|CHAPTER 2|

Dylan stava ancora dormendo quando una voce stridula lo svegliò gridando: "Dylan! Avanti alzati!"
Dal momento in cui Kim -il giorno prima al parco- lo aveva informato che gli avrebbe fatto da 'guida sulla Terra', egli aveva creduto che gli avrebbe solo dato qualche dritta, come imparare a cucinare oppure di guardare prima di attraversare la strada, in modo tale da evitare di essere investito; ma non avrebbe mai immaginato che lo avrebbe assordato di mattina presto.
Dylan era un angelo che era stato gettato dal Paradiso in seguito alla sua lunga lista di scherzi che avevano avuto ripercussioni sugli umani. Il suo comportamento irregolare e sregolato aveva portato sofferenze a chiunque lo conoscesse, per non parlare delle sue vittime. Una volta gettato sulla Terra era finito in una grande distesa d'erba verde baciata dal sole, dove lì vicino, ad aspettarlo all'ombra della grande chioma di una quercia, c'era Kim, la quale era stata incaricata di ospitare Dylan ed aiutarlo per tutta la durata della sua punizione.
"Che cosa vuoi Kim?" Chiese lui premendosi un cuscino sulle orecchie per cercare di non sentirla.
Kim Stewart era una Nephilim, cioè nel suo corpo scorreva sia sangue mortale che di angelo, o per meglio dire, scorreva il sangue angelico di Dylan, dato che la ragazza, la quale aveva ormai raggiunto l'età di ventidue anni, era nata da un'infatuazione che Dylan aveva avuto per una mortale tempo prima.
"Vieni a fare colazione, sai che devi andare a scuola. Dimostri solo sedici anni!" Rispose Kim entrando nella sua stanza, per poi buttare da una parte le coperte e spingerlo giù dal letto. La caduta del corpo di Dylan sul pavimento provocò un tonfo che fece tremare appena il terreno.
"Ma sei impazzita! È stato meno doloroso quando mi hanno gettato dal Paradiso." Brontolò lui massaggiandosi la schiena, per poi continuare con: "Non mi importa se sembra che ho sedici anni, ne ho migliaia invece; e non ho intenzione di rimanere richiuso tra quattro mura ad annoiarmi per sentir parlare persone che mi spiegano cose che conosco personalmente."
"Invece devi! Lo sai che la punizione lo implica." Lo rimproverò Kim, per poi tornarsene in cucina a finire di preparare la colazione. "E vestiti decentemente!" Lo avvertì lei.
Dylan infatti indossava ancora 'l'uniforme' da angelo con cui era atterrato nel parco, che comprendeva solamente un paio di pantaloni lunghi, morbidi e candidi come la neve, i piedi erano nudi, non aveva la maglietta per fare in modo di lasciare le ali libere, che altrimenti dovevano essere ritirate sotto la pelle.
"Che rottura di scatole." Sbuffò Dylan alzandosi e dirigendosi verso un armadio posto di fronte al letto. Esso conteneva i vestiti che lui utilizzava di solito per rimorchiare le ragazze che adocchiava sulla Terra. Prese un paio di jeans candidi e una camicia del medesimo materiale ma blu scuro, si cambiò e poi si diresse in cucina, dove trovò un piatto di uova strapazzate e bacon ad aspettarlo.
"Sembri un ragazzo normale." Commentò Kim vedendolo. "Succo d'arancia o latte?" Chiese dirigendosi verso il frigo.
"Succo d'arancia." Rispose lui addentando un po' di uova. Solitamente non avrebbe avuto bisogno di mangiare, ma nella sua punizione prevedeva che lui si comportasse al meglio come un normale sedicenne americano; l'unica cosa a testimoniare che era un angelo erano le ali ritirate sotto la pelle, ed una cicatrice nel punto in cui si trovavano.
"Ecco qui. Sbrigati che tra un po' partiamo; e ricordati, se qualcuno te lo chiede sono tua sorella maggiore." Gli spiego lei, offrendogli il bicchiere ricco di vitamina C.

Quando Dylan arrivò a scuola, cercò di seguire le dritte che Kim gli aveva illustrato. Prima cosa da fare: andare in segreteria a prendere gli orari delle lezioni e la combinazione dell'armadietto. Dylan si rilassò, ma subito dopo si innervosì.
Dov'era la segreteria?
Si guardò intorno in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo. Vide una ragazza girata di spalle, i lunghi capelli mori ricadevano sulla schiena. Dylan le si avvicinò con aria spavalda e le chiese: "Hey bellissima, che ne dici di accompagnarmi in segreteria?" La ragazza si girò e appena Dylan incontrò con i suoi occhi quelli azzurri della ragazza, per un pelo non casco all'indietro.
Gli tornò in mente il giorno prima, quando dopo esser atterrato sulla terra si stava dirigendo con Kim verso casa di lei. Per sbaglio aveva urtato una ragazza con cui aveva cominciato un piccolo battibecco, che si era concluso con Dylan che ci provava e lei che se ne andava esasperata. E adesso quella stessa ragazza era di fronte a lui.
"Cosa ci fai qui?" Chiese la ragazza con occhi sbarrati; non riusciva a credere neanche lei a quello che stava vedendo.
"Secondo te? Anch'io devo andare a scuola, non ho altra scelta." Ribattè Dylan allargando le braccia. "Mi aiuti oppure no? Devo andare in segreteria."
Lei ci pensò su qualche secondo, prima di rispondergli: "Va bene, però dovrai chiedermi scusa per come ti sei comportato adesso e ieri."
Dylan scosse subito la testa. "Non se ne parla! Perché mai dovrei chiederti scusa? Non ti ho fatto niente." Ribattè lui incrociando le braccia al petto.
"Allora chiedi a qualcun'altra di portarti in segreteria." Rispose la ragazza voltandogli le spalle. Non era certa nemmeno lei del motivo per cui avesse accettato subito -seppur ad una condizione; tuttavia quel sentimento di familiarità che provava nei suoi confronti era fin troppo forte per poterlo ignorare, per questo voleva andare in fondo alla faccenda.
"Bene!" Disse lui voltandosi nella direzione opposta; il problema era che lei era l'unica ragazza che avesse già conosciuto, e non aveva affatto voglia di andare da qualcun'altra sconosciuta a chiedere aiuto. "Senti,..." Iniziò Dylan, girandosi di nuovo verso l'altra per prenderla per un braccio e voltarla nella sua direzione. "Se ti chiedo scusa, mi aiuti?"
"Sei nuovo di qui vero?" Chiese lei con voce all'improvviso comprensiva. Dylan si limitò ad annuire. "Ti capisco, anch'io ero nuova quando mi sono trasferita con mio fratello qui due anni fa, è difficile ambientarsi all'inizio."
"Non sai quanto..." Sussurrò Dylan senza riflettere.
"Cosa?" Domandò lei ingenuamente.
"Eh? Ah, niente. Allora,..." Ruotò gli occhi. "Mi dispiace per come mi sono comportato." Si scusò alla fine, ottenendo un sorriso compiaciuto da parte di lei. "Perfetto! Ora seguimi che ti accompagno." Gli fece segno di andare con lei.
"Come ti chiami?" Chiese Dylan all'improvviso dopo qualche minuto di silenzio.
"Cosa?" Domandò lei, visto che si era talmente immersa nei suoi pensieri che non aveva neanche sentito la domanda del ragazzo.
"Ti ho chiesto come ti chiami." Ripetè lui tranquillo.
"Io sono Alyson Scott, tu?"
Dylan si trovò in difficoltà. Poteva dirgli il nome, ma il cognome? Non ne aveva mai avuto uno. Alla fine gli venne un'idea, ripensando a ciò che Kim gli aveva detto.
"Io sono Dylan Stewart." Rispose sicuro.
"Non ci sta bene." Ribattè Alyson arricciando il naso.
"Eh, i miei genitori non hanno molto gusto in fatto di nomi." Disse Dylan, dandosi una pacca mentale sulla spalla.
Il viso di Alyson si rabbuiò di colpo quando ebbe sentito la parola genitori, le erano venuti in mente i momenti felici passati con sua madre e suo padre, che ormai non c'erano più. Senza che lei lo volesse, una lacrima le rigò la guancia e appena se ne accorse cercò si asciugarla prima che Dylan la vedesse.
"Hey, è tutto a posto?" Chiese l'angelo un pochettino preoccupato dalla reazione della ragazza. Dylan poteva essere menefreghista, stronzo, bastardo, freddo e bravo a far soffrire la gente, ma in fondo alle tenebre del suo cuore si celava la luce di un angelo buono, che non si sa come Alyson era riuscita a tirar fuori in quel momento.
Lei, nonostante avesse sentito quel velo leggero di preoccupazione celata nella voce del ragazzo, scosse la testa con l'intenzione di non raccontare nulla del suo passato a quella persona ancora sconosciuta.
"Non è niente tranquillo." Dylan si limitò ad annuire ed insieme continuarono il loro percorso per arrivare alla segreteria.

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