CAPITOLO 6 - Cosa non hai capito di torno subito?

«Allora, ti va di parlarne?» Il tono controllato di mia sorella mi mette subito a mio agio. So che vuole sapere di ieri notte e so anche che, dopo avermi cullata e consolata, merita delle spiegazioni.

«Sono tornati gli incubi.» Cerco di minimizzare, come se fosse solo un dettaglio, mentre porto una forchettata di insalata alla bocca.

Siamo uscite per pranzo, dopo aver lasciato il suo ufficio, e lungo il tragitto verso il bar Rebekah non ha smesso di ripetermi quanto fosse contenta di avermi avuta vicino proprio al momento della chiamata con il cliente spagnolo.

«È per via di Dylan?» Il modo in cui pronuncia il suo nome, pur sapendo di avere ragione, è esitante.

«Già.» Non aggiungo altro, e sono grata che mi lasci qualche minuto per organizzare i pensieri e raccontarle dell'incubo.

È sempre lo stesso: sogno la sera del mio compleanno, l'ultima notte passata insieme a Dylan. Ogni volta il risveglio è più difficile, perché i sensi di colpa non mi danno tregua.

«Non è colpa tua, Chloe.» La sua voce dolce e preoccupata alla fine del mio racconto mi stringe il cuore. Non voglio che si preoccupi in questo modo. Sono venuta a Boston per dimostrare, anche a me stessa, che posso riprendere in mano la mia vita.

«Lo so, mi serve solo un po' di tempo. E, parlando di tempo, ho una settimana per finire la mia prima traduzione.» Cambio argomento, le sorrido per tranquillizzarla, cercando di farle capire che mi sto impegnando su qualcosa di concreto.

«Di cosa si tratta?» Rebekah ha già finito il suo pranzo e mi guarda curiosa.

Le spiego il progetto, come si svolgerà il lavoro. Nei suoi occhi vedo brillare l'orgoglio mentre mi ascolta. Amo il mio lavoro, amo parlare lingue diverse, ed è esattamente quello che mi serve. Devo mettere da parte il pensiero di Dylan, anche se ancora domina ogni angolo della mia mente e del mio cuore. E poi c'è l'altro Dylan, quello che non fa che ricordarmelo per l'incredibile somiglianza, sia nell'aspetto che negli atteggiamenti. Ogni volta che lo incrocio, riapre un po' di più una ferita che non si è mai del tutto chiusa.

«Oh, accidenti!» La voce allarmata di Rebekah mi distoglie dai miei pensieri. Sta leggendo un messaggio appena arrivato e la sua espressione è contrariata.

«Che succede?» le chiedo. Rebekah alza lo sguardo verso di me, poi torna a leggere il messaggio, sospirando.

«Linda, la nostra traduttrice, quella dell'incontro con il signor Hernandez, ha scritto che non rientrerà dopo i giorni di permesso per problemi personali. Ora dovrò trovare qualcun altro e in fretta, altrimenti immaginati Harry.»

Non posso fare a meno di ridere, immaginandolo mentre sbraita perché le cose non vanno come vorrebbe.

«Reb, senti, potrei sostituire Linda se è possibile.» Mi offro senza esitazioni, sollevandola almeno da questo problema. Il sorriso che le illumina il volto mi fa capire che l'idea le piace molto.

«Lo faresti davvero, Chloe?» Mia sorella mi guarda con aria speranzosa e percepire che può contare su di me mi solleva da quei pensieri negativi. Sentirmi necessaria fa bene al mio equilibrio interiore.

«Non te l'avrei proposto se non lo volessi davvero. Se il tuo capo non ha problemi ad avermi tra i piedi, puoi contare su di me. Lavorare mi farà bene.» Le sorrido per rassicurarla e farle capire che sono sincera. Lavorare è stato l'unico antidoto per tenere lontane le ombre degli ultimi mesi; ho bisogno di riempire la testa per non cadere in errore.

«Sono certa che non avrà nulla in contrario.» Si sistema il cellulare in borsa e sembra più rilassata.

«Io non ne sarei così sicura.» C'è qualcosa di irritante in quel ragazzo, qualcosa che non riesco a identificare. Allo stesso tempo, però, sento un'inspiegabile curiosità, come se dietro quella facciata di indifferenza nascondesse qualcosa di più profondo.

E, appena penso a lui, sorrido ricordando lo scherzo al supermercato. Lui e Louis sembravano due ragazzini che non potevano evitare di comportarsi da idioti. Eppure, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sono sentita leggera, come se i miei tormenti fossero stati rinchiusi in un angolo per far spazio a qualcosa di nuovo... o forse a qualcuno. Non saprei dirlo con certezza, ma qualcosa è cambiato.

«A cosa pensi?» La voce di mia sorella interrompe il flusso confuso dei miei pensieri. «Stavi sorridendo, Chloe, e di sicuro non era per me. C'è qualcosa che ti fa stare bene?»

Penso se raccontarle di Harry e dello scherzo al supermercato, ma decido di non farlo.

«Le nuove opportunità mi fanno stare bene, Reb. Sono sicura che le cose miglioreranno.» Le sorrido e vedo un'ombra di sollievo nei suoi occhi, mentre si alza. Capisco che è ora di rientrare in ufficio e la accompagno, desiderosa di passare ancora un po' di tempo insieme prima di tornare a casa a occuparmi della traduzione.

Prima di salutarci, mi chiede di ritirarle l'auto dal meccanico, un amico di Harry, e mi lascia un biglietto con l'indirizzo. La guardo entrare in ufficio, poi mi incammino verso casa a recuperare la copia delle chiavi. Mi distraggo osservando le vetrine e i passanti che si affrettano per strada e mi ritrovo a pensare a Hazel e Kurt. Mi mancano.

Senza rendermene conto, prendo il cellulare e chiamo Kurt. Risponde dopo un'infinità di squilli.

«La mia piccola Cleo! Come stai?» La sua voce risuona affettuosa, anche se lo sento un po' affaticato.

«Ehi, ciao, ti disturbo?» Attraverso la strada in fretta prima che il semaforo pedonale scatti sul rosso e riprendo a camminare.

«Quando capirai che non disturbi mai? Stavo solo correndo. Hazel ha fatto la torta al cioccolato e credo di aver mangiato anche la tua parte. Ora devo smaltire.»

La torta al cioccolato di Hazel è un balsamo per l'anima. Se sei triste ti risolleva, se sei felice ti aiuta a festeggiare, se sei arrabbiato ti fa dimenticare il motivo, e se sei annoiato ti ridà energia. È una delle cose che più mi mancano da quando sono qui.

«Ben ti sta, così impari a divorare le mie tre fette.»

Ride, ricordando come dividevamo la torta in tre, finendola sempre in poche ore.

«Quelle fette nel vassoio mi imploravano di essere mangiate, sai? Me l'hanno chiesto proprio loro.»

«Certo, come no, già mi immagino la scena.» Cammino, svelta, in mezzo alla folla sconosciuta, mentre la nostalgia dei miei amici si fa più intensa.

«Non credo che tu mi abbia chiamato per rimproverarmi di aver mangiato troppa torta. Va tutto bene, Chloe?» Il suo respiro è tornato normale e il tono non ha più la sfumatura scherzosa di poco fa. Mi ha persino chiamato col mio nome per intero.

«Ho avuto un incubo, Kurt.» Dall'altra parte, per un attimo, c'è solo silenzio mentre arrivo al palazzo dove si trova il mio appartamento.

«E come stai?» Ora percepisco la sua preoccupazione.

«C'era Rebekah con me, ma... devi stare tranquillo. Forse non avrei dovuto dirtelo.» Le parole scivolano fuori da sole, come sempre quando parlo con lui, ma questa volta avrei fatto meglio a tacere.

«Vuoi che ti ricordi cosa è successo l'ultima volta che mi hai detto di stare tranquillo?» Il suo tono non è un rimprovero; è sinceramente preoccupato.

«È tutto diverso. adesso. L'ho promesso e stavolta manterrò la parola. Devi credermi, Kurt.» Svolto l'angolo e noto un'auto dall'aspetto familiare parcheggiata poco più avanti.

«Io voglio crederti, Chloe, ma non è questo il punto. Non fare sciocchezze, promettimelo ancora.» Faccio ancora qualche passo, questa volta più lentamente.

«Te lo prometto, Kurt. Devo anche rifarmi di tutte le fette di torta al cioccolato di cui siete in vantaggio.» Cerco di tranquillizzarlo.

«Non credo sia possibile, Hazel ha già detto che ne farà un'altra domenica, per il compleanno di sua cugina Stephanie.» Non riesco però a replicare perché, proprio in quel momento, vedo una persona scendere dall'auto e dirigersi verso il mio portone.

«Ma che diavolo ci fa qui?» Mi accorgo di aver pronunciato le parole ad alta voce quando sento Kurt all'altro capo della linea.

«Di chi stai parlando? Chi c'è lì?»

Guardo Harry avvicinarsi al citofono e premere un pulsante.

«Il capo di mia sorella.» Resto a bocca aperta, sorpresa di vederlo qui e curiosa di capire il motivo.

«È carino?» Alzo gli occhi al cielo, anche se lui non può vedermi, e riprendo a camminare.

«È presuntuoso e indisponente.» Indossa jeans, un giubbotto nero e un beanie verde da cui escono ciocche dei suoi capelli troppo lunghi. Carino? Forse dovrei ammettere che lo è, ma non lo farò.

«Okay, è carino.» Ormai sono a pochi passi da lui; quando mi vede arrivare, il suo sguardo sembra cambiare, non saprei dire come, ma noto qualcosa nei suoi occhi.

«Devo andare, ciao Kurty.» Lo sguardo di Harry mi agita, c'è un'intensità che non riesco a interpretare.

«Ciao, piccola Cleo. Saluta il capo di tua sorella per me.» Chiudo la chiamata e rimetto il telefono in tasca.

«Che ci fai qui?» Sono sicura che a quest'ora dovrebbe essere in ufficio.

«Ciao anche a te.» Il suo sorriso irriverente mi irrita come solo lui riesce a fare.

«Sì, ciao, Harry. Cosa ci fai qui?» Gli parlo con un tono cantilenante per lasciargli intendere quanto la sua presenza mi infastidisca. Non mi capita mai di reagire così con nessun altro.

«Cercavo Rebekah.» Lo squadro stringendo gli occhi. So che mi nasconde qualcosa.

«Di solito le persone normali lavorano, ma è chiaro che tu non ne abbia bisogno.» La mia battuta lo infastidisce, vedo uno sguardo di disappunto, ma non risponde alla provocazione. Decido di insistere. «Perché sei qui, Harry?» È evidente che non cercava mia sorella. Avrebbe potuto chiamarla. Qui c'è sotto altro.

Sta per dire qualcosa; apre la bocca e la richiude senza proferire parola.

«Lascia stare, ci vediamo.» E se ne va.

Per qualche motivo, mentre si allontana, mi sale un senso di colpa.

«Harry?» si blocca appena prima di salire in macchina e si volta verso di me. «Devo andare a ritirare l'auto di mia sorella. Ti va di accompagnarmi?» Gli spunta un sorriso che mi sorprende e, in qualche modo, mi rassicura.

«D'accordo.» Non aggiunge altro, e il suo sorriso resta lì.

«Salgo un attimo a prendere le chiavi: mi aspetti qui o vieni su?» Non so perché glielo chiedo, ma non sono riuscita a trattenermi.

«Salgo con te.» Mi segue fino all'ingresso del loft.

Harry resta in piedi accanto alla porta, scrutando la stanza. Intanto, cerco le chiavi di Rebekah nei cassetti, ma non riesco a trovarle. Forse le ha spostate e ha dimenticato di avvisarmi.

«È così qui che abiti,» afferma Harry, avvicinandosi al divano e si accomoda come se l'avessi invitato.

«Sì. Non eri mai stato qui?» distolgo lo sguardo quando vedo che si toglie il cappotto, come per sistemarsi meglio. È strano, ma quel gesto mi dà una sensazione particolare.

«No, non faccio visita alle case delle mie dipendenti.» Il tono sornione e il sorriso che spunta sul suo viso non lasciano spazio a equivoci.

«Senti, non riesco a trovare le chiavi. Vado a controllare in camera di Rebekah. Torno subito.» Salgo velocemente le scale e, dopo qualche tentativo nei cassetti del comodino, le trovo. Sto per uscire quando sento dei passi nel corridoio. Esco dalla stanza di Rebekah e mi ritrovo, con sorpresa, Harry in piedi davanti alla mia camera, con la porta aperta.

«Cosa non hai capito di "torno subito"?» Si volta a guardarmi, senza la minima traccia di imbarazzo, mentre io mi sento infastidita dalla sua intrusione.

«Questa è la tua stanza?» Mi osserva con il solito sorriso sfacciato. Già mi pento di averlo invitato.

«Sì.» Mi avvicino, chiudo la porta dietro di lui, privandolo della visuale della mia camera. Il suo sorriso, però, è ancora lì, e non fa che aumentare il mio fastidio.

«Non lo fai il letto la mattina?» chiede, e per un attimo siamo così vicini che il verde dei suoi occhi sembra ancora più vivido, quasi ipnotico. «Non ti sto rimproverando, eh. A me piace il letto disfatto.»

Alzo gli occhi al cielo. «Non ho la domestica, sai?»

Lo sento parlare mentre scendo le scale. «Nemmeno io ho una domestica.» Mi volto, perplessa. «Io ho Brenda.» Si avvicina, spiegandomi chi è Brenda e le sue parole mi sorprendono.

«Dille che ha tutta la mia comprensione. Ora possiamo andare?» Sorride appena, senza mostrare le fossette e mi ritrovo a osservare i suoi lineamenti: il verde degli occhi, le labbra sottili, il viso rasato alla perfezione. Tutti dettagli che noto e non so perché.

«Chloe?» mi chiama, e scopro che mi piace il mio nome pronunciato da lui.

«Sì?» rispondo in un sussurro.

Qualcosa è cambiato, non saprei dire cosa, ma è successo.

«No, niente. Andiamo.» Mi supera e scende le scale; lo seguo mentre prende il cappotto. Usciamo in silenzio e saliamo in auto. «Dove dobbiamo andare?» Mi mostra un bigliettino con un'aria indifferente, anche se sono certa che questo meccanico sia un suo conoscente.

«Sai dov'è?» replico, fingendo la sua stessa indifferenza.

«Sì, lo conosco.» C'è uno scintillio negli occhi che lascia intuire che ha in mente qualcosa. Decido di stare al gioco.

«Ed è bravo?» Domando mentre, dopo aver allacciato le cinture, si immette nel traffico.

«Sì, anche se tende a fregare sul prezzo. Ma non ti preoccupare, ci penso io.» Perché mai consiglierebbe a mia sorella un meccanico disonesto? Magari sta solo organizzando un altro scherzo.

«Pensi che non sappia cavarmela da sola?» ribatto fingendo di essere infastidita.

Mi guarda di sottecchi, un sorriso divertito sulle labbra.

«Lo so benissimo, Chloe. Ma non posso stare a guardare se quello prova a fregarti.»

E ora? Sta cercando di fare colpo, o è solo un idiota? Non l'ho ancora capito, ma sono sicura che, continuando così, presto lo scoprirò.

Non rispondo alla sua ultima battuta e lui non aggiunge altro. Mi godo il silenzio, sperando che il tragitto sia breve, finché il suono di un messaggio – che non è il mio, visto che non riconosco la suoneria — interrompe i miei pensieri. Mi chiedo se Rebekah gli abbia già parlato della mia offerta di presenziare all'incontro con il signor Hernandez, ma subito mi dico di no. Altrimenti, avrebbe fatto qualche battuta a riguardo.

«Allora, Chloe, cosa ti ha portata a Boston?» La sua voce mi coglie di sorpresa, ma ancora di più mi sorprende quanto mi piaccia il modo in cui pronuncia il mio nome.

«Volevo cambiare lavoro.» La domanda mi ha spiazzata e ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente. Non ci crederà mai.

«Okay.» Forse sì. «Ora però dimmi il vero motivo, senza scemenze.» D'accordo, non mi ha creduto. Non voglio davvero spiegargli tutto, ma sento di poter condividere almeno qualcosa.

«Hai presente quando ti senti soffocare? Quando ogni cosa nella tua città ti sta stretta?» confesso a metà, sperando che non vada oltre.

«Perfettamente.» Dal tono, capisco che ha davvero vissuto qualcosa di simile. «E hai scelto Boston per via di tua sorella?»

«Sì.» Evito di aggiungere altro, ma lo sento ridere piano. Mi volto e vedo le sue fossette in bella vista. «Cosa c'è di così divertente?» incrocio le braccia, infastidita dal suo atteggiamento. Mi sembrava che stessimo finalmente avendo una conversazione quasi normale.

«Ripensavo alla sera in cui ci siamo incontrati sulla metro.» Il sorriso gli aleggia ancora sulle labbra mentre tiene d'occhio la strada.

«E cosa c'è di tanto divertente?» Si ferma a un semaforo, mi guarda, e per un attimo i suoi occhi hanno una luce nuova, qualcosa che mi fa sentire diversa. Non so spiegarlo, ma lo sento.

«Niente, è stato solo... strano.» Ride di nuovo e quelle fossette non se ne vanno.

«Okay, spiegami allora cosa ci trovi di tanto buffo.» Inizio a pensare che, sotto sotto, io e Harry siamo simili. Anche lui, come me, sembra nascondersi dietro una maschera.

«Chloe...» Il suo tono è divertito e faccio fatica a trattenere un sorriso, anche se non vorrei dargli questa soddisfazione. «La tua espressione era comica: eri così irritata e pungente. Sembravamo due bambini dell'asilo. Come mi hai chiamato? Ah, sì: "coso".»

Scuoto la testa, esasperata, mentre lui ride senza sosta. Ripenso a quella sera e alle strane coincidenze che ci hanno portato entrambi lì. Se non avessero perso la mia valigia, non avrei conosciuto Dylan. E se non avessi perso tempo al nastro bagagli, non avrei incontrato Harry sulla metro.

«Se ci tieni tanto, posso continuare a chiamarti "coso", non è un problema per me.» Riporto lo sguardo in avanti, realizzando che non ho la minima idea di dove mi stia portando. Eppure, mi fido.

«Smettila di fare l'acida. Hai bisogno di un po' di sesso, sai? Ti farebbe bene.» Gli lancio un'occhiata fulminante che sicuramente ha percepito anche senza guardarmi. «Era solo una battuta, non ti offendere.»

Guardo fuori dal finestrino, ma sento le guance prendere fuoco. Cafone!

«Allora, da quanto tempo non fai del buon e sano sesso?» incalza, quasi divertito.

«Non sono affari tuoi!» Mi esce più tagliente di quanto avrei voluto, ma lui non sembra affatto scosso, e continua a guidare con la massima calma.

«Okay, allora... che ne dici di una canna? Anche quella aiuterebbe a rilassarti.»

«Harry, questa conversazione finisce qui.»

Lo dico incrociando strette le braccia al petto e fissando fuori dal finestrino. Sento ogni fibra del corpo surriscaldarsi e non so se sono più arrabbiata con lui o con me stessa. O forse nemmeno è rabbia, ma qualcosa ha messo in subbuglio la mia mente.

«Scusa, sono andato oltre» continua, con un tono gentile che quasi non riconosco. Non rispondo, mantenendo il mio silenzio ostinato. «Allora... hai una cotta per Dylan?» Mi giro di scatto verso di lui, incredula.

«Ma cosa ti salta in mente?» La mia voce esce più alta di quanto volessi.

«Beh, ho visto come lo guardi. Solo un cieco non se ne accorgerebbe.» Non sono sicura, ma sembra vagamente infastidito dalla sua stessa osservazione.

«Lo guardo con gli occhi che ho, come dovrei guardarlo?» La sua espressione mi dice che non è del tutto convinto. «Non ho una cotta per Dylan, né per nessun altro.» Nemmeno immagina cosa rappresenti davvero Dylan.

«Nemmeno per me?» Mi guarda di sfuggita mentre entra nel cortile dell'officina.

«Nemmeno per te, Styles.» Parcheggia e spegne il motore.

«Siamo arrivati.» Sorride e so che sta ridendo di me. Non rispondo alle sue provocazioni, scendo dall'auto e mi dirigo a passo deciso verso l'interno dell'officina.

Il rumore all'interno è assordante e la musica di sottofondo non aiuta. A sinistra, un ragazzo lavora a un'auto sul ponte, mentre sul fondo vedo un ufficio in un box di vetro. Mi avvicino con Harry dietro di me e busso al vetro per attirare l'attenzione. Due ragazzi in tuta da lavoro escono. Quello dalla carnagione abbronzata mi si avvicina subito, ma non perde tempo a guardare oltre le mie spalle, mentre tenta di pulirsi le mani con uno strofinaccio troppo sporco per essere davvero utile.

«Salve» lo saluto.

Lui fa un cenno con la testa ma continua a guardare Harry.

«Devo ritirare la macchina di mia sorella.» Il ragazzo mi guarda un attimo, poi riporta lo sguardo oltre le mie spalle. Mi volto e vedo Harry fare dei gesti strani, ma si ferma subito quando si accorge che lo sto osservando.

«Mi può dire il suo nome?»

«Stewart.»

È chiaro che non mi sta dando molta attenzione, più interessato a Harry e ai suoi gesti.

«Mi scusi un attimo» risponde, fissando di nuovo Harry. Inizio a perdere la pazienza. «Harry, che diavolo stai facendo?» Mi volto e lo vedo roteare gli occhi verso l'alto.

«Sei sempre il solito rincoglionito, Zayn.» Il mio sguardo passa da Harry a Zayn, e questa volta non posso fare a meno di sorridere divertita.

«Io? Ma se sembravi un indemoniato con tutti quei gesti.»

Harry esce sbuffando dall'officina, mormorando qualcosa di incomprensibile, e quando Zayn cerca di seguirlo, lo fermo.

«È arrabbiato perché non è riuscito a farmi lo scherzo. Mi aveva detto che non ti conosceva per farmi credere che mi stava aiutando con il pagamento, a non farmi fregare.» Zayn scuote la testa con un sorriso divertito.

«Che cretino. Vieni, la macchina è da questa parte.» Lo seguo fuori. «Ho sostituito il carburatore e cambiato l'olio. Ora dovrebbe essere a posto. Se c'è altro, dì pure a tua sorella di chiamarmi.»

Dopo aver dato un'occhiata all'auto e fatto il pagamento nell'ufficio, lo saluto e torno verso l'auto di Harry, con un sorriso che mi fa sentire bene.

Lui è appoggiato alla fiancata, intento a digitare sul cellulare.

«Questo sì che è stato davvero divertente.» Lo prendo in giro avvicinandomi.

«Lo sarebbe stato molto di più se Zayn avesse capito subito cosa gli stavo dicendo.»

È visibilmente irritato.

«Harry?» Lo guardo. «Mi sono divertita davvero.» Il mio tono è sincero e, nonostante le battute prima di scendere dalla sua macchina, in quest'ora mi sono sentita bene. Davvero bene. Il suo sorriso mi conferma che anche lui si è divertito. «Mi fai strada fino a casa?» Annuisce e sale sulla sua auto, mentre mi metto al volante della macchina di Rebekah, per poi seguirlo per tutto il tragitto.

Durante il viaggio non ho altro che pensieri positivi, il sorriso non mi abbandona. Arriviamo a destinazione, parcheggio e noto che lui è ancora seduto al suo posto.

Mi avvicino al finestrino della sua auto e mi abbasso.

«Grazie, Harry.»

Sorride ancora, ma senza mostrare le fossette.

«Ci vediamo, Chloe.»

Lo guardo allontanarsi.

Il sorriso che mi ha regalato è ancora sulle labbra.

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