I suoi colleghi

Alessandro stava firmando alcuni documenti, stropicciandosi gli occhi. La sala professori era vuota. Ogni tanto qualche insegnante entrava a passo spedito per prendere alcune cose dal proprio armadietto e per poi risfrecciare di nuovo fuori, troppo preso dai propri pensieri per fare caso alla sua presenza. Alessandro, seduto dietro il tavolo bianco della sala, alzava ogni tanto lo sguardo e li guardava muoversi ed uscire con la rapidità di qualcuno che ha un sacco di cose da fare nella giornata. Lo sguardo gli cadde sul suo armadietto. Era vuoto, non lo usava mai. Preferiva tenere tutte le sue cose dentro la sua fedele valigetta, che cominciava però a sentire il peso dell'usura.
Guardò il suo nome stampato su un'etichetta adesiva vicino alla serratura dell'armadietto, attaccato sopra quella del professore precedente. Una premura del preside, forse.
Espirò profondamente, poi tornò ad occuparsi dei fogli che aveva davanti. Quando ebbe finito, guardò l'orologio che aveva al polso. Le 09:55.
Mancava un quarto d'ora alla sua prossima lezione. La sala era completamente vuota. Si portò i palmi delle mani sugli occhi e li strofinò lentamente. Gli bruciavano un po', e dal riflesso della chiusura d'acciaio della sua valigetta, appoggiata sul tavolo vicino a lui, vide che erano anche un po' arrossati dal sonno.
Sbadigliò, poi tirò fuori altri fogli di cui doveva occuparsi.
Dopo pochi secondi, entrò qualcuno. Alessandro alzò lo sguardo, incuriosito da quei passi. Erano diversi, non erano affrettati come tutti gli altri, ma lenti e scanditi. La professoressa Reale entrò nella stanza tenendo la sua valigetta con entrambe le mani. Alessandro la guardò avvicinarsi e sedersi sulla sedia accanto a lui con un sospiro e appoggiare la sua valigetta accanto alla sua.
Era più moderna e più piccola della sua, ma quasi altrettanto piena. Alessandro tornò a fissare i suoi fogli.
"Ciao." disse lei con il suo sorriso velato.
"Salve." rispose lui alzando lo sguardo.
Alessandro sentì gli occhi verdi di lei continuare a fissarlo anche dopo che lui ebbe interrotto il contatto visivo.
Rimasero in silenzio così per qualche minuto, a studiarsi e ad essere studiati.
Poi, a grandi passi, nella stanza entrò Mancini. Era il professore di fisica del triennio, ben noto anche ad Alessandro per la sua personalità carismatica e la sua socievolezza e affabilità, nonché per la sua indiscutibile leadership. Entrò seguito da vari professori, con cui scambiava battute, e accompagnato dal suo solito sorriso smagliante, con i suoi denti bianchissimi. Era un uomo curato, sui quarant'anni, forse qualcuno in più, di bell'aspetto, con i folti capelli castani pettinati all'indietro, appena ingrigiti sulle tempie, la voce profonda e i vestiti eleganti. Teneva con una mano una valigetta in pelle, probabilmente costosa, tenuta in ottime condizioni, quasi vuota.
Disse una battuta che fece ridere tutti i professori che aveva dietro. Poi li salutò e li lasciò alle proprie mansioni, e si avvicinò al tavolo, piazzandosi di fronte alla professoressa Reale, ignorando completamente Alessandro. Ammiccò e disse con voce suadente: "Salve, cara."
"Buongiorno, Umberto." rispose lei fissandosi distrattamente le unghie.
"Vieni stasera alla cena, allora?"
"Mah... Non so... Ci penserò." rispose lei con aria poco interessata.
"Dai, una bella cena tra colleghi, non puoi mancare."
La professoressa appoggiò i gomiti sul tavolo e staccò la schiena dallo schienale. "Ci penserò, Umberto." ripeté lei con fermezza guardandolo negli occhi senza battere ciglio.
Non avendo ricevuto la risposta che si aspettava, l'espressione di Mancini si gelò appena per un attimo, ma il professore non fece una piega e, con il suo imperturbabile sorriso, si rivolse invece ad Alessandro, comportandosi come se si fosse accorto di lui solo in quel momento.
"Oh!" disse allargando le braccia. "Ma lei è il nuovo professore! Che piacere! Felice di conoscerla, sono Umberto Mancini, professore di fisica." e gli porse la mano. Alessandro si alzò e la strinse educatamente, senza troppa convinzione, ricevendo in cambio una stretta vigorosa. "Ascolti, stiamo organizzando una cena tra colleghi questa sera, nel pub vicino alla scuola. Provi un po' lei a convincere questa signorina. Ah, e, se vuole, può venire anche lei, naturalmente."
"Oh..." disse flebilmente Alessandro "Grazie, ma non credo ci sarò..."
"Oh, d'accordo, non importa, sarà per un'altra volta." lo interruppe Mancini, con aria sbrigativa. Poi, rivolgendo lo sguardo alla professoressa, le puntò scherzosamente un dito contro e disse: "Mi prometti che ci pensi? Pensaci sul serio, mi raccomando. Ci conto. Ci vediamo stasera, eh? " e se ne andò.
"Pff." fece la professoressa Reale quando Mancini si fu allontanato. "Che sfrontato."
Alessandro, che era rimasto in piedi, tornò a sedersi.
"Ci credi che è rimasto scapolo? Non che nessuna ci abbia provato, anzi, ma lui le ha respinte tutte. Non è fatto per la vita matrimoniale. Alcuni dicono che una volta è stato spostato, ma ha divorziato dopo qualche anno. Non so, non ne so molto, a lui piace tenere la questione in un alone di mistero, forse crede che gli conferisca del fascino..." e sottolineò l'ultima parola con un certo disappunto, misto a noia e a un po' di disprezzo.
Lui strinse istintivamente il pugno sinistro e si sentì serrare l'anulare dalla sua fede. Si tranquillizzò nel sentire che era ancora lì.
Lei sbuffò. Poi si voltò verso Alessandro e gli chiese: "Tu ci vai?"
"Io? Oh... No, no, non fa per me..."
Lei sbuffò nuovamente. Poi disse con aria stanca: "Io devo andarci per forza. Sai, il lavoro ha tutta una serie di implicazioni non scritte che portano a certi obblighi. E mi tocca andarci."
Sospirò. "Mi accompagneresti?"
"Come?"
"Non posso andarci da sola, non ne posso più dei suoi flirt. Sono anni che cerca di rimorchiarmi. È un quarantatreenne scapolo, è senza speranza. Ma magari se mi vede con qualcun'altro, si dà una regolata."
Alessandro esitò.
"Per favore. Non sai quanto te ne sarei grata. È importante. Mi saresti di grande aiuto."
"D'accordo..." disse lui, non molto convinto.
"Grazie. Grazie davvero. Lo apprezzo molto. Tieni," disse alzandosi in piedi e tirando fuori dalla sua valigetta un biglietto da visita. "questo è il mio numero. Chiamami per i dettagli. Ci mettiamo d'accordo. Adesso devo andare. A dopo. E grazie."
Alessandro, alquanto disorientato, la guardò uscire, immobile sulla sua sedia, senza sapere esattamente che fare. Poi guardò l'orologio e si accorse che erano già le 10:08, e si affrettò verso la classe in cui aveva lezione, con la sua fedele valigetta in mano.

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