Verità oscure

Buonaseraaa! Buon Primo settembre e buon primo giorno a Hogwarts per chiunque abbia ricevuto la letterina! (Non io, nemmeno quest'anno - cazzo 🥲).
Anyways, il capitolo di oggi è lento ma è un capitolone, dove - finalmente!!! - tanti nodi vengono al pettine.
Voglio assolutamente sapere se qualcuno di voi "se l'aspettava", diciamo così... E cosa ne pensate in generale.
Come sempre, buona lettura e a presto😘

***

«Che ci fai qui?!» sbottai, riconoscendo immediatamente i bianchi capelli di Lùg, e mi affrettai ad afferrare un indumento qualsiasi per poter coprire il mio corpo seminudo.

«Non c'è bisogno di imbarazzarsi, Mezzosangue» la sua voce fu un sibilo di vento nella stanza tenebrosa e un brivido di irrequietezza mi fece accapponare la pelle.

Il Generale avanzò verso di me ed io indietreggiai, improvvisamente conscia del fatto che... Che qualcosa non andasse.

«Ho visto milioni di volte quel corpo» mormorò, facendosi più vicino e fissandomi con una cupa luce negli occhi, «L'ho toccato».

Le mie spalle sbatterono contro il muro e il cuore mi schizzò in gola.

«L'ho leccato» il suo respiro mi accarezzò i capelli e il terrore mi scoppiò nelle vene come una fiamma, perché mi resi improvvisamente conto che Lùg... sapeva.

«L'ho ucciso».

Una mano del Generale si posò sul mio torace, leggermente a sinistra rispetto allo sterno e appena sopra il pizzo bianco del reggiseno, ed egli mormorò: «Ho affondato un pugnale proprio qui... la lama è scivolata fra le coste senza incontrare resistenza. L'ho affondata dentro questo corpo fino all'elsa, fino a che non sono stato certo di aver trapassato il cuore... e poi ho guardato la luce abbandonare questi bellissimi occhi scuri».

Spostò la mano sulla mia guancia e sollevò il mio viso verso il suo, inchiodandomi al muro con le sue iridi argentee.

«Tu l'hai visto succedere, Mezzosangue» sussurrarono le sue labbra sottili, «Tu hai visto nei miei sogni il momento in cui l'ho ammazzata».

Il mio cuore batteva rapido come le ali di un colibrì e il mio sangue era un torrente che mi pulsava nelle tempie, impedendomi quasi di sentire la sua voce. Il terrore mi faceva quasi pizzicare la pelle, come se i punti toccati dalle dita del Generale facessero scintille.

Probabilmente stavo per morire, eppure mi sentivo viva come mai prima di quel momento.

«Dimmi che non è vero, Rowan» mormorò Lùg, chinando la fronte fino a che non fu a contatto con la mia, «Dimmi che ciò che mi ha raccontato Morven è una menzogna» aggiunse, e il suo respiro freddo mi accarezzò le labbra.

«I-io non volevo!» pigolai, serrando gli occhi per non vedere il momento in cui la follia avrebbe preso controllo del Generale.

«Che cos'è successo, Rowan?» mi incalzò Lùg, ed io rabbrividii nell'udire il gelo della sua voce.

Sentii improvvisamente le sue dita fredde carezzarmi la pelle e feci per ritrarmi al suo tocco, ma egli racchiuse la mia guancia con la sua mano in una presa morbida ma ferma, e ordinò: «Guardami, Rowan».

Incapace di resistere al suo comando, spalancai gli occhi e mi ritrovai a fissare le sue iridi argentee, animate dal bagliore della luna che brillava su di lui, illuminandolo come un angelo benedetto dagli dèi in persona.

«L'ho riportata in vita» sussurrai, «Domhnall mi ha obbligata a riportarla in vita».

Non sapevo cosa aspettarmi da Lùg – forse una piccolissima parte di me sperava ancora nell'incontenibile gioia di un uomo che scopre che l'amata è ancora viva; o forse, più probabilmente, mi aspettavo la rabbia di chi scopre che la propria vittima è riuscita a sfuggire alla morte – ma sicuramente non mi sarei mai aspettata quella che fu l'effettiva reazione del Generale.

Lui rimase perfettamente immobile, tanto che avrei potuto temere non mi avesse sentito se non fosse stato per un brevissimo e leggero tremore che scosse la sua mano, che era ancora posata sulla mia guancia, e per i suoi occhi, che si fecero improvvisamente vitrei... morti.

«No» fu tutto ciò che uscì dalle sue labbra, e io potei giurare di vedere la paura sbiancargli il volto.

«Mi hanno portata al Castello Nero e là, dentro una tomba sigillata, c'era... il suo corpo. Aveva in grembo il pugnale con cui è stata uccisa» mormorai concitatamente, ma Lùg pareva guardarmi senza effettivamente vedermi, così proseguii: «Io non sapevo ancora che... che eri stato tu ad ammazzarla. Non lo sapevo, eppure...».

Trassi un breve sospiro e afferrai i suoi avambracci, stringendoli con forza fra le dita per ottenere una reazione dal Generale, ma il suo sguardo rimase fisso sul muro alle mie spalle.

«... Non la volevo resuscitare, Lùg. Te lo giuro, io non volevo farlo ma... ma Domhnall mi ha costretta. Mi ha detto che, se non l'avessi fatto di mia spontanea volontà, avrebbe agito lui attraverso di me... è stato allora che ho acconsentito».

Si staccò improvvisamente da me e andò a sedersi sul letto, crollando sul materasso come un burattino al quale sono stati tagliati i fili. Io rimasi immobile con le spalle al muro, rabbrividendo vistosamente a causa dell'improvviso gelo che mi aveva avvolta non appena il suo corpo si era staccato dal mio, e lo fissai con circospezione.

Lo vidi passarsi una mano sugli occhi e massaggiarsi i bulbi oculari; notai il suo respiro farsi più veloce del normale e il leggero tremore della mano che teneva mollemente abbandonata in grembo.

«Spiegami cosa succede, Lùg» mormorai nel buio della stanza, avanzando di qualche passo verso la sagoma oscura del Generale.

La mia pelle fu scossa da un tremito ed io percepii rivoli del suo immenso potere strisciare lungo le pareti della stanza come tentacoli pronti a scattare e uccidere, ma non mi fermai: «Perché l'hai ammazzata? Voglio la verità, questa volta».

I suoi occhi argentei si fissarono finalmente nei miei ed egli rise senza allegria: «La verità, Mezzosangue? Vuoi la verità?».

Raddrizzò le spalle e, fissandomi con gli occhi che ribollivano di potere a stento trattenuto, si slacciò il mantello nero. Lo spesso tessuto gli scivolò lungo le spalle e la pelle dorata del suo torace brillò sotto la luce della luna... ed io potei chiaramente vedere la nera impronta di una mano impressa sul suo cuore.

«Questa è la verità, Mezzosangue» sibilò, indicando il marchio che gli deturpava la pelle.

Rapido come un rapace, agguantò la mia mano e se la pressò sul torace. Le mie dita combaciavano alla perfezione con quelle di Saraid ed io percepii il tumultuoso battito del cuore del Generale –incredibilmente veloce e violento – sotto il mio palmo.

«La verità è che quella...» esitò, cercando le parole, «...schifosa baldracca della tua antenata... Saraid...» il nome uscì dalle sue labbra come un ringhio, tanto feroce che io rabbrividii, «...Lei mi... lei mi possiede, tramite questo marchio».

«Ti... possiede?» ripetei, aggrottando la fronte.

Le sue dita si strinsero come artigli attorno alla mia mano: «Come hai fatto a non accorgertene, tu?» domandò a bruciapelo, «Hai riportato indietro il tuo amico da più di... due mesi. Com'è possibile che tu ancora non lo abbia notato?».

«Notato cosa?» domandai esasperata, stufa delle mezze frasi e degli sconclusionati discorsi di Lùg.

«Che lo puoi obbligare a fare tutto ciò che desideri» sussurrò lui con un odio bruciante che gli animava le iridi, «Che se gli ordini di fare una qualunque cosa tu desideri, lui... lui è tenuto ad obbedirti ciecamente».

Sbattei le palpebre un paio di volte, perplessa: «Di che stai parlando?!».

Lùg tracciò con il pollice un lento cerchio sul dorso della mia mano e i suoi occhi si persero in un passato lontano: «Quando Saraid mi riportò indietro dalla morte, da quella distesa di polvere e anime vaganti, iniziai a... sentirla. Sapevo cosa desiderava, di cosa aveva bisogno, di cosa aveva paura».

Mi venne la pelle d'oca. Labhraidh mi aveva confessato le stesse identiche parole non più di cinque giorni prima.

«Poi lei iniziò a chiedermi... favori. "Fa' questo per me, Lùg", "Aiutami con quello, Lùg", "Me lo devi, Lùg"» scimmiottò la sua voce con inquietante precisione.

«E anche se io non volevo razionalmente fare ciò che lei mi chiedeva, io... io non riuscivo fisicamente a dirle di no. C'era questo... desiderio, anzi no, questa necessità di eseguire i suoi ordini. Tutti i suoi ordini» sibilò aspramente.

«Quando Saraid si accorse del potere che aveva su di me, lei... iniziò ad usarmi» sputò fuori quella parola come veleno.

«Smisi di essere il suo uomo e divenni il suo... burattino. Divenni il suo protettore, il suo schiavo, il suo assassino... la sua troia» la voce di Lùg tremò sull'ultima parola e una cieca furia adombrò i suoi occhi argentei.

«Quei sogni...» balbettai, ripensando con orrore agli incubi che avevano tormentato le mie notti per mesi interi e che avevo creduto essere frutto della parte più malata della mia mente. Avevo creduto di sognare me stessa frustare Rìan... ma in realtà era stata Saraid a frustare Lùg a sangue, a scorticarne la pelle fino all'osso. Era stata Saraid ad obbligarlo a massacrare decine di umani per potersi fare il bagno nel loro sangue; era stata Saraid ad affondare i suoi artigli nella schiena di lui fino a farlo urlare. Era stata Saraid a... stuprarlo.

«Mi tolse ogni libertà» continuò Lùg, «E io iniziai a odiarla. L'avevo amata, l'avevo... venerata, ma quando lei mi tolse la libertà, io iniziai a odiarla con tutto me stesso. La guardavo e tutto ciò che vedevo erano le mie dita strette attorno al suo collo, le mie mani macchiate del suo sangue immondo... sognavo il suo cadavere ai miei piedi, anelavo la sua morte» le parole scivolarono dalle sue labbra come un fiume in piena.

«Hai visto cosa successe poi: le piantai un pugnale nel cuore quando meno se l'aspettava e bruciai il suo cadavere su una pira, fingendo che fosse stata assassinata da un misterioso sconosciuto. A quanto pare, però, quel figlio di puttana di suo padre salvò il suo cadavere dal rogo» ringhiò a denti stretti, «In attesa di qualcun altro con lo stesso dono di Saraid... in attesa di qualcuno come te, Rowan».

Mi morsi il labbro inferiore, sentendo il cuore scalpitare nel petto in modo quasi doloroso: la storia di Lùg proveniva direttamente da un incubo e, per qualche secondo, riuscii a comprendere il suo odio, la sua violenza, il suo sadismo. Lùg era stato spezzato dalla persona che amava e, dopo averla uccisa, non gli era rimasto più nulla.

«Io ho ucciso quella maledetta troia...» ringhiò il Generale, «... ma lei ha trovato comunque il modo ti tornare a perseguitarmi dopo millenni».

I suoi occhi si sollevarono sui miei ed egli domandò: «È così che hai perso i tuoi poteri, vero? Li hai consumati per tirarla fuori da quel posto di anime e polvere».

Deglutii sonoramente e annuii: «Da sola non ci sarei mai riuscita, ma Domhnall mi ha prestato il suo potere, e io l'ho... bruciato. Fritto. Gli ho fatto saltare i circuiti neuronali, non so se mi spiego» blaterai, «L'ho ridotto a un vegetale. Saraid lo ha riportato a Murias, sperando che i suoi guaritori lo sappiano aiutare in qualche modo».

Il ghigno di Lùg fu terrificante: «L'unica cosa che possono fare per quel bastardo è tagliargli la gola, ecco cosa» sibilò, poi aggiunse: «L'hai prosciugato, e ha avuto esattamente quello che si meritava».

Esitò qualche istante, poi mormorò fra i denti: «Lei... com'è?».

«Terrificante» mi lasciai sfuggire, «È me, eppure... non lo è».

Mi sedetti sul materasso, di fianco a Lùg: «Mi ha fatto una strana impressione. Era davvero molto interessata a te; voleva sapere dove tu fossi e ci ha assicurato di poterci... aiutare con te. Ha detto di poterti convincere a lasciarci stare» mormorai, riducendo la voce ad un sussurro nel pronunciare le ultime parole.

Lùg irrigidì la mascella e digrignò sonoramente i denti: «La baldracca rivuole il suo burattino, ovviamente» ringhiò, passandosi una mano sul volto e lasciandosi cadere all'indietro fino a sdraiarsi nel letto matrimoniale.

«Ma come funziona?» azzardai.

Lùg rimase in silenzio tanto a lungo che credetti non avrebbe più risposto, poi mormorò nel buio della stanza: «La sua maledetta voce. Era la sua voce a fottermi, ogni volta... mi sussurrava i suoi ordini e io eseguivo senza pensarci due volte» ammise in un ringhio.

I suoi occhi d'argento scrutarono il mio viso con attenzione predatoria e, dopo un momento di riflessione, lui osservò: «Tu l'hai riportata in vita... esattamente come lei ha fatto con me».

Il modo in cui mi stava guardando mi mise a disagio; il silenzio che seguì alle sue parole mi mise ancora più a disagio.

Capivo benissimo a cosa stesse alludendo il Generale e, per qualche secondo, permisi ad un'immagine di farsi strada nella mia mente: vidi me stessa che, sussurrando rapide parole all'orecchio della mia antenata, capeggiavo un esercito di non morti. Lasciai che l'euforia del potere mi facesse girare la testa; mi permisi di vedere i morti viventi affrontare Finvarra e porgermi la sua testa su una picca... poi tornai alla realtà: «Purtroppo non è così semplice» sbuffai.

Mi buttai all'indietro sul letto al fianco di Lùg, affondando nel materasso morbido e sfiorando accidentalmente il suo fianco con la mano. Il mio corpo percepì la vicinanza con il suo come una minaccia, infatti un brivido di terrore mi scivolò lungo la schiena e il mio cuore palpitò rapidamente nel petto. Ignorai il bruciante desiderio di allontanarmi di scatto da quel letto e feci un respiro tremante, poi continuai come se nulla fosse: «Non sono in grado di comandarla... non la possiedo» mormorai.

Ripensai alla mattina di qualche giorno prima, quando Saraid mi aveva accidentalmente toccata e io le avevo ordinato di non farlo mai più... e di come lei avesse immediatamente ripetuto il gesto, in un atteggiamento quasi di sfida.

«Non ha esitato nel fare esattamente ciò che le avevo espressamente proibito di fare» confidai a Lùg dopo avergli narrato l'episodio, «Il che significa che lei stessa era terrorizzata dall'idea che qualcuno potesse fare a lei esattamente quello che lei stessa aveva fatto a te».

«Puttana maledetta» sibilò Lùg in un ringhio basso che vibrò nella mia gabbia toracica, feroce al punto tale da farmi venire la pelle d'oca.

Quasi per convincermi che il Generale era fatto di carne e sangue, proprio come me, e che non si trattava di un essere di morte e ombre, gli strinsi leggermente la mano. Le mie dita si strinsero attorno alle sue, forti e fredde, e cercai di offrigli un briciolo di conforto: «Forse... forse da quando lei è morta la connessione fra di voi si è spezzata. Forse ora sei... libero».

Lo sentii girare la testa verso di me, ma io non staccai gli occhi dal soffitto: non ero sufficientemente coraggiosa da guardarlo negli occhi, non da una distanza così ravvicinata... non ancora.

Sentii la sua risata priva di divertimento solleticarmi la guancia sinistra, poi lui mormorò: «Non mi piacciono i forse, Mezzosangue. Forse hai ragione tu, e io sono davvero libero; o forse... forse Saraid mi ordinerà di strapparti la testa dal collo pur di riavere il suo Calderone».

Mi portai istintivamente le mani alla gola e strinsi convulsamente l'anello di Dagda fra le dita, rabbrividendo nel ricordare il modo quasi animalesco con il quale Saraid mi aveva fissata quando le avevo negato il monile.

Gli occhi di Lùg seguirono i miei movimenti e un sorriso amaro incurvò le sue labbra sottili: «Oh, il Calderone... quel maledetto Calderone» mormorò, e le sue dita fredde sfiorarono la catenella al quale era appeso il gioiello, facendomi trasalire.

«Giurai di distruggerlo, sai?» domandò con apparente dolcezza, «La sua capacità di intrappolare le anime e di ripescarle a piacimento del portatore dell'anello era un potere abominevole; così com'era abominevole ciò che Saraid era riuscita a farmi proprio grazie a questo anello».

Lùg rimase in silenzio per qualche secondo, facendo ricadere la mano sul materasso e allontanandosi impercettibilmente da me, poi proseguì: «Quando Saraid morì e l'anello passò a suo figlio – o forse al figlio del figlio, non ricordo con precisione – che comunque era un Mezzosangue, io gli intimai di consegnarmelo. Lui, però, non mi diede retta e fuggì nel mondo degli umani; così, quando Finvarra partì per la sua campagna di conquista, io mi aggregai a lui... anche se tutto ciò che desideravo era impadronirmi dell'anello e distruggerlo».

«Per questo hai seguito Finvarra? Per recuperare questo stupido anello e distruggerlo? Non perché volevi... conquistare il mio mondo?» domandai nel buio.

Questa volta, la risata di Lùg fu sincera.

«Piccola mortale, sei così ingenua» mormorò fra le risa, «Credi forse che mi importi qualcosa del tuo piccolo e noioso mondo, quando, nel mio, io sono il Signore di un'intera Città? La guerra mi piace, uccidere mi piace, ma mi piace farlo per il mio popolo, per la mia terra, per la mia Città. L'unica attrattiva che aveva per me il tuo mondo era... questo gingillo, e il tuo antenato che fuggì dalle Terre Lontane con esso al collo».

Lo sentii incrociare le braccia dietro la testa e poi proseguì: «Quando il tuo antenato morì e suo figlio morì dopo di lui, il Calderone si limitò a... scomparire. Lo cercai e cercai il sangue di Saraid nella sua discendenza, ma non ebbi fortuna perché Dagda fu più sveglio di me: protesse il Calderone e intrappolò noi fate nei Tumuli, impedendomi così di compiere ciò che mi ero ripromesso di fare... ovvero distruggere l'anello che mi aveva sottomesso a Saraid».

Rimasi in silenzio, rimuginando sulle sue parole e domandandomi quanto di ciò che Lùg mi stava raccontando fosse reale... perché se tutto ciò che mi aveva appena narrato – o anche solo l'ottanta per cento – fosse stato reale, allora avrebbe significato che... che forse Lùg non era il cattivo della storia. 

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