Capitolo 15

Quel pensiero insistente non voleva andarsene. Non lo fece quando si vegliò la mattina presto e fissò con aria assente fuori la finestra prima di ricordarsi dove fosse. Non lo fece quando si sedette a leggere un libro, trovandosi così incapace di concentrarsi che lesse lo stesso paragrafo altre sette volte. Non lo fece quando si alzò e riempì il bollitore d'acqua per farsi del tè.

E se fosse il destino?

John non credeva a quest'idea dagli anni sessanta, quando era andato nella sua fase mistica e era andato persino in India per trovare, presumibilmente, il proprio io interiore. E da lì veniva tutto il "there's nowhere you can be that isn't where you're meant to be" (non puoi essere in nessun posto che non sia dove devi essere), e John non era sicuro di cosa pensare.

Gli ritornò in mente il messaggio dell'indovina Zafora dopo tanto tempo. Aveva predetto che qualcosa di terribile sarebbe successo nel dicembre 1980. John ebbe un brivido al collo e versò l'acqua sul pavimento della cucina per una leggera scossa della mano.

"E se fosse il destino?"

"Cosa?"

Paul non stava prestando la giusta attenzione, e adesso rivolse i suoi occhi stanchi e assonnati verso John.

"E se fosse il destino", ripetè John, scompigliandosi i capelli con entrambe le mani mentre teneva lo sguardo fisso su Paul.

"Cosa... il tipo pazzo che ha provato ad ucciderci?" chiese Paul, accostandosi al vero messaggio di John. "Non puoi essere serio. Non è autorizzato a ucciderci a causa del destino o -"

"Non autorizzato, ma tenuto a farlo", disse John con un filo di voce, fissando un po' alla destra di Paul con la mente, ovviamente, da un'altra parte.

Paul sentì qualcosa come terrore assoluto passare su di lui come una doccia gelata. John era sempre stato imprevedibile, ma adesso aveva superato il limite. Paul cercò freneticamente un modo per farlo tornare in sè.

"No, John, è assurdo. Voglio dire, il destino dice che dobbiamo morire tutti e due? N-Non ha senso. Usciremo da questa situazione".

"Penso che fosse solo il mio destino all'inizio", rimuginò John, ancora apparentemente scosso. "Tu eri sempre in mezzo - in mezzo al corso del destino. E adesso non si fermerà".

"No", disse fermamente Paul, e allungò il braccio sano sopra l'angolo del tavolo per costringere la testa di John a girarsi, per costringere i suoi occhi a fermarsi su di lui e a concentrarsi di nuovo.

"Non è il destino. Zitto", disse Paul con autorità.

John non dissentì, ma non fu neanche d'accordo.

Scostò lentamente la mano di Paul dal mento, con pentimento apparente in volto.

***

La scatola era lì nell'armadio, anche se segretamente una parte di lui sperava che fosse scomparsa. Sarebbe stata una cosa breve e soprannaturale, ma da quando avevano sparato a Paul, la vita di John sembrava irreale, sembrava andare avanti come in un sogno.

Tirò fuori quel foglietto di carta, uno fra i tanti, e cercò di trovare una scappatoia nella predizione.

Non vivrai a lungo dopo i 40 anni - inevitabile tragedia - dicembre 1980.

Le parole erano dure e conclusive. Non c'era modo di fraintendere "inevitabile tragedia". John cercò di ricordare quando fosse andato da quella chiaroveggente, ma quel nome non risvegliò alcuna memoria. Era probabile che fosse fuori di testa per le droghe comunque.

Non aveva provato paura quando la sua morte era stata predetta senza mezzi termini? Come aveva potuto vivere tutto quel tempo senza la minima preoccupazione nei confronti della morte?

***

Il dolore cresceva, era arrivato a una sensazione serpeggiante e increspante, ogni fibra gridava pietà. "Do maggiore", ringhiò Paul mentre le sue dita si scossero violentemente nelle loro posizioni. Ci volle un'enorme quantità di forza muscolare per tenerle lì mentre pizzicava una semplice scala.

"Mi... Fa naturale", disse, la sua voce era poco più di un sussurro. Nella sua testa sentiva come avrebbero dovuto suonare, come avrebbero suonato in un concerto un mese prima, senza sforzi, quelle corde piene di vita e la musica sgorgava quasi suo malgrado.

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