19. Conoscenze

buona sera!

come va? spero bene.

sono quasi 20 capitoli... wow...

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Mi svegliai in preda a un attacco di panico.

Il mio cuore batteva fortissimo e avevo la gola secca.

Passai la lingua sulle labbra, ma le trovai bagnate da un liquido caldo e ferroso.

Mi strofinai gli occhi con le dita e mi abbandonai all'indietro. 

Fissavo il soffitto illuminato dai primi raggi di sole, almeno credevo.

Mi allungai per prendere il cellulare per vedere che ore fossero e mi accorsi che erano solamente le tre di notte.

Chiusi gli occhi convinta di star entrando nei sei mesi di luce, ma li spalancai quando mi ricordai che i sei mesi di luce stavano finendo e che non mi trovavo più in Norvegia.

«Dritt.» sussurrai.

Spostai le coperte e mi alzai.

I piedi scalzi e caldi entrarono in collisione con il pavimento freddo e un piccolo brivido corse su per le mie gambe.

Infilai una felpa grigia gettata sulla poltrona accanto alla portafinestra e uscii per capire quale fosse la fonte di questa luce. Inoltre, ero consapevole del fatto che non sarei riuscita ad addormentarmi più.

Macchine sfrecciavano rapide per le strade movimentate di Manhattan.

Probabilmente erano i fari a proiettare quella luce, nonostante i metri di altezza.

Un vento gelido mi accarezzò il volto.

Chiusi gli occhi e tornai dentro rapidamente. Dopo dieci minuti, camminavo sul marciapiede innevato.

Presi la prima metro disponibile e mi accasciai su un sedile.

Nessuna meta, nessun avvertimento.

Solo io con la mia musica, come è sempre stato da quel giorno.

Arrivai al capolinea: Bronx.

Il mio istinto mi aveva guidato nel posto che avevo voluto come rifugio.

Camminare per quelle strade non era il massimo: uomini che dormivano sulle panchine, ubriachi che non si reggevano in piedi e così via.

«Lilith?» mi girai e incontrai gli occhi azzurri di Alec.

«Ciao...» sussurrai stringendomi nella mia felpa.

«Cosa ci fai qui?» mi chiese con un sopracciglio sollevato.

«Facevo un giro.» alzai le spalle e lui annuì incerto.

Iniziammo a camminare l'uno accanto all'altra senza dire una parola.

Solo quando ci fermammo di fronte a una casa a due piani dall'intonaco bianco che si stava sgretolando, compresi che mi aveva portato a casa sua.

«Ti va di entrare?» mi chiese un po' titubante.

Era stato nell'attico e i suoi pensieri erano sicuramente puntati a quello, ma non sono mai stata una che predilige lo sfarzo.

Annuii in risposta e lo seguii salire i cinque gradini in legno prima di entrare.

Aprì la porta e il tepore e lo scricchiolio del cammino mi diedero il benvenuto.

Chiusi la porta dietro di me e solo allora mi resi conto dei sette paia di occhi che mi stavano fissando.

Una ragazza più grande di noi, due ragazzi forse nostri coetanei, tre bambini e Alec.

«Come mai questo silenzio?» un ragazzo dalla carnagione molto scura, probabilmente coetaneo della ragazza, sbucò dalla porta che si trovava in fondo alla stanza.

Anche lui si bloccò quando mi vide.

Era petto nudo e indossava solo un paio di boxer bianchi.

«Alec, chi è?» chiese la ragazza che aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, era sicuramente la sorella di Alec.

«Una mia amica.» mi sentii sprofondare quando compresi in che modo mi aveva chiamato.

«Non l'hai mai portata a casa, chi è?».

La ragazzina, di forse tredici anni, strillò.

«O mio dio! Tu sei Lilith Morningstar, la figlia di quello stilista!» spalancai gli occhi e così fecero tutti gli altri.

«Fuori di qui!» gridò il ragazzo in mutande.

Arretrai e mi scontrai con la porta che cigolò leggermente.

«Jacky!» lo ammonì la ragazza.

«Non abbiamo bisogno della sua carità!» rispose a tono lui.

«Non è qui per carità, è mia amica.» rispose calmo Alec con lo sguardo fisso in quello di lui.

«Gli amici di Alec sono i benvenuti, sempre.» marcò l'ultima parola la bionda fissando il suo ragazzo.
«Piacere io sono Veronica, sorella maggiore di Christian, Jenny, Mickey, David e Alec. Lei è Sissi, mia figlia.» ogni volta che pronunciava un nome una mano si alzava.

Avevano capelli castani o biondi, tranne Sissi che aveva circa due anni ed era mulatta e mora.

«Lilith.» sussurrai.

Jenny gridò, di nuovo, e mi corse incontro per poi lanciarsi su di me. Mi abbracciò fortissimo e io mi trattenni a stento dallo scaraventarla per terra.

Posai le mie mani scarne sulle sue braccia e cercai di allentare la presa, ma lei strinse più forte.

«Jenny, basta.» Veronica la sgridò e, subito, venni liberata.

«Dov'eri Alec? Sono le quattro di notte! Avevamo attuato la procedura di ricerca!» alzò il tono di voce la sorella maggiore.

«In giro.» alzò lui le spalle non curante.

Veronica sospirò prima di rivolgersi a me: «Posso offrirti qualcosa? Una cioccolata calda?» si alzò dal divano e cercò di sistemarsi al meglio.

«Un bicchiere d'acqua sarà sufficiente.» annuii per rafforzare il mio rifiuto implicito al cioccolato.

«So che non è come mangiare o bere le vostre cose di alta qualità, ma non mangiamo merda.» si indispettì e la sua brutale sfacciataggine mi piacque così tanto che mi scappò una risata.

Alec si girò di scatto verso di me con gli occhi spalancati.

Mi ricomposi subito. «E' solo che non mi piace il cioccolato.»

«Sei strana forte tu. A tutti piace il cioccolato.» disse Mickey e staccò la testa al peluche di Sissi, che scoppiò a piangere.

«Mickey! È la quarta volta che lo ricucio!» gridò Jenny.

Christian e David non avevano aperto bocca, ma si limitavano a stare in piedi e a fissarmi.

Nel frattempo, Jacky era andato a infilarsi dei pantaloni verde militare.

«Come hai conosciuto Alec?» mi chiese Veronica, mentre mi passava un bicchiere d'acqua.

«Passeggiavo vicino alla metro e lui e i suoi amici mi hanno fermata. Sono scappata, ma mi hanno invitata a una partita di basket. Ed eccomi qua.»

«Spero di non risultarti sfacciata, ma... cosa faceva una ragazza di Manhattan nel Bronx?» sorrisi tristemente.

«Non sono di Manhattan. O meglio, ci abito e basta, io sono di Oslo.»

Jacky fece cadere il bicchiere di birra terra. «Cazzo!» mi piegai ad aiutare Veronica.

«Vivi, faccio io.» le prese le mani il ragazzo con delicatezza.

Mi si strinse il cuore, anche mio padre lo faceva con mia madre.

«Veronica.» la chiamai dopo essermi alzata. Mi guardò confusa. «Siete tutti invitati a casa mia la sera della vigilia. Spero di vedervi, devo andare.» scattai verso la porta e iniziai a correre.

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allora....

famiglia di Alec!!!

ammetto di essermi ispirata un pochetto a shameless per idearla, ma spero non vi dispiaccia.

niente Hudson:')

a presto!!

ig/tiktok: _murderstories

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