CHAPTER 32

Ormai il giorno era arrivato, e il piano ideato da Elemiah era pronto ad essere messo in atto.
Dylan sarebbe dovuto essere sulla scena dell'incidente per le due, ma lui vi era andato con mezz'ora d'anticipo, per pensare.
Rifletté su tutto ciò che era successo, a partire da dodici anni prima ed arrivando a quel momento, nel quale lui stava aspettando Alyson per riuscire a fare pace.
Si continuava a tormentare con le stesse domande fin da quando Elemiah lo aveva riportato su quel luogo dopo due anni che non ci andava.
Dylan andò con la mente a quel fatidico tardo pomeriggio, pensando che, in fondo, aveva portato a qualcosa di buono, oltre a tutto il dolore. Se lui non avesse causato l'incidente d'auto lei non avrebbe perso i suoi genitori, però non sarebbe diventata la ragazza forte, dolce e comprensiva che era, ma molto probabilmente sarebbe stata molto timida e fin troppo protetta dalle persone che le stavano intorno, certo molto più felice non avendo subito il trauma, ma meno forte davanti agli ostacoli.
Se l'angelo non avesse continuato i suoi scherzi, lui non sarebbe stato gettato lì, sulla terra, e non avrebbe incontrato Alyson, facendolo sentire bene per la prima volta nella vita, quel calore che si propagava dal petto in tutto il corpo ogni qualvolta i loro sguardi si incontravano, anche per caso.
Insomma, la sua mente era piena di dubbi, la parola 'se' innaugurava qualsiasi frase gli si formasse in testa, controllando i vari fatti e le loro conseguenze, sia negative che positive.
Si ripromise in oltre di ringraziare Elemiah per tutto ciò che era accaduto, visto che gli aveva sempre dato una mano, non ritirandola mai, anche quando Dylan minacciava di trascinare entrambi in un baratro profondo.
Percepì un'improvvisa fitta al petto e allo stomaco, sentendo il bisogno di vomitare mentre un pensiero, che lo tormentava da tutta la notte antecedente, ritornava: e se non servisse a nulla? Insomma, e se Alyson decidesse che non era abbastanza per poter perdonare il ragazzo? Sentiva già cuore e anima spezzarsi all'unisono come un solo concerto di strumenti a fiato: una melodia struggente e leggera allo stesso tempo. Non sarebbe mai riuscito ad incastrare i vari pezzi tra loro in modo corretto, per poi riattacarli tra loro con dello scotch, cercando di riportarli allo stato originale.
E poi, non aveva proprio idea di come fare a sistemare tutto con la ragazza altrimenti: o andava bene quel piano o non avrebbe avuto più possibilità. Dal perdono di Alyson sarebbero venute fuori un sacco di opportunità e occasioni: Dylan sarebbe potuto tornare in Paradiso, e aveva anche già in mente di chiedere un piccolo compromesso per permettere di portare anche lei con lui, per non lasciarla più, non perderla.
Una goccia rigò il suo viso, tracciò la linea della mandibola appena pronunciata e cadde sui fiori che teneva in mano delicatamente, come se tra le mani avesse l'oggetto più fragile e prezioso del mondo, con la costante paura di stringere troppo o fare una mossa sbagliata, causando un danno irrimediabile che non si sarebbe mai potuto perdonare.
"Dylan." Sussurrò una voce femminile e familiare alla sua destra, interrompendo il corso dei suoi pensieri; Dylan rivolse lentamente lo sguardo in quella direzione.
"Stai piangendo." Mormorò Alyson.
Piano piano lui si portò una mano al viso, sentendo umido sotto le dita. Non si era accorto di aver cominciato a piangere così copiosamente.
"Alyson." Disse solamente, avvicinandosi di qualche passo; la ragazza, come risvegliatasi da un sogno, scosse la testa, rispondendo: "Cosa ci fai qui?"
Era evidente dalle tracce bagnate lasciate sul suo viso, che lei stava continuamente cercando di eliminare. Il ricordo della morte dei genitori di sicuro l'avevano sconvolta ancora prima di arrivare a destinazione.
"Vengo sempre qua da quando ho provocato l'incidente." Confessò Dylan, infilando le mani in tasca, l'alito che si trasformava in una nuvoletta per il freddo. "O almeno, l'ho fatto fino a due anni fa."
"Quando ho cominciato anch'io a venire." Alyson si sforzò di trovare una risposta alla domanda muta che la stava tormentando in quel momento; alla fine, decise di darle voce: "Perché hai smesso di venire?"
"Beh,..." Cominciò Dylan, dondolandosi sui piedi. "... il fatto è che quando ti ho vista, due anni fa, non ho sopportato lo sguardo distrutto nei tuoi occhi. Non riuscivo a reggerlo."
"Allora eri ancora tu." Mormorò la ragazza, dopodiché calò il silenzio tra i due.
Rimasero a guardarsi per quelle che parvero ore, ognuno immerso negli occhi dell'altra, scavandovi in cerca di risposte, del perché il destino gli avesse fatti incontrare così tante volte: la piccola Alyson che vedeva un giovane angelo inesperto, combina guai e perditempo, sconvolto a causa di un proprio scherzo, rubandole un nastro che aveva tra i capelli per non dimenticare ciò che aveva fatto, continuavano a ripercorrere entrambi quei ricordi orrendi; poi la scena scivolava a una Alyson e un Dylan più vecchi di dieci anni, lui più maturo e moderato negli scherzi, era tornato per il decimo anniversario della morte di quelle povere persone, stava guardando in giù quando i suoi occhi avevano trovato di nuovo i suoi, profondi e tristi; e infine, in quel momento, c'erano un Dylan e una Alyson dopo dodici anni dall'incidente, lui con il cuore spezzato, pentito di tutti gli scherzi fatti, che guardava negli occhi lei, anch'ella con il cuore spezzato e verità amare che gli pesavano sull'anima.
Eppure entrambi avevano una cosa in comune: portavano le cicatrici di quell'incidente, scalfiti nella loro pelle come uno scultore scolpisce nella pietra o nel marmo; era questa la particolarità che li legavano insieme fin dal loro primo incontro.
Alyson cominciò ad avvicinarsi a Dylan -che posò dolcemente il mazzo di fiori nel mucchio lì vicino-, prima piano, poi sempre più veloce fino ad arrivare a correre, per poi finirgli addosso, stritolandolo in un abbraccio che gli mozzò il fiato sia per la forza che per la sorpresa. La prese giusto in tempo per non far cadere né lui né lei, stringendola come a non volerla mai più lasciare andare.
"Scusami Alyson, scusa per tutto il male che ti ho fatto." Provò a scusarsi l'angelo; ma lei gli prese il volto tra le mani dicendo, scuotendo la testa: "Non preoccuparti, ti ho perdonato."
E detto ciò, prima che il ragazzo potesse rendersi conto delle sue parole, lei schiuse le labbra sulle sue, scaldandolo in quel gelido giorno d'inverno, mentre Sebastian li osservava dall'auto, un sorriso stampato sulle labbra.

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