C i n q u e

BamBam lasciò che il portone della loro scuola si chiudesse alle sue spalle, mentre le sue costose scarpe calpestavano il parcheggio ormai vuoto.

Tutti gli altri studenti erano ormai tornati a casa, ma non loro.

«Guarda un po' tu se – per uno che ha passato gli ultimi sessanta minuti a fare pratica di respirazione bocca a bocca, e per l'altro che deve fare la pipì – devo tornare a casa per merenda e non per pranzo» si lamentò Mark, tentando di nascondere il piccolo sorriso furbo che tentava di spuntare sulle sue labbra.

Quella situazione lo divertiva alquanto.

BamBam lo seguì in silenzio, tenendo le mani nelle tasche e lasciandosi scappare uno sbuffo.

«Dovresti prendere esempio da me e fare la stessa cosa con Jackson» disse alzando un sopracciglio, ormai ad un passo dalla propria automobile.

Mark proruppe in una risata cristallina; BamBam aveva senz'altro ragione.

«Non posso darti torto – mormorò l'americano stando al gioco – Vedrò di rimediare il prima possibile» promise facendogli un occhiolino.

Posarono entrambi la schiena contro lauto lucida del thailandese, e Mark si voltò ad osservare l'amico.

Quella mattina – quando era sbucato all'improvviso nel corridoio principale – la prima cosa che Mark aveva notato era stata la sua espressione tirata e dispiaciuta.

"Mia madre si è svegliata malissimo dalla sbronza di ieri, e ha deciso di elencarmi le ragioni per cui sarebbe stata una fantastica idea abortire per non mettermi al mondo"

Quelle parole – mormorate con finta noncuranza - avevano fatto mancare il fiato a Mark.

Non doveva essere semplice sentirsi dire quelle cattiverie dalla stessa donna che ti aveva messo al mondo.

Eppure, in quel preciso istante, Mark non riuscì a scorgere in quel viso neanche una parte di quel dispiacere.

BamBam aveva gli occhi lucidi e pieni di vita, mille volte più felici ed intensi di quanto non lo fossero mai stati.

Yugyeom gli faceva bene.

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