiata incerta, dopodiché scoppiarono a ridere entrambi. «Accidenti signor Blackwood, certo che lei sa essere davvero divertente!» dichiarò William ilare poggiando il busto contro lo schienale della sedia. «Per un attimo avevo creduto che dicesse sul serio!»

«Già!» confermò Liam con i resti della recente risata ancora sul viso mentre allungava una mano verso l'esterno attirando l'attenzione di un uomo con gli stessi abiti del mazziere solo con la parte davanti del gilet color blu cobalto anziché rosso come quello del suo collega, il colore dei camerieri e dei baristi. «È impossibile che una persona abile e che ha vinto così tante partite in questi giorni come lei faccia un all in, solo un imbecille lo farebbe!»

Denis si sforzò di sorridere spontaneo ma intravidi la punta dell'orecchio più vicino farsi sempre più rossa. «Già... solo un vero idiota farebbe una cosa così stupida...»

Giocherellai ancora un po' con la catenella della collana cercando di non sorridere affabile.

Lieto che tu l'abbia capito.

Gradualmente anche le persone che si erano avvicinate per assistere alla partita presero a ridere tra loro, commentando come quella del signor Blackwood fosse stata una bella battuta.

Ben presto l'esclamazione precedente di Den venne dimenticata tra le chiacchiere e i sorrisi dei presenti, le carte e le fisher distribuite tra i due sfidanti e la partita ebbe inizio. Questa volta Denis seguì il consiglio di Ezra cominciando con una puntata molto più bassa.

Come era facile da prevedere, William si rivelò ben presto di essere un giocatore professionista. Naturale, dopotutto non ci si poteva aspettare nulla di diverso dal direttore del casinò più famoso della città nonché conosciuto anche come abile d'azzardo, del poker in particolar modo.

E poi il fratello si stava impegnando tantissimo ad aiutarlo.

Indovinare il metodo utilizzato per passarsi le informazioni fu molto più semplice di quanto credessi, seppur avessi immaginato una possibile opzione: estremamente simile al nostro, si differiva soltanto per i segni e il linguaggio adoperato, inventato da loro e probabilmente legato alla terminologia dell'azzardo.

Di certo il codice morse non lo conoscevano perché altrimenti sarebbero riusciti ad anticipare le nostre mosse, dandoci in questo modo un sottile vantaggio. Di conseguenza però, per quanto fosse semplice da decodificare allo stesso tempo il loro sistema di comunicazione risultava comunque più veloce e immediato del nostro proprio grazie alla loro conoscenza del poker e del gioco di cui io e Den invece avevamo ben poca esperienza.

Ma il vero trucco dei gemelli risiedeva nelle lenti degli occhiali di Liam a cui era stato collegato un computer.

Essendo una tecnologia segretamente disponibile a chi possedeva un patrimonio con fin troppi zeri e buoni agganci politici (ufficialmente da quanto ne sapevo era riservato solamente all'esercito), nell'ultimo mese all'interno del Millenium era espressamente vietato l'uso di qualunque genere di occhiali a chi voleva partecipare a qualsiasi tipo di gioco presente nel casinò. La scusa era che attraverso il riflesso delle lenti c'era il rischio che si potessero intravedere le carte che si tenevano in mano ma la verità era per evitare il possibile uso di simili inganni (per riuscire a vederci lo stesso Denis portava un paio di lenti a contatto) solo che Liam era seduto al tavolo in quanto spettatore, non come giocatore. Esattamente come me.

Solo che nel mio caso cercavo d'indovinare le giocate vincenti tramite calcoli e osservazione, specie dei nostri avversari. Grazie a tutte le partite giocate in queste ultime sere ci stavo ormai prendendo la mano e le mie intuizioni si rivelavano sempre più precise.

La partita procedette ancora per parecchi minuti dove entrambi gli sfidanti giocavano una mano dietro l'altra alzando un poco il valore delle puntate mentre noi "innocenti spettatori" eravamo ugualmente impegnati a indovinare il gioco dell'avversario e comunicare le successive mosse ai nostri rispettivi compari.

Diversamente dalle partite precedenti, questa volta non prestai troppa premura nel non farmi scoprire mentre davo a Den le indicazioni sulle carte da usare, tanto l'attenzione di tutti era unicamente rivolta al gioco il quale stava entrando sempre più nel vivo man mano che procedeva.

O meglio, l'attenzione di tutti meno uno; cioè colui di cui era mia intenzione farmi notare e dalle fugaci occhiate allibite che mi lanciava era chiaro che ci fossi riuscito alla perfezione.

Non sorridere scaltramente è davvero difficile.

«Poker di re!» annunciò alla fine Den ponendo sul tavolo quattro carte dello stesso seme e numero e fissò di sfida il direttore del casinò.

Quest'ultimo non si scompose minimamente e rivolse una breve occhiata prima alle carte sopra al tavolo e poi sull'avversario, infine sorrise canzonatorio. «Gran bella giocata signor Blackwood, davvero bella...» dichiarò William parlando con tono suadente e mellifluo, nel frattempo suo fratello sogghignava beffardo. «Peccato che però sia pressoché inutile contro la mia» lasciò cadere sul velluto verde le quattro carte che teneva in mano mostrando i quattro assi allo sguardo ammirevole delle persone che avevano assistito alla partita.

«Poker di assi.»

Il sorriso sul volto di Den sparì rabbuiandosi.

Sia io che Denis ormai ne sapevamo abbastanza sul poker da capire che avevamo perso.

Non solo la mano ma anche la partita essendo quella l'ultima giocata che ci eravamo predisposti.

Perlomeno Den non aveva più fatto altre puntate idiote nel corso della partita per cui non ci avevamo perso così tanti soldi.

Finalmente mi concessi la libertà di permettermi una breve pausa e mi accasciai completamente contro lo schienale dalla sedia reclinando appena la testa all'indietro.

Sapevo perfettamente che il nostro lavoro non fosse ancora finito (il mio in special modo) e che da adesso in poi le cose si sarebbero fatte un po' più serie, la seconda fase del piano stava oramai giungendo a termine, però riuscire a manipolare la partita in modo tale da farci perdere cercando però di non renderlo evidente era stato davvero una faticaccia.

In confronto vincere è molto più semplice e di certo meno stancante.

Ho bisogno urgente di cioccolata.

Senza muovere il capo mi limitai a spostare lo sguardo su Den intento a discorrere con i gemelli intanto che i nostri spettatori si allontanavano gradualmente dal nostro tavolo, probabilmente alla ricerca di qualcosa di entusiasmante a cui rivolgere la propria attenzione.

Che faccio? Glielo chiedo?

«Devo ammettere che è stata una gran bella partita questa» commentò William porgendo sportivamente la mano a Denis. Lo stesso fece anche il gemello, ovviamente senza togliersi i guanti. «Lei è senz'altro un giocatore eccezionale signor Blackwood, mi sono davvero divertito.»

«Lei non è da meno, signor Lewis» ribatté Den con cortesia stringendo le loro mani una alla volta, quando toccò a quella del direttore della banca rivolse un rapido sguardo alla mano guantata dell'uomo prima di riportarlo sul volto di questo. «Comunque mi sono divertito anch'io, sì.» aveva le labbra contratte in un sorriso tirato, segno che la recente sconfitta doveva essergli stata abbastanza amara.

Intanto io stavo ancora cercando di decidermi se chiedere a Den di prendere della cioccolata o meno. Dopotutto dal prossimo step in poi del piano era previsto più volte l'uso della mia abilità e questo significava energia.

Dal lato opposto al mio del tavolo udii Liam prorompere in una breve risatina. «Certo che al suo all in a inizio partita ci sono rimasto per un attimo di stucco!» esclamò con fare divertito sistemandosi meglio gli occhiali sul naso. «E a giudicare dalle facce di tutti gli altri credo proprio che ci siano cascati anche loro.» adagiandosi sullo schienale incrociò e incrociò le braccia al petto in una posa rilassata. «Giocatore d'eccezione e bravo con le battute, lei è di certo un tipo molto interessante» fece con vivacità, dopodiché una luce scaltra baluginò nei suoi occhi per pochi e rapidi istanti. «Specialmente le sue abilità riguardanti al gioco...»

Spostai fugacemente lo sguardo su di lui prima di ritornare a scrutare pensieroso Denis.

Quindi alla fine mi aveva beccato.

Bene, proprio quello che avevo sperato.

Attualmente però ero impegnato a pensare a cose più urgenti, come la cioccolata.

Ezra mi aveva ripetuto fino allo sfinimento come le ragazze dell'alta società siano estremamente fissate con il peso e che quindi mangiavano sempre pochissimo e solo alimenti contenenti un numero pressoché nullo di grassi, carboidrati e zuccheri. In pratica tutto ciò che potenzialmente potrebbe far ingrassare, tra cui purtroppo anche la cioccolata.

Mah io i ricchi proprio non li capisco; per gran parte della mia vita poter gustarsi anche due sole fette di pizza o una singola porzione di lasagne era un evento più che raro, quasi una festa, mentre loro che avrebbero la possibilità di poter mangiare qualsiasi prelibatezza desiderino sembra quasi che ripudino il cibo come se fosse un qualcosa di orribile e schifoso. In breve una sorta di sottile e beffarda ironia.

Comunque dubito fortemente che in un casinò vendano della cioccolata, non è certo il posto dove uno entra unicamente per comprare dei dolci ed essendo frequentato esclusivamente da adulti (tralasciando me e Den che siamo riusciti a entrare solo grazie a dei documenti falsi) scommetto che il menù predisposto all'angolo bar disponga solamente di alcolici.

Però credo che un tentativo valga lo stesso la pena di farlo.

Magari qui al casinò potevano avere ugualmente qualcosa di adatto che potesse darmi un minimo di energia.

Allungai una mano verso il braccio di Denis e tirai appena il tessuto rigido della manica della sua giacca ad altezza gomito.

«Lei dice sig-uhm? Sì che c'è?» domandò Den voltandosi nella mia direzione.

Gli comunicai quello che volevo nella lingua dei segni: "Cioccolata".

Lui mi guardò per qualche istante completamente immobile, infine mi rispose usando lo stesso linguaggio.

"Sei serio?"

"Nel piano tu sei di supporto al mio ruolo e quindi è compito tuo assicurarti che io sia in forze in previsione delle fasi successive."

"Ripeto: sei serio?"

"Non scherzo mai sulla cioccolata, ormai dovresti saperlo."

Den continuò a fissarmi ancora per diversi secondi mentre io gli sorridevo spigliato, dopodiché tornò a rivolgersi ai gemelli, i quali ci guardavano abbastanza confusi, non senza prima lasciar andare un sospiro seccato. «Signor Lewis...»

«Quale?» lo interruppero i due fratelli parlando all'unisono.

Alla loro richiesta di specificare a chi si stava rivolgendo tra i due, Denis ebbe un breve attimo d'incertezza nell'accorgersi del suo piccolo errore. «Ehm signor William...» il diretto interessato drizzò maggiormente il capo facendo intendere di avere la sua attenzione «per caso vendete dei liquori analcolici qui?»

Liquori?

Dall'auricolare che tenevo all'orecchio udii Noah borbottare sommessamente il suo dissenso che dei minorenni bevessero alcolici nonostante non ne avessero ancora l'età per farlo, zittito quasi subito da Irawa.

Ammetto che il mio primo impatto con le bevande alcoliche, champagne di capodanno, non è stato molto piacevole (troppo amaro), però Den aveva una buona conoscenza in fatto di alcolici grazie a un suo zio che li distillava perciò sapevo che potevo fidarmi. E poi sono piuttosto curioso di assaggiare questo "liquore".

William si grattò il mento pensieroso. «Sì, credo che dovremmo averne qualcuno dal tasso alcolico abbastanza basso...»

«È per la sua cara sorellina?» si intromise Liam volgendomi un fugace sorrisetto ambiguo.

Den annuì. «Ha voglia di qualcosa di dolce, figurarsi!» rispose con tono quasi seccato sospirando con fare rassegnato.

Dubito che in questa frase abbia recitato.

Lo sguardo di Liam si fece più interessato e in un certo senso anche infido. «Oh, le piacciono i dolci quindi?» un angolo delle sue labbra si piegò in un sorriso beffardo e malizioso.

«La cioccolata in particolare.»

«Quella bianca?»

«No, credo più quella al latte.»

L'indice della mano sinistra di Liam batté ripetutamente sulla superficie di legno del tavolo, la parte del bordo non coperta dal velluto verde. L'espressione del suo viso immutata. «Davvero? Oh beh... peccato, da quanto sento spesso dire la cioccolata bianca è mooolto buona.» pronunciò le ultime due parole con particolare enfasi rivolgendomi un breve sguardo. Il fratello lo guardò inarcando appena un sopracciglio.

Alla mia destra intravidi il corpo di Den irrigidirsi. «È stato davvero un onore e un piacere giocare con lei, signor William. Le auguro un buon proseguimento della serata.» si congedò frettolosamente alzandosi dalla sua sedia e afferrandomi per il polso si allontanò a passo svelto dal tavolo trascinandomi appresso.

Alle nostre spalle avvertivo ancora gli sguardi dei due gemelli su di noi. Me in particolare.

Denis continuò a tirarmi finché non giungemmo al bancone del bar dove persone con addosso il gilet preparavano i vari drink e cocktail ordinati dai clienti. Una volta lì finalmente il polso e prese a tamburellare nervosamente le dita sulla superficie di legno lucido del bancone, scuro in volto.

Sapendo bene come al momento sia la lingua dei segni che il codice morse mi sarebbero stati inutili per comunicare, osservai che nessuno qui vicino ci stesse prestando attenzione e mi avvicinai a Den quanto bastava per potergli parlare senza però essere sentito da orecchie indiscrete. «Nervoso?» feci ironico parlando a voce bassissima.

Le sue dita smisero repentine di battere assiduamente sul bancone e si chiusero a pugno. «Quello... schifoso...» sibilò Denis a denti stretti «Okay, so perfettamente che tu non sei affatto inerme e debole, però...»

«Vuole ordinare qualcosa signore?»

La figura di un signore sulla cinquantina con i capelli neri e grigi ai lati, il mento ben rasato e con il gilet blu scuro dei baristi e camerieri ci sorrideva cordiale dall'altra parte del bancone.

Denis volse lo sguardo sul barista guardandolo brevemente senza riuscire a mascherare la tensione sul suo viso «Un bicchiere di liquore al cioccolato per favore.»

Liquore al cioccolato?

Esiste davvero?

Sembra interessante. E buono.

Non vedo l'ora di assaggiarlo.

Il barista inarcò le sopracciglia spesse e scure rivolgendo un'occhiata dubbiosa al mio compare «Al... cioccolato?»

Dalla sua faccia non doveva trattarsi di una bevanda ordinata molto spesso dai clienti.

«Sì e anche un martini, grazie» confermò l'ordine Den aggiungendo anche qualcosa per sé da bere, nei nostri auricolari risuonarono le fioche proteste di Noah.

L'uomo assentì sorridendo con educazione professionale «Subito signore» e ci diede le spalle voltandosi verso gli scaffali posti dietro di lui dove tenevano gli alcolici dai colori differenti chiusi in raffinate bottiglie di vetro trasparente con i tappi del medesimo materiale.

Con l'attenzione del barista rivolta sui drink da prepararci, Den si girò nella mia direzione squadrandomi con espressione quasi guardinga. "Hai capito quello che ha detto?" mi chiese nella lingua dei segni.

Intuii che si stesse riferendo alla frase di prima di Liam. Tenendo la mano sinistra, quella più vicina a lui, aperta in orizzontale, presi a muoverla dondolandola su e giù: "Più o meno".

Avevo ben intuito a quale tipo di argomento alludesse quella "battuta", ma essendo piuttosto ignorante in tale ambito non riuscivo a capire il suo pieno significato.

Anche se come nazionalità il segno che avevo fatto apparteneva più a quella italiana che magari quella francese o bretone come uso, Denis parve comunque comprenderne il significato e l'indice della mano destra riprese a battere inquieto sul bancone grattando appena la superficie di legno perfettamente lucidato, lo sguardo basso.

Percependo la sua preoccupazione gli colpii leggermente il braccio con il dorso della mano.

Quando mi assicurai di avere nuovamente la sua attenzione, guardandolo dritto negli occhi misi prima le braccia a "X" davanti al petto e poi mi indicai.

"Fidati di me".

Con l'indice continuò a tamburellare sul legno per ancora un paio di secondi. «E va bene!» esclamò infine Den con entusiasmo battendo il palmo aperto sul bancone con tale impeto da far drizzare leggermente sul posto le persone che stavano più vicine a noi, fortunatamente non molte. «Mi fiderò di te! Dopotutto sei tu la mente qui, non certo io!» proseguì con la stessa energia senza alcun cenno d'ironia nella voce.

Lo credo bene. Che cosa ti salta in mente di pronunciare una frase simile dopo aver attirato inopportunamente l'attenzione in quel modo?

Persi a tormentarmi la catenella dorata che avevo al collo per trattenermi dal lanciargli una folata d'aria, seppur leggera, in faccia.

Mi appuntai mentalmente di dover tenere maggiormente conto per la formulazione di pani piani e strategie future il carattere piuttosto impulsivo di Den, anche se ciò potrebbe richiedermi un ulteriore lavoro.

«Ecco i drink che ha ordinato, signore.»

Davanti a noi era ricomparsa la figura alta e curata dal barista di prima con il sorriso pacato sul volto mentre poggiava i due bicchieri di vetro che teneva in mano sul bancone. Il primo, molto più basso e tozzo dell'altro dalla base circolare, conteneva un liquido vagamente denso dello stesso colore della cioccolata mentre il secondo era molto più sottile e alto con la parte in alto finale aperta a cono in cui dentro vi era versato quello che a prima impatto pareva acqua per la sua trasparenza e fluidità solo con una sfumatura lievemente dorata, probabilmente dovuta alle due olive verdi infilzate in uno stuzzicadenti che erano state aggiunte magari come decorazione.

«Desiderate qualche cos'altro?» domandò educato il barista.

«No va bene così, la ringrazio.» rispose Den allungando poi una banconota da cinque dollari e poggiandola sul tavolo «Per lei» disse battendo appena sulla banconota rivolgendosi al barista, quest'ultimo la prese accennando un lieve inchino reverenziale con capo e si allontanò per potersi concentrare sui prossimi clienti.

Dai modi costantemente pacati e ossequiosi coni quali si rivolgeva alla clientela, indifferentemente da come questi invece potevano trattarlo, lasciava presumere che si trovasse in servizio in quanto barista al casinò Millenium già da diverso tempo, specialmente da come riusciva a destreggiarsi con abilità tra le varie bottiglie di alcolici riposte sugli scaffali.

«Questo è il tuo» fece Den mettendomi sotto il viso il bicchiere colmo di quel liquido scuro. Come aspetto ricordava molto la cioccolata calda se non fosse per una traccia di odore leggermente più pungente e forte che si aggiungeva a quello tipico del normale cioccolato.

Volsi a Denis un breve cenno di ringraziamento e presi il bicchiere portandomelo alle labbra. Il primo sorso fu il più traumatico; l'improvviso retrogusto amaro e pungente mi colse il palato completamente di sorpresa dopo l'iniziale sapore dolce del cioccolato e tossicchiai leggermente non essendovi affatto abituato.

Den ridacchiò sommessamente divertito dalla scena «Prima volta che bevi qualcosa di alcolico?» mi canzonò bevendo un breve sorso del suo cocktail senza battere minimamente ciglio.

Tra gli ultimi colpi di tosse scossi la testa facendogli il numero due con le dita. "Champagne" feci usando sempre la lingua dei segni.

«Aaah il primo è stato lo champagne, capisco...» mormorò Den proseguendo con il suo risolino beffardo. "Ultimo dell'anno alla villa?"

Annuii dando un altro timido sorso al liquore. Nonostante il primo impatto non era male, il sapore dolce del cioccolato controbilanciava perfettamente quello amaro dell'alcool rendendomelo più sopportabile. Comunque sempre meglio dello champagne.

Continuando a bere per piccoli sorsi il mio liquore, non essendo lo stesso ancora abituato all'alcool berlo tutto in una volta mi era particolarmente difficile, mi voltai leggermente verso Den e con la coda dell'occhio iniziai a scrutare le persone all'interno del salone.

Impegnati chi a flirtare, chi a giocare e chi semplicemente a chiacchierare ridendo, davano l'impressione come se tutto il loro mondo fosse lì; all'interno delle loro risate, dei loro sigari esotici e dei loro cocktail costosi. Con i loro abiti sgargianti ed eleganti, le loro macchine di lusso e i loro gioielli sfavillanti, per non parlare poi dei loro modi e discorsi che rasentavano la superficialità estrema, creavano un contrasto a dir poco impressionante con la vita che si poteva osservare non appena si metteva piede fuori anche soltanto da questo edificio, se uno sapeva dove posare l'occhio.

La bella facciata luminosa e vivace di Las Vegas si estendeva solo fino ai quartieri più ricchi che ne formavano il centro, oltre lasciava invece spazio alla miseria che diveniva sempre più evidente man mano che si procedeva verso gli strati più esterni della città, dove vivevano le Classi più abbiette e ripudiate e non solo.

Ecco perché non mi piaceva per niente come città. Troppo finta.

Un paio di colpetti alla mia spalla sinistra misero fine al mio personale gioco di osservazione delle persone che si trovavano più vicino a noi, ottimo come esercizio per il cervello, e riportai l'attenzione su Den che mi fissava come in attesa.

Notai che aveva ormai finito il suo cocktail.

"Adesso che si fa?" mi chiese nella lingua dei segni, la parlava con una tale fluidità che non sempre mi era facile riuscire a seguire quello che mi diceva tramite essa dato che, diversamente da lui, l'avevo imparata solo di recente. "Hai detto che ti serviva energia per le fasi successive del piano ma non siamo riusciti ad avere le impronte digitali di quel..." storse la bocca in una smorfia di repulsione "...tipo".

Comprendevo perfettamente il suo disgusto verso Liam Lewis, pure io provavo un forte disprezzo nei suoi confronti. Suoi e quelli di suo fratello William.

Ciononostante sapevo perfettamente come sfruttare certe loro schifose abitudini a mio vantaggio, perciò sorrisi scaltro a Den. "Pazienta..." gli comunicai e bevvi un altro sorso di liquore al cioccolato, rabbrividendo stavolta solo leggermente nel buttarlo giù. Non era affatto male, stava cominciando a piacermi.

Lui aggrottò inizialmente le sopracciglia confuso, poi scrollò le spalle con aria indifferente e buttò giù l'ultimo sorso del suo cocktail.

La solida fiducia di cui Den era solito a riporre nei propri compagni era una qualità che di tanto in tanto trovavo un po' rischiosa ma che al tempo stesso ammiravo e apprezzavo sinceramente.

Una volta che ebbi svuotato anch'io il mio bicchiere, ci volgemmo entrambi a dare inizio quella di cui ero certo che sarebbe stata non soltanto l'ultima partita di poker della serata ma anche di questa missione e mentre Den proseguiva a giocare con un animo più spensierato rispetto a prima, seguendo sempre le mie indicazioni tramite codice morse, avvertivo su di me l'insistente sensazione di essere costantemente osservato.

Non mi voltai per cercare di capire di capire chi fosse a fissarmi in maniera così intensamente e fastidiosa, anche perché avevo già i miei sospetti di chi si trattasse, ma decisi di fare finta di nulla per tutta la durata della partita. Quando però questa era giunta a termine, con la nostra vittoria, comunicai nella lingua dei segni a Den, impegnato a chiacchierare allegramente con una donna piuttosto avvenente e piena di gioielli, che andavo in bagno. "Bagno dei maschi fra cinque minuti" aggiunsi subito dopo usando invece il codice morse, come tempo doveva essere più che sufficiente.

Dopodiché, sotto lo sguardo confuso del mio compare, mi alzai dal tavolo e mi diressi nuovamente verso il lato del salone dove era situato l'angolo bar.

Con la coda dell'occhio osservavo i movimenti delle persone attorno a me.

Il breve corridoio che conduceva ai bagni del casinò partiva non troppo distante dal bancone in cui venivano serviti i vari alcolici e non appena vi addentrai avvertii la presenza di due persone dietro di me.

Okay, in realtà era da quando mi ero allontanato da Denis che le percepivo ma in mezzo a quel gran numero di persone presenti nel salone mi era difficile riuscire a distinguerle dagli altri. Ora che avevo messo una certa distanza dal resto della folla, riuscire a percepirli con chiarezza era uno scherzo. Inoltre non si premuravano minimamente di celare il rumore dei loro passi.

In totale nel corridoio vi erano quattro porte disposte equamente su ambo i lati, due per le donne e due per gli uomini, ma quando feci per afferrare la maniglia della prima porta a destra, colorata di un rosa chiaro, una mano grande grande e guantata di un uomo mi coprii di colpo la bocca mentre con l'altro braccio mi circondò per i fianchi stringendomi con violenza contro il suo corpo possente bloccandomi anche le braccia. Provai a liberarle ma ogni mio tipo di movimento mi era impossibile.

Un profumo forte e pungente misto a tabacco mi penetrò nelle narici fortunatamente lasciate libere.

«È libero, entra» parlò una voce bassa e profonda, che riconobbi, poco più in là.

Una maniglia veniva abbassata e una porta aperta.

«Sbrigati!» insistette la voce di prima.

Sempre senza mollare la presa, l'uomo occupato a tenermi fermo mi trascinò con sé tenendomi leggermente sollevato da terra dirigendosi verso l'ultima porta dei bagni degli uomini, verniciata di un tenue azzurrino, tenuta aperta dall'altro uomo. A causa della mia visualità drasticamente ridotta non riuscii a vederlo in faccia ma poco male, tanto sapevo già chi fosse. «Certo che pesate proprio come una piuma» udii rendermi in giro il primo mantenendo il volume basso della voce in modo che a sentirlo fossimo io e il suo compare. Quest'ultimo sghignazzò con una punta di malignità.

Grazie tante eh...

Non appena fu varcata la soglia del bagno prescelto, molto ben pulito e curato se devo dire, il tizio che mi stringeva si appiattì con la schiena contro la parete coperta da mattonelle di marmo bianco tirato a lucido.

Il caratteristico rumore della serratura che scattava mi comunicava che l'altro aveva appena chiuso a chiave il bagno.

In questo modo nessuno sarebbe venuto a disturbarci.

Prevedibile.

Quando nella visuale fece la sua comparsa la figura piuttosto alta e muscolosa di Liam, che mi ghignava con perfida malizia mentre si faceva più vicino, mi ci volle tutta la forza del mondo per non scoppiare a ridere.

Tutto stava filando esattamente come avevo calcolato e con una tale precisione che provai ancora una volta un senso d'inquietudine per ciò che la mia mente era in grado di fare.

Liam continuò ad avvicinarsi con quel disgustoso sorrisetto superbo sulle labbra, probabilmente pensando di essere lui e suo fratello a dominare la situazione. «Ora ci divertiamo un po'» mormorò inginocchiandosi di fronte a quel tanto che gli bastava per potermi guadare in faccia tenendo il viso a pochi centimetri dal mio.

Anche lui puzzava terribilmente di tabacco.

Notai che si era tolto gli occhiali e che se li era incastrati nell'apertura della sua giacca elegante.

Meglio così.

«So bene come in realtà sei tu ad aver giocato tutte quelle partite, ti ho vista. Il tuo caro fratellastro è solo una marionetta nelle tue belle manine che segue tutto quello che gli dici, non è così?» sollevando una mano mi scostò una ciocca dei capelli della parrucca dalla fronte sistemandola dietro l'orecchio, nel fare quel gesto mi sfiorò volutamente la tempia con la punta delle dita. «Avendo perso contro il mio amato fratellino non ritenuto necessario dover denunciarti pubblicamente davanti a tutti.»

Felice di saper di averci nuovamente visto giusto.

Picchiettando un paio di volte con il pollice sulla mia clavicola nuda esentando un'aria fintamente pensosa. «Tuttavia...»

"Essendo io ancora minorenne non potrei partecipare a nessun tipo di gioco d'azzardo, men che meno all'interno di un casinò" recitai mentalmente indovinando il continuo del discorso.

E infatti...

«Sfortunatamente sei ancora minorenne e perciò non ti è permesso giocare d'azzardo, neppure in questo casinò e io tendo a essere piuttosto intransigente nel far rispettare le regole nel mio casinò.» completò William dietro di me. Dal punto in cui ero costretto a stare non potevo vederlo in faccia, ma avvertii il suo alito contro il mio collo perciò dedussi che doveva essersi chinato un minimo su di me. «Però se vuoi posso farti una piccola eccezione. A una condizione ovviamente.»

Sapevo di avere la situazione perfettamente sotto controllo, stava andando tutto secondo i miei piani, però questo non mi esentò di certo dal provare un enorme disgusto verso i due gemelli.

Non vedo l'ora di poter mettere fine a questa farsa.

Fortunatamente era questione di soli pochi attimi ormai.

«Tu ci permetterai di giocare un po' con te e noi fingeremo che tutto questo non sia mai accaduto e che tu sia soltanto una comune femmina seppur molto carina, buona solo a fare da ornamento del proprio accompagnatore e nulla di più» proseguì Liam ghignando malignamente tenendo sempre una mano appoggiata sulla mia spalla spoglia. «Che ne dici? Mi sembra abbastanza equo come patto, non credi?»

Io credo che tu e tuo fratello facciate unicamente schifo, fine.

«Togli pure la mano dalla bocca» disse poi rivolgendosi al fratello intanto che si rimetteva dritto. «È sordomuta ricordi? Dubito che sia in grado di gridare aiuto.» Seppur titubante, William ubbidì liberandomi finalmente la bocca. Liam riabbassò il capo dedicandomi uno sguardo sprezzante sorridendo con superbia «E poi... preferisco poter vedere questa bella boccuccia aperta solo pe-»

Non fu mai in grado di finire quanto stava per dire, non che ci tenessi a saperlo, a causa dell'improvvisa folata d'aria che gli avevo soffiato contro colpendolo all'addome, abbastanza potente da spedirlo con violenza dall'altra parte della stanza. Circa una decina di metri o più distanziava le due pareti opposte.

Una sottile ragnatela di crepe si propagò nel punto di maggior impatto nelle piastrelle di marmo mentre il corpo dell'uomo si accasciò sul pavimento freddo del bagno come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili che l'avevano sorretta fino a poco prima.

Non era morto.

Non sapevo spiegarmelo ma sentivo con assoluta certezza che fosse ancora vivo.

Lo percepivo.

Nel frattempo William fissava il corpo esamine del fratello con espressione scioccata e costernata «Ma co-» neppure lui fu in grado di finire la frase.

Di fronte a qualcosa di completamente inaspettato o improvviso che li coglieva alla sprovvista, gli esseri umani avevano una manciata di secondi (per chi era meno allenato o più sensibile anche di più) di totale inibimento in cui erano incapaci di qualsiasi reazione prima di riuscire a realizzare quanto era accaduto e riprendersi dallo schock. Per questo motivo, non appena avevo avvertito la sua presa farsi più lenta, avevo immediatamente approfittato di quei preziosi secondi per mettere fuori gioco anche l'altro gemello: attivando la mia abilità unicamente sulle piante dei piedi sfruttai la propulsione del fuoco che emisi da queste e compii una mezza rotazione in aria, servendomi anche del braccio dell'uomo come appoggio per effettuare tale movimento, tirandogli infine un calcio in pieno volto con la punta del piede trasformata in metallo.

Solitamente non possiedo abbastanza forza fisica da riuscire a stendere qualcuno al primo colpo (figurarsi poi se si trattava di qualcuno con il fisico dei gemelli) ma sommando la velocità propulsiva con la quale mi ero appena mosso, in grado di aggiungere una maggiore potenza anche al più debole dei calci, con la durezza tipica del ferro in cui avevo mutato il piede che avevo usato per colpirlo e aggiungendovi pure il fatto che vi erano malapena un paio di centimetri a separare la sua testa dalla parete vicina, riuscii a rendere il mio calcio di una potenza sufficiente da far crollare quasi istantaneamente al suolo il mio "aggressore".

Al contrario mio che invece atterai tranquillamente in piedi, rabbrividendo solo leggermente al contatto della mia pelle lasciata scoperta nei punti dove le calze si erano bruciate con il pavimento gelido della stanza.

Gettai una breve occhiata ai corpi dei due uomini riversi a terra ma vivi.

Piegando un angolo delle labbra sorrisi beffardo «Credo proprio che abbiate sbagliato a fare i vostri calcoli, signori miei» commentai canzonatorio togliendomi la parrucca che portavo e mi passai una mano tra i miei capelli neri per riavvivarli un po' dopo essere stati per diversa ore schiacciati mentre mi dirigevo verso uno degli enormi specchi posti sopra ai lavandini disseminati lungo il lato opposto a quello dove c'erano le porte dei gabinetti, ovviamente anch'esse dall'aspetto abbastanza raffinato.

C'era un tale lusso all'interno di questo edificio che non sarei troppo stupito se la catenella per mendare giù l'acqua dei water fosse in oro puro, o perlomeno laccato.

D'accordo, anche al castello vi erano alcuni ambienti e sale dallo stile abbastanza sfarzoso ma di certo non a questi livelli; ogni cosa qui dentro pareva voler gridare a gran voce lo stato di ricchezza che possedeva questo posto, rubinetti laccati in oro compresi (i nostri erano in ottone).

Giunto di fronte allo specchio più vicino presi a togliermi le lenti a contatto colorate, avevano cominciato a darmi fastidio già da un po', rivelando la reale pigmentazione color miele delle mie iridi.

«Fratello...» udii sussurrare flebile, quasi con fatica, una voce alla mia destra.

Oh, quindi non era svenuto.

Non ancora almeno.

Voltandomi nella direzione dove avevo sentito provenire la voce vidi Liam ancora cosciente, anche se dallo stato in cui si trovava in seguito alla violenta botta dubito che lo sarebbe rimasto tuttora per molto, con la schiena appoggiata per metà in maniera scomposta sulla parete del bagno. Il petto si alzava e si abbassava lentamente quasi con difficoltà, come se a ogni respiro che faceva gli costasse un'immensa fatica e dolore, e nonostante non fosse esattamente vicino riuscivo comunque a percepire il suo sguardo che mi fissava con particolare angoscia mista a confusione.

Un risvolto completamente inaspettato della situazione per lui.

Un attimo prima aveva avuto l'illusione di averne perfettamente il controllo e in quello immediatamente successivo eccolo accasciato a terra, incapace di muoversi, sconfitto facilmente da quella che avrebbe dovuto essere la sua preda.

Quasi mi dispiaceva per lui.

Quasi.

«Chi sei tu... davvero...» riuscì a chiedermi tra un rantolo e l'altro, visibilmente sofferente. Avvertii un leggero tremore nella sua voce.

Adesso era il mio turno d sorridere beffardamente, dopo ore in cui mi sono dovuto trattenere.

Camminando con passo tranquillo e rilassato mi avvicinai a lui levando intanto i guanti, sentendo finalmente le mani libere dal tessuto mossi le dita aprendole e chiudendole un paio di volte beandomi del contatto dell'aria sulla mia pelle. Destavo avere qualsiasi cosa che ostruisse la mia sensibilità ai polpastrelli.

Arrivato quasi davanti a lui, mi chinai leggermente continuando a sorridergli abile. «Piacere» gli dissi con particolare soddisfazione prendendo dalla sua giacca gli occhiali che aveva usato prima durante la partita, fortunatamente illesi. «Il mio nome è Elementa.» e senza aggiungere nient'altro, mi raddrizzai dirigendomi verso le porte dei gabinetti.

Scelsi l'unico che portava appeso un cartello sul quale vi era scritto l'avviso di come quel gabinetto in questione fosse inutilizzabile poiché rotto. Senza esitazione lo aprii e trovai, proprio come mi aspettavo, lo zaino nero di Den appoggiato sopra la tavoletta abbassata del water che ci aveva portato Noah qualche ora prima secondo su mia indicazione.

Schiudendo la zip che fungeva da apertura, presi la mia divisa da Ultra che era riposta al suo interno assieme a quella di Denis e mi cambiai velocemente d'abito.

Ero impegnato a cercare di levarmi il trucco dagli occhi e dalla bocca con l'ausilio di un fazzoletto leggermente inumidito, che si rivelò ben presto essere una pessima idea, quando mi accorsi di portare ancora al collo il piccolo medaglione d'oro.

Non appena sganciai la catenella da cui pendeva, l'illusione che mi mostrava come una persona comune si sciolse rivelando i miei canini e la punta delle mie orecchie prominenti. Nelle mie iridi ricomparve quella sottile luce selvatica e indomabile che mi ero abituato a vedere nel mio riflesso in questi ultimi tre anni da quando ero diventato un Ultra.

Arcuai le labbra in un leggero sorriso, mi era mancato il mio vero aspetto.

Ombre scure sotto gli occhi causate da un'operazione di struccaggio mal eseguita a parte.

Arrotolando la catenella attorno a due dita e infilandomela poi in tasca, potrebbe rivelarsi utile anche in futuro, mi avviai verso la porta del bagno girandovi la chiave nella serratura per aprirla una volta raggiunta.

Dall'altra parte stava Den, con ancora addosso il suo travestimento, con il pugno alzato e pronto a bussare nel vuoto.

Dapprima confuso chinò poi appena il viso squadrandomi con un misto d'incredulità e leggero fastidio. «Io non capisco come diamine fai ogni volta» sbottò riabbassando il braccio.

«Segreto» risposi sorridendogli spigliato e mi scostai per lasciarlo passare. In realtà faticavo a spiegarmelo pure io, sapevo solo che tra Ultra, Normali e Sigmaf vi era una sorta dio "vibrazione" o percezione differente che però io ero in grado di "sentire" permettendomi di riconoscerli (e la cosa non valeva solo per loro). Era così che avevo avvertito che Denis stava arrivando.

Di che cosa percepivo avevo qualche mia teoria, naturalmente, ma del perché restava ancora un mistero.

«Che cosa è successo qui?» domandò Den non appena vide i corpi dei due gemelli riversi a terra e privi di sensi, anche Liam aveva infine raggiunto il fratello nel mondo dei sogni.

«Oh niente, si sono solo presi qualche minuto di riposo» feci con tono sbrigativo scrollando le spalle, piegai poi le labbra fingendo una smorfia pensierosa «Anche se forse è meglio dire che ci staranno diverse ore a nanna» rivolsi un'occhiata svogliata ai gemelli «Probabilmente si sveglieranno uno con possibile trauma cranico e sicura frattura al setto nasale e l'altro con ingenti danni alla colonna vertebrale.» osservai brevemente il corpo di Liam «In effetti c'è la possibilità che sia compromessa in maniera permanente la capacità motoria alle gambe.» conclusi infine e allungai a Den una mano con il palmo rivolto verso l'alto. «Orecchini»

Denis mi guardò per qualche istante aggrottando le sopracciglia «Una diagnosi parecchio insensibile... sembra quasi che non ti spiaccia...» mormorò, frugando in una delle due tasche dei pantaloni tirò fuori due orecchini a forma di anellini d'oro agganciati insieme per non perderli e me li porse.

«Togli pure il "sembra" e il "quasi"» confermai tranquillo intanto che mi cambiavo gli orecchini col pendente con quelli che mi aveva dato Den, in seguito alla recente foratura alle orecchie avrei dovuto indossare costantemente i secondi ma a causa della missione ho dovuto alternarli con quelli più eleganti e pesanti ma adatti al mio travestimento. «Quei due avevano il vizietto di adocchiare di tanto in tanto qualche bella ragazza per poi abusarne contro il suo volere una volta che la loro vittima si era allontanata dal resto della folla oppure soggiogata tramite alcool o droghe. Io mi sono solo limitato a sfruttare questa loro schifosa abitudine a mio vantaggio.» gli spiegai finendo di mettermi anche il secondo orecchino, ora sentivo le mie orecchie molto più leggere. Era un sollievo.

Den riportò lo sguardo sui due fratelli guardandoli stavolta con un'espressione più schifata, molto simile a quella che aveva avuto circa una mezzoretta prima in seguito alla "battuta" di Liam sul cioccolato bianco, che io dovevo ancora capire.

«Le vittime in totale sono state dodici, nessuna di esse è riuscita a farsi avere giustizia a causa della forte influenza che hanno i gemelli sulla città. Se le scelgono bene le loro vittime...» aggiunsi poco dopo, rivolsi nuovamente un'occhiata a William sdraiato a terra con il sangue che gli fuoriusciva dal naso e che gli imbrattava il colletto candido della camicia e abbozzai un sorriso soddisfatto. «Hanno avuto la loro giusta ricompensa, non pensi?»

E per loro due la questione non sarebbe finita qui, questo è certo.

«Collana» dissi infine allungando il palmo nuovamente verso Den.

Lui estrasse dal taschino della giacca una catenella di metallo abbastanza larga e me la restituii. Appeso a essa c'era una targhetta del medesimo materiale originariamente colorata di verde acqua, ora scrostata e graffiata in diversi punti, con il mio cognome e un numero scritto sopra che mi avrebbe permesso di accedere (non appena avrò compiuto i diciotto anni) alla cassetta ospedaliera contenente credo le ultime memorie di mia madre o qualcosa di simile che mi aveva lasciato in punto di morte. Negli ultimi mesi si era aggiunto anche un anello d'argento con un turchese incastonato e il disegno di due piume incrociate tra loro incise ai lati sul metallo, l'ultimo regalo di Shakoma.

Ci tenevo parecchio a quella collana, più che altro ai suoi ciondoli, perciò avevo preferito lasciarla a Den in modo che potessi indossarla non appena mi fossi liberato del travestimento.

Senza mi sentivo completamente spoglio.

«Beh, di certo credo che una punizione se la meritino, però tu non ci sei andato troppo leggero.» obbiettò Den lanciando poi un'occhiata al piccolo orologio con la cornice dorata fissato sopra la porta del bagno.

«Sì, sei in ritardo di nove minuti.» confermai tornando dal gabinetto con dentro lo zaino per prendere la mia cintura. Anche se al momento sprovvista di armi, se non di un piccolo pugnale, sapeva mostrarsi ugualmente molto utile. O per meglio dire, lo erano gli utensili che avevo riposto dentro gli astucci legati a essa.

«E non mi chiedi del perc-»

«Stavi flirtando con la donna vestita di verde e piena di gioielli negli avambracci, tenendo conto del tempo totale passato dubito che possiate avere fatto altro se non qualche appassionato scambio di saliva in un angolino nascosto del salone.» conoscendolo probabilmente doveva essersi intromesso Noah per ricordargli del suo impegno.

«Com-»

«Hai il farfallino tutto storto e ti è rimasto del rossetto nell'angolo destro della bocca» sorrisi poi beffardo «Auguri a togliertelo.»

Lui sbatté le palpebre inizialmente perplesso, quindi si voltò titubante verso lo specchio avvicinandosi a esso. «Bourdel de merde!» imprecò sgranando gli occhi sbigottito non appena vide la striscia rosso ciliegia nel punto che gli avevo indicato e cominciò a sfregare frenetico con le dita per cancellarlo.

Assistendo a tale reazione mi sfuggii una sottile risatina divertita, decisi di omettere il dettaglio che quella donna in questione fosse sposata. «Sbrigati a cambiarti, io intanto penso alla "chiave" della cassaforte.» dissi infilandomi i guanti neri privi di dita. Accanto a me udii Den rispondermi con un "okay" sbrigativo.

Intanto io mi ero già mosso in direzione di Liam per copiargli l'impronta digitale del pollice più un piccolo prelievo di sangue.

«Ehi Briel, posso farti due domande?» sentii dopo un po' Denis chiedermi dietro di me. La su voce mi arrivò leggermente ostruita, probabilmente si trovava ancora nel gabinetto "guasto" a cambiarsi.

Tolsi il calco, che avevo creato appositamente con un materiale particolarmente sensibile, dal pollice destro dell'uomo rimettendolo dentro a uno degli astucci e tasche che tenevo legati alla cintura. «Tecnicamente la prima me l'avresti già fatta» ribattei restando concentrato sul lavoro mentre tiravo su la manica della giacca di Liam assieme alla sua camicia e tirai fuori, sempre da uno dei miei astucci, un laccio emostatico che avevo sgraffignato un paio di settimane fa dall'infermeria del castello e un piccolo cappuccio con l'ago a cui era stata temporaneamente attaccata una fialetta vuota. Una volta stretto il laccio al bicipite muscoloso del direttore della banca fissai nervosamente l'avambraccio spoglio di questo muovendo tra le dita inquieto la piccola fiala di vetro. Adesso arrivava la parte un po' più complicata: trovare la vena giusta.

«Come hai fatto a indovinare che avrebbero scelto proprio questo bagno per... hai capito cosa» domandó ugualmente Den tentennando leggermente sulla tentata violenza nei miei confronti da parte dei due gemelli. «Hai insistito abbastanza con Noah perché portasse proprio qui il mio zaino con la nostra roba.»

«Non ho indovinato, sapevo che avrebbero scelto bagno» infilai l'ago sotto la pelle nel modo che mi aveva indicato più volte Bobby, fortunatamente riuscii a beccare la vena al primo colpo. «Nei due angoli in alto più vicino agli specchi, negli altri bagno sono posizionate due piccole telecamere che servono a monitorare possibili traffici illegali o movimenti sospetti di alcuni clienti. Questo è l'unico che ne è completamente privo.» gli spiegai osservando intanto la fialetta riempirsi gradualmente di sangue. La mappatura delle telecamere e dei condotti d'areazione che ci aveva fornito Konny (un mio ragnetto metallico in grado di entrare nel sistema operativo dei computer e raccogliere tutti i dati presenti in essi) era stata davvero essenziale e preziosa per il piano. «Vai con la seconda domanda»

«Dove sono i miei stivali?»

Quando ritenni di aver preso a sufficienza, per i nostri scopi ne bastava soltanto qualche goccia, tolsi l'ago dal bracco di Liam e chiusi la fialetta piena per metà con il coperchio apposito. «Non ci stavano nello zaino perciò al momento ce li ha Simon assieme alla mia naginata e al resto delle nostre armi. Ci restituirà tutto più tardi» mentre rimettevo la fiala dentro l'astuccio da dove l'avevo presa prima, assieme anche al laccio emostatico, mi rimisi in piedi voltando le spalle al corpo inerme di Liam e vidi la figura di Den che si sporgeva quasi del tutto dal gabinetto.

Liberatosi dal suo travestimento anche l'illusione che lo mostrava come un uomo sui trent'anni era sparita. Davanti a me ora c'era il solito ragazzo quindicenne di statura non molto alta con le palpebre calanti che lo facevano sembrare quasi perennemente mezzo addormentato o annoiato (secondo lui invece gli davano un'aria più intelligente che lo aiutava a far colpo sulle ragazze) e il mento ancora liscio con il quale condividevo la camera al castello già da almeno quasi due mesi.

Una maglietta bianca a mezze maniche con uno scollo a "V" abbastanza profondo metteva in risalto il suo fisico tonico assieme ai pantaloni color ocra, percorsi da una riga nera seghettata ai lati, che gli fasciavano le gambe. Appoggiata pigramente sul suo avambraccio sinistro teneva il giubbotto di pelle che completava la sua divisa da Ultra, i capelli castani leggermente lunghi erano stati già pettinati con grande cura all'indietro lasciando ricadere apposta soltanto qualche ciocca sulla fronte.

Ai piedi portava solo il paio di calzetti scuri, piuttosto eleganti, da uomo che avevano fatto parte del suo travestimento.

Storse la bocca scontento «Notato... non c'è neppure una delle mie pistole...» poi abbassò lo sguardo sui miei piedi privi di qualsiasi calzatura «Quindi è per questo che sei scalzo?»

«Scordati che io indossi ancora, anche solo per un altro minuto, quella sottospecie di tortura per i piedi» ribattei infilandomi le mani in tasca «Meglio scalzi.» allungai poi lo sguardo oltre Den e vidi la manica della giacca del suo travestimento penzolare dallo stipite del gabinetto. «Piuttosto... Daniel Blackwood non rischia di essere in ritardo per la sua prossima partita a poker?» domandai sempre continuando a guardare l'abito elegante che gli aveva commissionato Ezra per la missione.

Den si irrigidì appena e si portò una mano dietro al collo abbozzando un lieve sorriso imbarazzato «Rimedio subito.» Una sottile luce bianco-dorata prese forma all'interno delle sue iridi color nocciola circondando la pupilla. Nello stesso istante la sua figura si sdoppiò formando due Denis perfettamente identici tra loro. «Amico, da quanto tempo!» si salutarono a vicenda parlando all'unisono.

«Per la precisione circa cinque ore e mezza da quando abbiamo lasciato l'albergo» risposi io ridacchiando ilare. Den era solito a divertirsi con i suoi cloni rivolgendosi a loro come a qualcosa di staccato da sé, sebbene in realtà fossero una sorta di proiezioni piuttosto consistenti di sé stesso sulle quali era in grado di esercitare il suo dominio più completo se lo voleva. «Sai che cosa fare, vero?» mi rivolsi a quella che sapevo essere la copia porgendogli un auricolare del tutto simile a quello che avevamo sia io che il Denis originale «È in comunicazione diretta con Bobby, fai esattamente quello che ti dirà. L'auricolare si distruggerà autonomamente tra un ora.»

«Ricevuto capo!» esclamò energico la copia facendo scherzosamente il saluto militare con solo due dita e prese l'auricolare sistemandoselo nella cavità dell'orecchio dopodiché, una volta diventato Daniel Blackwood per mezzo dei suoi abiti, uscì passo deciso e vagamente baldanzosi dal bagno.

Il suo compito sarebbe stato quello di monitorare la folla ancora presente nl salone tenendoci costantemente informati sulla situazione reale e di ritardare il più possibile il ritrovamento dei corpi svenuti dei due gemelli e in tal modo anche l'allarme che ne seguirà successivamente.

Diedi una veloce occhiata all'orologio del bagno. «Ancora un paio di minuti e poi entriamo anche noi in azione» comunicai prendendo a camminare lungo il perimetro del bagno sfiorando la superficie delle piastrelle con la punta delle dita alla ricerca della tipica "vibrazione" dell'elettricità. Una volta percepita a grandi linee dove essa passava attraverso le pareti, tramite i fili che la contenevano e la direzionavano dove volevano, tornai verso la porta nel punto dove era stato sistemato l'interruttore della luce e cominciai a smontarlo usando un cacciavite che tenevo nella cintura.

«Rispiegami perché è necessaria tutta sta storia del blackout e perché dobbiamo cambiare bagno?» fece Den sistemandosi lo zaino sulle spalle e avvicinandosi a me, nel frattempo si era infilato il giubbotto di pelle e sistemati gli occhiali con il visore notturno sopra la testa.

Fermandomi per qualche secondo mi voltai a guardarlo. «Te l'ho già spiegato tre volte» gli feci notare.

«Eeeh ma tu rispiegamelo che me lo sono già scordato» rispose lui.

Scossi appena la testa sospirando rassegnato. «Gli edifici del casinò Millenium e della Wells Fargo sono stati costruiti praticamente l'uno attaccato all'altro e condividono un piccolo numero di condotti d'areazione, uno di essi passa proprio sopra il bagno delle donne. Per entrare nella banca e raggiungere il nostro obbiettivo, quel condotto rappresenta la nostra via più facile e veloce oltre che sicura mentre il blackout fungerà da diversivo nascondendoci dagli occhi delle telecamere.»

Appoggiato con la spalla sinistra contro il muro di fianco a me, sentii Den schioccare debolmente la lingua incerto. «Facile eh...» bofonchiò ironico «Non credo che sarà così semplice strisciare in quei condotti...»

«Sempre meglio che passare dall'entrata principale» obiettai. L'ultima vite che teneva su il riquadro di metallo dell'interruttore finì di svitarsi cadendo a terra con un debole tintinnio e potei così proseguire con il suo smontaggio fino ad arrivare ai fili elettrici.

Un breve sorriso sfuggì dalle labbra di Denis «Sarebbe divertente però.»

«Oh sì sicuro, se vuoi anche attirare di più di cento persone che si trovano lì vicino, per non parlare poi della polizia.» abbozzai poi un sorrisetto scaltro «Comunque non ci sarà da preoccuparsene troppo di un loro possibile intervento, ho preparato apposta un piano di "precauzione" - se così si può dire - nel caso qualcosa ci andasse storto. La polizia avrà il suo bel da fare che pensare a noi.»

Le sopracciglia di Den si aggrottarono «Che intendi?»

«Lo vedrai» gli dissi volutamente enigmatico sollevando un angolo delle labbra in un sorrisetto abile. Dopodiché mi raddrizzai di colpo, facendo quasi prendere uno spavento a Denis per il mio movimento repentino, rimettendo a posto il cacciavite. «Ad ogni modo qui ho finito, possiamo cominciare a procedere.»

Sorridendo trionfante, Den si staccò dal muro. «Oh! Finalmente!»

Accennai a un lieve sorriso ilare portandomi una mano all'orecchio riattivando sia il volume che il microfono dell'auricolare. «Täu, Voix noi qui ci siamo, voi siete pronti?»

Le loro risposte mi arrivarono quasi contemporaneamente.

«Prontissimo!»

«Da ore...»

«Adoro il tuo entusiasmo Täu» feci prendendolo scherzosamente in giro.

«Ringrazia pure il freddo, io e Hunter siamo in giro da o-re. Sto gelando! Almeno ha smesso di nevicare circa un'ora fa.»

«Noioso» si udii commentare in sottofondo Irawa ridacchiando canzonatoria. Alla sua breve risata si aggiunse anche quella di Simon.

Il fatto che abbia smesso di nevicare era una buona cosa. Per quanto solitamente l'apprezzassi, quando io e Den eravamo usciti dall'hotel e avevo visto quei grossi fiocchi di neve cadere delicatamente ovunque ammetto di essermi un poco preoccupato per la riuscita di una parte del piano.

Tra l'altro, con tutte le probabilità che si mettesse a nevicare proprio qui a Las Vegas, una città situata in mezzo al deserto, giusto oggi doveva capitare.

Quando si dice di non avere la fortuna esattamente a proprio favore.

«Comunque io sono pronto, attendo solo il tuo segnale.» concluse infine Noah.

La punta delle dita della mia mano destra divennero di colpo di un blu acceso tendente all'azzurro biancastro e piccole scariche luminose presero a sfrigolare nell'aria circostante. Sorrisi abilmente. «Voix, ora.»

«Con immenso piacere.»

Qualche istante dopo si sentì un rombo sordo parer provenire da ogni parte accompagnato da un leggero tremore del pavimento.

Con un sorriso esaltato Den si calò il visore sugli occhi. «Si va in scena.»

Da parte mia, scuotendo appena il capo divertito dalla battuta di Denis, indirizzai una scarica abbastanza potente ai fili esposti nell'interruttore smontato dirigendola poi attraverso di essi nell'impianto elettrico dell'edificio (avevo studiato accuratamente la piantina del casinò, sapevo dove si trovava) mandandolo in cortocircuito per sovraccarico. Le lampadine all'interno del bagno presero a sfavillare un paio di volte prima di spegnersi completamente facendo piombare nella stanza il buio più totale.

Dalle urla ovattate e distanti che si udivano provenire da oltre la porta mi informarono che la medesima cosa era successa in tutto l'edificio provocando il panico generale.

Perfetto.

«Andiamo.»

Poco distante sentii il rumore della maniglia che veniva abbassata e i successivi passi di Den, nonostante fosse anche lui rimanevano ugualmente abbastanza udibili, che uscivano rapidi dal bagno mentre i miei occhi cominciavano gradualmente ad abituarsi in quell'oscurità totale.

Lo seguii senza indugiare e chiusi la porta alle mie spalle non appena la ebbi superata, limitando la mia abilità solo sulle punte delle dita girai la chiave nella serratura facendola scattare dall'interno semplicemente manipolando il metallo di cui era composta.

Fuori dal bagno le grida confuse e terrorizzate dei clienti ci giunsero più forti e marcate mentre io e Den tagliavamo in diagonale il corto corridoio raggiungendo la prima porta che dava accesso alla toilette femminile. Questa volta toccò a Den di avere la premura di chiuderla una volta entrati.

Con gli anulari e i mignoli di entrambe le mani divenuti di fuoco evocai, sfruttando il calore che proveniva dalle due stufe sistemate ai lati opposti bagno, tante piccole fiammelle sparse nell'aria che illuminarono in maniera soffusa la stanza.

D'accordo che grazie agli allenamenti di Choji e Vivian riuscivo a "vedere" anche attraverso le vibrazioni del terreno e nell'aria e ai miei sensi, tuttavia non possedevo ancora una percezione così precisa da permettermi di muovermi come se fosse niente nel buio totale e ora avevo bisogno della mia vista.

«Avete tempo tre minuti prima che attivino le telecamere notturne con il generatore d'emergenza.» ci avvisò Simon dall'auricolare.

Sorrisi «Ce ne basteranno anche meno.» mi voltai quindi verso Den «Apri i rubinetti.»

«Quanti?» domandò lui riportando gli occhiali col visore notturno sopra la testa.

«Tutti»

«Ricevuto!» Altre sei copie si staccarono dalla sua figura e dirigendosi, assieme all'originale, verso i lavandini, posti anche qui sul lato lungo della stanza, aprirono tutti i rubinetti in contemporanea.

Trasformando stavolta le altre dita rimanenti in acqua, manipolai quella che fuoriusciva copiosa dai rubinetti raccogliendola in una breve spirale di fronte a me per poi infine sollevarla facendole assumere la forma di una scala che arrivava fino al soffitto, appena sotto a una grata, che congelai istantaneamente.

Dei fischi d'ammirazione risuonarono alla mia sinistra, perfettamente coordinati mentre il continuo e debole scroscio dell'acqua cessava di colpo.

«Dopo di te» feci accennando a un breve inchino fintamente reverenziale al mio amico.

I sette Den si ridussero a uno solo mentre questo si avvicinava alle scale che avevo creato passandosi una mano tra i capelli con finta boria, anche se non so quanto potesse essere finta conoscendolo. «Molto gentile, messere» disse col mio stesso tono giocoso prima di salire i gradini con passo spedito. «Ehi, ma è già stata svitata quasi del tutto!» esclamò non appena giunse alla grata posizionata sul soffitto.

Giocai distrattamente con una fiammella in attesa del mio turno, tenendo ancora attiva la mia abilità nelle dita di entrambe le mani non mi conveniva molto infilarle in tasca. «Lo so» replicai disinvolto «secondo te perché ero andato in bagno circa due ore fa?»

Den afferrò la grata attraverso le fessure di essa e le fece compiere mezzo giro, aprendo così il passaggio, tramite l'unica vite che avevo lasciato quasi completamente avvitata. «Sì okay ma... come hai fatto? Il soffitto si trova a circa due metri di altezza mentre tu, mi dispiace dirlo, ma è già un miracolo se arrivi al metro e cinquanta. E poi non avevi neppure la tua cintura!» non senza qualche difficoltà e un po' di fatica, il suo abbastanza atletico passava per un pelo attraverso l'apertura, riuscì ugualmente a entrare nel condotto.

«Uno e cinquantasei prego» puntualizzai preparandomi a percorrere i gradini di ghiaccio, a contatto con i miei piedi scalzi un lungo brivido mi percorse dalle gambe fino alla testa.

«Sempre tappo sei» sentii Den commentare dal condotto.

Gli rifilai un'occhiataccia. «Ho usato la mia abilità» risposi alla sua domanda di prima.

«Ah...»

«Bi»

Superai gli ultimi scalini ed entrai anch'io nel condotto senza problemi, di tanto in tanto la mia bassa statura e la mia corporatura esile sapevano mostrarsi piuttosto utili in situazioni di questo tipo.

Ignorai lo sguardo confuso che mi rivolgeva Den in merito alla mia sottospecie di battuta (dopo la "a" nell'alfabeto viene la "b", sì ora potete ridere) e con movimenti morbidi e fluidi delle mani ordinai alle scale di tornare allo stato liquido e diressi l'acqua che avevo usato per crearle nelle piccole grate di scarico nascoste sotto alcuni lavandini. Dopodiché mutai la composizione delle mie dita da acqua al tipo di metallo di cui era fatta la griglia d'areazione e, controllandone il materiale, la feci nuovamente girare chiudendoci il passaggio e riavvitai una alla volta tutte le viti risaldandola al soffitto, disattivando poi l'abilità in tutte le dita, si spensero in contemporanea anche le fiammelle che illuminavano con la loro luce fioca la stanza facendola tornare nuovamente il buio.

«Perché allora non l'hai usata anche per prima?» mi domandò Den mezzo sdraiato nel condotto, un paio di lenti tonde e verdi brillavano nell'oscurità nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il viso, più precisamente gli occhi.

Inarcai un sopracciglio non capendo a cosa si riferisse. «Come?»

«Prima» ripeté lui nel buio «nel bagno dei maschi, hai usato il cacciavite per smontare l'interruttore. Perché non hai invece usato la tua abilità?»

«Svitare qualcosa usando unicamente la mia abilità richiede un controllo più preciso e concentrazione, con il cacciavite invece è più facile, veloce e non richiede troppi sforzi.» gli spiegai brevemente sistemandomi per bene all'interno del tubo. «Siamo nel condotto. Voix, facci da guida» comunicai.

La sua voce sfrigolò inizialmente un po' incerta nell'auricolare. «Okay. Aehmm... dovete proseguire dritto in direzione dei bagni dei maschi.»

«Ricevuto»

Proseguimmo immersi nella completa oscurità, chi a carponi (io) e chi strisciando (Den), tra i vari condotti superando bivi e diramazioni per quelle che potevano sembrare ore, in realtà si trattavano di una ventina di minuti, seguendo le indicazioni abbastanza precise che ci forniva Voix dall'auricolare con Denis che chiedeva ogni due minuti "siamo arrivati?".

«Siamo arrivati?»

«Chiedilo un'altra volta e giuro che trasformo i tuoi cari giornalini in stelle filanti per carnevale.» gli sibilai con la pazienza ormai agli sgoccioli continuando ad avanzare a carponi.

Già non ero un grande amante degli spazi troppo stretti e chiusi, mi facevano sentire come un animale in trappola, se poi ci si aggiungeva anche la sua costante domanda ripetuta fino allo sfinimento il mio livello di sopportazione si stava avvicinando pericolosamente al limite.

«Uh-uuh... nervosetto eh...» mi canzonò Den «Avevo quasi dimenticato come diventi piuttosto gouest, suscettibile, negli spazio angusti.»

«Fai poco lo sbruffone» lo ribeccai senza fermarmi «Se non fosse per quegli occhiali saresti messo peggio di me e rompi lo stesso.»

Dalla posizione in cui mi trovavo e per via del buio non potevo vederlo in faccia ma, conoscendolo, ero abbastanza sicuro che mi stesse facendo la linguaccia da bravo ragazzo maturo.

«Rimanete sul lato sinistro che siete vicini a un bivio.» ci avvertì Simon attraverso l'auricolare. «Sei claustrofobico?» mi chiese poi.

«Leggermente» risposi intanto che mi spostavo un poco a sinistra seguendo il suo consiglio «Non mi trovo molto a mio agio negli spazi troppo angiu... anghiu... stretti.»

«Vero» confermò Denis riuscendo a stare al passo. «Però devo ammettere che sei bravo a riuscire a non perdere la testa.»

Piegai un angolo delle labbra in un sorrisetto beffardo. «Mica come te col buio.»

«Ehi!»

Siccome ero anch'io un ragazzino molto maturo e ben educato gli risposi facendogli la linguaccia voltando un poco il viso. Tanto sapevo che grazie a quegli occhiali lui era in grado di vedermi.

Dall'auricolare ci giunse la risata allegra e divertita di Simon. «Aspettate... quindi fatemi capire un attimo; uno non ama stare negli spazi angusti mentre l'altro a paura del buio?»

«Non ho paura del buio!» protestò Den, ma Voix non gli prestò ascolto continuando invece a ridere.

«Siete proprio la coppia perfetta per questa parte del piano!» lo udii commentare ironico.

«Ti ringrazio!» feci io rispondendogli in tono scherzoso.

«Non ho paura del buio!» ripeté Den scandendo bene le parole «È che non mi piace non poter veder-» e si interruppe bruscamente dando per sbaglio una testata al mio fondoschiena. «Ehi! Perché ti sei fermato?» esclamò retrocedendo appena.

Tenendo gli occhi chiusi, mi concentrai sulla debole percezione che avevo avvertito giusto pochi istanti prima.

Seppur piuttosto debole, percepivo una specie di vibrazione sotto al condotto in cui io e Den ci trovavamo attualmente.

Un sottile ronzio che mi era già capitato di sentire una volta nel laboratorio della villa degli Eroi quando il vecchio Max, lo scienziato che lavorava per questi, mi aveva mostrato il suo nuovo sistema di sicurezza contro i ladri o particolari ospiti indesiderati.

Laser.

E questo significava soltanto una cosa...

«Siamo arrivati.»

«Davvero?» fece Den sorpreso.

La risata si Simon si spense improvvisamente. «...È vero» concordò leggermente spaesato e perplesso qualche secondo dopo, probabilmente aveva appena controllato la nostra posizione dallo schermo del suo computer.

«Oh finalmente!» si sentì strepitare con euforia Denis restando dietro di me. «Ormai ce l'abbiamo fatta!»

«Non cantar vittoria troppo in fretta» lo avvisai cercando di allungare la vista oltre il buio, poco più avanti intravidi dei fiochi bagliori rossi provenire da sotto che illuminarono debolmente per pochissimi istanti il basso soffitto del condotto. «Parlando nel gergo dei videogiochi, mancano ancora gli ultimi livelli da completare e sono sempre i più difficili.» Non ero un gran appassionato di videogiochi ma avevo visto Paulo e Cate giocarci un sacco di volte e avevo ormai capito come, a grandi linee, funzionasse la loro logica.

Avanzai verso quei bagliori sapendo bene che vi avrei trovato una grata in quel punto e una volta arrivato lì iniziai a svitare tre delle sue quattro viti che la tenevano fissata al soffitto usando la mia abilità solo nelle ultime falangi delle mie dita. Esattamente come avevo fatto per quella del bagno delle donne nel casinò.

Fortunatamente si trattava dello stesso modello della prima, uno tra i più semplici, altrimenti l'operazione mi sarebbe costata molto più tempo oltre che concentrazione.

Non appena ebbi finito, sempre usando la mia abilità, girai la grata in modo da avere la visuale completamente libera.

Sotto di noi si apriva la veduta della stanza che fungeva da sorta di anticamera del caveau.

Totalmente al buio, l'unica fonte d'illuminazione presente era fornita unicamente dal gran numero di laser rossi che passavano da un lato all'altro della stanza.

Seppur in realtà non fossero di un numero esageratamente alto, il fatto che si muovessero in uno schema apparentemente casuale ne aumentavano di sicuro il livello di difficoltà. Persino per i ladri più in gamba ed esperti sarebbe stato un ostacolo tutt'altro che semplice da superare.

Peccato però, si fa per dire, che noi siamo Ultra e la mia abilità in particolare era decisamente perfetta per la situazione.

Un'imprecazione, rigorosamente in dialetto bretone, mi risuonò a fianco. «Accidenti, ma è immenso!» sospirò con fare incredulo Den.

Sì in effetti a prima vista poteva sembrarlo.

Guardandolo in maniera superficiale, la camera poteva apparire in effetti eccessivamente enorme; le pareti parevano non esistere così come il pavimento dando in questo l'impressione di affacciarsi in una gigantesca area senza fine.

Un immenso spazio scuro privo di muri e confini.

Tuttavia qualcosa doveva tenere su il soffitto, per non parlare poi dei laser che da qualche parte dovevano pur provenire.

Se si prestava un minimo di attenzione il trucco era presto svelato e l'indizio per riuscirci era fornito dai laser stessi.

«È un'illusione.»

Tre secondi e mezzo di silenzio per caricamento elaborazione frase.

«EEH?» cinque voci risuonarono forti contro il mio povero orecchio destro parlando nello stesso momento.

Quattro dall'auricolare e la quinta proveniente proprio accanto a me, Den.

«Che carini, tutti in coro...» commentai schernendoli divertito.

«No aspetta, in che senso ci sarebbe un'illusione lì?» si intromise Noah col tono vagamente agitato.

Abbozzai un sorrisetto beffardo «Paura che ti abbiano copiato l'abilità, Täu?» lo canzonai ridacchiando appena. «Si tratta di specchi» spiegai poi «la stanza ne è completamente piena. Ne rivestono tutte le pareti, soffitto e pavimento compresi, per questo risulta quasi senza fine mentre in realtà non dev'essere più grande della camera di Noah e Ýrar.» rivolsi un'occhiata al punto in cui si trovava realmente il pavimento. «Rimane però lo stesso piuttosto alta...» ammisi. Cadere da qui doveva essere un volo da più di settanta metri, non molto piacevole.

«E tu come hai fatto a capirlo?» domandò Den, da sotto le lenti verdi vidi le sue sopracciglia aggrottarsi confuse.

Piegai le labbra in un sorriso accorto e gli indicai con un cenno del capo i sottili fasci di luce rossa che continuavano a muoversi senza sosta nella stanza. «I laser» risposi «Quando incontrano la superficie riflettente delle pareti vi si riflettono contro creando delle angolature piuttosto... particolari, rendendo così più difficile superarli ma al tempo stesso diventa anche più semplice individuare i vari contorni della stanza.»

«Aaah...» fece lui e allungò un poco lo sguardo nei punti che gli avevo indicato. «È vero, hai ragione! Sei davvero un genio Briel!»

Sorrisi appena al suo complimento mentre osservavo ammirevole l'intero meccanismo ipotizzando la grande genialità di chi l'aveva progettato. Molto probabilmente il vecchio Max. Gli piacevano i giochi d'illusione ottica, trovava affascinante i vari modi incredibili in cui si poteva ingannare l'occhio umano, e diverse volte me ne aveva proposti alcuni tra cui anche qualcuno con gli specchi, come per esempio l'effetto ottico che si creava in una stanza che ne era completamente rivestita.

Esattamente come in questa.

Spostando lo sguardo un po' più a destra trovai il punto dove avrebbe dovuto esserci la porta, tra un laser e un altro in quella posizione particolare c'era un po' più distanza rispetto agli altri. Scommetto che nel momento in cui qualcuno volesse richiedere l'accesso all'anticamera dall'entrata ufficiale, sicuramente solo tramite l'utilizzo del codice apposito, tutti i laser erano stati progettati in maniera tale da bloccarsi in un unico punto per garantire il passaggio in totale sicurezza a chiunque volesse accedere al caveau. Probabilmente formando una sorta di tettoia sopra la testa.

Ovviamente chiunque volesse entrare che ne aveva avuto l'autorizzazione o quanto meno il permesso, per chi cercava invece di accedere per vie non propriamente legali, come noi, tale discorso non valeva. Giustamente.

Scommetto anche che l'unico individuo in possesso di tale codice d'accesso sia il direttore della banca. Tranne forse del caro fratello gemello, ma di questo non ne ero certissimo.

«Allora io vado» pronunciai mettendomi seduto lasciando le gambe a penzoloni oltre il bordo della nostra apertura.

«Immagino che augurarti buona fortuna sia piuttosto inutile» disse Den con tono leggero, quasi giocoso.

«Immagini bene.»

«Se entro due minuti sei già tornato qui, quando saremo al castello ti preparerò le pallette de chocolate bretón. Quelle con la ricetta di mia madre.» aggiunse subito dopo sfidandomi piegando la bocca in un sorrisetto provocatorio.

«Tre» rilanciai «La carta ci mette un minuto buono a caricarsi.» Non era colpa sua, d'altronde la cifra che dovevo prelevare (rubare) era di qualche zero sopra la media.

Ma giusto di un pochetto eh!

«Andata!»

Rivolgendogli un lieve sorriso scaltro, mi lasciai scivolare fuori dal bordo attivando poi la mia abilità trasformandomi completamente in una folata d'aria un attimo prima di sfiorare il laser più vicino e mi diressi al lato opposto dove sapevo si trovasse l'entrata vera e propria schivando con facilità i tanti fasci di luce rossa in costante movimento che incontravo sul mio cammino.

Quando giunsi all'interno di una profonda rientranza, nascosta da un ologramma costruito per niente male, atterai delicatamente riprendendo allo stesso tempo il mio aspetto originario.

Davanti a me si profilò la debole lucina verde raffigurante il disegno di un'impronta digitale sulla superficie scura (per via dell'oscurità) e riflettente come il resto della stanza. Avvicinandomi tirai fuori dagli astucci tutto il necessario; tramutando il mio pollice destro in morbida argilla lo premetti sul calco facendogli imprimere i solchi dell'impronta digitale di Liam Lewis, lo seccai leggermente e lo posai infine nel punto indicato.

Dopo qualche secondo un leggero tin acuto vibrò nell'aria, ora toccava alla verifica del sangue che passò velocemente come la prima. Mi bastò soltanto appoggiare la fialetta, con il coperchio in membrana rivolto verso la parete, nel simbolino luminoso indicato lasciando il resto del lavoro al sottile ago che vi spuntò per pochissimi secondi con piccolo sibilo.

Per quanto riguardava invece la combinazione elettronica per accedere finalmente al caveau lasciai che se ne occupasse Konny (un ragnettino metallico dalle funzioni di hackeraggio) già presente lì, l'avevo fatto attivare da Simon qualche ora prima, mentre io infilavo la carta bancaria nell'apposita fessura (precedentemente rubata da un facoltoso cliente della banca poi copiata) e mi costrinsi ad aspettare che si caricasse del tutto. Proprio come avevo preannunciato, per tale operazione vi ci volle un minuto intero. Una volta che fu però terminata tolsi la tessera dalla fenditura e la rimisi nell'astuccio intanto che tornavo con passo spedito verso il passaggio celato dall'ologramma trasformandomi nuovamente in aria. Nel frattempo Konny se n'era andato via già da un pezzo, avendo finito da ben prima di me il suo lavoro, zampettando rapido fuori dalla stanza, c'era solo da sperare che Den non lo schiacciasse scambiandolo per un ragno vero.

Oltrepassato l'ologramma, la "strada" di ritorno non presentò alcuno ostacolo esattamente come all'andata.

Certo, c'erano sempre i laser disseminati per tutta la stanza ma per evitarli mi bastava semplicemente scansarli oppure aggirarli dividendo in due o più parti la folata d'aria di cui ero composto attualmente.

«Tempo?» domandai rientrando nel condotto d'areazione e disattivai la mia abilità.

Intravidi nella debole luce rossastra lo sguardo di Den, rimasto nella stessa posizione mezzo sdraiato con cui l'avevo lasciato prima, spostarsi brevemente sull'orologio che portava al polso. Un sonoro sbuffo scappò fuori dalla sua bocca. «Due minuti e quindici secondi.»

Orgoglioso della mia vincita, sorrisi con particolare soddisfazione.

In riposta lui alzò il dito medio nella mia direzione che io ricambiai con una linguaccia.

«Ehi, a che punto siete là dietro?» si aggiunse quasi all'improvviso la voce di Simon.

Lanciando un'ultima occhiata beffarda a Denis gli risposi «Operazione "prelievo" finita, riportaci all'esterno Voix» mentre parlavo avevo iniziato a rimettere a posto la grata riavvitando tutte le viti. «Non ne posso più di sentirmi come del cibo in scatola.»

Dall'auricolare udii un sottile verso di scherno. «Gabriele in scatola, mica male come idea» ridacchiò Simon.

«Dipende per chi» obiettai restando però al gioco.

«Di certo per Noah sarebbe un sogno che si avvera» fece Den ilare.

Stavolta la risata di Simon divenne un po' più forte e sonora. «Questo è sicuro!» rise «Per lui sarebbe come avere natale e compleanno in un unico giorno.»

«Un natale un poco in ritardo» commentai accennando un lieve sorriso divertito e riavvitai con la mia abilità l'ultima vite.

«Di soli due mesi, dettagli...» proferì Den scherzoso con tono superficiale. «Però per il suo compleanno siamo ancora in tempo.»

«Vero» ammisi lasciandomi sfuggire una sottile risatina «Se ci tieni hai tempo ancora due giorni per imbottigliarmi e sigillarmi dentro una scatola di latta. Sempre se riesci prima a catturarmi, ovviamente.» Sistemandomi a carponi nel condotto, pronto a proseguire, mi rivolsi quindi a Simon «Voix, indicazioni?»

Lui continuò a ridacchiare per ancora qualche secondo. «Sì giusto» nella voce si percepiva la vibrazione della sua ultima risata sfumare molto lentamente. «Tranquillo El, adesso vi guido fuori da lì...»

«Grazie alle maree, era ora!» si udì esclamare Den al settimo cielo, decisamente pure lui non ne poteva più di stare chiuso tra questi condotti.

«...ma vi avviso che non sarà una passeggiata.» terminò però infine Simon vagamente divertito dall'esclamazione del nostro compagno.

Sospirai, aspettandomelo. «L'avevo immaginato...»

Den non parve accogliere quella notizia con lo stesso entusiasmo di giusto due secondi prima. «Eh? Come sarebbe a dire "non sarà una passeggiata"?» mormorò infatti tra il perplesso e il sinceramente preoccupato.

Piegai le labbra in un sorriso previdente «Lo vedrai...»

«Anche prima mi avevi risposto così e ancora non ho visto nulla. Anzi, è da un bel che non si vede niente per colpa di questo buio.»

«Lo capirai allora» mi corressi quindi con sottile scherno. Dietro di me si sentì ancora Den brontolare per nulla contento.

Proprio come aveva anticipato Simon, il percorso che dovemmo affrontare io e Den non fu affatto semplice.

Essendo questa volta come nostra meta il tetto, la maggiorparte dei condotti in cui ci addentrammo erano stati sistemati in verticale e superarli fu un paio di maniche che richiese un certo sforzo e uso d'inventiva (siccome Den già faticava per quelli orizzontali, per risparmiare tempo e fatica arrivavo prima io in cima trasformandomi in aria e poi gettavo una corda, che mi ero portato dietro, abbastanza resistente al mio amico cosicché potesse salire).

L'ultimo in particolare era decisamente molto lungo, circa dodici metri a occhio e croce. Troppo per la mia corda.

Ad aumentarne la difficoltà era inoltre molto profondo. Dal punto dove mi trovavo io non riuscivo a vederne il fondo.

Dalle percezioni che ricevevo seppi che però almeno era abbastanza largo da farci passare tranquillamente due persone.

Trasformando le mie mani in ghiaccio le allungai oltre il bordo del nostro condotto con i palmi rivolti verso il basso e mi concentrai sull'aria fredda che arrivava dall'esterno convogliando tutto il gelo in un unico punto. Dalle pareti del tubo grande cominciò a formarsi un sottile strato di ghiaccio che diveniva rapidamente spesso allargandosi fino a formare una solida base su cui appoggiare i piedi posizionata a circa un metro e mezzo sotto la nostra apertura.

Soddisfatto del risultato, mi sporsi con le gambe fuori dal nostro condotto e mi lasciai cadere atterrando senza problemi sulla piattaforma ghiacciata che avevo appena plasmato. Questa resse perfettamente il mio peso.

Avanzai di qualche passo verso il centro per saggiarne meglio la resistenza. Un tonfo pesante risuonò alle mie spalle seguito da alcuni scricchiolii nel ghiaccio.

Agendo in maniera tempestiva, risaldai immediatamente le poche crepe che si erano create sulla piattaforma prima che potessero espandersi ulteriormente.

Mi ero aspettato questo rischio, Den non é famoso per il suo tocco leggero, per questo avevo lasciato ancora attiva la mia abilità sulle mani.

«Wow, certo che sei davvero incredibile...» sentii Den commentare affiancandomi. «Sei addirittura riuscito a creare il ghiaccio dal nulla!»

Piegai il capo all'indietro osservando il chiaro fascio di luce artificiale entrare orizzontalmente tramite l'apertura finale del condotto che dava sul mondo esterno, tagliando di netto l'oscurità che faceva qui invece da padrona. «Nulla si crea da nulla» mormorai.

«Ma allora com-»

«Brinamento» risposi con scioltezza «È il passaggio di stato diretto che muta un materiale aeriforme in uno solido senza passare dallo stato liquido.» assottigliai leggermente gli occhi arcuando la bocca in un sorriso sottile «La natura è davvero affascinante, non trovi?»

Den parve doverci ragionare un po' sulla risposta. «Uhm sì, abbastanza...» bofonchiò infine con troppa curanza «Di sicuro però è decisamente una palla da studiare.»

Faci le spallucce indifferente dal suo giudizio. «Tu restami accanto e molto probabilmente vedrai questa rottura da studiare salvarti più volte la vita.»

«Vorrà dire che allora io sarò quello che ti coprirà le spalle!» rispose quindi lui vivacemente. Nella sua voce non percepii nessuna nota ironica o maliziosa, era semplicemente sincero.

Gli rivolsi una breve occhiata fugace sfruttando la poca penombra che si trovava all'interno. Per quanto spesso Den fosse facilmente prevedibile, non erano però rari momenti in cui diceva o faceva cose completamente inaspettate, un po' come stavolta. Un individuo comune al contrario suo si sarebbe trovato in dubbio se prendere la mia frase come una minaccia o meno, mentre lui l'ha presa per quel che era veramente.

Possibilmente ciò era dovuto da un'incredibile dose d'ingenuità o dalla ferrea fiducia che aveva nei suoi amici, oppure semplicemente da entrambi.

Anche lui sollevò il capo a fissare in fondo al condotto la poca luce che riusciva a filtrare dall'esterno. «Ad ogni modo... come facciamo a uscire da qui?» domandò «È alto. Molto alto. Troppo.»

Sogghignai rivolgendogli uno sguardo scaltro. «Davvero credi che io non abbia già pronta un'idea?»

Tempo quattro minuti dopo, Den era riuscito ad arrampicarsi solo di quasi due metri sulle pareti lisce del condotto e già era evidente che non avrebbe retto ancora per molto. «Quanto tempo ti ci vuole?» parlò con affanno, le gambe e le braccia tese contro le pareti tremavano leggermente per lo sforzo. Attorno alla spalla sinistra teneva avvolta la corda che avevamo usato fino a poco prima. «Scivolo...»

«Io te l'avevo detto di toglierti i calzini così facevi più presa.» bofonchiai intanto che mi posizionavo esattamente al centro della mia piattaforma di ghiaccio.

«Eh? Cosa?»

«Ora che sei a una distanza sufficiente da me anche meno di un minuto» feci parlando stavolta a voce un po' più alta rispondendo alla sua domanda di prima. Trasformai le mie dita in aria e raccolsi alcune correnti facendole scorrere veloci tra le mie falangi. «Avrai un po' di freschetto» lo avvisai.

«Oh, perfetto...»

Ridacchiai appena, ilare.

Con un movimento rapido delle braccia e del corpo manipolai l'aria creando uno spesso anello che sollevai avvolgendo poi la vita di Denis. «Lasciati andare!»

Con una sicurezza che mi sorprese, lui staccò entrambi le mani e i piedi rimanendo a mezz'aria sostenuto solo dal mio anello d'aria. Scossi leggermente la testa, l'illimitata fiducia che quel ragazzo riponeva in coloro che considerava suoi amici era sempre qualcosa che mi coglieva di sorpresa.

Alzando gradualmente un braccio diressi l'anello d'aria, con Den al centro, sempre più in alto dove si trovava lo sbocco del condotto sul mondo esterno. Lo fermai solo quando vidi le lame di luce provenienti da fuori illuminare leggermente parte del suo corpo.

Attesi che Den fosse uscito del tutto dal tubo, con l'aiuto di Simon che gli teneva la corda, prima di seguirlo sotto forma di folata d'aria qualche secondo più tardi.

Dopo ovviamente aver fatto eseguire alla mia piattaforma il processo inverso a quello a cui avevo fatto ricorso precedentemente per modellarla, sublimazione.

Non appena fui all'esterno, oltre al gelo che avvolse il mio corpo, avvertii nuovamente quella strana sensazione che avevo percepito ogni volta che mettevo piede fuori da qualsiasi edificio o mezzo di trasporto dal mio arrivo qui e il mio sguardo scivolò ancora una volta verso nord, verso le montagne che si stagliavano giganti nella notte scura.

Come se qualcosa mi stesse chiamando oltre di esse.

Che cosa fosse quel qualcosa non ne avevo una benché minima idea e resistere dal piantare tutto in asso dall'andare a scoprirlo non mi era stato per nulla facile.

Ancora adesso ero vittima di quell'incredibile tentazione.

Feci per muovere un passo in quella direzione, il richiamo che gridava ancora più forte dentro di me.

«Oh sei già qui? Hai fatto presto!» la voce di Simon mi riportò drasticamente alla realtà distogliendomi dai miei pensieri, fu come riemergere all'improvviso da sotto la superficie d'acqua. Tuttavia quella strana sensazione, quel sottile ma perpetuo richiamo, non scomparve. Riuscivo ancora a percepirlo dentro di me, pulsare insistente.

Ma di che cosa si trattava?

Perché sembravo avvertirlo soltanto io?

Mi voltai verso il ragazzo vestito in maniera eccentrica pieno di borchie e brillantini che mi stava venendo incontro, gli occhiali in stile futuristici che portava solitamente alla sua divisa da Ultra erano stati sistemati sopra la sua testa e nascosti in parte tra i suoi capelli rossi gonfi e arruffati, rivelando le iridi azzurre. Gli rivolsi un sorrisetto accorto «Non sottovalutare i miei trucchetti» scherzai.

«No tranquillo, ho imparato già la lezione.» ribatté lui con lieve imbarazzo, probabilmente ripensando a un certo episodio accaduto circa un anno fa a Venezia quando ancora ero con gli Eroi, come apprendista però.

Spostando lo sguardo poco oltre vidi la sagoma di Denis che si stagliava appena dietro al cornicione del tetto. Avanzai nella sua direzione seguito da Simon e balzando sul cornicione ammirai quanto stava guardando il nostro compagno.

Disseminati per tutta la città (alcuni in maniera casuale e altri po' meno) divampavano con ferocia diversi incendi provocando il panico totale nelle persone che cercavano di sfuggire a essi. Dal punto in cui ci trovavamo si potevano udire le loro urla terrorizzate accompagnate dalle sirene della polizia e dei pompieri che tentavano inutilmente di tranquillizzare la gente e di domare il fuoco.

Potevo ben immaginare cosa stesse pensando Den vedendo un simile spettacolo, perciò decisi di mettere tutto subito in chiaro.

«Non è reale.»

Alla mia affermazione repentina, lui sbatté un paio di volte le palpebre prima di guardarmi confuso. «Eh?»

«Sono illusioni» dissi «é Noah a crearle. Gliel'ho chiesto io di farlo, così da portare il caos nella città e di permetterci di lavorare indisturbati.» osservai l'incendio poco più a destra che copriva più di metà facciata di un edificio con le persone sotto che scappavano via urlando spaventate «Se presti maggiore attenzione potrai notare la mancanza di calore proveniente da quelle fiamme, se fosse stato un vero incendio saresti riuscito a sentirlo anche fino a qui.»

Osservai con la coda dell'occhio Den rivolgermi una fugace occhiata prima di tornare a osservare l'incendio più vicino assottigliando lo sguardo, infine sgranò gli occhi stupefatto. «È vero!» esclamò incredulo «Anche le ombre di quelle persone non sono... normali, cioè non sono da vero incendio! E-E pure il fumo... non ha odore!»

Oh, li ha notati quindi.

«No-Non ci avevo fatto caso, prima...» ammise chinando leggermente il caso.

Scrollai le spalle. «Neppure le persone che stanno strillando, e che sono molto più vicine di noi, le hanno notate e né le noteranno. Il terrore impedisce a loro di pensare lucidamente, percepiscono soltanto quello che riescono a vedere» "e una folla terrorizzata è più facile da manipolare" stavo per pronunciare ma riuscii a fermarmi in tempo.

La scena alla quale stavamo assistendo mostrava già di per sé a che livelli potesse spingersi la mia mente, non c'era affatto bisogno di rimarcarlo ulteriormente.

Non volevo che i miei nuovi compagni cominciassero già a temermi, bastavo già io.

Io... non voglio che mi vedano per quello che sono per davvero.

Non subito almeno.

Feci cenno col capo verso il gruppetto di pompieri, posti esattamente sotto di noi, impegnati a gettare acqua dall'idrante contro uno degli "incendi" più grossi situato poco distante dall'entrata principale della banca. Nonostante tutto il loro impegno il fuoco non accennava a diminuire, o almeno così pareva a loro. «Ma di certo loro lo noteranno, prima o poi» mormorai. Più prima che poi; sono abituati ad avere a che fare sia con gli incendi che con la paura di morire quindi il problema non era se l'avrebbero notato ma piuttosto quando. Non ci conveniva passare troppo tempo a bighellonare. Mi voltai verso Den sorridendogli sagace «Finiamo di prepararci?»

Anche perché Noah non è un grande amante del freddo e farlo aspettare troppo a lungo non è mai una buona idea.

Lui, un po' titubante, annuì. «Quindi in realtà non morirà nessuno, giusto?» chiese guardandomi direttamente in faccia con un'espressione tormentata. Non gli piacevano le morti inutili e sinceramente lo capivo.

Sostenni il suo sguardo, deciso. «Non per gli incendi di sicuro» risposi stavolta senza sorridere «E comunque tra non molto svaniranno. Täu li annullerà una volta che avremo raggiunto lui e Hunter.» Nella mia risposta omisi però una parte di verità, non mi andava di spiegargli che se ci sarebbero state delle morti queste sarebbero unicamente legate alla paura e alle conseguenze delle loro azioni dettate da essa.

Poteva sembrare assurdo ma, se adoperata in una certa maniera, la paura poteva essere un'arma molto potente per controllare le persone.

Ad ogni modo la mia risposta parve comunque riuscire a rassicurarlo poiché si allontanò dal cornicione dirigendosi dove Simon aveva lasciato le nostre cose con un andamento più tranquillo, i muscoli del corpo più rilassati.

Presto lo imitai raggiungendolo, una volta arrivato però mi soffermai a guardare il portatile ancora aperto di Voix. «Simon, posso usare un attimo il tuo computer?» nel frattempo Den aveva già preso la sua cintura piena di proiettili e cominciò a infilarsela tra i passanti dei pantaloni.

Seduto sul cornicione del tetto, poco lontano da noi, il rosso aggrottò le sopracciglia confuso. «Perché?»

Un sorriso scaltro prese forma sulle mie labbra senza che io potessi anche solo provare a trattenerlo. «Diciamo che ho in mente un piccolo scherzetto per dei vecchi amici.»

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