18. Accettazioni

buon lunedì miei lettori!

come avete passato Halloween? raccontatemi che sono curiosa!!

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Mangiai la colazione in silenzio, senza obbiettare più nulla. 

Mi alzai solo quando Cassandra mi diede il permesso, ovvero solo quando Flint ebbe finito. 

Mio padre era volato via, lasciandomi nel più totale disordine. 

Quando tornai in camera, mi cambiai. 

Jaxon e Flint sarebbero andati a scuola, mentre io e Hudson avremmo studiato tutto il giorno. 

Indossai una felpa oversize nera e pantaloncini da basket. Raccolsi i capelli in una coda alta e lasciai fuori alcuni ciuffetti. Lucifer mi aspettava sul letto, ma io mi sedetti alla scrivania, aprii il portatile e il quaderno a spirale di filosofia. 

Presi il libro della stessa materia e aprii la pagina di Kant. Pensieri su pensieri, frasi su frasi e dopo mezz'ora avevo la testa che scoppiava. 

Sbuffai e, dopo essermi massaggiata gli occhi con i palmi, scesi giù.

Trovai Cassandra intenta a sistemare delle rose bianche in un vaso di cristallo, tutto era troppo bianco in questa casa. Tutto a eccezione della mia camera e dello studio di mio padre, che aveva mantenuto lo stile che avevamo in Norvegia. 

«Cassandra.» la chiamai senza guardarla. 

«Di cosa hai bisogno, Lily?»

Che tu non mi chiamassi in questo modo, ma non lo dissi. 

«Hai aiutato mio padre a decidere l'arredamento per la casa, non è così?» continuai a guardare dritto davanti a me. 

«Sì, ma la tua camera e lo studio ha voluto fare da solo.» proseguì con un pizzico di fastidio nella voce. 

Senza dire nulla andai in cucina.

Mi versai dell'acqua fredda in un bicchiere e ci versai del succo di limone appena tagliato. Con una fetta dell'agrume fra i denti e il bicchiere in mano, tornai in stanza. 

Il succo acido mi piaceva e finii per mangiarmi anche la parte bianca, sin da bambina lo mangiavo in questo modo e presumo sia una delle abitudini che non si dimenticano. 

Buttai la buccia nel cestino e poggiai il bicchiere sulla scrivania. Dal secondo cassetto del comodino tirai fuori i miei occhiali. Tondi, ma leggermente schiacciati e dalla montatura in metallo nero. 

«Gli occhiali ti danno un'aria da intelligente.»

«Io sono intelligente, Hudson caro.» risposi voltandomi verso di lui.

«Da cosa cominciamo?» chiese buttandosi sul letto. 

«Storia.» ghignai, mentre lui mi guardava con gli occhi spalancati.

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«Chi era Napoleone Bonaparte? Forza Hudson è la quinta volta che lo ripeto!» stavo impazzendo. 

Il cervello umano è programmato per ricordare, ma lui pareva non riuscire a farlo funzionare o, per lo meno, se ne rifiutava. 

Mi guardò come fanno i bambini dopo aver rotto qualcosa di importante e sperano di non farsi scoprire dalla propria mamma. 

«D'accordo, va bene.» sospirai e finii l'ultimo sorso di acqua che avevo. «Sono le undici e mezza, facciamo una pausa. Ne ho bisogno.» mi tolsi gli occhiali e mi massaggiai il volto. 

«Sì... anch'io.» sussurrò, mentre si allungava sul mio letto.

 «Sì, come no.» dissi alzando gli occhi al cielo. 

«Hey! Io sono stanco tanto quanto te.» si mise seduto di scatto e mi puntò l'indice destro contro. 

«Mmm.» mi alzai e scesi in cucina con lui che mi seguiva.

Rifeci la mia bevanda e la misi in frigo. 

«Allora, quando hai il compito di biologia?» chiesi. 

«Venerdì.»

«Sai... è strano che tu abbia matematica e fisica con voti perfetti, ma biologia e chimica no. Insomma, sono materie scientifiche.» presi il bicchiere dal frigo. 

«Fino all'anno scorso andavo bene. Non so cosa sia cambiato.» alzò le spalle. 

«Trauma? Mollato da qualcuno? Hai scoperto di essere gay mentre ti facevi di anfetamine?» chiesi salendo le scale. 

«Gay? Cazzo no!»

«Oh beh, tutto è possibile.» aprii la porta della camera e mi sedetti alla scrivania. 

«Forza gay represso, dimmi chi era Napoleone Bonaparte.»

«Era un generale francese che... aspetta! Io non sono un gay represso!»

«Certo, allora un generale francese che?» proseguii con nonchalance. 

«Lilith, non voglio fare storia! E non sono un gay repre-» lo fermai subito. «Non mi interessa cosa vuoi o cosa sei, dimmi cosa ha fatto questo generale!» 

«Fondò il primo impero francese?» annuii e lui mi guardò soddisfatto.

Passammo così altre due ore, per poi scendere a pranzo. Mangiammo un risotto ai funghi, erano tornati anche i ragazzi. La scuola era stata chiusa a causa della disinfestazione annuale. Mio padre era rimasto a lavoro. 

«Lily, questo pomeriggio andiamo un po' in giro tra donne. Parrucchiere, estetista, manicure e pedicure. E infine un po' di sano shopping!» esclamò entusiasta la mia matrigna. 

«Okay.» forzai un sorriso. 

«Grandioso! Andiamo a scegliere il tuo outfit! Scusateci ragazzi, ma è un evento raro.» sembrava realmente contenta, ma non riuscivo a non pensare al fatto che facesse tutto per i suoi scopi.

«Non ho buttato la tua foto, tieni.» me la consegnò una volta entrata in camera, mi sorprese molto il suo gesto, ma la ringraziai e infilai la foto in un libro che stavo leggendo; il secondo della saga fantasy de La corte di rose e spine. Ho sempre apprezzato le protagoniste forti e che non si fanno mettere i piedi in testa, come Katniss Everdeen nella saga di Hunger Games.

«Direi di indossare un jeans skinny nero, una camicetta dalle maniche svasate rosa cipria e sopra un blazer nero. Per le scarpe vedremo. Truccati in modo consono, Lily. Non voglio nulla di pesante.» la mia schiena – sempre molto dritta e rigida – si afflosciò, ma le diedi retta. 

Per questo, uscii con un filo di eyeliner nero e un po' di mascara sugli occhi e le labbra impiastricciate da un gloss pieno di brillantini. Mi fece indossare i miei stivaletti neri con un tacco spesso, ma mi obbligò a mettere una cinta.

L'aria non era freddissima, almeno non per una come me abituata a temperature sottozero. 

I tacchi erano comodi e i jeans non mi davano particolarmente fastidio, mi piaceva sentirmi coperta, anche se troppo aderente. 

Il vero problema era rappresentato dalla camicetta. Quando eravamo all'aperto sarebbe stato facile coprila, ma all'interno avrei potuto fare ben poco. 

Un centro di estetica fu la nostra prima tappa. 

L'intero salone si basava sui toni del bianco e rosa pastello, qua e là vi erano tocchi di azzurro confetto. 

La donna, sulla cinquantina, ci fece accomodare su una sedia in pelle bianca – simile a quella dei dentisti – nella stessa stanza. I capelli dal colorito arancione tinto e gli occhi marroni dalla palpebra cadente, le conferivano un'area molto più anziana. 

«Loro sono Kira» indicò una giovane ragazza dai capelli biondissimi raccolti in uno chignon perfetto e con gli occhi marroni «e Ginny, saranno le ragazze che vi seguiranno per tutto il trattamento.» ci sorrise e, con un ticchettio di tacchi, uscì chiudendo la porta. Ginny aveva i capelli castani e grandissimi occhi verdi, era una ragazza molto bella. «Avevate prenotato per manicure e pedicure, giusto?» chiese la bionda con tono zuccheroso. 

«E un massaggio, Lily deve sciogliere i nervi.» la informò Cassandra. 

Non sapevo di quale massaggio stesse parlando, ma soprattutto quella che doveva sciogliere i nervi era lei. 

«Cassandra non faccio nessun massaggio.» dissi poco dopo. 

Kira aveva iniziato a tingermi le unghie di rosa nude, ma a me piaceva il nero e avrei voluto così tanto dirglielo. 

Rimasi zitta. 

Mio padre aveva ragione, serviva per l'immagine e, se non mia, almeno la sua. Non poteva avere una figlia ribelle, perciò l'unica cosa da fare è adattarsi, che è diverso dal cambiare se stessi.

Adattarsi significa camuffare ciò che si è per far contenti gli altri. Cambiare se stessi è diventare un'altra persona, almeno per un po', perché non ci si potrà mai cambiare radicalmente.

«Lily, non ribattere!» sgranò gli occhi quando comprese di aver alzato di troppo la voce, così cerco subito di rimediare: «Lo faccio per la tua sanità mentale, la scuola ti distrugge.» forzò un sorriso. 

Non ricambiai.

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Feci quel massaggio, ma avevo i nervi più tesi di una corda di violino. 

Rimanere in intimo di fronte a delle sconosciute mi aveva resa nervosa. Inoltre, Cassandra non perse tempo a commentare quanto il mio fisico era troppo magro e scheletrico, ma allo stesso tempo grasso. 

Cosa intendeva? Non saprei dirlo, ma il dolore che mi procurò quella sua affermazione rimase inciso nella mia mente per giorni.

Cambiai taglio ai miei capelli. Da sotto le spalle li feci arrivare a sfiorarle. Le ciocche non avevano tutte la stessa lunghezza poiché avevo fatto realizzare una scalatura per tutto il capo. 

Ero consapevole che presto li avrei riavuti come prima, ma mi piacevano moltissimo. Per quanto riguarda lo shopping, beh, mi fece comprare gonne e camicette tutto di molti colori e una quantità di scarpe esagerate. Dalle ballerine a sandali con tacchi vertiginosi. 

Tornammo a casa la sera e trovammo i ragazzi e mio padre di fronte alla TV a vedere una qualche partita di football. 

«Lily, ti sei divertita?» mi chiese l'uomo con sguardo speranzoso, ma risposi con un freddo e distaccato, mentendo e poi salendo le scale rapidamente. 

Gettai tutte le buste a terra e uscii in terrazza. 

Il vento che tirava non era freddo, ma piccoli fiocchi di neve scendevano lentamente dal cielo nuvoloso. 

Appoggiai le mani alla gelida ringhiera in ferro e la strinsi con tutte le mie forze. 

«Perché sei andata via?» sussurrai al cielo con un pizzico di inclinazione nella voce.

«Dovevi rimanere. Lo avevi promesso, mi avevi detto che saresti rimasta.» una singola lacrima uscì dal mio occhio sinistro e percorse lentamente tutta la guancia per poi giungere all'angolo delle mia bocca e bagnarmi le labbra di acqua salata. 

«Non dovevi andar via. Sei stata egoista, ora lui ama un'altra e io sto soffrendo.» inspirai forte dal naso ed espirai lentamente dalla bocca. 

«E' inutile parlare sul latte versato, piccola Lily. Ha scelto una vita migliore. Tutti la sceglierebbero piuttosto che stare una persona scorbutica, fredda e insensibile come te.» la voce divertita di Hudson ruppe il silenzio lasciato dalle mie parole. 

Asciugai nervosamente la lacrima e mi girai verso di lui priva di ogni emozione. 

«Parli di me o di te, Hudson?» il suo sorrisino vacillò per un attimo. 

Non rispose e allora sorrisi sarcasticamente. 

«Come pensavo. Non parlare degli altri quanto tu stesso sei questa persona. Aggredire gli altri per sentirsi meno sbagliati non ti aiuterà. Credimi, peggiorerai solamente le cose.» parlai per esperienza. 

«E scommetto che tu parli perché sai bene cosa si prova, non è vero Lily

Seconda volta. Fu la seconda volta che lo sentii usare quel soprannome.

«Sì, lo so. E penso che lo sappia anche tu.» 

Ci fissammo per un tempo indeterminato, prima che lui decise di andarsene lasciandomi nel silenzio sotto la neve con solo i miei pensieri a fare rumore.

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come vi è sembrato questo capitolo?

avete compreso il pensiero di Lilith sul cambiare se stessi e sapersi adattare?

che pensate di Hudson invece?

buon pomeriggio!! <3

ig e tiktok: _murderstories

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