Capitolo 19
-I sogni sono risposte a domande che non abbiamo ancora capito come formulare.
(X-Files)
Stavo sognando ne ero certa. Non poteva essere reale, le immagini che sorgevano dinnanzi ai miei occhi erano sfocate e sbiadite, non si distingueva niente. Ma scorsi una luce, era un bagliore, un immenso bagliore, accecava la vista tanto da farmi socchiudere gli occhi. Ma la mia curiosità era più forte, mi avvicinai sempre di più, fino a quando non divenne straziante la vista di quella luce.
Mi avvicinai ancora, nonostante fosse quasi impossibile riuscire a vedere. Nonostante mi facesse male, ma volevo giungere aldilà, volevo scoprire cosa ci fosse oltre quel bagliore.
Ma d'un tratto sparì.
Mi ritrovai in un giardino, sembrava uno delle fiabe. L'entrata era ornata da un arco formato da piante rampicanti fiorite, c'erano delle panchine che seguivano la forma circolare del giardino, e l'erba era verde e rigogliosa facendo da tappeto a quel che sembrava un giardino incantato. Era meraviglioso, quasi surreale. Non avevo mai visto niente di simile. Spalancai la bocca per lo stupore, divenendo come più piccola per la maestosità di quel posto.
Camminai a piccoli passi, seguendo una piccola lucina, fissa davanti al mio orizzonte. Era piccola, splendente e affascinante. Mi aveva incantata, la seguivo, come se fosse il mio punto di riferimento in mezzo a tutte quelle cose di cui non comprendevo l'esistenza. Tutto, però mi sembrò tremendamente familiare. Il sole tramontava eppure ero più che convinta che fosse pieno giorno. I suoi colori diversi, dall'arancione come il vestito il vestito color aragosta di Sarah, al rosso come il sangue, un rosso intenso che sembra quasi ardere e poi al rosa delicato come la felicità che si fa strada nella vita di ogni persona. Credo che la felicità sia qualcosa che a volte non dobbiamo cercare perché arriverà nel momento più opportuno, lo sa lei quando sarà giusto far capolino nella nostra vita, saprà lei quando regalarci quell'istante tanto atteso, o donarci tutte quelle risponde che si aspettavano da quella che ci sembrava fosse un'eternità. La felicità è un'emozione che va compresa e attesa, è un'emozione rara e allo stesso tempo unica, un'emozione che va goduta, perché in fin dei conti come dice Leopardi la felicità è solo il momento di intervallo tra un male e l'altro, però vedendola diversamente potremmo dire che il male è solo un intervallo tra un istante di felicità ed un altro.
Gli alberi maestosi ergevano in diversi punti, ma solo uno andò a colpire la mia attenzione. Era enorme, avrei detto secolare e ai suoi piedi c'era un ragazzo. Egli era seduto, non si scorgeva il suo volto, solo i suoi capelli nella penombra, adagiato alle sue radici come se fosse una casa, un posto che non lo avrebbe mai tradito, come se fosse nel suo posto e io ripensai tremendamente al mio sentirmi fuori posto che mi venne un groppo in gola. E' strano come tutti sembrino vivere dove gli spetta, come se tutta la realtà coincidesse perfettamente con il loro destino, mentre a me sembra non coincidere, come se stessi sbagliando qualcosa, qualcosa da correggere al più presto, prima che sia tardi. Peccato, che gli errori si posso correggere solo se si conoscono. E io vorrei conoscere il mio.
"Non dovresti essere qui" disse egli, senza guardarmi direttamente. Era familiare lui, la sua voce, tutto lì mi sembrava familiare. Era tremendamente familiare, come se conoscessi tutto lì, il posto e addirittura quel ragazzo. Come se ci fossi vissuta da sempre, come se fosse casa mia. Perché lì mi sentivo giusta. Mi sentivo al mio posto. Come se avessi cancellato ogni sorta di mio errore.
"Chi sei?" domandai. La voce mi uscì affannata, spaventata. Non capisco questa mia personalità, è tutto così strano.
"Va' via" continuò il ragazzo, non usò un tono aggressivo, ma fu cauto e me lo disse con calma, nonostante io non avrei ascoltato. Volevo sapere, sapere chi fosse, perché mi sentissi così strana.
Stava disegnando qualcosa su un quaderno, la matita si muoveva lenta sul foglio bianco, si sentiva solo il suono di essa sulla carta. Avrei voluto vedere il mistero che si celava tra quelle pagine, ma mi era impossibile. Avrei voluto sapere tutto di lui, di cosa facesse lì, di dove fossi finita. I capelli del ragazzo erano mossi dal vento, e quella piccola lucina li faceva risplendere come se fossero oro. Sembravano simili, ma molto simili a quelli di Nash. E a quel punto capii che me lo ricordava, che io mi sentivo così perché quel ragazzo mi ricordava Nash, la persona più importante della mia vita. L'unica persona al mondo che non mi abbia mai abbandonata, l'unica che non mi aveva mai lasciata per una ragazza, eppure arriva sempre quel momento, il momento in cui ti abbandonano, ma io non sono pronta a questo, lui è il mio bimbo e non riuscirei a stare senza di lui.
"Fammi vedere il tuo volto" dissi deglutendo a fatica. Timorosa di quello che avrei potuto aspettarmi.
Alzò il capo lentamente e l'immagine del suo volto era sfuocata, e un bagliore accecante mi colpì. Finii a terra, ma non demorsi.
"Perché non riesco a vederti?" domandai sempre più confusa e stordita a causa della luce.
"Semplice." scoppiò in una risata di gusto, "Perché non riesci a capire come vedermi" continuò finendo. Ma non riuscivo a comprendere cosa volesse dire con quella frase.
"Cosa vuoi dire?" chiesi accigliandomi.
"Caroline devi guardare prima in fondo al tuo cuore, e capire come vuoi vedermi, in che maniera. Solo così capirai cosa provi davvero" disse per poi scomparire e disperdersi dentro a quella luce sconfinata. Volevo sapere di più, volevo sapere tutto, ma quel tutto evidentemente non mi era concesso, ma non volevo che finisse lì, non volevo.
Tutto divenne lontano, urlai, ma nessuno mi sentì e poi vidi il buio.
Mi svegliai. E tutto riprese alla normalità.
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