CHAPTER 21

Dylan teneva lo sguardo nel vuoto, la sua mente viaggiava in cerca di una soluzione per Alyson.
Come poteva fare?
Lei adesso lo odiava perché aveva saputo che lui aveva causato la morte dei suoi genitori, ma ci doveva pur essere un modo per farsi perdonare. Ma come?
Il cervello dell'angelo frullava peggio di una centrifuga, i pensieri si mischiavano l'uno all'altro come fogli spazzati via da una scrivania a causa del vento proveniente dalla finestra aperta.
Doveva provare a parlarle da solo, anche solo cinque minuti, e forse avrebbe potuto convincerla a perdonarlo; purtroppo c'era un problema in mezzo: Sebastian.
Se il fratello avesse saputo che cosa aveva causato il biondo, prima lo avrebbe picchiato, e poi di sicuro non l'avrebbe neanche lontanamente fatto avvicinare ad Alyson.
Rimaneva una sola soluzione quindi, anche se era la più rischiosa: doveva avvicinarsi a Sebastian senza farsi picchiare da lui, per poi convincerlo a parlare con la sorella.
Sarebbe stato un piano suicida, ma doveva pur sempre provarci; se si fosse guadagnato la fiducia di Sebastian, di sicuro dopo avrebbe conquistato anche quella di Alyson, valeva la pena provare.
"Non ti avevo mai visto in questo stato." Una voce familiare e roca arrivo alle orecchie di Dylan, che si sedette di scatto sul letto.
"Elemiah!" Esclamò sorpreso, avvicinandosi all'angelo più anziano.
"Come va Dylan? A pezzi?" Domandò con un sorriso, quasi divertito.
"Non me ne parlare, sto male come non mai." Rispose l'altro, passandosi una mano sul viso.
Elemiah era un amico di vecchia data, aveva aiutato Dylan in molte occasioni.
Quando quel fatidico giorno era tornato in Paradiso distrutto, Elemiah gli era subito corso in contro, chiedendo spiegazioni e ascoltandolo attentamente. Alla fine gli aveva dato dei consigli su come risolvere la faccenda, perché gli leggeva in faccia che Dylan non aveva avuto alcuna intenzione di fare del male a qualcuno.
Per non parlare di quando gli aveva visto il nastro giallo tra le mani, lo stringeva come se avesse potuto riavvolgere il tempo e fermarsi in tempo.
Non aveva detto niente a sua madre, visto che lo avrebbe di sicuro riferito al padre, e quest'ultimo era meglio che non lo sapesse, dato che era uno dei Serafini, che nella gerarchia degli angeli era il ruolo più vicino a Dio.
Che figura ci avrebbe fatto? Per questo ogni volta che Dylan causava un problema andava a chiedere consiglio ad Elemiah e non ai suoi, per non rischiare di ricevere torture come punizioni, come succedeva ad altri angeli con genitori dei ranghi più alti; o addirittura finire giù nell'Inferno, insieme a quello che una volta era Lucifero, l'angelo più importante e bello mai esistito.
Ormai Elemiah era diventato come un secondo padre, e Dylan non ne sarebbe potuto essere più felice.
"Cosa sei venuto a fare sulla Terra, piuttosto?" Chiese il biondo, sedendosi sul bordo del letto.
"Lui mia ha mandato per darti un piccolo aiutino." Rispose, strizzando l'occhio al ragazzo.
"In che senso?"
"Nel senso che gli stai facendo un po' pena, e allora vuole usare un po' della sua misericordia." Rispose con un sorriso, sedendosi accanto all'altro, che si lasciò sfuggire una piccola risata. "E come mai dovrebbe provare pietà per un angelo come me?" Piano a piano Dylan si stava rendendo conto del suo comportamento, di come avrebbe potuto essere migliore.
"Sono un disastro, e adesso l'unica ragazza che io abbia mai amato e che mi abbia fatto capire il vero senso dell'amore, mi odia." Dylan si prese la testa fra le mani, tirando un sospiro tremante.
"Guarda il lato positivo..." Lo incoraggiò Elemiah, dandogli una pacca sulla spalla. "...se tu non avessi combinato tutti questi casini, non saresti stato mandato sulla Terra; e se tu non fossi venuto qui, non avresti mai incontrato Alyson, e non avresti capito l'importanza di amare qualcuno e provare sentimenti." Si alzò dal letto, sgranchendosi un po' le ossa.
"Beh, ora devo proprio andare." Constatò, aprendo le ali. Esse erano di un bianco con sfumature celesti, le decorazioni ricordavano un po' le varie virtù degli umani: da quelle peggiori, come l'indifferenza, a quelle migliori, come il mettere prima di se stessi gli altri.
"Sei sicuro di non poter rimanere un altro po'?" Chiese il ragazzo speranzoso, alzandosi anche lui.
"No, devo riposarmi."
"Come farai ad aiutarmi?"
Un angolo della bocca di Elemiah si alzò come a simboleggiare un mezzo sorriso. "È per questo che devo riposarmi." Rispose, guardando fuori dalla finestra di Dylan per assicurarsi che non ci fosse nessuno che potesse vederlo spiccare il volo.
"Allora ci vediamo." Lo salutò l'angelo più giovane, rassegnato al fatto di non poter passare dell'altro tempo con il vecchio amico.
"Più presto di quanto immagini." Flettè le ginocchia e spiccò il volo fuori dalla finestra.
"Disturbo?" Domandò una voce femminile dietro a Dylan.
"Hai origliato tutto, vero?" Ribatté lui con un mezzo sorriso, sapendo già chi fosse senza voltarsi.
"Non ho potuto farne a meno." Si scusò Kim, entrando. "Chi era quel tipo?" Domandò, mentre Dylan si girava con lo sguardo pensieroso.
"Un vecchio amico, mi ha sempre aiutato per quanto riguarda i guai in cui mi sono invischiato." Spiegò, sedendosi sul letto dove nel frattempo si era accomodata anche la figlia.
"È anche lui un angelo, vero?"
"Sì, il migliore oserei dire." Aveva lo sguardo basso, consapevole che molto probabilmente suo padre lo stava ascoltando in quel momento.
"È un po' come se fosse il tuo angelo custode, vero?" L'angelo rise a questa sua domanda. "Che c'è?"
"Credi alla storia dell'angelo custode?" Dylan cercava di cambiare discorso, voleva dimenticarsi anche solo di un secondo di tutto quello che stava accadendo.
"Sì, perché?" Domandò confusa lei.
"Beh, vedi, non è per infrangere i tuoi sogni da bambina, ma gli angeli custodi non esistono."
"Oh, che peccato." Rispose sorridendo. "E io che speravo ci fosse un bell'angelo a proteggermi."
"La solita." Commentò lui scuotendo la testa, per poi mettersi a ridere entrambi.
"So che non te l'ho mai detto Kim, ma ti voglio bene." Non aveva mai pronunciato quelle parole, ma gli fecero provare uno strano calore piacevole al petto mentre le pronunciava, quasi di sollievo.
"Anch'io te ne voglio, papà." Rispose Kim, per poi abbracciare Dylan per la prima volta da quando era arrivato sulla Terra.

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