Diciassettesimo
Per favore, potresti essere tenero?
Steve era rincasato simile ad una furia silenziosa, tutto dolorante. Vestito alla meglio, con la camicia spiegazzata, ed i capelli scompigliati. Tornato a casa dopo quella perversa scopata con Bucky, che aveva lasciato imprecare dentro alla loro camera nascosta. Steve richiuse la porta d'ingresso alle proprie spalle con una spinta decisa, dirigendosi immediatamente nella propria stanza. Era l'unico posto sicuro in cui rifugiarsi per sfuggire agli sguardi di James, alla sua semplice presenza. Furioso, confuso e tremendamente soffocato dalla vergogna, sentì solamente il bisogno di star solo, nel proprio letto, a riposare.
Quando, però, raggiunse il piano superiore dove stavano le camere da notte, suo padre gli tagliò il passo con una zavorra di coperte tra le braccia. Steve indietreggiò istintivamente, i passi pesanti dell'uomo difronte a lui. Non aveva la minima idea di quanto tempo lui e Bucky fossero rimasti chiusi nella loro intimità, era sorpreso di vedere il genitore già a casa invece che ancora al proprio turno lavorativo, e soprattutto non si spiegava in alcun modo l'incarico che probabilmente Sarah aveva dato al marito, riguardo quello spostamento di roba.
Il signor Rogers avvertì il figlio di fare attenzione, chiedendogli di aprire la porta propria della stanza;
«Ho le mani impegnate, tua madre riesce a far pesare anche le vecchie lenzuola di Buck!» sbottò con tono scherzoso. Lui entrò nella camera di Steve, più o meno spaziosa, povera di arredi, le pareti spoglie. Steve si avvicinò poco, alla fine ritenendo più opportuno stare sull'uscio della porta, poggiandosi ad esso con una spalla. Era ancora troppo indolenzito per rendersi disponibile a qualche lavoretto di trasloco che suo padre gli avrebbe domandato, ed un enorme groviglio di pensieri scombussolati da poter spiegare o anche solo trasparire.
«Perché porti le sue cose nella mia stanza?» domandò freddamente. Sapeva che non sarebbe stato un buon presagio, non in quel particolare momento. Da bambini, quando i genitori di Bucky erano venuti a mancare a causa del catastrofico incidente alla metropolitana, i due coetanei condividevano la stessa stanza, in un corteo bellissimo di chiacchiere nella notte, scherzi, e poi, quando avevano preso a crescere assieme al loro amore docile, un bacio e qualche carezza davano una trama ai loro sogni.
Da non molto tempo -ormai adolescenti- Steve e Bucky erano stati divisi, almeno per la fine della giornata; il moro era stato spostato in soffitta, dove a poco a poco quella specie di polveroso stanzino dal tetto basso aveva preso una forma molto più simile ad una camera da letto.
Steve incrociò le braccia e guardò il padre, che ancora gli dava le spalle, occupato a sistemare quelle coperte accanto al sottile materasso di James posto accanto al letto del figlio.
«Ci sono delle blatte nella soffitta, ricordi, no? Bucky non può stare in mezzo a quel lerciume, quindi ho piazzato qualche bustina di veleno per ammazzarle tutte. Naturalmente Barnes non dormirà in preda al l'odore di quelle cose disgustose, per stanotte starà da te.»
Normalmente Steve sarebbe stato talmente contento di sapere una cosa simile da poter rischiare di tradire i propri sentimenti semplicemente con la gioia incontenibile che gli cambiava completamente il racconto che teneva negli occhi, e invece il litigio di quel giorno, ciò che Bucky gli aveva fatto, non fecero altro che assottigliare la sua voce maggiormente.
«Come se non potrebbe cavarsela tra gli scarafaggi...» commentò a bassa voce, aggrottando la fronte. Si sentiva enormemente pentito, e odiava a morte Bucky per tutto l'amore e la trasgressione che gli aveva fatto riscoprire.
«Vi siete azzuffati, voi due?» gli domandò scherzosamente suo padre, dandogli una pacca amorevole sulla spalla.
«Più o meno.» rispose, tendo gli occhi bassi.
«Sono certo che stanotte avrete tutto il tempo per chiarirvi, basta che non vi prendiate a scazzottate.» il signor Rogers sorrise, guardando il figlio che finalmente gli concesse l'attenzione.
«Lo spero.» Steve si diresse verso il proprio letto, mentre l'uomo richiuse la porta, ormai terminato il ripetitivo trasporto di coperte e biancheria nella camera di Rogers che adesso pareva molto più piccola e affollata.
Il ragazzo si sdraiò a pancia in giù sul materasso morbido, con un braccio a penzoloni che toccava il pavimento con le nocche. Sospirò socchiudendo gli occhi, sudato e stanco. Oltre al lieve fastidio doloroso proveniente dal suo fondoschiena, la cosa che più gli dava più sui nervi era l'inconscia sensazione della mano di Bucky che ancora lo stringeva tra le gambe.
Non che fosse un qualcosa di così spiacevole, poi.
Perché, Steve, si sentiva davvero così incazzato? Forse, in tutta la sua vita, quella fu la cosa più difficile da spiegarsi. Il silenzio quieto del tardo pomeriggio in camera sua gli accarezzò il corpo magro abbandonato alle lenzuola. Gli venne in mente di schiacciare un pisolino, ma il nervosismo dei pensieri gli divorò completamente ogni pezzetto di sonno.
Pensò a Bucky che sarebbe potuto tornare a casa da un momento all'altro, e stare con lui data la precaria situazione del suo alloggio. Il pensiero di vederselo attorno ed essere arrabbiato con lui peggiorò lo stato dei nervi di Steve.
Che poi non l'aveva con Bucky per la prepotenza palese che c'era stata tra di loro durante quella specie di gioco in cui Steve era stato il sottomesso. Il biondo ribolliva di collera appunto perchè quella cruenta naturalezza del sesso si era svolta in quel preciso modo. E gli era piaciuto, tantissimo.
All'inizio il timore a la paura alla reazione di blocco del proprio corpo lo aveva quasi messo nel panico, ma poi, alla fine, quell'orgasmo proibito e gestito da Bucky lo avevano quasi spezzato in due.
L'unica pecca era proprio il piacere datogli da una cosa simile, a farlo infuriare.
D'accordo, spiegarlo era davvero complicato, Steve imprecò a bassa voce per il nervoso, il cervello gli stava quasi andando a fuoco.
Quello, per Steve, non era fare l'amore, insomma, era stata una bella e buona trasgressione delle menti e dei corpi. Non cercava romanticismo ad ogni rapporto, ma perlomeno la dolce e morbida carezza del cercarsi sempre di più mentre stavano uniti, e non implorare di smettere perché quasi faceva male. Sopratutto, proprio ciò che a Steve non piaceva affatto si era rivelato, invece, la cosa che in assoluto avrebbe preferito fare con Bucky. E avrebbe voluto picchiarlo perché a causa sua era riuscito a riscoprire una cosa simile, inimmaginabile.
Steve si ripeté in mente che certe cose non facevano per lui, che non poteva essere possibile trovare piacere in simili gesti. Non che la novità di provare la tenesse estranea a se, o che fosse stato un obbligo ripete ogni volta quel gesto di potenza da parte di James, solo che...Steve roteava in una spirale di confusione spiegabile solamente attraverso la rabbia. Restò chiuso nella propria solitudine fino all'ora di cena, sentendo anche che Bucky era tornato a casa non molto tempo dopo di lui e che, però, non si era nemmeno presentato da lui.
Si rividero introno alla tavola apparecchiata, distanti, feriti dai loro sguardi rancorosi e insofferenti da tutta quella rabbia inspiegabile.
I coniugi Rogers andarono a letto presto quella sera, come sempre; a fine giornata crollavano distrutti nel sonno, nell'occasione di potersi riposare quanto più tempo possibile per il lavoro che si sarebbe presentato la mattina successiva. Bucky li imitò, chiudendosi con irritazione nella stanza che avrebbe condiviso di malavoglia con Steve, rimasto a sparecchiare la tavola e a lavare i piatti, come scusa per non vedere ancora il compagno. Non si scambiarono una sola parola, per tutto il tempo; James, inizialmente colpevolizzatosi per il suo errore nei confronti di Steve, strozzato dalla sua freddezza e dal fatto di essere ignorato da lui, sviluppò la stessa collera del piccoletto.
L'acqua smise di scendere dal lavello, i piatti bianchi e puliti gocciolarono sul ripiano della cucina. La luce in quella piccola stanza che comprendeva anche il tavolo era fioca e ingiallita. Steve si poggiò con il bacino contorno il bordo della cucina; incrociò le braccia e sospirò chinando il capo in basso. Non avrebbe potuto scappare per sempre da Bucky, quell'atteggiamento era quasi ridicolo.
Steve salì lentamente le scale lievemente scricchiolanti che conducevano alla sua stanza, dove chissà da quanto tempo Bucky era chiuso nel proprio silenzio. Tutta la casa restò al buio, Steve ne conosceva a memoria ogni angolo, riuscendo a muoversi senza far nemmeno rumore.
Aprì la leggera porta di legno della propria camera, richiudendola con la stessa leggerezza, per non rischiare di disturbare i propri genitori. Si tolse le scarpe nel breve tragitto che conduceva al letto, sfilandosi anche la canotta bianca che ricadde disordinatamente in un angolo. Steve nemmeno rivolse un'occhiata al materasso sistemato in terra, su cui una sagoma sotto le lenzuola, al buio, faceva riferimento a Bucky. Sperò che stesse dormendo, così da potersi infilare a letto ed evitare ancora di parlargli.
Quando Steve si sdraiò sul letto, tirando le leggere lenzuola fino al petto, si accorse -poggiato su di un fianco- che sul corpo di James era posato uno dei suoi album da disegno.
Le orecchie gli diventarono tutte rosse dalla rabbia, che lo fece mettere a sedere con rigidità, osservando con sguardo fulmineo Bucky che stava palesemente fingendo di dormire.
«Chi ti ha dato il permesso di prenderlo?» domandò il minore con un sussurro nervoso. Prima che Bucky gli rispondesse si rigirò un paio di volte tra le coperte, mormorando, e facendo innervosire Steve a livelli inimmaginabili.
«Questo, dici?» con lo stesso tono bassissimo di voce, prese tra le mani il piccolo album e glielo mostrò nel buio; «Ci sono dei disegni in cui io sono nudo, mi sembra un mio diritto poterli guardare.»
«Naturalmente, perché sei davvero irresistibile.» commentò il minore, sarcasticamente.
«Cosa vorresti insinuare, scusa?» mormorò James con un mezzo sorriso provocatorio.
«Che stai facendo lo stronzo di proposito per farmi arrabbiare.»
«Perché, non sei già arrabbiato?»
«Smetti di farmi domande...!» Steve si morse la lingua per non alzare la voce. Non lo sopportava, con quella sua impertinenza spiritosa, irresistibile. Oh, tutto scompigliato dal caldo e dal pensiero, Bucky era talmente bello, Steve non ci aveva fatto caso per tutta la sera, per quanto era arrabbiato. Un vero peccato, perdere così tanto tempo a non guardarlo.
Rimasero in silenzio per un istante, la luce di qualche lampione attraversava la finestra aperta per far circolare un filo d'aria fresca.
Guardarsi negli occhi li rendeva improvvisamente calmi.
Aspetta un minuto e ammetti ciò che siamo, Steve lo sussurrò con pensiero muto a Bucky. Dolcemente il maggiore aggrottò la fronte, sistemandosi più comodo su di un fianco, guardando Steve dal basso verso l'alto.
Questo è l'inverno, i nostri corpi sono giovani e tristi.
«Scusa.» lo sussurrarono nello stesso istante, con la stessa identica intonazione di tristezza umile sulla lingua. Sorrisero per quella dolce coincidenza, vergognandosi quasi si stessero parlando per la prima volta.
«Sono stato troppo insistente, avrei dovuto capire quando fermarmi. Mi dispiace tantissimo, sul serio, non volevo.» borbottò James con fare premuroso, raddrizzando il busto sostenuto sul materasso dalle braccia muscolose.
«La colpa non è solo tua, è anche mia...mi sono arrabbiato per qualcosa che riguardava me e basta. Io invece non avrei dovuto prendermela con te in questo modo.»
«Te? Sono stato io a scoparti così, insomma...» bisbigliò confuso il moro.
«Mi è piaciuto ciò che mi hai fatto, okay? È proprio perché me lo hai fatto scoprire che mi ha fatto arrabbiare. Cose simili non avrei mai nemmeno immaginato di farle, quindi...»
«Steve, punk, calmati un secondo, e spiegami cosa esattamente devo farmi perdonare.» James gesticolò, fermando il balbettare veloce di Steve. Questo deglutì piano, serrando le labbra. Strinse i punti tra le coperte e guardò con sicurezza il moro sciogliersi nell'insicurezza per causa sua.
«Mi hai fottuto in maniera dolorosa e invece di odiarlo l'ho amato, e provare piacere da cose simili mi ha messo tanta paura.» Steve alla fine confessò tutta la rabbia e la frustrazione che teneva dentro da ore in una frase detta piano. Bucky sgranò gli occhi , stupito, facendo sorride il minore che riuscì a vedere la sua espressione buffa anche nel buio della notte.
«Oh amore, perché non me lo hai detto prima?» James sussurrò, avvicinandosi con il viso in alto, verso il letto di Steve.
«Sono stato impulsivo, scusami tanto, sul serio. Detesto rimanere arrabbiato con te.»
«Anch'io.» il maggiore rispose con lo stesso rauco sospiro, riproponendo una pausa silenziosa. Allungarono le mani, potendosi così toccare con le nocche, e incastonare i mignoli assieme, come la chiusura di una collana.
Avrebbero potuto descrivere quel debole contatto di falangi nei più disparati modi, in fondo, carezze come sentimenti muti nel buio. Però non riuscirono a fermarsi e parlare di quelle mani.
Se lo immaginarono come una frase tratta dalle tragedie di Shakespeare, Romeo e Giulietta, che riassumeva loro in quel movimento amorevole come "e che cos'è l'amore, se non una pazzia mite, un'amarezza che soffoca, una dolcezza che dà sollievo?"
Fecero pace nella loro ingenua rabbia, e tornarono ad essere arte.
Si sorrisero mantenendo il loro amabile silenzio. Steve si mise sdraiato in maniera comoda, con l'intento di rilassarsi e prendere sonno, con il braccio a penzoloni fuori dal letto, e altre dita strette a quelle di James. Questo, però, stravolse ancora una volta il mite pensiero di Rogers.
Sentì le labbra morbide di Bucky baciargli il dorso della mano, e continuare a stringerla, con maggiore sicurezza. Un istante, per rendersi conto del veloce spostamento del maggiore, e Steve se lo trovò sopra il letto, a cavalcioni sopra di lui, e poi al suo fianco, gettato in mezzo alla coperte.
Strettissimi in quel materasso troppo piccolo per entrambi, trovarono lo spazio necessario spingendosi verso il centro. Steve si raggomitolò sul petto di Bucky, con il viso nascosto tra i suoi pettorali asciutti, mentre quelle calorose braccia gli accarezzavano la schiena.
«Noi non abbiamo bisogno di dircelo.» sussurrò pianissimo il biondo, quasi Bucky fece fatica a capire le sue parole.
«Cosa?» domandò, baciandogli la testa.
«Ti amo. Non siamo obbligati a ricordarcelo in continuazione, lo sappiamo e basta.»
Barnes gli strinse il viso tra le mani, conducendolo al proprio. Un bacio sulla fronte, uno su di una guancia, l'altro sulla punta del naso, e l'ultimo sulle labbra. Lì ce ne finirono due, il primo, leggero, il secondo, saporoso di lingue ruvide e vogliose.
Fecero così tanto rumore che Steve si vide costretto ad allontanare Bucky da se, respirando irregolarmente. Si squadrarono completamente, toccandosi per avere la certezza di essere veramente assieme in quella stessa stanza che avevano condiviso per anni, e che adesso li teneva divisi.
James fece correre una mano dietro il capo di Steve, tra i capelli più corti e scuri. Lo accarezzò con dolce lentezza, quasi potesse allungare la notte con le proprie smanie d'amore.
Oblio di anime sciolte nei sensi gli uni degli altri, ciò che occupavano quel letto erano proprio le loro pesantissime sensazioni. Che si amavano, che si stringevano, e che si perdonavano.
Non ebbero nessun timore finché, in quelle stesse ventiquattr'ore, Bucky decise di fare ancora l'amore.
Steve sentì una delle sue mani scendere tra i loro corpi aderenti l'uno con l'altro, per finire proprio sul membro del minore. Gemette improvvisamente, colto alla sprovvista. Afferrò fortissimo le spalle di James e si morse il labbro faticando a muoversi per allontanarsi, con sofferenza.
«Bucky, cosa fai?» bisbigliò nervosamente.
Quello sorrise, riuscì a far trasparire la propria espressione oltre il buio; «Ritorno a farlo con dolcezza, senza spaventarti.»
«Davvero? Con i miei genitori nella stanza accanto?» incalzò con preoccupazione.
«Non ti farò gridare, sta tranquillo.» Bucky tagliò corto, riprendendo a massaggiargli quella che senza volerlo stava trasformandosi in un'erezione.
Steve mormorò piano, irrigidendosi. Nella sua mente aveva già fermato le mani di Bucky, ed era ritornato a chiudere gli occhi in cerca di sonno, ma nella realtà, il suo corpo, non poteva sottrarsi a quell'ipnotico movimento caldo, che lo strusciava oltre i boxer bianchi, in senso orario, poi su e giù.
«Bucky ti prego, potrebbero scoprirci.» sussurrò ancora, con espressione sofferta.
«Hai paura?» il maggiore si fermò improvvisamente, facendosi serio. Guardò Steve negli occhi, e gli strinse la nuca con sicurezza.
«In un contesto simile si.» rispose piano.
«Smetti di avere paura. La paura non esiste, esistono solo limiti che ci poniamo. Tu sei forte, e le persone forti non hanno paura.»
«Mi stai dando del codardo?» gracchiò Steve con un sospiro spiritoso, scuotendo piano la testa.
«No, sto solo cercando di dirti che insieme non possiamo avere paura di nulla. Noi l'ammazziamo, la paura.» James si accigliò serio, con voce dolce che rimase bassa per non interrompere troppo il silenzio quieto d'estate.
Steve lo guardò ancora e si sentì sbriciolare in un cumulo di ossa, fatte cenere per essere coperte dal telo pregiato creato dal respiro di Bucky. Allungò una mano in basso, dov'è quella di James si era leggermente allontanata. Gli prese il dorso caldo e teso, indirizzandolo sopra l'elastico del suo intimo, insinuandolo sotto di esso, per poter lasciargli infilare la mano nella propria virilità.
Entrambi sospirarono piano per quel caldissimo contatto. Steve alzò il viso così da toccare con le labbra semichiuse quelle del maggiore, baciandole lievemente, in una bufera di tocchi in mezzo alle sue gambe.
«Toccami, ovunque. Fallo, e smetterò di essere spaventato.» gli sussurrò il biondo, ampliando quel duraturo bacio grazie alla lingua.
Bucky teneva la sua erezione in mano, seppur ostacolato dal leggero lenzuolo bianco sui loro corpi, e dalla vicinanza affannosa in quell'abbraccio, riuscì a mantenere dei movimenti regolari. Steve capì se lo eccitassero di più le carezze sulla schiena, i baci caldissimi con i morsi sulla lingua, o lo strusciarsi di Bucky alla sua gamba mentre continuava a masturbarlo.
Si convinse, infine, che in quel brevissimo attimo di eternità al buio e tra le bocche, avrebbe potuto persino perdere la vita, ma quelle sensazioni meravigliose non avrebbero potuto anestetizzare il suo corpo.
Quando le parole dolci e le febbri ci lasciano qui nel freddo, oh, oh... Quattro di quegli altri gemiti riuscirono a silenziarli in mezzo alle lingue umide, fino ad arrivare all'orgasmo. Steve si lamentò, soffrendo nel doversi ammutolire, aggrappandosi con immane forza alle braccia di Bucky fatte rigide.
A James non servì venire quella notte, gli bastò poter tenere Steve tra le braccia. Rimase sveglio per molto altro tempo, dopo che il biondo si addormentò. Per lui, l'estasi data dall'orgasmo fu paragonabile a poter intossicarsi con il profumo di Steve, accarezzandogli la pelle, e guardarlo, mente tra di loro il seme sporcava i vestiti.
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