Capitolo 2 - Stai bene?

Buonsalve, belle persone

ed eccoci alla pubblicazione del secondo capitolo! Chloe arriva a Boston, una città che sembra già pronta a mettere alla prova il suo equilibrio con un paio di incontri inaspettati, che non passano certo inosservati. Finalmente riabbraccia sua sorella, un momento carico di emozione che però non basta a dissipare l'inquietudine che continua a tormentarla, come un'ombra sempre presente.

Spero che la nuova versione di questa storia stia catturando il vostro interesse e che i suoi personaggi vi stiano accompagnando in modo avvincente. È un viaggio nuovo, un po' misterioso e pieno di emozioni, e sarebbe un vero piacere avervi accanto per ogni tappa. Grazie di cuore per il vostro sostegno e per le vostre letture: sono ciò che rende tutto questo ancora più speciale!

Eeeee niente, buona lettura

***


Chloe

«Signore e signori, vi informiamo che tra qualche minuto atterreremo a Boston. Vi invitiamo a controllare che i bagagli siano stivati correttamente, il tavolino di fronte a voi sia chiuso, lo schienale della poltrona sia in posizione verticale con i braccioli abbassati e le cinture siano allacciate...»

L'aereo sta per atterrare. Sono a Boston, e ancora non mi sembra reale. Guardo fuori dal finestrino, ma fuori è buio e non riesco a vedere granché. Ho dormito per buona parte del viaggio, ma mi sento comunque stordita.

Appena l'aereo si ferma, i passeggeri sono già tutti in piedi, in fila nei corridoi. Non ho intenzione di infilarmi in quella confusione e, a costo di essere l'ultima, aspetto che il corridoio si svuoti prima di alzarmi.

Quando finalmente scendo, mi unisco alla processione silenziosa verso il ritiro bagagli. Accanto al nastro trasportatore ancora vuoto accendo il telefono, mando un messaggio ai miei per dire che sono arrivata. Sto per chiamare mia sorella, ma mi fermo. Probabilmente starà dormendo, non voglio svegliarla.

Dopo qualche minuto, i bagagli iniziano ad arrivare, ma il mio sembra non voler comparire. I passeggeri intorno a me se ne vanno uno dopo l'altro, finché rimangono solo una coppia di anziani e... un ragazzo. Mi colpisce il suo profilo: ha una giacca di pelle e capelli castano chiaro spettinati che ricordano terribilmente... lui. Il respiro mi si blocca.

Si volta, e resto a fissarlo. Ha qualcosa nei lineamenti, negli occhi, in quel sorriso che mi paralizza.

È solo una somiglianza, Chloe.

Non riesco a smettere di fissarlo, sono ipnotizzata.

Mi osserva anche lui e dopo un po' mi raggiunge.

«Quante valigie aspetti?» la sua voce, diversa da quella che temo di sentire, mi riporta alla realtà.

«Una» rispondo, con un sorriso incerto. «E tu?»

«Due, di cui una contiene documenti di lavoro. Spero non l'abbiano persa.» Sorrido nervosa, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi, di un verde-azzurro che continua a ricordarmi lui. Dopo qualche istante, il ragazzo mi tende la mano.

«Comunque, io sono Dylan.»

Rimango a fissare la sua mano per un attimo di troppo, ma poi scuoto la testa, ridendo di me stessa.

«Io sono Chloe» mi presento, stringendogli la mano. La sua stretta è calda, decisa, e sento una calma che mi sorprende.

Scambiamo qualche parola e mi racconta che è appena rientrato da un viaggio di lavoro e dovrà andare in ufficio fra poche ore. Quando però un impiegato annuncia che le nostre valigie non sono ancora arrivate, capiamo che non ci resta altro da fare che lasciare i nostri dati e aspettare di essere ricontattati.

«A quanto pare, ci toccherà tornare in aeroporto» osservo, ad alta voce.

Camminiamo verso l'uscita. Dovrò prendere una navetta per la metro, poi seguire le istruzioni di mia sorella. Boston è ancora un'incognita per me.

«Abiti lontano?» chiede Dylan, rovistando nelle tasche.

«Non saprei dirti. È la mia prima volta qui, starò da mia sorella.» Mi sistemo lo zaino, seguendo i cartelli verso l'uscita.

«Se vuoi, ti accompagno. Ho la macchina fuori» mi mostra le chiavi. Lo guardo: gentile, forse troppo simile a lui. Ho bisogno di allontanarmi.

«No, grazie» declino l'invito, controllando l'orario sul telefono. È tardissimo, la stanchezza si fa sentire.

Appena arriviamo all'uscita, noto che ha iniziato a piovere. Perfetto.

«Sei sicura? Ti porto a casa sana e salva, promesso.» Mi sorride. Quella somiglianza mi spiazza.

«Sicura» ripeto, tirando su il cappuccio della felpa. «Grazie lo stesso.»

Lui sorride ancora. «Allora... ci vediamo.»

«Ciao, Dylan.» Pronunciare il suo nome mi provoca un effetto strano, come un vuoto improvviso. Mentre mi allontano, lo guardo sparire verso il parcheggio e mi dirigo alla navetta che arriva per fortuna subito.

La metro è quasi deserta e io mi sento leggera. Nonostante lo strano incontro, sento la mente liberarsi come se stessi lasciando il passato dietro di me. Mi siedo su un sedile vuoto, rilassandomi, anche se i pensieri cominciano a riaffiorare.

Non è stato un capriccio trasferirmi a Boston. Rimanere a Montréal era diventato insostenibile; avevo bisogno di una vera ripartenza. I pro e i contro, i dubbi, ogni ragionamento finiva lì: dovevo allontanarmi. Boston era la risposta e ora che ci sono sento di aver preso la decisione giusta.

È come se questo treno mi stesse portando al punto di partenza, verso una nuova vita. Non sarà facile e dovrò farcela senza i miei genitori, senza i miei amici... e senza di lui.

Lui non sarà mai più lì a sostenermi, a ridere con me.

Non riderà più con me.

Non riderà più.

E io, invece, devo continuare a vivere.

Senza accorgermene, stringo tra le dita il ciondolo della mia catenina, un piccolo cigno d'argento, modellato come un origami. Mi torna in mente il giorno in cui me lo regalò, il mio compleanno. Avevamo passato la giornata con Hazel e Kurt. La sera, mi riaccompagnò a casa e, da lì, salimmo sul tetto. Lui sapeva quanto amassi le stelle. Aveva preparato un cavo di lucine e avvolti in quel calore scintillante, mi aveva dato questa collana. Disse che per lui, il cigno rappresentava amore sincero, fedeltà, forza e coraggio.

Da quel giorno non l'ho mai tolta.

Il flusso dei miei pensieri si interrompe quando un ragazzo entra nel mio stesso vagone. È alto, con i capelli scuri, leggermente mossi e più lunghi di quanto preferisca. Indossa un completo nero con una camicia bianca sbottonata quasi fino all'ombelico, sotto cui intravedo un nastro nero, forse una cravatta. Il suo petto tatuato mi colpisce, ma ancor di più lo sguardo insistente con cui mi fissa, un sorriso sfacciato sul viso. Si avvicina e si siede accanto a me senza distogliere lo sguardo.

«Sai che è maleducazione fissare?» gli lancio un'occhiataccia. Lui non sembra affatto turbato e mi fissa con quei bellissimi occhi verdi che, per un istante, mi fanno tentennare.

«Chi dovrei guardare? Qui ci sei solo tu.»

La voce è roca e parla lentamente.

«Già, e visto che siamo soli, potevi sederti altrove. Magari in fondo al vagone?» gli faccio notare, irritata. Lui sogghigna, mettendo in mostra le fossette sulle guance.

«Non credo di aver voglia di alzarmi solo perché lo dici tu.»

«Bene. Mi alzo io.»

Afferro il borsone e cambio posto, vado in fondo, il più lontano possibile da lui. Controllo il telefono: mia sorella mi ha mandato il nome della fermata. Manca poco. Ripongo il cellulare e alzo lo sguardo, ritrovandomelo proprio di fronte a me. Di nuovo.

«Stai scherzando?»

Non ci credo. Potrei anche preoccuparmi, dato che sono sola in metro di notte, ma più che spaventata, mi sento infastidita.

«Sto forse ridendo?» Replica sedendosi accanto a me, canticchiando una melodia irritante.

«Senti, coso, sono esausta. È proprio necessario che debba ascoltare questa nenia continua?» sbotto.

«Coso? Siamo tornati all'asilo?» chiede, scoppia a ridere e si stira le gambe, comodo come se fosse nel suo salotto.

«Quello che sembra in età d'asilo sei tu, a quanto pare.» Guardo la fermata avvicinarsi. Finalmente posso scendere e togliermi di torno questo tipo fastidioso. Mi alzo, infilo lo zaino, prendo il borsone e mi dirigo verso l'uscita, ma la sua voce mi ferma.

«Per favore, non farmi alzare un'altra volta.» Il suo tono strafottente è ormai insopportabile.

«Primo: nessuno ti ha chiesto di seguirmi. Secondo: questa è la mia fermata.» Non so nemmeno perché mi giustifico con uno sconosciuto così molesto, che tra l'altro sembra decisamente su di giri.

«Infatti, non mi interessa che tu scenda.» Le porte si aprono e mi affretto a uscire, rischiando quasi di colpirlo con il borsone. «Comunque, mi chiamo Harry!» mi urla mentre le porte si chiudono.

Mi giro e, con il sorriso più falso del mondo, gli mostro il dito medio, giusto in tempo per vederlo scoppiare a ridere mentre la metro riparte.

Dalla linea blu passo alla linea verde, sperando che il resto del tragitto sia tranquillo. Quel tipo irritante mi ha messo addosso un bel nervosismo, ma per fortuna la mia fermata arriva presto.

Appena esco, scopro che la pioggia è peggiorata. Controllo ancora l'indirizzo di Rebekah e chiedo indicazioni a un signore gentile. Dopo averlo ringraziato, mi dirigo lungo la via che mi ha indicato. Sette minuti dopo sono davanti alla porta di mia sorella, bagnata fradicia. Suono e spero che si svegli presto. Ma anche dopo quattro squilli, nessun segno di vita. Quando sto per sedermi esausta e arrabbiata con me stessa per non aver ascoltato mamma sul portare un ombrello, finalmente sento il rumore della serratura.

«Chloe!» Rebekah mi abbraccia con un affetto quasi soffocante.

«Ero pronta a passare la notte sul pianerottolo» scherzo, anche se non troppo. Lei mi fissa dispiaciuta.

«Mi spiace tanto. È molto che sei qui?» Scuoto la testa per non farla sentire in colpa, anche se vorrei tanto asciugarmi.

«Ho solo bisogno di dormire.»

Appendo il giubbotto, tolgo le scarpe e la seguo dentro. È la prima volta che vedo casa sua di persona e lo spazio ampio della zona giorno è anche più bello di come lo immaginavo.

«Vuoi qualcosa di caldo?» Mi sfila un'altra domanda, riesco solo a scuotere la testa. «Com'è andato il viaggio?» Mi sta ancora parlando, ma io non ho energie.

«Possiamo parlarne domani?» abbozzo. Con un sorriso, mi accompagna al piano superiore e mi mostra la mia stanza e il bagno. Sto per crollare, una doccia mi farebbe bene, ma so che finirei per addormentarmi sotto l'acqua. Quando sto per chiudermi in camera, la sento chiamarmi.

«Chloe?» Mi volto con fatica, esausta. «Sono felice che tu sia qui.»

Le sorrido, vorrei tanto abbracciarla, ma sono troppo stanca anche solo per muovermi. Riesco a ricambiare il sorriso prima di infilarmi in camera, buttare le valigie a caso e mettermi il pigiama. Mi infilo sotto le coperte e, senza quasi accorgermene, sprofondo in un sonno che spero duri almeno dodici ore.

***

Faccio fatica ad aprire gli occhi, ma la luce del sole filtra ostinata nella stanza, costringendomi a tirare le coperte sopra la testa. Mi sento come se avessi preso una sbronza colossale e, se non fosse per la luce, dormirei ancora. Ormai sono sveglia, però, e il bisogno impellente di andare in bagno mi obbliga ad alzarmi.

La stanza è inondata di sole e dominata dal bianco, dal piumone ai mobili. Mi alzo, il parquet sotto i piedi è una piacevole sorpresa. Ieri sera ero troppo stanca per notarlo. Recupero lo spazzolino dalla valigia aperta. Davanti allo specchio vedo il riflesso di un volto esausto, quasi irriconoscibile. Devo rimettermi in sesto, non è solo questione di un po' di sonno perso.

Esco dal bagno e trovo la stanza di Rebekah vuota, il letto disfatto. Mi cade l'occhio su un post-it attaccato alla mia porta:

"Ciao, Chloe, sono andata al lavoro. Chiamami per qualsiasi cosa. Ci vediamo stasera.
C'è una copia delle chiavi di casa per te nella bacheca vicino all'ingresso. Baci, Reb."

Sorrido e decido di iniziare la giornata con una doccia bollente. Quando ne esco, già mi sento più energica. Ancora con l'accappatoio addosso, scendo in cucina per un caffè amaro che bevo con calma, senza fretta di far colazione. Ho voglia di uscire e respirare questa nuova città. Mi vesto, prendo le chiavi e sono fuori.

Per un attimo mi sento sola, smarrita, ma mi stringo al piccolo cigno appeso al collo e riacquisto sicurezza. Non ho una meta precisa, voglio solo esplorare. Prima di venire qui ho letto della Freedom Trail, un percorso segnato da una linea rossa che attraversa i luoghi storici della città: sembra perfetto per oggi.

Per pranzo prendo un panino e continuo a camminare senza fermarmi. Giro tutta la giornata, evitando di pensare troppo, lasciando che la città mi distragga. La vibrazione del telefono interrompe il flusso dei miei pensieri in movimento continuo.

«Ciao, Rebekah.» Rispondo al telefono mentre mi guardo intorno, cercando di orientarmi.

«Chloe, tutto bene?» La sua voce, sempre da sorella maggiore apprensiva, è già in modalità di soccorso.

«Sì, ho girato per la città.» Continuo a osservare i dintorni in cerca di un punto di riferimento.

«Dove sei?»

«A dire il vero, non saprei dirti... c'è un tizio vestito come se fosse in un film d'epoca.» Sento la sua risata dall'altro lato.

«Ottima indicazione!» Mi prende in giro e scoppio a ridere anch'io.

«Non preoccuparti, Reb. Se seguo la linea rossa, dovrei tornare a casa senza problemi.» Ci salutiamo ridendo e mi rimetto in cammino. A dirla tutta, il tragitto di ritorno è più semplice del previsto. Appena arrivo, vedo Rebekah venir fuori dalla cucina con un mestolo di legno in una mano e uno strofinaccio nell'altra.

«Ehi, ce l'hai fatta! È quasi pronto.» Metto le chiavi e la giacca all'ingresso, poi vado a lavarmi le mani, seguita da lei.

«Che c'è?» Le sorrido, notando il suo sguardo che mi osserva senza sosta.

«Niente, solo... sono contenta di averti qui.» Il suo sguardo dice più di quanto vorrebbe: è preoccupata e si sente responsabile.

«Sto bene, Reb, davvero. Non devi preoccuparti per me. Dai, andiamo a mangiare.»

Mi asciugo le mani e insieme finiamo di preparare la cena.

«Com'è andato il viaggio?» mi chiede mentre ci sediamo a tavola, sempre con lo sguardo attento.

«Tutto liscio. Ho dormito quasi tutto il tempo, ero sfinita. Spero solo che la mia valigia arrivi presto.» Certo, non c'è niente di fondamentale lì dentro, ma è comunque la mia roba e mi piacerebbe riaverla.

Parliamo del viaggio e stranamente mi trovo a saltare l'incontro con quel ragazzo al ritiro bagagli. Non so perché, ma evito il dettaglio. Rebekah è già in ansia e io sono qui per ricominciare, non per parlare di Dylan, che tanto non rivedrò mai più. Posso archiviare lui e tutti i pensieri inutili.

Dopo cena le do una mano a riordinare, poi ci sistemiamo sul divano per un film. Anche se pensa che non me ne accorga, la sento che mi scruta ogni tanto, ma non le dico nulla. Voglio davvero farle credere che va tutto bene, perché anche se non è proprio così adesso, sono sicura che posso farcela. Lo devo a chi è importante per me.

«Vado a dormire, altrimenti domani non mi sveglio» dice a un certo punto, alzandosi dal divano e guardandomi per un momento. «Tu resti qui?» Alzo gli occhi al cielo, ridendo.

«Reb, non devi avere paura a lasciarmi sola.» Le sorrido, trovando tenera la sua premura.

«Okay... Buonanotte.» Si gira per andarsene, poi torna indietro all'improvviso. «Ah, stavo quasi dimenticando: domani sera devo partecipare a una serata di beneficenza. Non potevo rifiutare, sai com'è il mio capo quando si mette in testa qualcosa, e tu verrai con me. Buonanotte, Chloe.» Parla tutto d'un fiato, lasciandomi senza tempo di ribattere. Non credo di avere scelta.

Spengo la TV e vado in camera. Apro il borsone ancora ai piedi del letto e tiro fuori alcune foto dei miei amici, che sistemo sul mobile accanto al letto. Mi mancano già. Recupero il telefono e mando un messaggio a Kurt, che a quest'ora sarà senz'altro ancora sveglio.

Scrivo un rapido "Ehi" a Kurt, e la sua risposta arriva subito:

Finalmente! Che fine hai fatto?

Oggi mi sono isolata un po', avevo bisogno di stare con me stessa.

Stai bene?

Starò bene, Kurt... ho solo bisogno di un po' di tempo.

Con lui e Hazel posso essere davvero sincera, senza nascondermi.

Mi manchi.

Sento le lacrime affiorare, ma non posso permettermi di crollare. Alzo lo sguardo, cercando di ricacciare indietro quelle che si stanno formando.

Kurt, ne abbiamo già parlato. Non sto via per sempre. Sai che puoi venire qui quando vuoi.

Attendo la sua risposta con un mezzo sorriso malinconico.

D'accordo, ma il biglietto lo paghi tu.

Scoppio a ridere, lui sa sempre come strappare una risata anche nei momenti peggiori.

Solo se porti anche Hazel.

Ovviamente, da solo non ti sopporterei.

Kurt è speciale, un meraviglioso pezzo del mio cuore.

Dai un bacio a Hazel per me. Buonanotte, Kurty.

Lo farò. Dormi bene, Cleo.

Loro sono la mia ancora, la mia forza. Senza di loro, non sarei qui. Nel senso più letterale del termine.

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