🍁 Capitolo 11

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Scorrevo a caso tra le pagine, come un gatto randagio che vaga senza meta per la città saltellando con le sue buffe zampette pelose sopra mattoni con cui nessuno desidera più costruire. Mi torna in mente Luli, la mia gattina bianca e nera, l’unica che si sia fidata ciecamente di me, senza provare a graffiarmi dopo la terza carezza non richiesta.

Una volta seppellita nel giardino di casa, perché aveva inseguito quelle che le sembravano essere delle lucciole, ho perso la mia migliore amica e nello stesso anno anche il ragazzo crestato. Non sapevo che farci con la mia nuova solitudine, per troppo tempo avevo visto il mondo esterno con uno sguardo che non era mio e non riuscivo a riappropriarmene.

Decido di gratificarmi con una manciata di patatine ormai destrutturate, tingendo la mano di oli di dubbia provenienza. So benissimo che i cibi ipercalorici non aiutano con le vampate di calore provenienti dai refoli dei vagoni sprovvisti di aria condizionata, ma cerco di agire indistintamente per fingermi disinteressata. Guido sembra essersi addormentato, perso in chissà quale viaggio. Siamo tutti viandanti, affamati di sguardi.

La voce gracchia un posto a me ignoto, ma, oramai, sono decisa a scendere alla stessa fermata di Guido, qualunque cosa accada, se era destino che ci incontrassimo, non voglio perdere questa occasione. La sua mano delicata è appoggiata sul suo petto in una posa scomposta: aspetto che ricominci la conversazione lamentandosi del conseguente formicolio.

Non faccio altro che pensare al contenuto di quel foglio arrotolato, non sembra uno studente di Architettura o di Design, eppure il suo sguardo color del mare nasconde una profondità non comune e mentre sonnecchia, dalla sua bocca esce il rumore dello sciabordio delle onde.

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