[4] Riflessioni all'angolo del caffè
Essere o non essere, questa è la domanda? Il kebab è fatto realmente con carne di agnello, oppure di gatto? I piccioni si evolveranno fino a tal punto da dichiararci guerra? E se i fiori facessero la pupù come sarebbe il mondo?
"Mi stai ascoltando?"
La mia testa era una linea di pensieri aggrovigliata più e più volte su se stessi. Qualche sera fa avevo finalmente preso l'iniziativa di sistemare la mia roba. Messa un po' di musica pop e accese delle lucine natalizie sopra il letto, non si era rivelato tanto stressante quanto nella mia contorta fantasia: ragazza morta sotterrata da montagna di oggetti in camera sua, ritrovati calzini puzzolenti nella sua bocca, causa morte: soffocamento. Ma proprio quando stavo constatando soddisfatta il letto soffice ricoperto di cuscini e pupazzi, l'armadio pieno e ordinato (Dio solo sapeva quanto sarebbe durato) e la scrivania e le mensole arredate con cura, notai uno scatolone sotto al letto. Lo aprii e, in mezzo a palline di polistirolo, trovai un bauletto. Dopo aver scacciato dalla mia mente affamata l'immagine del pan bauletto, lo tirai fuori. Era uno scrigno in legno nero, con rifiniture e ghirigori d'oro bianco. Presentava incisa una C, ricoperta di una pietra rossa, rubino? forse. Non lo so, non sono una pietrologa.
"Ehi rincoglionita! Terra chiama Mia" Max mi schioccò davanti due dita.
Eravamo al Cofee Corner, a passare un sabato pomeriggio tranquillo. Delle nuvole scure si stendevano sul cielo come una coperta. Stava per piovere.
"I tuoi occhi sono sempre stati così?" mi domandò avvicinandosi talmente tanto al mio viso da farmi diventare strabica.
Mi riscossi e scattai sulla difensiva: "Cos'hanno i miei occhi che non va?".
Da piccola ero stata spesso presa in giro e allontanata a causa del loro strano colore: rosso.
"Tranquilla, lo sai che li adoro! Vorrei averceli io, farebbero pandan con i miei capelli..."
"Max, mi sa che hai sbagliato la tinta di qualche gradazione..."
Le mie iridi erano di un colore insolito, certo, ma non fucsia.
"Comunque, ora che ho miracolosamente ottenuto la tua attenzione," mi guardò come per sfidarmi a contraddirla, "ti stavo dicendo...".
Troppo tardi, mi ero già persa in quello che era il labirinto della mia mente. Cosa ci faceva uno scrigno di quella fattura in camera mia? Cavolo, valeva di più del mio pc e telefono messi assieme! E poi, perché caspita non ne voleva sapere di aprirsi? Portai la mano alla testa, dove si ergeva un gran bernoccolo, causato dalla coraggiosa impresa nel tentativo fallito di aprire il piccolo baule. Avevo provato persino a scassinare la raffinata serratura con una forcina, ma, avrei giurato sul cadavere del mio criceto Nicolas, di aver sentito una scossa non appena questa entrò in contatto con l'oro.
Sospirai e annuii un po' a caso al gesticolare furioso della finta rossa.
Al pomeriggio, quando trovavo del tempo per staccare dallo studio, andavo a correre. Mi aiutava a distrarmi. Ma, non so il perché, né il percome, mi ritrovavo sempre davanti a quei maledetti e benedetti battenti. Maledetti perché mi facevano paura, sì cavolo, ma le mie gambe si inchiodavano e rifiutavano tutte le direzioni che comprendessero l'allontanarsi. Benedetti perché, quando entravo lì dentro, mi estraniavo da tutto e tutti, era come sentirsi a casa. Perdevo la percezione del tempo, seduta sotto a quell'albero maestoso, e mi incantavo a guardare il cielo finché, al posto del celeste, non intravedevo le prime stelle, e la luna. Ah, la luna, quant'era bella.
Un pensiero, ingenuo, mi era balenato nella mente. Che quella villa, dalla prima volta che l'avevo vista, avesse recuperato magicamente un po' del suo antico splendore? Impossibile, mi dissi, ma davvero era possibile la parola "impossibile" in un luogo così... così, non lo sapevo nemmeno io. Stavo delirando.
"Ohmmioddio! Non mi stai ascoltando nemmeno ora!" Max batté con rabbia le mani sul tavolino rotondo.
"Ma certo che ti ascoltavo!" mi difesi io, sorridendo nervosa, la ragazza che mi stava di fronte non era certo l'incarnazione della calma e della razionalità.
Prima che potesse fare una qualsiasi domanda, arrivò il cameriere, un ragazzo dal sorriso caldo.
"Cosa posso portarvi, signorine?"
Max ripose il menu sul tavolino ed ordinò. Io non l'avevo nemmeno aperto, ma dopo una veloce occhiata, ordinai un cappuccino (sperando non facesse schifo) e una ciambella (glassata e ripiena al cioccolato, con granella di nocciole, una bomba calorica, insomma).
"Quindi, dato che stavi annuendo prima, immagino che verrai con me sabato prossimo" mi sorrise sorniona.
Mi morsi il labbro e deglutii, "Ehm... ma, ma certo! Uhm... Dove, precisamente?".
"Al Diabolics, Red Blood Night"
Davvero rassicurante, insomma, una serata tranquilla, no?
"Ah già, non mi ricordavo il nome, scusa. Ma... Sei proprio sicura di volerci andare?" provai a dissuaderla.
"Più che sicura, oh ci divertiremo vedrai" disse, e fu in quel momento che notai una scintilla nei suoi occhi che non mi piacque per niente, affatto.
Il cameriere se n'era appena andato, dopo aver lasciato le nostre ordinazioni e avermi serbato un occhiolino. Si era presentato come James, e quando gli avevo chiesto se per caso venisse nella nostra scuola, era scoppiato a ridere, lasciandomi interdetta, e poi aveva risposto: "Oh, eri seria. Vedi per caso altre scuole qui a Cherrystone?". Questo non fece altro che ricordarmi che non ero nella mia vecchia città, non ero neanche in una città!, e mi abbatté ancora di più l'umore, già inevitabilmente basso, a causa del maltempo forse.
"Eccole, le mie ragazze preferite!"
Una sedia si spostò e in un attimo il ricciolo si sedette al nostro tavolo.
"Ciao John" lo salutai senza entusiasmo evidente.
"Le è venuto il ciclo, per caso?" domandò a Max, la quale rispose con un ghigno divertito.
Roteai gli occhi.
"Ehi James! Dobbiamo risollevare l'umore di questa donzella, portale un dolce!" urlò John, facendo voltare tutti i presenti.
Arrossii imbarazzata.
"Ohoh la tua cara ragazza si è già divorata due donuts!" ridacchiò il cameriere dal bancone.
Sì, ne avevo ordinato un altro, colpevole.
"Ragazzi..." provai a dire, ma venni interrotta. Mentre le mie guance prendevano un colorito sempre più rosso, Max se la rideva di gusto.
"Non c'è tre senza due! O forse era non c'è due senza tre... Bah, non l'ho mai capito. Portale un muffin ai mirtilli, offro io!"
L'altro annuì e dopo aver finito di servire una signora, si diresse a grandi falcate verso di noi.
"Non mi ringrazi?" mi sorrise John, appoggiando gli occhiali da vista sul tavolo. A molti avrebbero fatto sembrare dei nerd, ma lui li portava stranamente bene e dovevo ammettere che gli donavano un'aria intelligente.
"Per cosa? Per avermi messo in imbarazzo davanti a tutte queste persone?" appoggiai la testa alla vetrata che dava sulla strada, esasperata.
"Ma ti ho fatto ridere, ammettilo" mi guardò con un sorrisetto da schiaffi.
Gli feci la linguaccia, un gesto molto maturo. Lui lo prese come un pretesto per farmi il solletico, ritraendosi indignato, quando scoprì che non lo soffrivo.
"Non sei umana, non puoi!"
Ridacchiai e lo vidi sorridere realizzato.
"Bene ragazzi, lascio qui il muffin della principessa. Ci si vede!" James detto ciò, uscì dal caffè canticchiando.
Presi il dolce e lo divorai, sotto le occhiatine soddisfatte di John. Seguii a stento la conversazione dei due, quando una parola mi fece venire un improvviso flashback, forse avevano detto "aula insegnanti".
Dopo minuti a rimuginare, mi tolsi il dente: "Ragazzi, avete letto il giornale di recente?".
I due fermarono la discussione accanita su chi fosse meglio tra Ironman e Captain America e si voltarono verso di me.
"Perché?" mi sorrise Max tirando una gomitata all'amico, "Sul quotidiano di Cherrystone non c'è mai nulla d'interessante, la pagina più accattivante è quella della pubblicità dei cappotti autunno/inverno 16, vero John?".
L'amico annuì con foga.
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