10. Nessuno ti ha chiesto di venire
Il silenzio era calato subito dopo.
Mangiavo, ma non avevo fame.
Hudson mi lanciava delle occhiatine e poi guardava il piatto, come ad accettarsi che stessi mangiando.
O forse stava semplicemente pensando a quanto fossi lenta.
Avevo finito le patatine dopo venti minuti e il panino aveva solo un morso.
Del resto, però, la bottiglia di birra era completamente svuotata. Hudson aveva ordinato una porzione di anelli di cipolla e una di alette di pollo con tanta di salsa adatta.
«Vuoi?» Mi allungò un'aletta intinta in una salsina dall'odore eccezionale, ma che non avevo alcuna intenzione di toccare.
«No, sto bene così.» Diedi il secondo morso al panino ormai freddo e insipido.
Stavo per addentare ancora il cibo che avevo tra le mie lunghe e sottili dita, quando mi ritrovai la polpa calda e succosa con tanto di salsina di un'aletta piccante. Alzai lo sguardo su quello compiaciuto del ragazzo.
Un sorrisino nacque sulle mie labbra quando sentii quello inferiore sporco.
Posai il panino nel cestino che lo conteneva.
E, con il pollice destro, rimossi la salsa in modo da spostarlo leggermente verso sinistra.
I suoi occhi neri si posarono sulle mie labbra che assaporavano il sapore affumicato e piccante dalla pelle.
Deglutì visibilmente, prima di tornare a mangiare il suo anello di cipolla intinto in una salsina biancognola e ricca di piccoli semi neri.
Il telefono vibrò per indicare l'arrivo di un messaggio. Lo sfilai e sperai che non fosse mio padre.
Kevin: Partita di basket dopo cena? 8.35pm
Lilith: Arrivo. Il tempo di cenare. 8.35pm
Non attesi risposta e riposi di nuovo l'oggetto elettronico nella tasca dei pantaloni.
«Dove si trova la metro più vicina?» Chiesi dopo essermi pulita le mani e avergli strappato dalle mani un'aletta. Erano più buone di quanto mi aspettassi e ne desideravo un ultimo morso.
«Perché? Ti riporto io a casa.» Alzò un sopracciglio.
«Dimmelo.»
«A sinistra non appena esci.» Il suo sguardo era confuso.
Annuii.
Avevo pagato la mia parte e, con ancora l'ossetto in mano, mi diressi verso la metro.
Sfilai dalla tasca sinistra dei pantaloni il pacchetto di Marlboro e l'accendino, che avevo decorato con piccoli ghirigori rossi e bianchi.
Il fumo mi invase la bocca, per poi lasciarla e dispersi nell'aria in piccole nuvolette grigiastre.
Camminavo a passo svelto con una cuffietta nell'orecchio destro e la sigaretta tra le labbra tinte di marrone.
Una mano mi sfilò via la mia fonte di relax. Mi girai pronta a inveire contro a quell'anonima persona, ma mi ritrovai di fronte Hudson.
«Non fumare senza di me.» Dalle sue labbra fuoriuscì una leggera nuvola di fumo.
Era dannatamente sexy.
«Che vuoi?» Mi ripresi la sigaretta.
«Sai, stavo pensando.»
Lo interruppi. «Non pensavo ne fossi capace, mi stupisci.»
«Simpatica.» Alzò gli occhi al cielo. «So come rendere la scommessa più... piccante.» Si era piegato per arrivare alla mia altezza.
Mi abbassò il cappuccio e il suo fiato caldo riscaldava la pelle del mio orecchio sinistro, creando piccoli brividi.
«Come?» Sussurrai appena.
«Dovremmo passare molto tempo insieme. Questo significa che staremo tutti i giorni insieme, tranne quando abbiamo impegni privati.» Si interruppe, lasciando fuoriuscire dalle sue labbra del fiato caldo. «Sarà più divertente vederti resistermi.» Mi spostò i capelli dietro l'orecchio e ne leccò la punta gelida.
«Fai schifo.» Con la manica della felpa a metà palmo, ripulii ciò che lui aveva bagnato.
«Accetti o hai paura?»
Avrei accettato di certo, ma sapevo che era giunto a questa conclusione solo perché non gli avevo detto dove sarei andata.
O almeno lo presumevo.
Hudson medita sulle cose, ma lo nasconde.
Hai trovato qualcuno che ti comprende, bello. Pensai, mentre ghignavo mentalmente.
«Accetto.»
Rialzai il morbido tessuto nero e tornai a camminare. I suoi passi mi seguivano pesanti e decisi. Scesi le scale con rapidità. La prossima metro sarebbe passata tra soli due minuti e il binario era lontano.
Finiti i gradini, mi ritrovai davanti a uno spiazzale.
Vari corridoi e binari mi si stagliavano davanti. Passai in rassegna tutti quei numerini colorati.
Cinque.
Le mie gambe iniziarono a muoversi rapidamente, finché non mi ritrovai a correre. La mano destra tirava un lembo del cappuccio per non farlo cadere e la sinistra era chiusa a pugno. Ci voleva un'ora e una decina di minuti per raggiungere il Bronx e non sapevo quando sarebbe passata la prossima.
Eravamo arrivati al binario, ma le porte si stavano per chiudere.
Hudson mi guardò e, rapidamente, mi prese la mano sinistra iniziando a correre più veloce di quanto io potessi reggere.
Si infilò all'ultimo secondo tra le due lastre di acciaio, portando me dietro.
Quando si fermò, il mio naso si schiantò contro la sua schiena. Grugnii infastidita e con la mano massaggiai il punto dolorante.
«Mi spieghi perché cazzo volevi prendere questa metro per...» Alzò lo sguardo per leggere le varie fermate. «Per il Bronx!? Che cazzo devi farci lì!?» Disse con occhi spalancati e ancora più scuri.
«Gioco a basket.» Alzai le spalle e con gli occhi cercai un posto vuoto in cui potermi sedere.
«Giochi a basket? sinceramente, potevi trovare una scusa migliore e poi io ho lasciato la mia moto a Brooklyn.» Aveva il respiro pesante che gli faceva alzare e abbassare il petto ritmicamente.
«Ehi, bello, nessuno ti ha chiesto di venire.» Mi stravaccai meglio sul sedile dal colore pastello.
«La scommessa ha anche questa come regola.» Mi si sedette accanto.
«Certo, perché fatta semplicemente con lo scopo di saziare la tua curiosità.» Le guance erano arrossate dalla sfiancante corsa, ma si leggeva un pizzico di imbarazzo nei suoi occhi.
«Qualunque fosse il motivo, ora è presente questa regola e va rispettata.» Riassunse il solito sguardo freddo e tagliente.
Chiusi gli occhi e portai la testa alla vetrata fredda. Portai all'orecchio la seconda cuffietta per godermi appieno uno dei tanti bei brani realizzati dagli Artic Monkeys. Il dolce movimento della metro mi rilassò.
«Lilith, svegliati.» Qualcuno mi scuoteva la spalla.
Grugnii e spostai con uno strattono quella grande mano dalla presa ferrea. Aprii gli occhi prima di incontrare quelli neri di Hudson che, oltretutto, mi guardavano stupiti.
«Ma certo, trattiamo male colui che ti ha impedito di ritornare a Brooklyn.» Disse con voce roca.
Ghignai. «Non conosci il Bronx, per questo mi hai svegliata. Ammettilo.» Il mio gomito esile e spigoloso lo pungolò sul fianco sinistro.
Lo scansò malamente e riporto la mano nella tasca dei jeans neri sdruciti.
Era molto bello.
I capelli scompigliati gli ricadevano davanti agli occhi dalle lunghe ciglia scure. Le labbra piene erano arrossate data l'insistenza con la quale le mordicchiava. Gli zigomi alti e lievemente arrossati dal vento che ci aveva invaso il volto una volta usciti dalla struttura un po' cadente.
Soffice neve aveva preso a scivolare giù dal cielo scuro come le piccole piume d'oca cadono dai cuscini quando i bambini giocano alla classica battaglia di cuscinate ai pigiama party.
Inviai un messaggio ad Alec, prima di intraprendere la strada presa da Kevin la volta scorsa.
Il mio telefono prese a vibrare e sul display apparve il nome di Oliver.
Trascinai il cerchietto verde verso sinistra, prima di staccare le cuffie e portarmi il dispositivo accanto all'orecchio destro.
«Dimmi.»
«Ciao, Lilith! Come va? Lunedì in prima ora abbiamo la stessa materia, mi chiedevo se ti andasse di vederci domani per svolgere i compiti che ci sono stati assegnati.» Aveva un modo di parlare molto insolito, ma questa era una bella caratteristica.
«Li ho già fatti. Sarà per la prossima.» Non so cosa mi volesse rispondere, perché staccai prima ancora di sentirlo pronunciare una sillaba.
«Lilith! Stai in squadra con Liam!» Alzai la testa quando il grido di Kevin raggiunse le mie orecchie.
«Non ci pensare minimamente!» Ribattei posando il telefono in tasca e aumentando il passo.
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scusate il tempo di attesa:/
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alla prossima!
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