CHAPTER 41
Dylan era seduto sul divano a controllare l'orologio appeso al muro della cucina, che si vedeva perfettamente dalla sua posizione. Da quando Kim gli aveva comunicato il giorno prima che Sebastian era riuscito a convincere Alyson a parlargli, non aveva neanche dormito quella notte. Si alzò in piedi cominciando a fare avanti e indietro per il soggiorno davanti al divano. Kim era andata a casa del suo ragazzo per stare con lui, mentre l'angelo sarebbe rimasto solo con la mora per potergli parlare. Aveva una mezza idea di cose dirle, ma sapeva che avrebbe dovuto raccontarle ciò che gli faceva più male, o non ce l'avrebbe fatta a farsi perdonare in qualche modo.
Sussultò quando qualcuno suonò il campanello, dirigendosi frettolosamente verso la porta per aprire.
"Alyson." Sussurrò non appena la vide sulla soglia. Era impacchettata in un giubotto pesante, indossava una sciarpa, un cappello e dei guanti di lana e si abbracciava per cercare di fermare il freddo.
"Entra, per favore." La ragazza non esitò all'invito, dato che, notò Dylan, aveva iniziato a nevicare.
Quando si fu spogliata di di tutto quanto, Alyson si girò verso di lui e lo guardò per un secondo, dopodichè abbassò lo sguardo. Il naso era diventato di un rosso intenso, mentre il resto della pelle era di un bianco quasi luminoso; si stringeva un braccio per il nervoso.
"Vuoi sederti?" Chiese gentilmente Dylan, indicandole il divano con un gesto. Lei prima lo guardò e dopo annuì, sedendovi. Non disse una parola.
Lui si accomodò poco distante da lei, giusto per non farla scappare.
"Senti Alyson, so che ti ha fatto male vedere quella scena l'altro giorno." Cominciò lui, soppesando le parole da dire e aprendo e chiudendo la bocca quando decideva che era meglio non esprimere ad alta voce la frase pensata. "Voglio rimediare, e ho intenzione di dirti ciò che non ho detto a nessun altro, nemmeno a Kim."
La ragazza alzò finalmente lo sguardo, trasmettendo con il semplice utilizzo degli occhi la tristezza e l'amarezza che si stava portando dentro; ma l'angelo colse al volo il luccichio che vide brillare nei suoi occhi, si trattò di un secondo, avrebbe potuto esserselo immaginato, ma avrebbe giurato di aver scorto quel brilluccichio di attenzione.
"Vieni di là con me." Le offrì la mano, alzandosi dal divano; lei non l'accettò, ma si mise in piedi ed aspettò solamente di seguirlo dove voleva andare. Sentì una fitta al cuore a causa di quel rifiuto, ma si incamminò lo stesso verso la camera da letto di Kim, sentendo le gambe molli come gelatina ad ogni passo. Quando entrarono, vide sul viso di Alyson un'espressione sorpresa ed interrogativa allo stesso tempo, dato che di sicuro non capiva come mai l'avesse portata là.
"Ti conviene sederti," le consigliò Dylan, prendendo in mano la foto incorniciata sul comodino e mettendola in mani sue una volta che ebbe ascoltato il consiglio. "perchè sarà una storia abbastanza dura. Almeno per me." Si allontanò di qualche passo, guardando il muro di fronte a sè, lo sguardo perso; e lì cominciò il suo racconto: "Teresa Blake era una donna stupenda, me la ricordo come se fosse ancora qua con me. Ci siamo conosciuti per caso: lei stava lavorando ad un bar per racimolare qualche soldo, mentre io stavo cercando una nuova preda. O vittima." Si sedette sulla sedia della scrivania di fronte al letto dov'era seduta Alyson. "La vidi e subito sentii il mio cuore battere all'impazzata, non so che mi stava capitando, ma quando i nostri sguardi si incontrarono e lei mi sorrise timididamente, non ci capii più niente." Si passò una mano tra i capelli frustato, asciugandosi gli occhi quando li sentì pizziacare. "Cominciammo ad uscire e, dopo un paio di appuntamenti, lei rimase incinta di Kim. Teresa aveva solo sedic'anni, ma decise di tenere la bambina ed io, stranamente dalle volte precedenti, feci qualcosa che non avevo mai fatto: rimanetti con lei." Dylan fece un respiro profondo, portando la testa indietro e fissando lo sguardo sul soffitto. "I suoi genitori la ripudiarono, non accettavano il fatto che la loro piccola ed innocente bambina fosse rimasta incinta a quell'età; per questo l'accolsi con me nel piccolo appartamento che possedevo: mi serviva solo per portare a letto le altre ragazze." Chiuse gli occhi e gli strizzò un paio di volte mentre parlava, cercando di scacciare le lacrime. Il momento peggiore stava per giungere. "Kim fu la prima, vivemmo insieme a lungo. Io stavo diventando sempre più umano, trascuravo i miei doveri da angelo, ma non mi importava nient'altro che e lei e Kim. Dopo circa dieci anni dalla nascita di Kim, ci riprovammo e Teresa rimase incinta di nuovo; ma il problema era dietro l'angolo." Aprì gli occhi e lasciò andare le lacrime: scivolarono dall'angolo dell'occhio alla tempia, fino a finire copiose nell'orecchio. "Cominciò ad accusare dei forti mal di pancia; all'inizio credemmo fosse il bambino, ma non era accaduto niente del genere durante la gravidanza di Kim, per questo facemmo degli esami apposta e lì sorse il problema: aveva un cancro alle ovaie." Dylan deglutí e poi tirò su con il naso, sentendo il dolore dei ricordi corroderlo da dentro. "Era fortunata però, perchè era ancora ai primi stadi; allora le diedero due opzioni: o faceva la terapia ed avrebbe perso il bambino, o poteva provarne una ancora in fase sperimentale, tenendo il bambino senza danneggiarlo. Lei non aveva intenzione di abortire, per questo scelse la seconda opzione, ma stava sacrificando la sua di vita, un pezzo alla volta." Ormai viveva in una specie di limbo, lo sguardo perso immerso nei ricordi. "Continuò la gravidanza con questa terapia sperimentale, ma non portò a nessun miglioramento. Il bambino nacque prematuro, dopo circa sei mesi di gravidanza. Ovviamente non ce la fece." Portò lo sguardo sulle sue mani in grembo, che in quel momento avevano cominciato a tremare, per questo le strinse forte a pugno. "Ne soffrimmo tutti parecchio, ma lei ne era uscita distrutta, non era più la stessa di prima. Provai a consolarla, feci di tutto, ma il cancro la consumò lentamente, portandosela via definitivamente un anno dopo la nascita prematura del piccolo. Ormai la vera e propria terapia era inutile, doveva farla appena scoperto il tumore; ma lei aveva deciso di dare una speranza ad un bambino probabilmente già segnato. Aveva voluto dare una speranza di vita a suo figlio." Guardò la corince che teneva in mano Alyson e la indicò. "Quando ormai aveva capito che la malattia stava vincendo, mi ha chiesto di regalare quella foto a Kim per il suo sedicesimo compleanno, ma da quale codardo che sono, ho affidato il compito ai suoi nonni, ai quali l'avevo lasciata una volta morta Teresa."
"No, non è vero che sei un codardo." Finalmente Alyson parlò; aveva la voce roca e grutturale, ma riusciva lo stesso a farsi capire. Si alzò dal letto per inginocchiarsi di fronte a lui, stringendogli le mani a pugno e cercando il suo sguardo pieno di lacrime.
"Sì invece, avrei dovuto salvarla."
"Non si può salvare qualcuno che non vuole essere salvato." Ribattè con voce dolce, stringendogli un ginocchio, cercando di consolarlo.
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