capitolo 13

-Nell'amico c'è qualcosa di noi, un nostro possibile modo di essere, il riflesso di una delle altre identità che potremo assumere.
(Andrea De Carlo)

Sbatto le palpebre, ma tutto rimane sfocato. Sono in una stanza bianca, distesa su un letto e difronte a me ci sono delle persone che non riesco a distinguere bene.

Ho un mal di testa atroce e dolore alle braccia e alla gambe. Non riesco proprio a capire cosa sia successo.

Qualcuno si avvicina. Timorosa cerco di mantere la calma non capendo chi sia.

"Caroline" dice l'uomo, cominciando a fare diversi accertamenti.

"Dove sono?" chiedo con un filo di voce.

"Sei in ospedale. Ti abbiamo trovato svenuta a terra, hai inciampato su un sasso e hai sbattuto forte la testa tanto da provocare una perdita dei sensi e non devi essertene neanche accorta della caduta. Ora sei in condizioni stabili sei rimasta priva di sensi per un giorno"

Perdita dei sensi? Un giorno intero?

"Oh", riesco solo a pronunciare.

La testa mi fa ancora un po' male e ho dei capogiri, però per il resto sembra che sto bene. Spero solo mi dimettano presto.

Dalla porta entra mia madre con gli occhi lucidi e a seguire papà. Mi abbracciano forte e nonostante mi facciano dolore le braccia li stringo forte a me. Devono essersi preoccupati tantissimo.

"Tesoro, menomale che stai bene" dice mia madre lasciandomi un bacio sulla fronte.

"Bimba", una voce irrompe nella stanza.

Mi chiedo con quale coraggio. Ho ricordi sfocati di quella sera, ma solo l'immagine di lui che mi volta le spalle mi fa stare male come in quell'esatto istante.

"Noi vi lasciamo da soli", dice mio padre accompagnando mia madre fuori.

Lui si avvicina, ancora senza dire altro. I suoi occhi scuri sono puntati su di me. Gli stessi occhi che mi hanno accompagnato e guidato per una vita intera eppure, a tratti, che mi sembra riconoscere a stento. Ma sono gli stessi occhi che sempre mi riusciranno a guardare veramente. Gli unici che non mi hanno mai tradito.

"Bimba?" chiedo scettica.

"Cosa c'è? Ti ho sempre chiamata così", risponde lui alzando le spalle.

"Prima o dopo il litigio?" chiedo inarcando un sopracciglio.

"Senti, ti sei fidanzata, come avrei dovuto reagire?" chiede di punto in bianco.

Come avrebbe dovuto reagire? Rimango impietrita davanti a quelle parole. La sua espressione in questo momento è indescrivibile. Ha il volto innocente, a tratti stanco e segnato dalle occhiaie. Ha un viso di qualcuno che ha passato la notte a bere, anche se dubito sia andata così. Nash, non si è mai ubriacato e non credo cominci ora.

Continuo a guardalo e la mia attenzione si posa sui suoi capelli illuminati dalla luce calda del sole che filtra dalla finestra. E' diverso. E' sempre il mio migliore amico, sempre lui, perché non riesco a vederlo diversamente, ma scorgo qualcosa di differente. Il tempo fuori la finestra è bellissimo, il sole splende alto nel cielo chiazzato da qualche nuvola qua e là. Il mio sguardo si punta nuovamente sul ragazzo davanti a me che mi fissa come se aspettasse una risposta, come se io adesso rispondessi.

Proprio in quell'istante due occhi verdi spuntano dalla porta e un sorriso si forma sul mio volto. Nash alza occhi al cielo e assume un espressione irritata.

Blake si butta tra le mie braccia. Mi sono mancate. Mi stringe forte e vorrei non lasciarlo più. Inalo tutto il suo profumo e poi mi lascia prima un casto bacio sulla fronte, poi sulla guancia e infine le nostre labbra s'incontrano, si sfiorano per poi unirsi in un bacio pieno di sentimento.

In quel momento sento la porta sbattere. Nash è andato via. Ma perché deve fare il bambino in questa maniera?

"Cucciola", sussurra colui che potrei definire il mio ragazzo.

Mi guarda con gli occhi che brillano, sembrano due cristalli. Mi sorride, sorride, sorride e sorride e oh, potrei svenire, nuovamente, proprio ora, difronte a lui.

"Mi hai fatto prendere uno spavento", sussurra lasciandomi un altro bacio sulle labbra.

"Allora scusami" ridacchio nervosamente.

"Posso chiederti cos'è successo?" chiede improvvisamente serio.

"Niente, sono inciampata su un sasso e ho perso i sensi" rispondo cercando di evitare la parte del litigio.

Ma non per qualcosa, solo per il semplice fatto che non voglio che lui sappia che a Nash non piace la cosa che io e lui stessimo insieme. In fin dei conti sono amici e non voglio che io rovini qualcosa.

"I medici hanno detto che ti hanno trovata con il volto rigato dalle lacrime", sussurra carezzandomi il volto.

Oh.

"Non saprei, non ricordo molto dell'altra sera", rispondo rimanendo sul vago.

"Va bene", dice lui lasciandomi un altra bacio, che poi diventano due e poi tre, quattro e saremmo andati avanti così all'infinito se solo non fosse entrato il dottore ad interromperci.

"Scusate, vorrei parlare da solo con Nash e Caroline"

Io annuisco e Blake dopo avermi lasciato un bacio sulla fronte va via.

"Perché anche lui?" chiedo confusa.

"Perché è stato lui a chiamare l'ambulanza, quindi devo farvi giusto due domande"

Ha chiamato l'ambulanza? Ma che fa mi segue? Io non capisco.

"Allora, prima che Caroline svenisse eravate insieme?" domanda il medico.

"Ci siamo visti, ma quando è accaduto dell'incidente era già passato parecchio tempo", risponde il mio amico per entrambi.

"Caroline, quando ti hanno presa per metterti sull'ambulanza e fare i diversi accertamenti hanno trovato il tuo volto bagnato dalle lacrime, è successo qualcosa prima che svenissi?" sono le stesse cose che mi ha chiesto Blake, eppure decido di mentire ancora una volta.

"No, niente"

Nash mi guarda male per aver detto una bugia, ma subito dopo mi segue.

"No, nulla"

"Perfetto ragazzi. Allora Caroline se starai meglio domani sera ti dimetteremo", afferma il dottore sorridente per poi abbandonare la stanza.

E ci ritroviamo di nuovo solo io e lui.

Improvvisamente e senza preavviso mi ritrovo le sue braccia attorno al mio corpo che mi stringono forte. Il suo profumo, il suo calore, lui mi è mancato.

La sua testa posta nell'incavo del mio collo mi fa capire che sta piangendo.

"Bimba", sussurra.

Non so, ma non riesco ad essere arrabbiata con lui, non riesco. Perché quando mi rendo conto di chi ho davanti, ovvero il mio migliore amico, la mia rabbia si annulla. Perché con lui è impossibile essere arrabbiati, con lui che è il mio punto di riferimento, con lui che è la prima persona che mi abbia fatto sentire speciale, con lui che è la persona su cui prima di tutti posso contare.

"Scusami. Non voglio perderti e non voglio mai più arrivare tanto vicino a perderti", dice con la voce attutita dal mio corpo.

"Neanche io", dico stringendolo forte.

"Neanche io", ripeto poi sussurrando.

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