The Adventures of Tintin - Una Fortuna Pericolosa


  🅣🅗🅔    🅐🅓🅥🅔🅝🅣🅤🅡🅔🅢   🅞🅕    🅣🅘🅝🅣🅘🅝 
𝒰𝓃𝒶 ℱ𝑜𝓇𝓉𝓊𝓃𝒶 𝒫𝑒𝓇𝒾𝒸𝑜𝓁𝑜𝓈𝒶

di Miryel


    Il giovane Tintin si sentiva spesso attraversato da una pungente malinconia, durante quel periodo dell'anno, e fondamentalmente non ne conosceva i motivi.

O meglio, non ne conosceva il motivo principale.

Quasi sicuramente la sua solitudine, legata al fatto che non aveva più i genitori da tempo - e nemmeno alcun parente -, e questo rafforzava un po' la cosa, ma di certo anche il fatto che molti dei suoi amici e colleghi erano giustamente impegnati a trascorrere le feste con la loro famiglia, e nessuno pensava mai ad invitarlo.

Sapeva che non c'era alcuna malizia, in quella dimenticanza, solo non vi era il pensiero.

Come potevano anche solo credere che, il reporter più famoso di Bruxelle, fosse solo nel periodo di Natale? Sembrava una cosa assurda persino nella sua ingarbugliata mente, figurarsi per gli altri...

Sorrise mestamente, girando la pagina del quotidiano del giorno, dove il suo ennesimo articolo campeggiava in prima pagina con tanto di foto, al pensiero che dopotutto così solo non era.

C'era Milù. Lui c'era sempre. Fedele compagno e amico di quella che sembrava ormai una vita intera, a cui davvero a volte mancava solo la parola per renderlo più umano di molti altri.

Molto più di certi criminali che aveva incrociato nelle sue tante avventure.

«Anche quest'anno ce ne stiamo soli, soletti Milù. Non è male, dai. Dopotutto avresti davvero abbandonato il nostro caldo appartamento per raggiungere chissà quale abitazione lontana miglia e miglia? E se nevicasse?»

Milù lo guardò alzando le foltissime sopracciglia pelose, scettico. Persino lui non riusciva a credere a quelle parole, Tintin ancora meno.

«Eddai, non fare così. Un biscotto per te, un bel sandwich per me e via a nanna presto. Dopotutto non è mica obbligatorio rimanere svegli fino a tardi, la vigilia. Sono un po' cresciuto per aspettare Babbo Natale, comunque», cercò di rassicurarsi, sebbene avesse rivolto quelle parole al piccolo barboncino, che semplicemente vi rinunciò e si accoccolò di più vicino a lui sul divano.

Gli scappò un sorriso. Milù certe volte sembrava molto più legato alle tradizione di quanto non lo fosse lui. Ed era un cane, figuriamoci!

Alzò una mano per accarezzargli la testolina, fermando sul nascere quell'intenzione quando sentì bussare alla porta. Tre colpi, così familiari che avrebbe potuto riconoscerli persino se fosse stato ubriaco. Fortuna che a lui l'alcol nemmeno piaceva.

«Capitano Haddock!», esclamò, entusiasta, mentre si alzava in piedi con la spinta delle mani sul divano e si fiondava ad aprire la porta.

Difatti, come il suo famoso intuito aveva previsto, Archibald Haddock era lì, di fronte a lui. Un cappotto blé, una sciarpa ingrigita dal tempo e un bizzarro cappello invernale col pon pon.

Il suo viso fu attraversato da un guizzo divertito, quando lo squadrò da capo a piedi.

«Tintin, le speranze di trovarti in casa erano minime, ma c'ho provato ed eccoti qua!», esclamò l'uomo, le mani ai fianchi, un sorriso obliquo sotto i baffoni neri.

«Non erano poi così minime, Capitano. Io e il Natale abbiamo un rapporto contorto, che nemmeno io ho ancora realmente compreso», spiegò Tintin, scuotendo la testa divertito, poi accennò ad un sospiro. «E lei? Che ci fa qui, la sera della vigilia?»

L'uomo si accomodò in casa, quando lo invitò a farlo e, senza nemmeno togliersi il cappotto, infilò la mano nella tasca, e vi rovistò all'interno. Un rumore di chincaglierie riempì l'aria.

«Ho qualcosa che può interessarti. Ho ricevuto una lettera, quattro giorni fa. La busta era tutta ingiallita, e non ne capisco il motivo, sinceramente ma... ho deciso di aprirla solo oggi, e sai cosa ho scoperto?»

«No, ma immagino che lei stia per raccontarmelo, Capitano.»

L'uomo si impettì e, gagliardo, tirò fuori dalla tasca del cappotto un oggetto piccolo, metallico, e arrugginito. Tintin dovette avvicinarsi di qualche passo e allungò la vista verso le dita dell'uomo, racchiuse in quella che, a prima vista, sembrava una minuscola chiave.

Una innocua, semplice ed affascinante chiave. Un oggetto che, per strane ragioni di cui non trovava una risposta, aveva sempre trovato interessante. Le chiavi aprivano, ma chiudevano anche... e questo, sicuramente, era elettrizzante.

«La lettera all'interno della busta contiene poche ed enigmatiche parole ma... è questo oggetto ad aver attirato maggiormente la mia attenzione. E, non meno importante, il destinatario!»

«Cosa? Non è lei, quindi? E di chi si tratta? E poi perché una chiave? La lettera cosa dice?»

«Ragazzo, se non ti dai una calmata finirai per farti venire un'embolia, alla tua giovane età!», rise forte il Capitano, reclinando la testa all'indietro, visibilmente divertito dalla solita curiosità che Tintin non riusciva mai a contenete, specie quando gli veniva spiattellata davanti una storia interessante, «Una chiave è una chiave. Aprirà qualcosa, no? Un forziere pieno zeppo di tesori?»

«Non sono interessato ai tesori, lo sa. Mi deludono. Vivo di rendita da anni... ho vinto a quella caccia al tesoro che...»

«Tintin, la conoscono pure i muri, quella storia. E non sono certo qui per questo ma... la lettera è arrivata a me, inviata da chissà dove e recapitata da un semplice postino. La parte interessante è che il destinatario, sei proprio tu», spiegò l'uomo, e Tintin vide Milù alzare le orecchie, ora anche lui interessato a quel racconto.

«Capitano?», lo chiamò, e non poteva guardarsi, ma era certo di aver appena cambiato espressione. Sapeva di aver messo su quella del reporter alla ricerca di una nuova avventura. «Perché, se la lettera è indirizzata a me, non è stata recapitata qui?»

Haddock allargò il suo sorriso, chiaramente soddisfatto da quella risposta e, cedendogli la chiave che TinTin prese prima di subito, gli puntò un dito sul petto.

«Se ne avessi avuto una minima idea, non sarei venuto qui, ti pare?»


Effettivamente la risposta, che era stata più una domanda, sembrava più che legittima. TinTin si rendeva conto che quel fatto, quel recapito, era stato strano ma più di tutto, lo era il contenuto della lettera, che aveva imparato a memoria, un po' per la sua brevità un po' perché era diventato un chiodo fisso.

«La chiave non ha le risposte, ma apre lo scrigno che del cuore ha la forma. Lì le risposte vi sono riposte, alle domande ormai sbiadite di un'infanzia perduta.»

«Non me ne capacito», disse, grattandosi la testa rossa, chiudendosi poi nel cappotto color pece e Milù girava lo sguardo per tutta la via, decorata dalle luci natalizie ma priva di persone giustamente impegnate a festeggiare la vigilia. «Non ne vengo a capo.»

«Abbiamo un numero troppo limitato di informazioni, Tintin», rispose il capitano, le mani nelle tasche del cappotto di velluto. Sospirò poi.

«Mi faccia vedere di nuovo quella chiave, per favore. E anche la lettera.»

Haddock non replicò, ma obbedì senza fare domande. Tintin sapeva che non era bravo con le supposizioni e spesso e volentieri si affidava a lui per risolvere anche i dubbi più sciocchi, ma era un uomo buono che mai gli avrebbe voltato le spalle.

Per quello era più che intenzionato a non perdere la sua amicizia.

Sorrise quando prese tra le mani gli oggetti. Si dedicò prima di tutti allo studio della chiave.

Era piccola, di metallo. Leggermente rossa in più punti per colpa della ruggine. La manifattura era ottima, sicuramente faceva parte di un'epoca diversa. Forse vent'anni prima? Forse trenta?

«La chiave è stata fatta per aprire un oggetto piccolo. Un oggetto persino facile da scassinare. Forse un baule? La dicitura sull'impugnatura dice che è stata fatta da un certo Valentini. Un italiano, immagino», disse Tintin, ritirandosi l'oggetto tra le dita gelide per via del freddo ma niente, nemmeno quello, era in grado di fermarlo. «la lettera invece è davvero vecchia. Il timbro è di qualche giorno fa, deduco che sia stata scritta da tempo ma che abbiano deciso di inviarla solo ora. Mi chiedo perché. »

«Forse era andata perduta?», tentò il capitano e TinTin schioccò la lingua, in un suono frustrato.

«No, no. Nessuno in grado di montare una sceneggiata simile perderebbe una lettera con una chiave e un messaggio criptato. Sarebbe stupido. Direi più che altro che... attendere sia stato semplicemente una scelta del mittente. Mi domando chi mai possa ess-»

Si bloccò. Si bloccò quando il timbro, sbiadito ma non del tutto, gli rivelò più di quanto avrebbe dovuto.

Era la vigilia di Natale, e il suo unico pensiero era quello di risolvere quel caso e togliersi la curiosità che, dannazione, lo stava mettendo seriamente in difficoltà.

Poi sorrise, e Milù aguzzò le orecchie, come sempre il primo a riconoscere le intenzioni folli del suo padrone. E folle fu la frase che rivolse ad Haddock, che alzò le sopracciglia.

«Mi dica un po', Capitano: lei è mai stato in Italia?»

L'Italia era di certo una meta ambita, eppure il Capitano non c'era mai stato e Tintin non gli palesò il suo stupore riguardo quel fatto, ma lo era.

Un uomo di mare che non aveva mai visto la penisola? Sembrava quasi uno scherzo del destino che fosse proprio lui, il primo a portarcelo e non una nave mercantile che partiva da chissà dove.

E uno scherzo del destino sembrava pure il fatto che avesse approvato quel viaggio improvviso, che li vide imbarcarsi su un aereo per Roma alle tre del mattino, per arrivarci poi alle cinque e mezza.

«Perché proprio Roma, Tintin? Che cosa ti fa credere che la lettera arrivi proprio da qui?», chiese il capitano, quando erano usciti dall'aeroporto e il taxi li stava portando nel quartiere di San Lorenzo, poco lontano dalla stazione centrale di Roma.

Tintin prese in mano la lettera e la girò per mostrare il timbro di invio al capitano. Questi la prese in mano per osservarlo, quando lui gli indicò la data leggermente sbiadita, ma ancora leggibile, e la provenienza.

«Dice che è stata spedita da Roma, il quindici Dicembre di quest'anno. Pochi giorni fa. Non è stata ferma in nessun luogo, è partita da qui ed è arrivato a Bruxelles. L'unica cosa che mi chiedo è perché sia stata recapitata proprio a lei.»

«Invece io mi chiedo come tu faccia, in una città così grande, a sapere che il quartiere che stiamo raggiungendo sia proprio quello da cui è stata inviata», domandò Haddock, e a TinTin venne da ridere. Effettivamente, quella spiegazione, non gliel'aveva mai data. Effettivamente, c'erano cose che Tintin non aveva mai raccontato a nessuno, nemmeno ad un caro amico come il capitano.

Sbuffò una risata a fior di labbra, poi sorrise: «Sono belga, ma ho vissuto i primi anni della mia vita a Roma. Mia madre era una pianista, mio padre faceva il marmista proprio in quel quartiere. Sa, per via del cimitero monumentale, che hanno costruito alla fine dell'ottocento. Avevamo una casa che affacciava sulla via principale, ma con l'arrivo della guerra e del bombardamento del quarantadue, siamo stati costretti a lasciare San Lorenzo, per tornare in Belgio e ricominciare una nuova vita. »

«Per tutti i capodogli del Mar Morto! Perciò parli anche italiano, ragazzino?»

Tintin rise di nuovo, reclinando la testa all'indietro, e Milù sussultò spaventato da quella reazione esagerata.

«No, ero troppo piccolo. Sono tornato in Belgio che avevo cinque o sei anni, i miei a casa parlavano in francese, tedesco e inglese. Persino la governante era di Bruxelles. Non ho avuto la fortuna di imparare anche questa, perché dopotutto non ne ho avuto l'occasione. »

Il capitano Haddock alzò le sopracciglia e si ammutolì, squadrandolo da capo a piedi, come se davanti agli occhi avesse tutti fuorché il giovane e promettente reporter dal ciuffo rosso all'insù. Poi arricciò le labbra e boccheggiò un paio di volte, prima di prendere di nuovo parola.

«E i tuoi dove sono? In Belgio?»

«Oh, no. Loro sono morti qui, durante il bombardamento di San Lorenzo. Pochi giorni dopo il mio arrivo a Bruxelles, con la governante», rispose Tintin, senza abbandonare il sorriso che aveva messo su da quando avevano preso quel taxi. Come se quel gesto potesse scacciare via i brutti ricordi e le ingiustizie. Come se solo quel gesto potesse tenerlo fermo sul proprio obiettivo.

Non c'era bisogno di lasciarsi prendere dai sentimentalismi, ma quella città in qualche modo glieli tirava fuori peggio di una pinza che estrae un dente. Doloroso e lento, un'agonia.

Si voltò verso il finestrino, dove Piazza del Verano si faceva ammirare maestosa ed alberata, impotente persino di fronte a quel freddo pungente.

Erano arrivati a casa. La sua vecchia casa. E lui nemmeno se la ricordava più.


Quando si ritrovò di fronte alla porta, gli sembrò quasi di vivere dentro ad un incantesimo. Si sistemò meglio l'impermeabile, mentre Milù, accanto a lui, faceva qualche giro su se stesso per calmarsi, probabilmente senza riuscirci e, dopo aver suonato il campanello, si lisciò il ciuffo all'indietro, ma quello tornò su immediatamente. Haddock, invece, si tolse qualche briciola dal maglione blu, in visibile imbarazzo e, quando una donna dai capelli neri e una spruzzata di lentiggini aprì la porta, tutti e due si irrigidirono.

Lei sorride e, in perfetto Belga, si rivolse loro. «Benvenuto, signor Tintin. Lei deve essere il capitano Haddock, invece. Oh, e che anche il piccolo Milù!», esclamò la ragazza, chinandosi verso il fedele amico di Tintin, che tirò fuori la lingua, orgoglioso che l'avessero riconosciuto.

Tintin gli rivolse un'occhiata divertita, poi si rivolse alla ragazza. «Come sa chi siamo?»

«Lo so perché ho inviato io quella lettera», sorride lei, «Vi aspettavo molto più in là o... non vi aspettavo affatto. Credevo l'avreste presa come uno scherzo.»

«No, troppe coincidenze, non poteva essere uno scherzo, signorina...»

«Nadia», rispose lei, semplicemente, poi fece loro cenno di entrare e, con gradita sorpresa, si ritrovarono in mezzo ad un salotto con un caminetto acceso, due divani di pelle marrone lucidissimi e un ambiente rustico, fatto di mobili in legno di noce e molti quadri impressionisti dalle cornici dorate. Tintin era quasi certo che fossero tutti autentici.

Nadia chiuse la porta alle proprie spalle, poi fece cenno loro di sedersi ma, anche se Haddock aveva già preso per buono quell'invito, Tintin non si mosse e, con le braccia dietro la schiena, tirò fuori la lettera.

«No, non penso riuscirei a stare fermo senza fare delle domande!»

«Non puoi farle da seduto, Tintin?», chiese Haddock e lui lo ignorò. Ci pensò Milù a zittirlo, con un lapidario abbaio. Haddock si tolse solo la giacca, che adagiò su un braccio, e rimase silenzioso.

«Ne ero certa. Allora, cosa vuole sapere, reporter

«Prima di tutto perché ha inviato la lettera a Haddock e non a me? Non aveva il mio indirizzo?»

«Oh, no! Tutto il contrario. Non volevo che venisse da solo e, conoscendola, so che non si sarebbe mai rivolto a nessuno per farle compagnia in questo viaggio. Invece coinvolgere il capitano Haddock l'ha convinta a spostarsi in compagnia, oltretutto durante una festa così bella come il Natale. Da quanto non lo festeggia, signor Tintin?»

«Lo festeggio a modo io. Con Milù. Ci bastiamo e avanziamo, mi creda. Dunque non voleva che venissi solo, e perché? Ho fatto viaggi ben più pericolosi.»

«No, non penso. Questo è il più pericoloso di tutti, glielo garantisco.»

Haddock si mosse accanto a lui, e si mise tra lui e Nadia, sulla difensiva. «Che intenzioni ha? Vuole forse combattere? Beh, ha scelto la persona sbagliata da coinvolgere in questa avventura! Io, Archibald Haddock, non permett-»

Nadia scoppiò a ridere, coprendosi la bocca delicatamente con una mano piena zeppa di anelli. Alcuni molto antichi, ma ben conservati; solo la lucentezza leggermente opaca lasciò capire a Tintin quanto fossero vecchi. Forse di una madre. Forse di una nonna.

«No, non ho intenzione di fare del male a nessuno. Potete chiamare preventivamente la polizia se volete, ma vi garantisco che non ho brutte intenzioni. L'unica cosa dolorosa di questa avventura saranno i ricordi.» Si spostò i lunghi capelli da una spalla all'altra con un gesto della mano, poi fece cenno loro di seguirli. Haddock lanciò un'occhiata a Tintin che ricambiò, calmo, tranquillo. Non era spaventato, nemmeno così stupito e, dopotutto, avevano fatto un lungo viaggio per arrivare a quella verità, per scoprire il mistero della lettera. Così, senza indugio, fece cenno al capitano e a Milù di seguire Nadia.

Li portò verso una porta, che aprì con una chiave – identica a quella che Tintin aveva trovato nella busta. Solo più grande. Si rese conto che era stata fatta dallo stesso costruttore di chiavi.

Sorrise. «Valentini?», domandò. Nadia, prima di aprire la porta, si voltò a guardarlo, enigmatica. «La chiave è una Valentini!»

«Vedo che se ne intende.»

«Ho solo notato che è uguale a quella che mi ha mandato, signorina Nadia», rispose solo, poi entrarono nella porta, che rivelò una scala che portava in un sotterraneo. Haddock gli si affiancò di più, stringendogli un braccio, durante la discesa.

«Non mi piace affatto.»

«Capitano, si fidi di me e di Nadia.»

«Tintin, l'ultima volta che mi sono fidato di te sono quasi andato in prigione.»

«Un po' se lo sarebbe anche meritato, di stare dietro le sbarre, lo sa?»

«Non è il momento di fare gli spiritosi.»

Tintin rise, e Milù parve fare lo stesso. Nadia, invece, rimaneva silenziosa e quando arrivarono in fondo alle scale, accese una luce, rivelando un sottoscala ordinatissimo, con una libreria in legno che occupava tutte le pareti, piena zeppa di libri e, al centro di una porzione, vi era una scatola.

No, non era una scatola. Era un forziere. Un forziere antichissimo.

Tintin non perse tempo e, con passo svelto, superò tutti quanti andando a guardarla. Era in legno intagliato finemente, che formava tanti piccoli rami di alberi, con alcune foglie e qualche bocciolo, al centro i rami si intersecavano e, proprio sopra alla serratura, formavano un cuore.

«La chiave non ha le risposte, ma apre lo scrigno che del cuore ha la forma. Lì le risposte vi sono riposte, alle domande ormai sbiadite di un'infanzia perduta.» Ripeté, ricordando esattamente le parole della lettera.

«Hai imparato a memoria quelle parole?»

«Non che ci volesse molto, capitano. Le avrò rilette un milione di volte, mentre eravamo in aereo! Ma... ha notato anche lei una certa stranezza?»

«No», rispose Haddock, lapidario, senza soffermarsi troppo a studiare l'oggetto e fu in quel momento che Nadia parlò, dopo aver passato troppi istanti a guardarli.

«Ha capito, signor Tintin?»

«Sì, credo di aver capito perché aveva bisogno di me, signorina Nadia. Forse... sono l'unica persona di fiducia che può aiutarla in questa impresa, non è così?»

Lei annuì. «La casa è crollata sotto le bombe di San Lorenzo, durante la guerra, ma questo sotterraneo è rimasto intatto. La casa è stata ricostruita da cima a fondo, e questa porzione è rimasta esattamente com'era, solo i suoi genitori hanno lasciato delle direttive ben precise: tenerla sempre in ordine, qualunque cosa accada, finché non avremo modo di dire a Tintin che può tornare qui.»

«Poi sono morti, e non hanno avuto modo di farmi recapitare la lettera.»

«No, però c'ero io, al tempo, qui con loro. Nascosta bene, in questo sotterraneo, mentre i miei genitori venivano portati via e chiusi in un posto orribile, da dove non sono mai più usciti. Eppure io sono ancora qui, vede? Proprio come lei, grazie ai suoi genitori.»

«Nadia...», ripeté Tintin, come se quel nome, improvvisamente, avesse acquisito un significato nuovo, diverso; persino il suono. «Nadia!», esclamò poi, entusiasta, allargando le braccia ma ripensandoci un momento dopo, e non la abbracciò.

«Non ci sto capendo niente, Milù», disse Haddock, rivolgendosi al barboncino, come se potesse avere le risposte che né lui né Nadia gli stavano dando.

«Nadia... lei era la bambina con cui giocavo da piccolo, proprio qui! Ora ricordo! Non benissimo, certo, ma lo ricordo! Sei rimasta qui, sei viva! E questa casa... l'hai mandata avanti tu!»

«Non senza l'aiuto di quello che i suoi genitori hanno lasciato qui dentro, ma le assicuro che non ho sperperato nulla! Ho spero tutto per garantire a lei di tornare qui e riappropriarsi della proprietà che le spetta», disse lei, timidamente, spostandosi una ciocca nera dietro l'orecchio.

«Non se ne parla proprio! Questo posto ti appartiene, ci hai vissuto da sempre, e sei... sei come una sorellina, per me! Ti hanno cresciuta i miei, non potrei mai dimenticarlo! Non se ne parla, la proprietà resta a te!»

«Ma, signor Tintin, ho passato una vita a cercarla! Ho sperato di trovare indizi per recuperare la sua ubicazione esatta e... e quando è uscito quell'articolo sul giornale che parlava di lei non mi sembrava vero!»

«Non importa, ora sai dove sono e io so dove sei. Ci potremo incontrare tutte le volte che vogliamo! Sarai sempre la mia ospite ben gradita a Bruxelles ma, ora, dimmi cosa c'è qui dentro. Sono veramente troppo curioso!»

Nadia sorrise e la vide chiaramente reprimere le lacrime e, poco dopo, tirò fuori un'altra chiave uguale a quella di Tintin, questa volta identica anche nelle dimensioni. La alzarono entrambi, ponendole una di fronte all'altra e si sorrisero.

«Qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo, per favore!», esclamò Haddock, confuso, avvicinandosi ormai impaziente.

«Capitano, davvero non ha visto che, dove dovrebbe esserci una serratura, in realtà ce ne sono due?»

«Io ne vedo solo una, pazzo di un reporter!», esclamò Haddock, sempre più confuso e Tintin sospirò. Si avvicinò allo scrigno e, alzando un ramoscello di legno diverso dagli altri – lo si poteva percepire dalla forma più larga e dal colore meno intenso, comparve la seconda serratura, esattamente al centro del cuore.

«Non ci posso credere. Tu vivi in un mondo a parte, Tintin, non si spiega altrimenti.» Tintin rise a quel commento e, a dirla tutta, non era così contrario a quella definizione.

«Allora, sei pronta?», chiese a Nadia che, sbattendo le ciglia un paio di volte, infine sorrise e annuì. Infilarono entrambi le due chiavi nelle serrature e, contando fino a tre, le girarono. Si sentì un sonoro clack, che riempì l'aria, ma il silenzio ripiombò di nuovo e nessuno ebbe il coraggio di dire nulla, persino Tintin che, di solito, aveva sempre qualcosa da dire.

Infine, come volevasi dimostrare, fu Haddock a parlare. «Avanti, che state aspettando? Voglio sapere quale ricco tesoro nasconde questa casa!»

Allora Tintin chiese tacitamente a Nadia il permesso di aprirla lui, quella scatola magica e, quando alzò il coperchio, si bloccò. Aveva trovato milioni di tesori, anche durante la caccia al tesoro che lo aveva reso milionario e in grado di vivere di rendita ma... ma quello che aveva davanti non valeva tutto l'ora del mondo. Quello che aveva davanti valeva qualsiasi cosa, ogni cosa, tutto.

«Capitano», sussurrò, improvvisamente. «Può lasciare me e Nadia da soli, solo per un attimo? Porti con sé anche Milù, se può.» Tintin sentì chiaramente Milù protestare per quel fatto ma fu felice che Haddock avesse obbedito senza battere ciglio forse, per una volta, comprendendo cosa stesse succedendo. Quanto intimo fosse quel momento.

Fu il suono della porta che si chiudeva a permettere a Tintin di prendere tra le mani il tesoro, e osservarlo. C'era una collana con un cuore rosso, chiaramente un rubino che ricordava sempre poggiata sul comodino di sua madre e, nelle serate speciali, attorno al suo collo. C'era una pipa di legno nero e marrone, vecchissima, appartenuta a suo padre. Non aveva alcun valore, forse, ma l'affetto di quel ricordo gli bruciò il l'anima e, infine, sotto a quei due oggetti così preziosi per i suoi ricordi, Tintin trovò qualcosa che non poteva essere in alcun modo comparato con nulla: una foto, in bianco e nero, un po' rovinata, che ritraeva lui, sua madre, suo padre, la loro governante e Nadia, seduti in giardino a fare un picnic.

«La chiave non ha le risposte, ma apre lo scrigno che del cuore ha la forma. Lì le risposte vi sono riposte, alle domande ormai sbiadite di un'infanzia perduta.», ripeté per la terza volta le parole della lettera, poi si rivolse a Nadia, senza smettere un solo istante di guardare indietro nel tempo attraverso quella foto. «Come facevi a sapere che c'era tutto questo, qui dentro.»

«Non lo sapevo. Tua madre ha lasciato queste poche parole scritte su un foglio, proprio qui sopra e, dentro una busta, le due chiavi. Non mi sono mai permessa di aprirlo, lo giuro su qualunque cosa, ho aspettato di trovarti e che tornassi, per farlo assieme. Ed eccoti qui, Tintin, anche se forse ci ricordiamo poco di quel tempo, ma almeno sappiamo chi siamo.» Sorrise, e lui la guardò per un secondo, facendo lo stesso, poi tornò a guardare ogni dettaglio di quell'immagine, dai vestiti di sua madre, pomposi e eleganti, a quelli di suo padre, un gentiluomo di altri tempi, e poi lui e Nadia, sporchi di terra, meno composti, eppure sorridenti.

«Dobbiamo raccontarci ogni cosa, di quel tempo. Voglio sapere tutto quello che ricordi, voglio sapere cosa hai fatto qui tutto questo tempo, a parte aspettarmi. Voglio ricordare di nuovo.»

Nadia lo guardò, e lui rispose a quello sguardo tentando in tutti i modi di trattenere le lacrime. Ce n'erano stati di casi tristi, e mai aveva ceduto, ma stavolta si trattava dei ricordi e quelli, per qualche ragione, li aveva sempre tenuti da parte senza mai tirarli fuori dal proprio cuore. Era solo, a Bruxelles, a parte Milù, non aveva più nessuno e andava bene così. Aveva sempre proiettato la sua vita verso il domani, ma a volte gli faceva paura guardarsi indietro e trovare solo una manciata di brutti ricordi.

Nadia annuì. «Va bene, prepareremo la cena e ti racconterò tutto. Nel frattempo... buon Natale Tintin.»

Lui si passò un dito sotto al naso, e inclinò la testa. «Buon primo Natale, Nadia.» 

Fine


Note Autore: 

SALVE! Avviso tutti di due cose: 

1: questa storia non è revisionata, quindi sarà piena di refusi che spero di correggere domani in una condizione più umana (sì, sto macinando per vincere, quindi per ora si scrive, poi si revisiona a fine COWT12)
2: questa storia ce l'ho in testa da una vita, l'avevo iniziata con due righe scritte nel 2018 tipo e ho approfittato del COWT per finirla, finalmente ** so che qualcuno la stava aspettando E LA ASPETTAVA PURE DA TANTO (sono pessima çç) e spero di non aver deluso alcuna aspettativa, dopo tanti anni e, soprattutto, spero di aver reso IC Tintin, questo conta (su Haddock devo dire che ho fatto un ottimo lavoro, una pacca sulla spalla me la do XD)

Tintin è importantissimo nella mia vita, è il motivo per cui tanti meccanismi creativi sono partiti da me, dalla mia testa, dalle mie mani e gli devo molto ♥ È il mio marito principale, sta in testa a tutti! TUTTI!

Insomma sperando che vi sia piaciuta e che non vi sia sembrata troppo sentimentale, ringrazio tutti per averla letta ma soprattutto RedDMonkey11 per avermi raccontato un sacco di cose sul bombardamento di San Lorenzo che la sua famiglia ha vissuto ♥ Grazie per aver scelto di condividere con me questi ricordi e per avermi dato il permesso di metterli su carta, romanzandoli ♥ 

A presto,
Miry


[ Partecipa al COWT12 (M2) indetto da Lande di Fandom con il prompt "Una Fortuna Pericolosa" (07)] 

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